di
Dom Gueranger, Abate di Solesmes (Prosper-Louis-Pascal Gueranger),
(Sable
sur Sarth, 1805/Solesmes 1875),
considerato
il restauratore dell’ordine benedettino in Francia.
Come
per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante così non
esiste per lui neppure una storia puramente umana. L’uomo è stato
chiamato da Dio a un destino soprannaturale; questo è il suo fine
Indice
Il soprannaturale nella storia
L’azione della santità nella storia
I doveri dello storico cristiano
Il Cristo eroe della storia
IL SOPRANNATURALE NELLA STORIA
Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante così non esiste per lui neppure una storia puramente umana. L’uomo è stato chiamato da Dio a un destino soprannaturale; questo è il suo fine; la storia dell’umanità deve offrirne testimonianza. Dio avrebbe potuto lasciare l’uomo allo stato naturale; nella sua bontà si è compiaciuto di destinarlo a un ordine superiore, rivelandosi a lui e chiamandolo alla visione finale e al possesso ultimo della sua essenza divina; la fisiologia e la psicologia naturali sono dunque impotenti a dar ragione del destino dell’uomo che può essere spiegato soltanto ricorrendo alla rivelazione; qualsiasi filosofia che, prescindendo dalla fede, pretenda di determinare il fine dell’uomo per mezzo della sola ragione, è per ciò stesso colpevole di eterodossia ed è riconosciuta tale. Dio solo, tramite la rivelazione, poteva insegnare all’uomo tutto ciò che egli è nel piano divino; questa è l’autentica chiave di lettura dell’uomo. Non vi è dubbio che la ragione possa, con le sue speculazioni, analizzare i fenomeni dello spirito, dell’anima e del corpo, ma, proprio in quanto è incapace di afferrare il fenomeno della grazia che trasforma lo spinto, l’anima e il corpo per unirli a Dio in maniera ineffabile, essa non è in grado di spiegare l’uomo nella sua essenza né quando la grazia santificante che è in lui ne fa un essere divino, né quando, per la mancanza di tale elemento soprannaturale cacciato dal peccato o non ancora penetrato in lui, l’uomo si trova ad essere degradato. Non esiste dunque, nè può esistere, vera conoscenza dell’uomo al di fuori della rivelazione. La rivelazione soprannaturale non era di per sé necessaria: l’uomo non vi aveva alcun diritto; ma Dio l’ha data e promulgata; da allora la natura da sola non è più sufficiente a spiegare l’uomo. La presenza o l’assenza della grazia, la grazia stessa, occupano il primo posto nello studio antropologico. Non c’è in noi una sola facoltà che non rimandi al suo complemento divino; la grazia aspira a pervadere l’uomo nella sua interezza, a insediarsi in ogni sua pane, e affinché l’armonia del naturale e del soprannaturale in questa creatura privilegiata sia perfetta, l’Uomo-Dio ha istituito i sacramenti che si impossessano dell’uomo, lo elevano, lo divinizzano dalla nascita fino al momento in cui approda alla visione eterna del sommo bene che sia egli possedeva, ma che poteva percepire solo attraverso la fede.
Ma se è impossibile conoscere l’uomo nella sua totalità senza l’ausilio della luce rivelata, come è possibile supporre di spiegare la società umana m tutte le fasi che ne costituiscono la Storia senza far ricorso a questa stessa fiaccola divina che ci illumina sulla nostra natura e i nostri destini individuali? L’umanità avrebbe forse un fine diverso dall’uomo? L’umanità sarebbe qualcosa d’altro della somma degli uomini? No. Chiamando l’uomo all’unione divina, il Creatore vi convoca l’umanità. Ne saremo testimoni l’ultimo giorno quando milioni e milioni di individui glorificati formeranno alla destra del giudice sommo il popolo immenso “di cui sarà impossibile” dice San Giovanni “fare il censimento” ‘(Apoc., VII,.9). Nell’attesa, l’umanità, intendo la storia, rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza l’importanza dell’elemento soprannaturale, sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui, sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della liberà umana che porterebbe al suicidio degli imperi, se Dio non li avesse creati guaribili (Sapienza 1, 14).
La storia deve pertanto essere cristiana se vuole essere vera; perché il cristianesimo è la verità completa; qualsiasi sistema storico che prescinda dall’ordine soprannaturale nell’esposizione e nell’interpretazione dei fatti, è un falso sistema che non spiega nulla e che lascia la storia dell’umanità nel caos e nella contraddizione permanenti con tutte le idee che la ragione elabora circa i destini della nostra specie su questa terra. E perché hanno capito tutto questo che gli storici contemporanei, non appartenenti alla fede cristiana, si sono lasciati irretire da strane teorie nel formulare la cosiddetta filosofia della storia. Ai tempi del paganesimo non esisteva questo bisogno di generalizzazione. Gli storici gentili non hanno teorie globali sulla storia. L’idea di patria è tutto per loro e dal tono della narrazione non trapela mai il minimo affetto per il genere umano in sé. Del resto, è soltanto con il cristianesimo che la storia ha incominciato ad essere trattata in maniera sintetica; il cristianesimo. non dimenticando mai il destino soprannaturale del genere umano, ha abituato il nostro spirito a vedere al di là del cerchio angusto dell’egoismo nazionale. È in Gesù Cristo che si è rivelata la fratellanza umana, e da allora la storia universale è divenuta oggetto di studio. Il paganesimo ha saputo dare soltanto una fredda statistica di fatti; non è mai stato in grado di redigere in modo completo la storia del mondo. Non è stato sottolineato con sufficiente vigore che è stata la religione cristiana a creare la vera scienza storica, dandole la Bibbia per base. Nessuno può negare che oggi, nonostante i secoli trascorsi, malgrado le lacune, la nostra conoscenza dei popoli dell’antichità è più avanzata di quanto non fosse quella degli stessi storici antichi. Gli storici non cristiani del XVIII e del XIX secolo hanno attinto dal metodo cristiano il criterio di generalizzazione, ma l’hanno diretto contro il sistema ortodosso. Hanno capito ben presto che impadronendosi della storia e trasformandola secondo le loro idee davano un duro colpo al principio soprannaturale. Il loro successo è stato immenso; non tutti sono capaci di seguire e apprezzare un ragionamento sofisticato; ma tutti capiscono un fatto, una successione di fatti, soprattutto quando lo storico possiede quell’accento particolare che ogni generazione esige in coloro cui accorda il privilegio di affascinarla. Tre scuole hanno sfruttato, volta a volta, e anche simultaneamente, la storia. La scuola fatalista, che potremmo definire atea, che vede soltanto la necessità negli avvenimenti e mostra la specie umana alle prese con una concatenazione invincibile di cause brute cui seguono effetti inevitabili. La scuola umanitaria che si prosterna davanti all’idolo del genere umano, di cui proclama lo sviluppo progressivo mediante le rivoluzioni, le filosofie, le religioni. Questa scuola ammette l’intervento di Dio all’origine dell’umanità; ma Dio ha lasciato che l’umanità, una volta emancipata, percorresse il proprio cammino ed essa avanza sulla via di una perfezione indefinita, spogliandosi lungo il cammino di tutto ciò che potrebbe ostacolare la sua marcia libera e indipendente. Infine, abbiamo la scuola naturalista, la più pericolosa delle tre, perché ha la parvenza del cristianesimo in quanto proclama ad ogni pagina l’azione della Provvidenza divina. Questa scuola per principio prescinde costantemente dall’elemento soprannaturale; la rivelazione non esiste, il cristianesimo è un incidente felice e benefico nel quale si manifesta l’azione di cause provvidenziali; ma chissà che domani, fra un secolo o due, le risorse infinite di Dio nel governare il mondo non conducano ad una forma ancora più perfetta con l’aiuto della quale il genere umano si avvierà, sotto l’occhio di Dio, verso nuovi destini e la storia si illuminerà di una luce più viva?
Al di fuori di queste tre scuole esiste soltanto la scuola cristiana. Questa non cerca, non inventa, non esita. Il suo metodo è semplice: consiste nel giudicare l’umanità con lo stesso metro con cui giudica l’individuo. La sua filosofia della storia è la fede. Sa che il Figlio di Dio fatto uomo è il re di questo mondo, e che “gli è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Matteo. XXVIII, 18). L’apparizione del Verbo incarnato sulla terra è il punto culminante della storia, che da questo evento viene divisa in due grandi epoche: prima di Gesù Cristo, dopo Gesù Cristo. Prima di Gesù Cristo, un’attesa di molti secoli; dopo Gesù Cristo, una durata il cui segreto è ignoto all’uomo, perché nessun uomo conosce l’ora della nascita dell’ultimo eletto; ed è per gli eletti, per i quali il Figlio di Dio si è incarnato, che il mondo è conservato. Con questo dato certo, di una certezza divina, la storia non ha più misteri per il cristiano.
Se egli volge lo sguardo al periodo antecedente l’Incarnazione del Verbo, tutto appare chiaro ai suoi occhi. Il movimento delle diverse razze, la successione degli imperi sono la preparazione per l’avvento dell’Uomo-Dio e dei suoi messaggeri; la depravazione, le tenebre, le inaudite calamità testimoniano il bisogno dell’uomo di vedere Colui che è nello stesso tempo Salvatore e Luce del mondo. Non che Dio abbia votato all’ignoranza e al castigo la prima epoca dell’umanità; al contrario, l’aiuto divino non è mancato e ad essa appartiene Abramo, il padre di tutti i futuri credenti; tuttavia la più grande profusione di grazia è opera delle mani divine di Colui senza il quale nessuno è potuto essere giusto prima della sua venuta e nessuno potrà esserlo dopo.
Egli giunge infine, e l’umanità, il cui progresso aveva subito un arresto, si lancia sulla via della luce e della vita; in questo secondo periodo in cui tutte le promesse sono adempiute, lo storico cristiano individua ancora meglio i destini della società umana. Gli insegnamenti dell’Uomo-Dio gli rivelano con sovrana chiarezza il criterio di interpretazione che deve usare per giudicare gli avvenimenti, la loro moralità e la loro portata. Il criterio è unico, che si tratti di un uomo o di un popolo. Tutto ciò che esprime, conserva o diffonde l’elemento soprannaturale, è socialmente utile e vantaggioso ; tutto ciò che l’ostacola, lo indebolisce e lo annienta, è socialmente funesto. Per mezzo di questo procedimento infallibile, lo storico comprende il ruolo degli uomini di azione, gli avvenimenti, le crisi, le trasformazioni, le decadenze; sa in anticipo che Dio agisce nella sua bontà oppure rollerà nella sua giustizia ma senza mai derogare ai suo disegno eterno che è di glorificare il Figlio nell’umanità.
Ma ciò che rende la visione dello storico cristiano ancora più solida e serena è la certezza che gli da la Chiesa, la quale ininterrottamente gli rischiara il cammino come un faro e illumina di divino i suoi giudizi. Egli sa quanto stretto sia il legame che unisce la Chiesa all’Uomo-Dio, quanto la Chiesa sia salvaguardata dalla promessa divina dalla possibilità di commettere qualsiasi errore nell’insegnamento e nella guida generale della società cristiana, e quanto profondamente lo Spirito Santo l’animi e la conduca; è dunque in essa che lo Storico cercherà il criterio dei propri giudizi. Le debolezze degli uomini di Chiesa, gli abusi temporanei, non lo stupiscono perché sa che il Padre della famiglia umana ha deciso di tollerare la zizzania nel suo campo fino alla mietitura. Se deve raccontare, sarà attento a non tralasciare tristi episodi che testimoniano le passioni dell’umanità e attestano allo stesso tempo la forza del braccio di Dio che ne sostiene l’opera; ma sa dove riconoscere la direzione, lo spirito della Chiesa, il suo istinto divino. Li riceve, li accetta, li confessa coraggiosamente; li applica nei suoi scritti. Parimenti non tradisce e non sacrifica; chiama buono ciò che la Chiesa giudica buono, cattivo ciò che la Chiesa giudica cattivo.
Che cosa gli importano i sarcasmi, i clamori dei vigliacchi dalle vedute meschine? Sa di essere nel vero perché è con la Chiesa e la Chiesa è con il Cristo. Altri si ostineranno a vedere soltanto il lato politico degli avvenimenti, ritorneranno al punto di vista pagano; egli resiste perché è sicuro in anticipo di non sbagliare. Se oggi le apparenze sembrano essere contro la sua visione, sa che domani i fatti, la cui portata non è ancora del tutto manifesta, daranno ragione alla Chiesa e a lui. È un ruolo umile, lo ammetto; ma vorrei sapere quali garanzie paragonabili a queste possano invocare lo storico fatalista, lo storico umanitario e lo storico naturalista. Essi propongono la loro concezione individuale; ognuno ha il diritto di rifiutarla. Per demolire lo storico cristiano è necessario in primo luogo demolire la Chiesa su cui egli poggia. È vero che da diciannove secoli tiranni e filosofi sono all’opera, ma le sue mura sono così solidamente costruite che sino ad ora non hanno potuto staccarne una sola pietra.
Ma se, nella successione degli eventi umani, il nostro storico si impegna ad individuare e a segnalare l’elemento che da vicino o da lontano li collega uno a uno al principio soprannaturale, con maggior ragione si guarderà dal tacere, dal dissimulare, dall’attenuare gli eventi straordinari che Dio produce, il cui scopo è di attestare e rendere ancora più palpabile il carattere meraviglioso delle relazioni che egli ha costituito tra se stesso e l’umanità. Ci sono innanzitutto le tre grandi manifestazioni del potere divino che per mezzo del miracolo danno un’impronta divina ai destini dell’uomo sulla terra. Il primo di questi fatti è l’esistenza e il ruolo del popolo ebraico nel mondo. Lo storico non può esimersi dal proclamare a gran voce l’alleanza che Dio fin da principio ha stipulato con questo piccolo popolo, i prodigi inauditi che l’hanno sigillata: la speranza dell’umanità riposta nel sangue di Abramo e di Davide, la missione, affidata a questa razza debole e disprezzata, di conservare la conoscenza del vero Dio e i principi della morale di fronte alla successiva defezione di quasi tutti i popoli; l’emigrazione di Israele prima in Egitto e in seguito al centro dell’impero assiro mano a mano che il teatro degli affari umani si sposta e si amplia tanto che alla vigilia del giorno in cui Roma, erede temporanea degli altri imperi sarà regina e padrona della maggior parte del mondo civile, l’ebreo l’avrà preceduta ovunque. Egli sarà là con i suoi oracoli; tradotti ormai nella lingua greca; sarà là, conosciuto da tutti i popoli, isolato, non amalgamato, segno di contraddizione, ma testimone dell’avvento di giorno in giorno più vicino di Colui che deve unire tutte le nazioni e “riunire in un solo corpo i figli di Dio sino ad allora dispersi” (Giovanni, XI.52).
L’influenza miracolosa del popolo ebraico che sfugge a tutte le leggi ordinarie della storia verrà individuata con compiacimento dal narratore nelle profezie affidate a questo popolo, che non solo per noi sono la fiaccola del passato ma sono anche state elemento di viva preoccupazione per i Gentili durante; secoli che precedettero e seguirono la venuta del Figlio di Dio. Cicerone ne aveva sentito l’eco quando parla con una sorta di terrore misterioso del nuovo impero che si prepara; nel più armonioso dei suoi canti Virgilio ripete gli accenti di Isaia; Tacito e Svetonio attestano che l’universo intero si volge in attesa verso la Giudea e che esiste il presentimento generale che da questo paese arriveranno gli uomini che conquisteranno il mondo. Rerum Potirentur. Sarà dunque possibile negare, dopo ciò, che la Storia, per essere veridica, debba assumere il tono e il colore del soprannaturale?
Il secondo fatto, che si riallaccia ai primo, è la conversione dei Gentili all’interno e all’esterno dell’impero romano. Lo storico cristiano si sforzerà di dimostrare che questo immenso risultato deriva direttamente dalla mano di Dio, che, per realizzarlo, si è liberato dalle leggi semplicemente provvidenziali. Con Sant’Agostino lo storico riconoscerà e metterà in evidenza il miracolo dei miracoli; con Bossuet, il divino colpo di stato che ha avuto il suo uguale soltanto nel momento in cui il creato emerse dal nulla per la gloria del suo creatore. Egli racconterà la grandiosità dello scopo e l’esiguità dei mezzi; esaminerà i preparativi anticipatori di un mutamento così grande da far presagire che questo mondo apparterrà a Gesù Cristo e nello stesso tempo dimostrerà che di per sé tali preparativi sono testimonianza dell’impossibilità che il successo dell’impresa possa essere opera soltanto dell’uomo. Lo storico parlerà degli Apostoli, armati della sola parola e del dono dei miracoli che la confermano e la fanno penetrare; delle profezie ebraiche studiate, messe a confronto, approfondite in tutto l’impero, e divenute, come attestano gli scritti dei primi tre secoli, uno dei più potenti strumenti di conversione; della costanza sovrumana dei martiri, il cui sacrificio quasi ininterrotto, lungi dal far crollare la nuova società, la estende e rafforza; infine parlerà della croce, il patibolo del figlio di Maria, che dopo tre secoli incoronerà il diadema dei Cesari; delle idee, del linguaggio, delle leggi, dei costumi, in una parola di tutte le cose trasformate secondo il piano portato dalla Giudea dai nuovi conquistatori attesi dall’impero, conquistatori che hanno trionfato su di esso versando il loro sangue sotto la sua spada.
Nel mezzo di tutti questi prodigi, lo storico cristiano è a suo agio e nulla lo stupisce perché sa e proclama che tutto quaggiù è per gli eletti e che gli eletti sono per Cristo. Il Cristo dimora nella storia; si capisce perciò come non la si possa spiegare senza di lui, e come con lui essa appaia in tutta la sua luce e in tutta la sua grandezza. La successione degli annali umani conferma l’inizio; ma dopo la pubblicazione del Vangelo, i destini del mondo hanno preso un nuovo sviluppo dopo aver arreso il suo re, la terra ora lo possiede. La preparazione soprannaturale che si era manifestata nel ruolo del popolo ebraico, e l’altra preparazione, naturale e insieme soprannaturale, evidente nell’ascesa di Roma, hanno raggiunto il loro fine.
Tutto si è consumato, Gerusalemme cede i suoi diritti e i suoi onori a Roma; Tito compie l’alta opera del Padre celeste che vendica il sangue del Figlio eterno. Il miracolo del popolo ebraico non cessa per questo; si trasforma, e le nazioni avranno sempre sotto i propri occhi, fino alla vigilia dell’ultimo giorno, lo spettacolo non più di un popolo privilegiato, ma di un popolo maledetto da Dio. L’impero pagano ha costruito, senza saperlo, la capitale del regno di Gesù Cristo; gli sarà dato di avervi sede ancora per tre secoli; e di lì che partiranno gli editti sanguinosi il cui unico effetto sarà quello di mostrare ai secoli futuri il vigore soprannaturale del cristianesimo; poi, quando sarà giunto il tempo, cederà il posto, si rifugerà sul Bosforo, e l’imperitura dinastia dei vicari di Cristo, che non ha abbandonato il posto del martirio di Pietro, primo anello della catena, cingerà la corona nella città dei sette colli. L’impero crollerà pezzo a pezzo sotto i colpi dei barbari, ma prima di infliggergli l’umiliazione e il castigo, conseguenza dei suoi crimini secolari, la giustizia divina attenderà che il cristianesimo, vittorioso sulle persecuzioni, abbia esteso abbastanza in alto e abbastanza lontano i suoi rami per dominare ovunque i flutti di questo nuovo diluvio; lo si vedrà poi coltivare di nuovo e con pieno successo la terra rinnovata e rinvigorita da queste acque purificanti benché devastatrici.
Dopo avere esposto tutte queste meraviglie, lo storico cristiano cambierà forse il tono dei suoi scritti? Tornerà ad una spiegazione soltanto provvidenziale dei fatti della terra? Il meraviglioso è ione solo il punto centrale degli annali umani sicché d’ora innanzi l’azione di Dio rimarrà celata sotto le cause seconde fino alla fine dei tempi? Che Dio non voglia! Un terzo fatto soprannaturale, che durerà fino alla consumazione dei secoli, esige l’attenzione e invoca l’eloquenza dello storico. Questo fatto è la conservazione della Chiesa attraverso i secoli, nella purezza della sua dottrina, senza mutamenti nella sua gerarchia, senza interruzioni nella sua storia, senza cedimenti nella sua marcia. Infinite grandi cose umane sono state create, si sono sviluppate e sono decadute: la Provvidenza ha vegliato su di esse finché sono durate; oggi le loro tracce esistono soltanto nella storia. La Chiesa è sempre in piedi; Dio la sostiene direttamente e ogni uomo di buona fede, capace di applicare le leggi dell’analogia, può leggere nei fatti che la riguardano la promessa immortale di durare per sempre scritta sul suo piedistallo alla mano di Dio. Le eresie, gli scandali, le deiezioni, le conquiste, le rivoluzioni non l’hanno scossa; respinta da un paese, è penetrata in un altro; sempre visibile, sempre cattolica, sempre conquistatrice e sempre messa alla prova. Questo terzo fatto, conseguenza dei primi due, per lo storico cristiano è il coronamento della ragione d’essere dell’umanità. Sulla base di prove egli conclude che la vocazione dell’uomo è una vocazione soprannaturale; che sulla terra le nazioni non appartengono solamente a Dio che ha creato la prima famiglia umana, ma che sono anche, come ha detto il Profeta, il dominio particolare dell’Uomo-Dio. Allora non più misteri nella successione dei secoli, non più vicissitudini inspiegabili; ogni cosa ha un fine, ogni problema si risolve da sé con questo dato divino.
So che oggi lo storico deve essere coraggioso, soprattutto quando non è del clero, per trattare la stona in questa chiave; egli crede sinceramente; non vorrebbe fare uso eccessivo dei criteri e dei metodi delle scuole fatalista e umanitaria; ma la scuola naturalista è così potente per il numero e il talento dei suoi rappresentanti, e così benevola verso il cristianesimo che è difficile sfidarla, con il rischio di apparire ai suoi occhi uno scrittore mistico o un poeta, mentre aspirerebbe alla reputazione di scienziato o filosofo. Tutto ciò che posso dire è che la storia è stata trattata dal punto di vista che mi sono permesso di esporre da due possenti geni cristiani, la cui reputazione non è mai stata demolita. La Città di Dio di Sant’Agostino, il Discorso sulla Storia Universale di Bossuet sono due applicazioni della teoria che ho esposto innanzi. La via dunque è stata tracciata da mano maestra, e, dopo tali uomini, si possono affrontare i futili giudizi del naturalismo contemporaneo. È grande cosa senza dubbio regolare la propria vita intima secondo il principio sovrannaturale; ma sarebbe profonda incoerenza e grave responsabilità se questo stesso principio non illuminasse sempre gli scrittori. Vediamo dunque l’umanità nei suoi rapporti con Gesù Cristo sua guida; non prescindiamone mai, né quando giudichiamo né quando narriamo la storia; e quando i nostri sguardi si fissano sulla carta del mondo, ricordiamoci innanzitutto che abbiamo sotto gli occhi l’impero dell’Uomo-Dio e della sua Chiesa.
L’AZIONE DELLA SANTITA’ NELLA STORIA
Può lo storico cristiano, soddisfatto di avere in tal modo indicato in linea generale il carattere soprannaturale degli annali umani, sentirsi dispensato dal registrare le manifestazioni di minore importanza che la bontà e la potenza divine hanno disseminato lungo il corso dei secoli al fine di ravvivare la fede nelle generazioni successive? Si guarderà bene dal macchiarsi di tanta ingratitudine; e come sarà felice di riconoscere che il Redentore non ha promesso invano al fedeli i segni visibili del suo intervento fino alla fine dei secoli, così sarà sollecito a iniziare i propri fratelli alla gioia provata nell’incontrare sul proprio cammino gli infiniti raggi di una luce inattesa che, pur collegandosi non sempre direttamente ai tre grandi centri, offrono tuttavia, ciascuno di essi, testimonianza della fedeltà di Dio alle proprie promesse e conferma preziosa che illumina tutto l’insieme. I singoli miracoli possono a buon diritto appartenere alla storia ogni qual volta non abbiano soltanto portata individuale, ma suscitino vasta eco. Inutile aggiungere che per fare un resoconto serio e veramente storico, gli studiosi devono seguire una critica imparziale. Perciò l’apparizione della croce a Costantino può a ragione figurare negli, annali del IV secolo. Lo stesso vale per i prodigi che avvennero nella stessa epoca a Gerusalemme quando Giuliano l’Apostata volle ricostruire il tempio di Salomone. Né si devono più tacere i miracoli di San Martino che cosi’ profonda influenza esercitarono sull’estinzione dell’idolatria fra i Galli; né quelli di San Filippo Neri a Roma e di San Francesco Saverio nelle Indie, che nel XVI secolo attestarono clamorosamente che la Chiesa papale, malgrado le blasfemie della Riforma e la decadenza del costumi, era tuttavia l’unica depositaria delle promesse e roccaforte della fede. Non significherebbe forse lasciare una lacuna nella Storia, dal punto di vista cristiano, passar sotto silenzio i fatti prodigiosi che hanno accompagnato quasi ovunque l’introduzione del Vangelo nelle diverse regioni in cui è stato predicato, per esempio i miracoli del monaco Sant’Agostino durante la sua opera di apostolato in Inghilterra, e quelli che in Oriente e in Occidente hanno scandito la missione degli illustri promotori della vita religiosa, da Sant’Antonio nel deserto dell’Egitto fino a San Francesco e a San Domenico fra i nostri padri del XIII secolo? La catena di queste meraviglie prosegue fino ai nostri tempi; significherebbe dunque fraintendere il ruolo dello storico cristiano pensare che si sia già fatto abbastanza segnalando fatti di tale natura accaduti alle origini del cristianesimo. Essi sono stati, per così dire, continui e costanti, e continueranno a esserlo; sono il pegno della presenza naturale di Dio sul Cammino dell’umanità, inoltre hanno avuto un’influenza reale sui popoli. Voi, storici, dovete tenerne conto, se li ritenete veri; è vostro dovere registrarli e determinarne il ruolo e la portata.
Mi affretto a dire che non tutte le forme di storia esigono indagini minuziose sui fatti soprannaturali; non ritengo che la storia ecclesiastica vera e propria debba essere l’unica forma alla quale il cristiano consacri il proprio talento nello scrivere e nel raccontare. Che questo talento si esprima dunque in tutte le forme di storia; sia generale che particolare; sia che si tratti di memoriale o di biografia. Va tutto bene, purché sia cristiana; ma lo storico deve aspettarsi di incontrare ben presto e di sovente sulla propria strada l’elemento soprannaturale; che egli non venga mai meno al proprio dovere! Volete scrivere la storia di Francia? Niente di meglio, se siete in grado di farlo; ma aspettate di trovarvi di fronte a Giovanna d’Arco. Che farete di questa meravigliosa figura? Non vorrete negare, né raccontare con ambiguità, fatti che sono ormai del tutto chiari. Cercherete di spiegarli facendo riferimento a principi naturali? Perdereste il vostro tempo; non c’è nulla di più inspiegabile che la missione e le gesta della Pulzella d’Orléans! Vi scorgerete l’Opera di una legge provvidenziale che regola gli avvenimenti umani o forse addirittura i destini della Francia? Ma qui le leggi ordinarie sono sovvertite; non riusciamo a individuare nulla, nè prima nè dopo, che consenta di pensare che Dio agisca in tal modo nel governo generale del mondo. Direte allora, in stile accademico, che, tutto sommato, la missione di Giovanna d’Arco rimane inspiegabile, e che coloro che hanno voluto renderne ragione in termini umani, si sono dibattuti in difficoltà dalle quali non sono riusciti a districarsi? Andate fino in fondo, credetemi; confessate francamente che esistono i miracoli nella storia e che la missione di Giovanna d’Arco è uno di questi. Ammettete dunque con semplicità che la pastorella di Domrémy ha veramente visto i Santi e udito le Voci; che Dio le ha elargito la propria forza invincibile; che le ha infuso lo spirito di profezia; che l’ha resa vittoriosa sui bastioni di Orléans; che l’ha assistita con la virtù sovrumana dei martiri nel sublime sacrificio che doveva coronare la sua miracolosa carriera. Ma attenti a non trarre deduzioni che potrebbero scaturire spontanee da questi fatti meravigliosi. Che cosa è dunque Giovanna d’Arco? E una meteora di cui Dio sì è compiaciuto per abbagliarci senza altro scopo se non quello di mostrare il proprio potere? La ragione ci proibisce di pensarlo, e la fede ci mostra in questa manifestazione senza uguale la predilezione di Dio per la Francia, l’intenzione di sottrarre questo regno profondamente cristiano al giogo dell’eresia che l’Inghilterra protestante avrebbe certamente imposto ad essa un secolo dopo.
Ma la storia cristiana non si limita a segnalare negli eventi miracolosi altrettante testimonianze della vocazione soprannaturale dell’umanità; essa ritiene che sia importante anche studiare e segnalare manifestazioni più o meno frequenti, più o meno rare, della santità nei secoli. Nella sua infinita giustizia e misericordia, Dio elargisce Santi alle varie epoche, oppure decide dì non concederli in modo che, se è lecito esprimersi in tal modo, è necessario consultare il termometro della santità per saggiare la condizione di normalità di un’epoca o di una società. I Santi non sono solamente destinati a figurare nel calendario, essi svolgono un’azione a volte latente, quando consiste solo nell’intercessione e nell’espiazione, ma più spesso palese e di efficacia duratura. Io non parlo dei martiri che costituiscono uno dei pilastri su cui poggia la fede e ai quali dobbiamo la sua conservazione; l’importanza del loro ruolo nella storia dell’uomo è fin troppo evidente; ma non è lecito ignorare che, al termine delle persecuzioni di Diocleziano, nel mezzo del cataclisma delle eresie che rischiarono di travolgere la barca della Chiesa nei secoli IV e V, alla vigilia dell’invasione dei barbari pagani, il cristianesimo e, tramite esso, la società furono salvati dai Santi. Vescovi, dottori, monaci, vergini consacrate, quale elenco ci offre quest’epoca che fu come il secondo campo di battaglia della Chiesa!
Lo storico può tacere davanti a questo fenomeno incomparabile? Senza dubbio non potrebbe astenersi dal nominare Atanasio, Basilio, Ambrogio, perché questi personaggi hanno, come si suoi dire, un ruolo storico; ma per grandi che siano, non esauriscono tutto ciò che di efficace la santità ha prodotto nell’ordine visibile di questo mondo durante il periodo di cui parliamo. Il ruolo di Sant’Agostino, per esempio, è assai poco storico; tuttavia, quale uomo ha influito più di lui sul suo secolo e su quelli successivi? Questo esempio specifico ci trascinerebbe troppo lontano, se dovessimo raccontare quanto noi cristiani siamo debitori verso questi amici di Dio: San Gregorio di Naziente, Sant’Ilario, San Martino, San Giovanni Crisostomo, San Gerolamo, San Cirillo di Alessandria, San Leone. Non limitiamoci a vedere in loro grandi geni e grandi uomini. Senza dubbio i grandi geni e i grandi ortodossi sono un dono di Dio; Bossuet e Fénelon nel XVII secolo sono un dono di Dio; ma quando al genio, all’importanza della persona, si unisce la santità, allora è tutt’altra cosa. L’uomo di genio affascina; il Santo soggioga; si ammira il grande uomo, ma è sufficiente il nome del Santo, l’impronta dei suoi passi per commuoverci; il suo ricordo fa battere il cuore anche dopo che è scomparso da questo mondo.
Non si creda dunque di avere scoperto il segreto dell’influenza dei Santi del IV e del V secolo nella fama più o meno luminosa acquistata grazie alla loro eloquenza e sapienza, e neppure nell’importanza della carica che la maggior parte di coloro che ho ricordato occuparono nella gerarchia ecclesiastica. Il popolo venerava in loro un’altra aureola; Valente tremava davanti a Basilio, e Teodoro davanti a Sant’Ambrogio, per altri motivi che non il loro valore personale, come si suol dire oggi. È Dio, Dio stesso che si esprime nei Santi; ed è per questa ragione che non si può resistere a loro. Si sapeva che questi uomini che erano allora il baluardo della Chiesa, luce e gloria della stessa, appartenevano alla famiglia di quegli eroi del deserto il cui nome e le cui opere erano universalmente note; che la maggior parte di loro aveva indossato la “melotte” prima del pallio. Da Occidente e da Oriente, i fedeli partivano in carovane per andare nel deserto dell’Egitto e della Siria a contemplare e ascoltare, se possibile, uomini come Antonio, Pacomio, Ilarione, Macario; ritornati nelle loro città, si rallegravano nel riconoscere nei pastori incaricati di santificarli questi sublimi personaggi. No, questo culto della santità, giustificato da tanti esempi, non può essere ignorato nelle cronache dell’epoca che seguì la pace della Chiesa; esso attesta, con assoluta chiarezza, l’opera e la presenza dei Santi in questi secoli e di conseguenza il soccorso soprannaturale che Dio volle allora concedere alla società cristiana.
L’invasione dei barbari, con le sventure che l’accompagnarono, fornirà allo storico l’occasione di definire il nuovo ruolo della santità davanti a disastri inauditi. Le orde tumultuose che si rovesciano sull’impero incontrano ovunque i Santi, e i Santi sono per loro come una diga che protegge dall’inondazione. Santi vescovi che arrestarono l’avanzata di un capo feroce, Santi pastori che salvarono il loro gregge ricorrendo alla spada; Santi monaci la cui maestosa semplicità disarmò il fiero conquistatore che prima non pensava che a immolarli; Sante vergini che, come Genoveffa, rinvigorirono la città e con le loro preghiere ne allontanarono il flagello di Dio. Per poco che si studi a fondo il crudele periodo delle invasioni, si scorgerà ovunque il rinnovarsi di questo stupefacente fenomeno, e ci si convincerà che fa parte della verità della storia raccontare queste meraviglie e riconoscere che l’unico ostacolo incontrato dai barbari, l’unico che rispettarono, fu la santità. Agostino era steso sul letto di morte a Ippona quando i Vandali cominciarono l’assedio della città: per darne l’assalto attesero che il mirabile vescovo avesse reso l’anima a Dio. Sarebbe triste pensare che i barbari si siano mostrati superiori ai cristiani dei nostri giorni nel percepire la presenza dell’elemento celeste che non è mai totalmente assente nella Chiesa, ma che si manifesta di quando in quando, con maggiore o minore intensità, a seconda dei bisogni dei popoli e a seconda che la giustizia o la misericordia prevalgano nei consigli di Dio.
Lo storico cristiano non può dimenticare né le opere, né la regola del grande Patriarca dei monaci d’Occidente, al quale spetta l’onore di aver preparato la salvezza della cristianità europea; né la pleiade di Santi vescovi che brillarono nel VI e nel VII secolo, e che, con i loro concili, e con le loro fondazioni religiose, effettuarono un’opera grandiosa, edificando tra l’altro il regno di Francia come le api costruiscono l’alveare: l’espressione è di Gibbon. Lo storico non dimentichi di dire che i fondatori della nostra monarchia si onorano a centinaia sugli altari. Non dovrà neppure dimenticare i Santi Pontefici del Seggio apostolico, uomini come San Gregorio Magno, le cui virtù ressero e santificarono con tanta dolcezza l’Oriente e l’Occidente; come San Gregorio II, la provvidenza dell’Italia; come San Zaccaria, l’oracolo della nazione franca; come San Nicola I, che si prodigò con tanta generosità per strappare alla rovina l’impero d’Oriente, mantenendovi l’unità con la vera fede. Lo storico seguirà i passi di questi eroici apostoli che il monachesimo occidentale invia verso le regioni del Nord; non uno che non fosse santo, non uno solo il cui fecondo apostolato non si compisse nella santità.
Lo storico potrebbe forse ignorare la gloriosa schiera di Santi imperatori e di Santi re che per oltre tre secoli ascendono al trono e sigillano con marchio soprannaturale la politica delle epoche della fede? Quale materia di studio è l’influenza secolare di questi Santi incoronati sulla società nei secoli! Uomini come Sant’Enrico, Santo Stefano di Ungheria, Sant’Edoardo Confessore, San Ferdinando e il nostro San Luigi! E ancor più numerose le Sante imperatrici, regine, duchesse, angeli visibili che compaiono ai popoli in mezzo ai quali esse operano istruendo, sviluppando con esempi sublimi lo spirito cristiano contro il quale la corruzione della natura protesta senza tregua, e che senza tregua ha bisogno di essere rinvigorito! Nell’esporre il ruolo attivo di tanti eroi ed eroine del trono, è forse sufficiente accennare al fatto che furono virtuosi e che sono stati annoverati fra i Santi? No, bisogna penetrare più a fondo e capire che ciò che viene chiamato leggenda è m realtà storia rigorosa. L’operare benefico dei Santi re e delle Sante regine è una delle principali manifestazioni di Dio nella conduzione soprannaturale della società. Stia in guardia a non sbagliare, lo storico, quando si accinge a studiare la reazione cristiana del XI secolo, reazione che strappò l’Europa alla barbarie; stia in guardia a non attribuire, contro la verità, al genio di un uomo o alla forza d’animo di un altro, il trionfo dello spirito sulla forza bruta! Il trionfo si compì perché Dio diede Santi alla sua Chiesa. Se Gregorio VII non fosse stato Santo, non avrebbe mai osato mettersi all’opera. Che cosa avrebbero fatto Anselmo, Pier Damiani, se fossero stati soltanto dei dotti e pii pontefici? Cluny fu il punto di appoggio della leva che in quel secolo fece muovere il papato, ma non dimentichiamo che l’abbazia fu edificata per merito di quattro Santi la cui lunga vita copre un periodo di un secolo e mezzo. Chi potrà mai spiegare l’azione di San Bernardo nel XII secolo; se non si tiene conto della luminosa santità che brillò in lui? Chi dunque resse la decadente società del XIII secolo se non il serafico Francesco e l’apostolico figlio di Guzman che con le loro opere e virtù sovrumane risvegliarono tanto vigorosamente l’idea del soprannaturale in declino? E in campo dottrinario, che cosa se non la santità consentì a Tommaso d’Aquino e a Bonaventura di emergere ben al di sopra di tutti gli altri dottori della scolastica? Nel XIV secolo la cristianità sembra accasciarsi, esausta a causa delle lacerazioni del grande scisma e ancor di più a causa del dilagare del naturalismo e del sensualismo che il prestigio della santità del XIII secolo aveva potuto neutralizzare ma non distruggere. Sembra che Dio in questo secolo si sia mostrato più avaro di Santi. A parte l’illustre Santa Caterina da Siena, in quest’epoca non ne scorgiamo uno solo la cui azione abbia avuto vasta eco. Lo storico non mancherà di segnalare questo tratto caratteristico di una decadenza che è ancora agli albori, ma dovrà studiare a fondo la sublime figura di Caterina da Siena che riassume tutta la vitalità soprannaturale del suo tempo.
Il XV secolo, più infelice ancora del precedente, perché per la prima volta i più celebri dottori elaborarono le dottrine anarchiche mentre si sviluppava l’eresia di Wycliffe e di Giovanni Huss che si ribellavano alla cristianità, il XV secolo, dico, fu povero di Santi. Il loro numero non è nemmeno la metà di quello del XIII. L’effetto straordinario che San Vincenzo Ferreri produsse su molti regni mostra tuttavia che lo spirito della santità viveva ancora nelle masse, ma bisogna aggiungere che questo Angelo del giudizio di Dio aveva terminato la sua carriera già nel 1419.
Segue il XVI secolo, tempo di prove terribili nella prima metà, epoca di trionfo nella seconda. Lo storico non mancherà di provare con i ratti che la santità vi appare in proporzione analoga. San Gaetano domina quasi da solo la prima metà; ma non appena scocca l’anno 1550, una fioritura meravigliosa sboccia sui rami dell’albero secolare del cristianesimo; e mentre il protestantesimo si arresta finalmente nelle sue conquiste, Dio si compiace di mostrare che la Chiesa romana non ha perduto nulla perché ha conservato il dono della santità. Sarebbe necessario riscrivere una storia cristiana del XVI secolo qualora in essa non si desse giusto rilievo al rinnovamento dei costumi cristiani iniziato da San Gaetano e continuato con tanto vigore e ampiezza da Sant’Ignazio di Loyola e dai Santi della Compagnia di Gesù; alla riforma della disciplina formulata nei saggi decreti del Concilio di Trento e resa effettiva da Papi come San Pio V e da vescovi come San Carlo Borromeo; alla rinascita dell’apostolato dei Gentili con San Francesco Saverio e a quello delle città cristiane con San Filippo Neri; alla purificazione dei Chiostri ad opera di Teresa, Giovanni della Croce, Pietro D’Alcantara. È necessario risalire al IV secolo per ritrovare una costellazione di Santi radiosa quanto quella che brillò nel cielo della Chiesa, quando la cosiddetta Riforma ebbe infine stabilito le proprie frontiere. Ma di tutti questi uomini gloriosi la Francia non ne fornisce neppure uno; lo storico dovrà spiegare tale peculiarità.
Sorge il XVII secolo, e benché chiamato ad un’aureola di santità meno luminosa di quella del secolo precedente, offre ancora molte belle manifestazioni del principio soprannaturale negli uomini di Dio. San Francesco di Sales ha il diritto di trattenere su di sé a lungo l’attenzione dello storico. In lui, con la sua fede inviolabile, la sua carità senza limiti, la sua lotta incessante, è, per così dire, incarnata la Chiesa cattolica. La santità di Francesco prorompe in scritti che rianimano e regolano la pietà presso tutte le nazioni cattoliche, ma soprattutto in Francia. Mostrando loro la Vita Devota Giacomo I diceva ai suoi vescovi anglicani: “Fateci dunque dei libri come quello”. Questo principe eretico percepì in quel momento lo spirito della santità, spirito che permetto di raccomandare allo storico cristiano.
Una storia non è completa se non è anche, in certa misura, storia letteraria. Io consiglio al nostro narratore di non trascurare gli scritti dei Santi. Soprattutto non li confonda con le aspirazioni e le fatiche del genio pio. Le pagine dei Santi hanno un sapore particolare che non si trasmette se non si è Santi, lo dimostra la lettura di Santa Teresa, per esempio, che commuove in modo ben diverso a quello delle più celebri lettere spirituali del XVII secolo.
La Francia deve molto a San Francesco di Sales ed è giusto considerarlo uno dei principali autori del movimento ascensionale dello spirito cristiano da cui la nostra patria fu favorita per mezzo secolo. Grazie a tale felice reazione, durante questo periodo, la Francia riacquista un posto d’onore fra le nazioni in cui fiorisce la santità. La cristianità riceve da noi allora Pietro Fourier, Francesco Régis, Giovanna Francesca di Chantal, Vincenzo de’ Paoli; purtroppo quest’ultimo eroe del cristianesimo chiude la serie dei Santi francesi nel XVII secolo. Si spense nel 1660, e da allora la Francia, gloriosa in tanti campi, rimase sterile di Santi. E proprio questo periodo il più celebrato oggi. Che lo storico non trascuri di ricercare le cause dell’indebolimento dello spirito cristiano da noi proprio nell’epoca in cui si scriveva con tanta eloquenza su argomenti religiosi. Forse riuscirà a spiegare come, fin dalla reggenza che iniziò nel 1715, la Francia fosse dominata con successo da uno spirito di incredulità il cui corso nulla potè arrestare. Evidentemente il senso del soprannaturale si era impoverito, il naturalismo si era fatto strada in modo sotterraneo. Ci furono tuttavia altri due servitori di Dio, che dopo avere brillato negli ultimi anni del XVII secolo, prolungarono la loro carriera molto in là nel XVIII secolo: Giovanni Battista de la Salle e Luigi di Monfort; ma bisogna aggiungere che essi furono misconosciuti, perseguitati, censurati, e che se Dio non avesse vegliato sul dono che ci faceva, la loro reputazione e le loro opere sarebbero naufragate nel disprezzo e nell’oblio. Che si leggano i libri scritti per ravvivare la pietà cristiana nella seconda metà del XVII secolo, che si dica se si parla spesso dell’esplosione meravigliosa di santità fuori dai confini della Francia in quest’epoca! Forse i nostri padri riuscivano a trovare negli autori famosi qualche allusione a Santa Maddalena de’ Pazzi, a Santa Rosa da Lima che avevano irradiato sul secolo il profumo delle loro virtù e il cui nome era così popolare ovunque altrove? Si può concepire che i prodigi, e perfino il nome di San Giuseppe di Cupertino, conosciuto in tutto l’universo cattolico, abbiano impiegato tanto tempo per varcare le Alpi; che un duca di Brunswick, testimone delle meraviglie divine evidenti in quel servitore di Dio, abbia abiurato per questo motivo il luteranesimo nelle sue mani, rinunciando così per sempre ai propri diritti dinastici, e che mai lo strumento meraviglioso di questa celebre conversione, personificazione della santità della Chiesa, che viveva a qualche centinaia di leghe da Parigi, sia stato contrapposto ai protestanti né prima né dopo la revoca dell’Editto di Nantes? Ma non avvenne. Nel V secolo, ai limiti dell’Oriente, dall’alto della sua colonna, San Simeone Stilita si raccomandava alle preghiere di Santa Genoveffa a Parigi; nel XVII secolo, un taumaturgo, che superò per le meraviglie da lui compiute la maggior parte dei Santi, ha potuto vivere e morire in un paese vicino senza che nessuno in Francia, all’infuori dei religiosi del suo Ordine, se ne sia curato! Possiamo stupirci dopo di ciò della blasfemia e delle risa imbecilli suscitate dalla pubblicazione della vita di San Giuseppe di Cupertino? Lo ripeto: se il nostro storico vuole approfondire, come è suo dovere, lo stato dei costumi cristiani, dovrà preoccuparsi di questi strani fenomeni.
Il XVIII secolo, con la diminuzione sempre crescente del numero dei Santi, gli rivelerà a sua volta un sintomo generale di indebolimento nella società cristiana. Mai il termometro della santità potè essere applicato con maggior precisione, il secolo naturalista, del resto, non meritava che Dio si desse la pena di esibire il soprannaturale. Cose prodigiose tuttavia accadevano in seno alla Chiesa là dove la vita non può spegnersi. Veronica Giuliani, decorata dalle stigmate della Passione del Cristo, riassumeva nella sua vita i miracoli di molti Santi; Leonardo di Porto Maurizio, Paolo della Croce, Alfonso di Liguori, con le loro eroiche virtù, meritavano ogni giorno di più l’onore che era loro riservato dì essere innalzati agli onori degli altari. La Francia non ebbe più figli che sembrassero destinati a tali onori da mostrare al mondo fino a che, dal seno della corte più corrotta che la nostra storia abbia conosciuto, due donne del sangue di San Luigi si presentarono successivamente per afferrare la palma della santità che, prima o poi, la Chiesa, si spera, confermerà loro. Una, vergine e discepola di Teresa, fu Luisa di Francia; l’altra, sposa e regina, fu Clotilde di Sardegna. Queste due principesse e un mendicante, Benedetto Giuseppe Labre, rappresentano le uniche espressioni di santità che la Francia sembra aver prodotto in tutto il corso del XVIII secolo, e quando esse apparvero, il paese stava per essere lasciato in balia dei nemici dell’ordine soprannaturale che ne avrebbero fatto un mucchio di rovine sanguinanti, se la mano misericordiosa che voleva castigarci e istruirci ma non annientarci, non avesse finalmente spezzato gli oppressori del suo popolo.
Questa enumerazione molto incompleta delle risorse che offre allo storico cristiano lo studio della santità in ogni secolo, mi ha trascinato troppo lontano. Riassumerò in due parole: se il narratore possiede il dono della fede, che includa nei suoi scritti i fatti soprannaturali che hanno influito in modo sensibile sui popoli, perché essi sono la continuazione dei tre grandi fatti miracolosi sui quali si sviluppa tutta la storia dell’umanità. Se vuole raccontare e dipingere i costumi dei popoli cristiani, che riassuma per ogni secolo la statistica della santità; che mostri che è con l’influenza della santità che la fede si sostiene e che la morale si conserva; in una parola, che dia ai Santi largo spazio nella storia se vuole che sotto la sua penna la storia sia come Dio la vede e la giudica.
I
DOVERI DELLO STORICO CRISTIANO
(…) basta poco per capire che nulla differisce di più dal tono cristiano che il tono filosofico, e la ragione è semplice: non esiste differenza più grande che tra un cristiano e un filosofo. Non occorre dissertare a lungo per definire ciò che io intendo per filosofo. E’ colui che, battezzato e vivendo in seno a una società cristiana, nel suo linguaggio sistematicamente prescinde dalle idee subite da fede della Chiesa nella quale è stato rigenerato, e parla come se il suo pensiero non avesse più nulla in comune con l’ordine soprannaturale. Un libro di tono filosofico, fosse pure opera di un cattolico, è sempre uno scandalo; ciò è comprensibile se si riflette che la cosa più pericolosa per l’uomo è favorire la sua tendenza razionalista. La fede è una virtù, non è il risultato di una ricerca scientifica; è minacciata spesso dal nemico dell’uomo che, a ragione, vede in essa il mezzo con il quale la nostra intelligenza si rischiara alla luce di Dio. È appunto per questo che il cristiano ha non solo il dovere di credere, ma anche quello di proclamare ciò in cui crede. Questo duplice obbligo, fondato sulla dottrina dell’Apostolo (Rom., X, 10), è ancora più rigoroso in epoche in cui trionfa il naturalismo, e lo storico cristiano deve comprendere che non è sufficiente professione di fede in qualche passo del libro se in seguito l’accento cristiano lascia il posto a quello filosofico. Alcuni dubiteranno di lui, ed è male; altri, più numerosi, trascurando la sua professione di fede, rafforzeranno il proprio naturalismo facendo appello ai passi in cui l’autore parla da filosofo; e questo è, lo ripeto, un vero scandalo. Che cosa succederebbe se un libro fosse scritto interamente da un credente senza che mai vi si riconoscesse l’accento cristiano? Vi sono tuttavia alcuni che considerano tale atteggiamento un atto di imparzialità. Come se fosse permesso ad un cristiano essere imparziale, quando si tratta della fede e delle sue manifestazioni! Che l’accento dello storico credente sia dunque sempre cristiano e che dallo stile di un figlio della Chiesa trapelino costantemente la pienezza e la fermezza delle sue dottrine. I giudizi storici hanno grande importanza soprattutto quando lo storico gode del favore del pubblico. Possono essere formulati con autorevolezza, oppure emergere dalla scelta dei fatti e dal modo di narrarli; in entrambi i casi sono i giudizi ciò che il lettore soprattutto ricerca in un libro di storia. Quando parlo di giudizi storici, non mi riferisco ai fatti: in tal caso è doveroso attenersi alla verità, e lo storico cristiano deve essere più di altri un narratore veritiero. Non deve adulare nessuno, ne nascondere i torti di chicchessia, ma non deve neppure temere di fare giustizia delle mille calunnie che hanno fatto della storia una immensa cospirazione contro la verità. Lo storico soppeserà gli eventi con equilibrio, attenendosi alla più rigorosa imparzialità. Questo per quel che riguarda i fatti; quanto ai giudizi, alle interpretazioni, è evidente che il cristiano deve differire totalmente dal filosofo. Il contrario sarebbe assurdo, e la debolezza in simile materia sarebbe deplorevole. Il cristiano giudica fatti, uomini, istituzioni dal punto di vista della Chiesa; non è libero di giudicare diversamente, questa è la sua forza. Uno storico cristiano i cui giudizi siano accettati dai filosofi è un infedele, oppure i filosofi in questione non sono filosofi. È necessario dunque scandalizzare oppure, se non se ne ha il coraggio, rinunciare a scrivere di storia. Ne abbiamo abbastanza di libri ibridi i cui autori credenti fanno coro nei giudizi con coloro che non credono. Sono questi innumerevoli tradimenti che hanno creato tanti pregiudizi ed anche tante incongruenze che ostacolano gravemente la formazione di una cattolicità rigorosa e compatta.
Ma, obietteranno certi scrittori abili nel mascherare la loro fede sotto sproloqui alla moda e sempre entusiasti nel decantare ciò che essi chiamano le idee della società moderna, volete dunque che noi scriviamo di storia usando il tono di un libro di preghiere? Dobbiamo dunque fare dei nostri volumi, dei nostri articoli sulle riviste altrettanti sermoni, trattati di teologia o di diritto canonico? No, ogni cosa ha, e deve avere, il tono che le è proprio; ma la storia è il grande teatro in cui si manifesta il soprannaturale, e bisogna avere il coraggio di indicarlo ai lettori. Voi ci parlate con ammirazione della Città di Dio, del Discorso sulla Storia Universale, quello, affermate, è il genere cristiano di storia; ma, di grazia, che cosa ha in comune la maniera di Sant’Agostino e Bossuet con la vostra? Essi raccontano tutto, giudicano tutto dal punto di vista di Gesù Cristo e della sua Chiesa; non esaltano l’ascetismo perché non è il caso; in compenso, si adoperano a dimostrare non soltanto nell’insieme, ma anche nei particolari, come il principio soprannaturale sostenga e spieghi tutto; li sentiamo cristiani ad ogni riga e leggendoli, diventiamo noi stessi più cristiani. Ecco com’è lo storico quando si ispira alla fede.
Voi, storici, invece esitate a proclamare i miracoli più evidenti; cercate spiegazioni che ne attenuano il carattere prodigioso con il rischio di incrinare la fede dei lettori, trascurate le profezie, dissimulate la santità e la sua azione per mettere in rilievo l’operato degli uomini, uomini grandi, non v’è dubbio; pur riconoscendo la divinità della Chiesa, tendete soprattutto a farla apparire società umana; in una parola, non negate il soprannaturale, ma lo mettete da parte per tema di sgomentare e di non apparire uomini del vostro tempo. Sant’Agostino e Bossuet hanno fatto esattamente il contrario. Un filosofo, M. Saisset, ci ha dato una traduzione della Città di Dio; nella prefazione, pur dichiarando la propria ammirazione per il vescovo di Ippona, si rammarica che questo grande genio si limiti troppo spesso a interpretazioni puerili della Bibbia, a resoconto di miracoli che tradiscono troppo il prete cristiano. Possano i nostri storici di oggi meritare tali rampogne! Sarebbe un segno che hanno scritto come si deve scrivere quando si è illuminati dalla luce della fede. Sant’Agostino, in effetti, si sofferma spesso e a lungo sugli Oracoli profetici e illumina i suoi scritti con una esegesi sapiente quanto mistica; ma il miglior modo per comprendere il cristianesimo non è forse quello di lasciarsi illuminare dalle divine predizioni da cui è scaturito? Sant’Agostino sviluppa con linguaggio immortale l’argomentazione derivante dalla miracolosa diffusione del Vangelo e nello stesso tempo indugia a raccontare i prodigi operati dalle reliquie di Santo Stefano in terra d’Africa, davanti agli occhi del popolo. Molti cattolici, affetti da naturalismo, si chiederanno perché un genio tanto grande sciupi un argomento così solenne con aneddoti di tanto piccola portata. Indugeranno a recriminare che tali particolari gli fanno perdere di vista le idee generali! Sono loro ahimè, a perderle di vista, queste idee generali. Non capiscono la portata degli episodi miracolosi accaduti all’epoca del grande dottore. Non si rendono conto che, dopo aver dimostrato la divinità del cristianesimo basandosi sulla sua diffusione avvenuta in contrasto con tutte le leggi della Storia e tutte le condizioni della natura umana, Sant’Agostino deve ora dimostrare che la società cattolica, alla quale appartiene e di cui è uno dei vescovi, è proprio il cristianesimo che Dio solo ha stabilito con la forza irresistibile del suo braccio. È il dono permanente dei miracoli a confermare questa identità; ecco perché Sant’Agostino non ritiene di derogare al vasto piano della Città di Dio, esaminando fatti in apparenza minimi di cui è stato testimone e a sostegno dei quali può invocare la testimonianza del suo popolo. Esame prezioso per lo storico cristiano e conferma eloquente delle regole che abbiamo esposte nel capitolo precedente.
Nello scrivere di storia non si deve dunque temere di essere accusati di un certo misticismo, se con tale parola si intende designare la coloritura soprannaturale di un racconto in cui l’azione meravigliosa di Dio si rivela ad ogni passo. Guardiamoci dall’arrossirne; sono già troppo numerosi coloro che tentano di cacciare dalla storia Dio e il suo Cristo. Ma devo ancora rispondere a un altro pregiudizio che è in parte causa delle concessioni imprudenti che taluni nostri storici ritengono di poter fare al naturalismo. Sono persuasi che tale compiacenza sia un mezzo per attirare alla fede i filosofi mostrando loro una sorta di affinità nei fatti, di fratellanza fra il punto di vista cristiano e il punto di vista filosofico. Da ciò il tono razionalistico, le parole d’ordine con l’aiuto delle quali si spera di farsi ascoltare. Ci sono in questo due inconvenienti. Il primo, che non è il meno grave, è che la storia da voi narrata e gli articoli pubblicati su riviste, cadendo sotto gli occhi di cattolici deboli, cui non sono diretti, non rendono loro altro servizio che di intiepidirne la fede e di immergerli ancor più in quei flutti da cui avrebbero tanto bisogno di uscire. A costoro sarebbe utile imbattersi in libri atti a nutrire la fede; essi vi leggono fiduciosi perché vi sanno cattolici, ma la lettura li lascia in uno stato peggiore di prima. L’altro inconveniente è che, lungi dal ricondurre alla fede i filosofi, voi ne accrescete l’orgoglio. Esultano nel vedere dei cattolici a rimorchio dei loro sistemi; si compiacciono del progresso compiuto al punto da aver imposto il loro linguaggio e le loro idee. Notano soltanto l’imbarazzo del vostro comportamento, giacché siete costretti a portare avanti parallelamente due sistemi: la vostra fede che anteponete a tutto, e le esigenze di ciò che chiamate lo spirito della società moderna al quale non volete sottrarvi. Questi poli opposti si fondono come possono nella vostra opera; ma sappiate che se voi scandalizzerete sicuramente molti vostri fratelli, non riuscirete tuttavia a riportare gli altri all’ovile.
Oggi più che mai, sia ben inteso, la società ha bisogno di dottrine energiche e coerenti. In mezzo alla dissoluzione generale delle idee, solamente l’asserzione, una asserzione ferma, ben fondata, senza compromessi potrà essere accettata. Le transazioni diventano sempre più sterili e ciascuna di esse si porta via un lembo della verità. Come agli albori del cristianesimo, anche oggi è necessario che i cristiani si distinguano per l’unità dei principi e dei giudizi. Nulla verrà loro dal caos di negazioni e dai tentativi di ogni genere che attesta in modo così netto l’impotenza della società attuale. Questa società vive degli scarsi frammenti dell’antica civiltà cristiana che le rivoluzioni non hanno ancora spazzato via, e che la misericordia di Dio ha salvato finora dai naufragio. Mostratevi dunque come siete nel profondo, cattolici convinti. Vi temerà forse per un po’ di tempo; ma, siatene certi, ritornerà a voi. Se l’adulerete adottandone il linguaggio, la divertirete per un istante, poi vi dimenticherà perché non le avrete fatto un’impressione profonda. Si riconoscerà in voi e, siccome ha poca fiducia in se stessa, ne avrà altrettanto poca in voi.
C’è una grazia legata alla professione piena e completa della Fede. Questa professione, ci dice l’Apostolo, è la salvezza di coloro che la fanno e l’esperienza dimostra che è anche la salvezza di coloro che l’ascoltano. Siamo dunque cattolici e soltanto cattolici, rifuggiamo dall’essere filosofi o utopisti, e saremo il lievito di cui il Signore dice che fa fermentare il pane. Lo ripeto, tali furono le cose all’inizio. Se c’è una probabilità di salvezza per la società, questa è riposta nella fermezza dei cristiani. Che si sappia che non transigiamo su nulla, che disdegnarne il gergo dei filosofi. È un dato di fatto che il cristianesimo si impone non con la violenza, ma per l’autorevolezza della convinzione di colui che lo predica.
Del resto la franchezza non manca mai di suscitare simpatia. Quando il signor di Montalembert pubblicò l’Introduzione alla Storia di Santa Elisabetta, la cosa suscitò stupore e qualche mormorio, dato che nell’opera il sentimento cattolico si esprimeva con tanto vigore. Era difficile staccarsi dal naturalismo storico con energia maggiore di quella mostrata dall’autore; l’Introduzione e il libro al quale essa prelude ne hanno forse sofferto? Le numerose edizioni attestano il contrario. Bisogna tuttavia risalire indietro di due secoli per incontrare un libro scritto con tanto ardore cattolico. E’ un libro che contiene il germe di una rivoluzione e l’esempio è giovato a molti. Ma l’influenza di questo grande esempio non si è prolungata nel tempo né si è generalizzata quanto si sarebbe desiderato.
Troppo spesso da allora abbiamo avuto storici cattolici che, in contrasto con l’insegnamento del Salvatore, hanno voluto attaccare alla stoffa sempre nuova delle fede cristiana i lembi sempre vecchi, benché rinfrescati, della saggezza mondana. Donde giunge questa illusione? Dobbiamo scorgervi il segno di quella degradazione del carattere che gli storici stessi sottolineano oggi con tanta insistenza? Non oso dirlo perché significherebbe ritorcere contro di essi, ingiustamente, senza dubbio, il rimprovero che essi rivolgono ad altri. Ma è lecito pensare che se avessero più vivo il sentimento della dignità cristiana, sarebbero meno pronti a decantare i pregiudizi moderni. Come Donoso Cortés, si accorgerebbero finalmente che, da molti anni, noi voltiamo le spalle al progresso, e le ruote del nostro carro sono seppellite fino al mozzo in un solco dove moriremo se non ne usciremo con uno sforzo supremo. Pretendere di fare professione di fede per mezzo del naturalismo è insensato quanto in politica fare ordine per mezzo del disordine. Questo metodo ha cattiva riuscita, e le conquiste che si fanno non meritano questo nome. Che bel successo arrivare ad essere d’accordo sull’uso di certe parole sonore quanto perfide, quando si è divisi da un abisso circa il senso di tali parole! Sono le idee che vanno riformulate, e io non conosco mezzo più efficace della storia raccontata così com’è accaduta, con i suoi insegnamenti soprannaturali che fanno aleggiare la figura del Cristo sui più grandiosi così come sui più insignificanti movimenti dell’umanità.
La più grande disgrazia dello storico cristiano sarebbe di assumere come metro di giudizio le idee del giorno e trasporle nella sua valutazione del passato. Egli deve invece vederle nella loro realtà, cioè ostili al principio soprannaturale. Deve rendersi conto dei danni del paganesimo moderno e, per non esserne egli stesso soggiogato, deve senza tregua fissare l’immutabile verità rivelata, quale si manifesta nell’insegnamento e nella pratica della Chiesa. “Un sentimento nemico della fede, una sovraeccitazione dello spirito pagano” dice il signor de Champagny “è stato il soffio che ha scatenato la tempesta del 1789”. Se ancora ammirate le conquiste di quell’epoca, temo molto per i vostri giudizi storici e il tono dei vostri scritti, qualunque sia la vostra intenzione di ortodossia. Felice lo storico che in mezzo al turbinio di principi contraddittori, libero da ogni desiderio di popolarità, discepolo rigorosissimo della Chiesa alla quale appartiene l’avvenire del tempo e dell’eternità, saprà attraversare una crisi tanto terribile senza aver sacrificato minimamente la verità sul suo cammino!
IL CRISTO EROE DELLA STORIA
Se è importante mettere in guardia i cattolici contro il naturalismo del nostro secolo nella valutazione dei fatti storici, è altrettanto importante e, a maggior regione, necessario avvertirli che il naturalismo non esiste solamente allo stato teorico, ma permea un grande numero di scritti su questioni di storia generale e particolare che autori, anche ortodossi nelle intenzioni, pubblicano da tempo. Sono rari i libri di storia in cui non venga mai meno lo spirito cristiano. Uno storico può apparire discepolo della Chiesa nella vita privata, nella pratica religiosa, ma non appena prende in mano la penna, ricorre agli sproloqui filosofici per raccontare e spiegare i fatti. Questa duplicità di linguaggio, questa doppia vita, sono una sciagura, un pericolo per i lettori, soprattutto per i giovani. Non si incontrano più cristiani tutti di un pezzo, come una volta; sarebbe auspicabile che ne esistessero molti ai giorni nostri.
Non è mia intenzione passare in rassegna la storia universale, ne segnalare i mille punti attraverso i quali si è infiltrato il naturalismo; senza scendere in particolari, mi limiterò a mettere in rilievo qualche tratto che potrà servire da esempio. In linea generale, il naturalismo si riconosce quando, in un libro, l’autore mette in secondo piano l’azione di Dio per far risaltare l’azione umana; quando egli si rifà alle idee filosofiche della Provvidenza invece di proclamare l’ordine sovrannaturale; quando ragiona della Chiesa come di un’istituzione umana; quando si pronuncia in modo diverso dalla Chiesa sui fatti, sulle idee, sugli uomini. Lusinga precorrere i tempi, essere considerati moderni; si è, insomma, ansiosi di raccogliere il successo riservato a chi si è meritato il nome di uomo di progresso.
La storia del mondo antico è trattata secondo i principi del naturalismo, ogni volta che, anziché mostrare l’imperfezione delle virtù pagane, l’autore esprime verso di esse una ammirazione che non meritano. Intendo qui per virtù pagane quelle qualità e quelle azioni esteriormente brillanti, ma il cui scopo non era di realizzare la legge divina, bensì di soddisfare l’orgoglio, la durezza del cuore, il disprezzo stoico della vita, il culto barbaro di un nazionalismo materialistico. Sono noti i turbamenti funesti prodotti dall’apoteosi delle virtù pagane alla fine del XVIII secolo e con quale furore i mostri di allora si siano ispirati agli esempi della Grecia e di Roma. Ma c’è un altro scoglio che lo storico cristiano deve assolutamente evitare. Discepolo della rivelazione, non deve credere che i Gentili si trovassero nell’impossibilità di giungere alla conoscenza del vero Dio e ad una sufficiente realizzazione delle virtù che lo onorano e che sono la salvezza dell’uomo. I mezzi di una Provvidenza soprannaturale per operare questo grande disegno sono uno dei temi della storia cristiana; accanto alla Chiesa ebraica, la teologia cattolica ci rivela la Chiesa dei Gentili, meno visibile, più latente, ma pur sempre accessibile per mezzo della grazia che non fu mai totalmente negata alla creatura umana, neppure alla più derelitta.
Non si tratta qui di filosofia, strumento di orgoglio e di inganno, ma della parola di Dio trasmessa oralmente, in lotta contro il flusso sempre crescente del politeismo e ravvivata dall’intervento della Provvidenza soprannaturale di cui parlavamo poc’anzi e dai mille accadimenti interni, dai mille accadimenti esterni, che l’infinità bontà di Dio non ha riservato soltanto ai cristiani. Che lo storico cattolico non dimentichi mai queste parole: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”. Che lo storico si accinga a scoprire in qual modo nel mondo antico l’intera città di Ninive abbia saputo placare la collera del vero Dio con la semplice parola di Giona; m qual modo il centurione Cornelio sia stato pronto a ricevere il battesimo, prima di aver conosciuto la missione del Salvatore. Il ruolo del popolo ebraico, la voce dei prodigi operati m suo favore, le sue relazioni tanto estese in certe epoche, le sue migrazioni prima in Egitto, più tardi in Assiria, in Persia, fino alle Indie; la traduzione dei suoi libri sacri in lingua greca, nel secolo dei Tolomei; le sue sinagoghe sparse al di là del mondo conosciuto e fiorenti già da secoli nel cuore di Roma e m Grecia quando apparve l’Uomo-Dio; tutti questi fatti sono altrettanti elementi che ci aiutano a rintracciare il soprannaturale negli annali del mondo antico. Dovrò forse ricordare gli oracoli, i profeti Gentili, di cui la scrittura ci fornisce un esempio in Balaam, le Sibille, per limitarmi a ciò che dicono Cicerone e Virgilio? Fontenelle fu in Francia uno dei precursori del naturalismo e, in un secolo in cui la fede regnava ancora, non temette di negare brutalmente i più solenni monumenti cristianesimo primitivo, sostenendo che gli oracoli non cessarono all’avvento di Cristo sempreché, diceva, gli oracoli non fossero mai stati altro che un inganno del paganesimo.
Fu facile alla scienza cristiana dimostrare che la tesi di Fontenelle conduceva al pirronismo storico e quindi fare giustizia nei confronti dei popoli dell’antichità, calunniati da un uomo già travagliato dall’antipatia per il soprannaturale.
Lo storico cristiano incontrerà spesso sul suo cammino il soprannaturale diabolico, quando l’impero non conosceva ancora la forza vittoriosa della Croce. Che non tema di descrivere a fondo la dura schiavitù di Satana, che pesò sui nostri padri Gentili nei secoli che precedettero il compimento della promessa. Nessun uomo è mai stato ricettacolo dello spirito delle tenebre senza averlo meritato; in quei tempi, tuttavia, la potenza dello spirito di menzogna era assai più forte di quanto lo sia stata dopo la vittoria del Figlio di Dio; rifiutare questa spiegazione degli sconvolgimenti spaventosi del mondo antico sarebbe, per un cristiano, non solo un atto privo di rispetto umano ma anche una imperdonabile mancanza di fede. Gesù Cristo ha parlato del diavolo, l’ha chiamato il principe di questo mondo; si direbbe che certi autori cristiani dei nostri giorni desiderino non tenere in alcun conto i numerosi passi del Vangelo in cui questo agente perverso è denunciato come l’autore di tutti i nostri mali. Si parla del male, del genio del male, del disordine, dell’errore, della depravazione umana; ma tutta questa metafisica non riesce a celare la riluttanza che si prova a portare alla ribalta l’essere malvagio che sa approfittare abilmente dell’oblio con il quale, al giorno d’oggi, è riuscito a circonfondere persino la propria esistenza. Ci sia dunque lecito dire che una storia del mondo antico in cui non si pronunci il nome dell’eterno nemico di Dio e dell’uomo, in cui ci si ostini a voler spiegare il male solo in termini di perversità e passioni umane, non è né una storia cristiana, né una storia completa. Vi è stata omessa, senza motivo, la causa principale dei disordini che si volevano narrare. Per quanto attiene al crollo degli Imperi, alla conseguente unificazione dei popoli, alle profezie che avevano annunciato il tutto, è evidente che lo storico che non sa o non vuol dire quale sia lo scopo di tutte queste vicissitudini, che non parla dell’approssimarsi, dopo ogni rivoluzione dei popoli, del regno del Cristo, è un cieco che si adopera per tenere altri ciechi in quelle stesse tenebre m cui si compiace di dimorare. Una storia siffatta è una storia senza un fine, alla maniera dei pagani che ignoravano in quale direzione Dio guidasse il mondo. In Verità gli storici si avvedono che tutto confluisce verso l’Impero romano, quell’impero colossale che doveva di necessità soccombere; ma dell’impero di Gesù Cristo al quale l’impero romano doveva servire come punto di partenza, non parlano. Ai loro occhi, Gesù Cristo è il grande civilizzatore della razza umana, colui al quale il mondo deve tutto, ma non si sono mai preoccupati di dire che egli regna, che egli ha un impero, che questo mondo gli appartiene, che nessuno comanda ormai se non in suo nome. Gesù Cristo regna sugli spiriti, sul morale degli uomini; il suo regno non è di questo mondo. Tale, si direbbe, è il modo di pensare di molti storici, pur tuttavia cristiani, quando narrano la storia dei popoli antichi come se non sospettassero che questi popoli prepararono la via al Verbo incarnato. Sostengono sì che la Venuta di Cristo è il più grande avvenimento di tutti i tempi, che Cristo è l’autore della più vasta e salutare rivoluzione che si sia compiuta su questa terra, ma mai lasciano trapelare, né tanto meno affermano a chiare lettere, che la terra per migliaia di anni attese il suo re e che lo possiede da diciannove secoli.
Quando i nostri padri, la cui educazione era cosi’ profondamente impregnata di cristianesimo, scesero in lizza per combattere la scuola di Voltaire, che osava dichiarare che Gesù Cristo aveva fatto retrocedere l’umanità e che la sua religione conduceva gli uomini alla barbarie, essi dovettero sostenere contro i filosofi la tesi nuova e facile da dimostrare che la civiltà moderna, in tutto ciò che ha di utile per l’uomo e la società, è figlia del cristianesimo e che le religioni pagane, il politeismo e la filosofia, conducevano i popoli all’abbrutimento e alla rovina. Questa tesi, incontestabile, non correva allora alcun pericolo, poiché coloro che la sostenevano non ignoravano che la missione di Gesù Cristo si era prefissa valori ben più preziosi per l’uomo e la società che quelli attinenti all’economia politica; sapevano che i frutti del cristianesimo, che ancor oggi pongono le nazioni cristiane talmente al di sopra delle altre, non sono che le conseguenze dei benefici di ordine infinitamente superiore che Gesù Cristo è venuto ad arrecarci. Si conosceva a memoria il Vangelo; non lo si leggeva alla ricerca di versetti che si pensa di poter snaturare alla luce delle idee contemporanee, ignorando tutti gli altri passi; si accettava tutto, e si sapeva che se Gesù Cristo annuncia che “il principe di questo mondo sarà cacciato dal suo impero”, che il sangue redentore sarà versato per la riparazione del peccato, che il genere umano sarà chiamato a formare un solo gregge sotto la guida del Buon Pastore pronto a dare la vita per le sue pecore, non c’era una sola parola sulla rigenerazione politica dei popoli, sulla civiltà futura, sulle future conquiste dell’intelligenza, sul progresso delle scienze e delle arti; vantaggi questi che sono giunti con il cristianesimo e che non sarebbero giunti senza di esso. In tutto il Vangelo c’è soltanto una frase di Cristo che si riferisce a questi beni temporali: “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato per giunta”. Il resto, caetera: ecco come il Cristo ne parla nel timore che ne facessimo la cosa più importante, mentre non è neppure paragonabile all’altra. i difensori del cristianesimo del XVIII secolo sapevano tutto questo, lo capivano e si adoperavano per mettere in risalto questi benefici esteriori che il cristianesimo portava con sé, e che lo stesso Giuliano l’Apostata comprese fin dal IV secolo; benefici che la Turchia oggi ci invidia senza poterli ottenere. Non commisero mai l’errore di non considerare i benefici soprannaturali, di cui il divino mistero dell’Incarnazione è stato la sorgente, come i più importanti.
Da allora è passato del tempo, la società moderna, di cui qualcuno tra noi è così fiero, ha iniziato i suoi destini un po’ tempestosi; il cristianesimo non figura più nelle opere pubbliche; la legislazione non lo riconosce come legame sociale, e se gli assicura una tutela più o meno ampia a seconda dei tempi, non è perché lo riconosca come divino, bensì soltanto perché è ritenuto un culto che rappresenta l’interesse religioso della maggioranza della nazione. Pure in una tale situazione, la fede è ancora viva presso un grande numero di anime, e i frutti del cristianesimo continuano a prodursi in certa misura: ma quale sarà il legame dei cristiani tra di loro? Come riusciranno a unirsi per costituire una forza invincibile simile a quella che trionfò sul paganesimo? Senza dubbio tramite l’energia e l’omogeneità dell’idea cristiana. Questo è ciò che occorre, non altro. Chiedo: c’è traccia di economia politica, di utopie, di perfettibilità umana negli scritti degli autori cristiani dei primi tre secoli? Eppure, nel quarto secolo, i cristiani erano già la maggioranza, e Costantino, nel ricevere il battesimo, fu soltanto uno in più tra i tanti. Se non si fosse arreso, l’avrebbe fatto il suo successore più chiaroveggente e più saggio. Come avvenne dunque la conquista? Tramite la fede in Gesù Cristo crocefisso, che ha dato al mondo misteri in cui credere e virtù soprannaturali da praticare. Agli occhi dei primi cristiani l’età di Cristo non era l’era della civiltà: troppe atrocità e brutture accadevano intorno a loro per nutrire tale illusione; per essi l’età di Cristo era quella della salvezza offerta ad ogni uomo a condizione di sacrificare i beni della vita presente a quelli della vita futura, il cui sentiero stava per essere aperto dal Redentore.
Ci volle questo per rigenerare il mondo; ai nostri giorni sarà necessario lo stesso per salvarlo.
Ma, osserverete, dobbiamo smettere di insistere sulle conseguenze del Vangelo? A Dio non piaccia che vi dia tale consiglio. Ogni verità è utile, ma deve essere classificata secondo la sua importanza. Chi, oggi, osa dubitare dei risultati ottenuti dal cristianesimo nel migliorare la condizione umana su questa terra? Qualche empio forsennato con il quale non si discute. I filosofi, i politici, gli economisti sensati sono con voi; è inutile dunque gareggiare con loro nel fare elogi al grande civilizzatore dei tempi moderni. Quello che è necessario e urgente è pensare ai cristiani che hanno bisogno di essere sostenuti e uniti. Lo si può fare soltanto proclamando a voce alta che, sotto il regno di Cesare Augusto, il figlio unico di Dio si è degnato di incarnarsi nel seno di una Vergine, e offrirsi in sacrificio per riscattare i peccati del mondo e spezzare il giogo di Satana che teneva l’uomo sottomesso. Parlando così, parlerete come Sant’Agostino e come Bossuet; assomiglierà al catechismo, ma non preoccupatevi, è proprio il catechismo che manca oggi. Il catechismo è servito come base alle due grandi opere storiche di Sant’Agostino e di Bossuet, e il loro talento non ne è stato diminuito. Ora, se avete qualcosa da aggiungere Sulle applicazioni del Vangelo al benessere dell’uomo e della società, non rinunciate a farlo. Vi ascolteremo e ne trarremo vantaggio.
È vero che nulla ci stupirà perché contiamo sul “resto, caetera” promesso da Gesù Cristo stesso. Ciò di cui abbiamo bisogno è che questo “resto, caetera” non sia l’unico bene che voi individuerete nella venuta del Cristo sulla terra. Noi siamo deboli nella fede, la nostra educazione è stata spesso poco cristiana, la società che ci circonda non rispecchia ciò in cui crediamo, e quello che è ancora più pericoloso, noi viviamo nel seno di una rivoluzione sociale che tiene in fermento tutti gli orgogli.
Si obietterà dicendo che lo storico che imbocca tale direzione vedrà i suoi libri negli scaffali delle biblioteche parrocchiali e dei gabinetti di buona lettura. Forse i vostri libri, cristianamente pensati e cristianamente scritti, rischiano di andare a raggiungere in questi umili depositi il Discorso sulla Storia Universale invece di aprirvi le porte dell’Accademia; ma che male c’è? La prima esigenza oggi è quella di fortificare e proteggere i cristiani nella loro fede; la seconda è quella di accrescerne il numero. Se otterrete il primo scopo non avrete perso tempo. In quanto al secondo, è evidente che non farete passi avanti cercando di convincere i non credenti che coloro che credono hanno il loro stesso linguaggio e le loro stesse idee. Abbiamo scrittori cattolici, un piccolo numero, lo ammetto, che, cercando la pura ortodossia, sono giunti a turbare sia i semplici credenti sia la gente raffinata e di ingegno.
Non provate l’esigenza di proclamare la verità al vostro secolo? Non è già da troppo tempo che lo si lusinga e lo si inganna, sostenendo il vero con misura, colorando con vernice moderna e ambigua ciò che c’è di più antico e immutabile? Avete ragione: sono stati scoperti non so quali terreni neutri sui quali certi credenti e non credenti si incontrano per tenere specie di congressi dai quali tutti tornano come vi erano andati. Che cosa deriva da tali incontri? Complimenti reciproci, e, nel frattempo, la società, che perisce perché non le si parla francamente di Gesù Cristo, vi chiede conto del vostro talento, della vostra influenza, che dico?, delle vostre convinzioni cristiane così spesso nascoste sotto sembianze naturalistiche. È ora di esprimersi con accenti più cristiani e di parlare nei libri con il tono che si usa nella famiglia. Voi non educhereste i figli nella religione avvalendovi di teorie naturalistiche; avreste paura di non farne dei buoni cristiani. Per loro ci tenete al catechismo che commentate con l’esempio; che i vostri libri, i vostri discorsi, i vostri scritti pubblici ne siano dunque, a loro volta, l’espressione. E il momento opportuno in quanto voi stessi constatate con quanta benevolenza siete ascoltati. Fate di più, e raccontate i fatti della storia con l’accento di un cristiano convinto che sente l’esigenza di proclamare che il progresso è in Gesù Cristo e con Gesù Cristo. Sarete allora uno storico degno davanti a Dio e davanti agli uomini.
E’ provato che i contemporanei non credenti da soli non intuiscono nulla dei principi religiosi. Questa impotenza deriva dal silenzio discreto che si mantiene da troppo tempo nei loro confronti e che permette loro di ignorare tutto. È impossibile non essere colpiti dalla devozione e dall’eroismo pacato delle Suore di carità. Senza dubbio ci si rende conto del principio che ispira questa devozione e questo eroismo; si sa che il sentimento religioso ne è la sorgente. Ma fra tutti coloro che chiedono il loro soccorso, le persone, che non hanno la fortuna di essere illuminate dalla luce soprannaturale, quale idea si fanno del sentimento religioso che anima queste Suore? Perché il sentimento religioso esiste là dove esiste la religione. Perché mai una tale devozione non esiste nelle religioni del mondo antico? Perché tra i tanti popoli cristiani esiste soltanto tra coloro che partecipano alla comunione romana? E’ il risultato di un dogma che non si rintraccia altrove. Sarebbe stato opportuno indagarlo a fondo in questo secolo in cui piace rendersi conto di tutto, in cui si fa la statistica di tutto. Invece non si fa nulla, ci si limita ad ammirare, accettando i benefici. In fondo la cosa è molto semplice; si tratta di dire agli interessati: “avete delle Suore di carità ai vostri ordini perché esiste un sacerdozio fondato da Gesù Cristo; i membri di questo sacerdozio hanno il potere di purificare le anime e di metterle in seguito in rapporto con Dio stesso in un mistero che si chiama la comunione di cui essi sono i dispensatori. Se questo sacerdozio cessasse di operare, se fosse respinto dalla nostra società, voi vedreste scomparire nello stesso tempo queste serve dei poveri e degli ammalati. Ciò che voi chiamate il sentimento religioso non saprebbe più produrle ormai nè moltiplicarle”.
In questo modo una questione di dogma rivelato risolve il problema particolare di cui parliamo; lo stesso avviene, che non si dubiti, per tutte le altre questioni che potrebbero sorgere circa le diverse forme di progresso che il cristianesimo ha dato alle nazioni cristiane. I nostri padri, che erano cristiani per tradizione, non lo ignoravano quando discutevano la questione economica del cristianesimo con i filosofi di allora; ma noi non lo sappiamo più, ed è per questo che è necessario dirlo a rischio di spaventare qualcuno. Ora spetta soprattutto alla storia formulare tutto ciò che è necessario sapere. Che storia è quella in cui si descrivono gli effetti senza indicare chiaramente le cause? Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il destino del genere umano è un destino soprannaturale; da ciò si deduce che una storia che non si ispira alle sorgenti soprannaturali, non è storia veridica per quanto cristiane siano le convinzioni di colui che l’ha scritta.