secondo Edith Stein

Nella visione antropologica della Stein la persona va considerata come corpo nella sua duplice accezione di Körper e di Leib, come anima e come spirito. In maniera molto approfondita considera la struttura dell’essere umano nelle sue opere “Psicologia e scienze dello spirito – contributi per una fondazione filosofica”, “Essere finito ed essere eterno – per una elevazione al senso dell’essere” e “La struttura della persona umana”. C’è però un trattato piuttosto breve in cui ella compendia in maniera mirabile la sua visione antropologica, considerando la dimensione spirituale della persona come parte assolutamente  costitutiva del suo essere; ancor più in profondità, sviscera la relazione tra le diverse parti costitutive la persona, ciascuna con la sua caratteristica peculiare, ma anche ognuna in relazione con le altre, un rapporto che non è un di più aggiunto, ma parte integrante del suo essere. Come a dire che lo spirito non può essere autenticamente tale se non si pone in relazione con l’anima e con il corpo, come il corpo con l’anima e lo spirito, come l’anima con il corpo e lo spirito. Questo trattato porta il titolo “La struttura ontica della persona e la problematica della sua conoscenza” ed è pubblicato, nella edizione italiana, insieme ad altri due brevi trattati, “Natura e soprannatura nel Faust di Goethe” e “Il castello interiore. Esposizione di santa Teresa di Gesù”, nel volume “Natura, Persona, Mistica – per una ricerca cristiana della verità” (1).
Nella introduzione all’opera la Ales Bello fa una sottolineatura molto interessante e che evidenzia come la Stein sia giunta a una simile chiarezza di pensiero percorrendo il sentiero della formazione della coscienza, mediante la riduzione fenomenologica come prassi di indagine e l’empatia come metodo di conoscenza. Così scrive:

“Il testo riprende, in effetti, le tematiche presenti nello studio sulla psicologia e le lega alla prospettiva metafisica che l’Autrice stava elaborando sulla base della lettura delle opere di Aristotele e di Tommaso d’Aquino. Per quanto riguarda la data di composizione, la si fa risalire pertanto agli anni 1930-1932; si tratta quindi di un testo parallelo al primo nucleo dell’opera maggiore della Stein, «Essere finito e Essere eterno», dedicato a «Potenza e Atto». Si tratta perciò di una analisi antropologica particolarmente originale che, cogliendo le strutture umane per mezzo di un atto di autoriflessione, le oggettivizza attraverso il riconoscimento della loro presenza in ogni essere umano colto empaticamente come alter ego” (2).

La Stein apre il suo scritto con una affermazione molto interessante. Dice:

“La vita psichica naturale-spontanea è un continuo alternarsi di impressioni e reazioni. L’anima [Seele] riceve le impressioni dall’esterno, dal mondo nel quale il soggetto di questa vita si trova e che essa coglie come oggetto con lo spirito [Geist]. Viene messa in movimento da queste impressioni e nascono così prese di posizione suscitate in essa dal mondo” (3).

Pare di sentire riproposta, indubbiamente con un linguaggio diverso, ma con identità di contenuto, la definizione data, in psicologia, alle emozioni, cioè “spinte alla azione” (4), che non dipendono da noi, che non possiamo né provocare né impedire, che ci accadono. Come a dire che fatti esterni al nostro essere ci vengono incontro e la nostra anima li recepisce, venendone provocata; lo spirito però è ciò che permette alla persona di non essere travolta dalle emozioni, ma di prendere da esse la giusta distanza – la Stein direbbe di renderle “oggetto” -. In questo modo si ha la possibilità di conoscerle tramite un atto empatico, come anche di conoscere se stessi sempre tramite un atto empatico, perché la distanza presa dalla propria anima permette di oggettivare anche l’anima stessa.  La risonanza interiore di un’ emozione è fortemente legata alla struttura e al funzionamento interno della persona, dunque ai suoi bisogni e ai suoi meccanismi di difesa. Essendo le emozioni delle spinte alla azione, portano di necessità ad agire. Lo spirito è ciò che permette alla persona non solo di conoscere le emozioni presenti nella sua anima, ma anche di scegliere quale azione mettere in atto in risposta alle stesse. E’ nello spirito dunque che si compie la scelta tra una risposta scelta e una compulsa o, detto in altri termini, tra il controllo dell’impulso e la mancanza di dominio di esso (5).
La Stein scende ancora più in profondità nell’argomentare e afferma che è proprio lo spirito ciò che introduce la persona nel regno della libertà, permettendogli così di essere autenticamente persona, soggetto attivo delle proprie scelte. Così scrive:

“Il soggetto psichico è indotto alle reazioni dall’esterno e perciò non si possiede nel senso di aversi in mano. Entrambi questi fattori – possedere se stesso e avere la regia dei propri movimenti – caratterizzano l’attività e la libertà in senso pregnante. L’attività passiva, la reazione come forma fondamentale, connotano lo stadio animale della vita dell’anima […]. Contrapponiamo alla vita naturale-spontanea dell’anima una vita avente una struttura essenzialmente diversa, che vogliamo chiamare (con un termine ancora da spiegare) liberata: la vita dell’anima che non viene mossa dall’esterno, ma guidata dall’alto. Questo dall’alto è, allo stesso tempo, un dall’interno, poiché per l’anima essere innalzata nel regno dei cieli significa essere impiantata totalmente in se stessa. E viceversa: essa non può trovare appoggio sicuro in se stessa senza essere elevata al di sopra di se stessa – proprio nel regno che sta in alto. Mentre viene condotta in se stessa e, per questo, ancorata all’alto, viene allo stesso tempo recintata, sottratta alle impressioni del mondo e all’essere abbandonata senza difese. Con il termine liberato abbiamo inteso proprio questo. Il soggetto psichico liberato, come quello naturale-spontaneo, coglie il mondo con lo spirito. Anch’esso riceve nella sua anima le impressioni del mondo, ma l’anima non viene messa immediatamente in movimento da queste impressioni. Essa le coglie proprio a partire da quel centro per mezzo del quale è ancorata all’alto; le sue prese di posizione scaturiscono da questo centro e vengono a essa prescritte dall’alto. Questo è l’habitus interiore dei figli di Dio. La loro libertà, la libertà di un cristiano, non è la libertà di cui parlavamo prima. Essa consiste nell’essere liberati dal mondo. Il tipo di posizione che a essa corrisponde è di nuovo una attività passiva, sicuramente di altro tipo rispetto a quella del regno della natura. […] L’anima guidata è tesa con questo centro verso l’alto, qui ne riceve le direttive e, obbedendo, si lascia muovere da esse. L’attività è sospesa al suo punto di origine; della libertà, nel luogo della libertà non vien fatto alcun uso” (6).

Anche in questo passo risulta evidente l’affinità di contenuto con quanto espresso, sempre nella psicologia cristiana della scuola del gesuita Padre Rulla, con il termine “valore” (7) – cioè ideale durevole che addita uno stile di vita -, soprattutto di ideale autotrascendente, eterocentrato, vissuto.
In una prospettiva di sintesi tra la dimensione naturale e quella spirituale della persona, la sinergia tra anima e spirito è di fondamentale importanza, perché se la prima addita i bisogni dell’essere umano, il secondo orienta verso la più autentica soddisfazione dei bisogni stessi. Ancora, lo spirito è capace di accogliere lo Spirito, Dio stesso, il che equivale a dire che l’essere umano così come è fatto è naturalmente capace di Dio, in ultima analisi è fatto per essere in relazione con Lui, inabitato dalla Trinità. Come però la Stein sottolinea, l’orientamento dell’anima allo spirito/Spirito non avviene senza una libera scelta da parte dell’essere umano – il che corrisponde esattamente al divenire persona. Ella scrive:

“Il passaggio dal regno della natura al regno della Grazia deve essere liberamente realizzato dal soggetto, il quale deve essere condotto dall’uno all’altro: ciò non può essere realizzato senza la sua collaborazione. Tra il regno della natura e quello della Grazia si pone il regno della libertà” (8).

La persona ha la capacità di conoscere la struttura della propria anima e le leggi che la governano, quindi, attraverso l’autodeterminazione e l’autoeducazione, può scegliere liberamente se abbandonarsi in maniera cieca ai meccanismi naturali, o se, attraverso il dominio di sé, imparare a gestire in maniera adeguata i bisogni dell’anima, perché non debordino oltre lo spazio loro proprio, impedendo allo spirito di farsi accoglienza dello Spirito.

“Di fronte a ciò la vita psichica della persona, che sceglie fra le possibilità naturali secondo criteri stabili, appare nuovamente come un cosmo, le cui leggi non vengono più ciecamente seguite, ma liberamente scelte e consapevolmente attuate. Per questo non è necessario che la persona oltrepassi – materialmente – la sua sfera psichica naturale (cosa della quale essa, come padrona di se stessa, non sarebbe affatto capace). Occorre soltanto che essa utilizzi la propria libertà per conoscere se stessa – cioè la struttura della propria vita psichica e le leggi che la governano. […] La persona quindi, in virtù della sua libertà, è capace di comprendere la sua vita psichica e di ritrovare le leggi a cui tale vita obbedisce. Può inoltre operare una scelta fra esse e individuarne alcune a cui ultimamente obbedire da quel momento in poi. Questo è in tanto possibile, in quanto le leggi della ragione – contrariamente a quelle della natura – non obbligano, ma motivano, e fungono da leggi naturali solo nell’ambito di una vita psichica il cui soggetto non possieda libertà o non ne faccia alcun uso. La vita psichica personale guidata e illuminata dalla conoscenza appare elevata al di sopra di quella animale – proprio perché si svolge alla luce della conoscenza” (9).

Questo passaggio è di grande valenza antropologica perché rimanda alla responsabilità personale delle scelte, quindi all’importanza di far propri, passo dopo passo, dei criteri di scelta per una valida formazione della coscienza personale, che obbediscano non tanto alla legge della gratificazione immediata, ma a quella delle motivazione, dunque dei valori. In altri termini si ripropone la relazione tra il volere emotivo e il volere razionale, ove l’essere umano è chiamato  non a inibire, ma a prendere le dovute distanze dalla immediatezza delle emozioni, in modo da poter scegliere liberamente il comportamento da attuare, divenendo così un agente morale. La logica dell’affettività – che ha al suo servizio l’emozione e il sentimento – non è eliminata, ma subordinata alla razionalità, la quale, in base ai valori scelti, la pone al servizio di un livello superiore, quello spirituale appunto (10).


Se educare la propria anima è scelta affidata alla persona, se la presenza dello spirito è un dato strutturale dell’essere umano, fare del proprio spirito il luogo in cui lo Spirito prende dimora non è nelle possibilità di alcuno, è dono che può essere unicamente ricevuto. La Stein ha righe di commuovente bellezza che vale la pena accostare in maniera diretta.

“Nessun essere libero e spirituale è totalmente imprigionato nel regno della natura. La libertà di sottrarsi al gioco naturale delle reazioni gli assegna un posto al di fuori della natura o, più precisamente, dà testimonianza di ciò e l’apertura dello spirito è in linea di principio totale. Tutto ciò che è visibile può essere da lui visto. Tutto ciò che è oggetto può stare dinanzi a lui. Pur tuttavia nessuno spirito individuale ha un campo visivo illimitato. L’essere vincolato ad un fondamento naturale, sul quale si erge, significa allo stesso tempo un limite posto alla sua visione del regno nel quale è immerso. Ma questo limite non è assoluto. Per l’essere libero esiste la possibilità di sottrarsi ad esso e di vedere oltre la sua sfera naturale. Naturalmente questo può accadere solo quando qualcosa gli viene incontro dalla sfera che deve nuovamente conquistare. La sua libertà è così ampia che gli permette di rivolgere il suo sguardo a sfere sconosciute o di fermarsi ad esse, ma solo nella misura in cui esse gli si offrono da sé. Conquistare ciò che non gli si offre volontariamente è impossibile. L’uomo può sperimentare la Grazia solo se la Grazia lo afferra” (11).

Lo Spirito cioè si fa incontro alla persona che, con il suo spirito, essendo un Io libero, lo riconosce, si apre a Esso, facendosi accoglienza, e giunge a conoscerlo grazie a un semplice atto empatico, per la comunanza di “typos”, come già detto precedentemente in questo lavoro e come peraltro sarà ripreso nelle pagine a seguire. Sia l’accoglienza sia la conoscenza empatica, nello spirito, sono atti liberi della persona, che acconsente con l’intera sua anima e tutto il suo corpo. Ovviamente il penetrare dello Spirito nella persona fa sì che essa subisca un radicale cambiamento, perché si affievolisce il legame con la parte più strettamente naturale. L’anima però non perde in alcun modo la sua individualità. Le facoltà psichiche restano a substrato di tutte le predisposizioni anche spirituali, nonché di tutte le reazioni naturali, ma la sua presenza non agisce in maniera obbligante e determinante. Come dice la Stein:

“Ciò che entra nell’anima e ciò che ne esce è impregnato dall’individualità. Anche la Grazia è accolta da ogni anima secondo la propria individualità. La sua individualità non viene distrutta dallo spirito della luce, ma si unisce a lui e vive così veramente una nuova nascita. Quindi, l’anima vive nella più totale e pura autenticità solo se rimane in se stessa” (12).

Come accennato sopra, la persona accoglie nello spirito lo Spirito, ma tale accoglienza coinvolge la persona tutta intera, dunque con la sua anima e il suo corpo. Che l’anima umana infatti abiti in un corpo vivente materiale, cui è indissolubilmente legata, non è fattore indifferente. Questo significa infatti che tutto ciò che è corporeo-vivente (il vocabolo tedesco è di estrema chiarezza: Leibliche) ha una sorta di “parte interiore” e, dunque, ne consegue che ove vi è un corpo vivente lì, di necessità, vi è anche una vita interiore. Viceversa, se non vi è vita interiore, non vi può nemmeno essere corpo vivente. Questo significa perciò che ogni corpo vivente è, fin nella sua più intima profondità, la forma esterna dell’ interiorità.
Ciò che è tipicamente corporeo è la sensazione. Se la persona oggettiva la propria corporeità e vi si accosta poi con un atto empatico, allora il suo Körper-Leib diventa luogo di conoscenza attuata con uno sguardo spirituale,  assolutamente in sinergia con lo spirito e l’anima.
Il suo ruolo è primariamente quello di essere la struttura materiale naturale capace di mettere a disposizione le forze necessarie alla vita interiore. E’ prima di tutto attraverso la relazione che la persona sceglie di avere con la propria dimensione corporea che dipende l’ampiezza e la profondità della sua vita interiore: a ognuno infatti è stato affidato un corpo vivente e di esso ne porta la responsabilità. Come già per l’anima, la persona è chiamata ad avere il proprio corpo vivente sotto il dominio della volontà, altrimenti l’anima viene talmente assorbita da esso da esserne “materializzata”. Viceversa, è il primo vivente a essere chiamato ad assumere la forma della seconda; se poi l’anima è illuminata dallo spirito/Spirito, allora pure il esso riceve i riflessi di tale luce. E’ ciò che nella tradizione cristiana viene indicato con l’espressione “santificazione del corpo”. Questi, vivente, riempito dallo spirito/Spirito, può talvolta anche fisicamente divenire “luminoso” e “taumaturgico”, come ben dimostra l’agiografia (13).


E’ esattamente in questo contesto che si pone da un lato l’ascesi e la penitenza volontaria e, dall’altro alto, il sacramento, via ordinaria della Grazia.
Così scrive Angela Ales Bello:

“Si tratta di un’analisi antropologica particolarmente originale […]. Tale trattazione, seguendo la descrizione essenziale in senso fenomenologico, ci conduce, muovendo dalle manifestazioni esteriori dell’essere umano, fino alla sua interiorità, al suo spirito, nel quale agisce una forza potente che è esterna, ma anche interna, quella che deriva dall’intervento divino e che si manifesta attraverso la grazia. Si tratta dell’ingresso in un nuovo regno che può diventare la sua dimora più propria. L’accesso a tale regno è possibile mediante lo spirito e il regno stesso è un regno spirituale nel quale in ogni caso avviene la sottomissione a chi è signore di quel regno […]. L’anima può trovare la sua pace solo in un regno il cui Signore vuole il bene dell’anima stessa. Si è giunti, allora, al regno della grazia, della luce nel quale l’anima trova un equilibrio anche con la dimensione naturale, quella del suo corpo e della sua psiche”  (14).

Note

 (1) STEIN E., Natura, Persona, Mistica – per una ricerca cristiana della verità, Città Nuova Editrice, Roma, 1997.


(2) STEIN E., op. cit. p. 15.


 (3) STEIN E., op. cit., p. 51-52.
(4)  cfr. DONGHI R., Dalla storia personale al discernimento: dinamiche umane e spirituali, Edi.S.I., Genova.


(5)  cfr. COSTA G. M., Il controllo degli impulsi nel “fragile equilibrio”: quale formazione?, Edi.S.I., Genova.


(6)  STEIN E., Natura, Persona, Mistica – per una ricerca cristiana della verità, p. 52-53, Città Nuova Editrice, Roma, 1997.


(7) cfr. CENCINI A. – MANENTI A., Psicologia e formazione – Strutture e dinamismi, cap. 4, EDB, Bologna, 1985.


(8)  STEIN E., Natura, Persona, Mistica – per una ricerca cristiana della verità, p.54, Città Nuova Editrice, Roma, 1997.


(9)  STEIN E., op. cit., p. 57-58.


(10)  cfr. CENCINI A. – MANENTI A., Psicologia e formazione – Strutture e dinamismi, cap. 3, EDB, Bologna, 1985.


(11)  STEIN E., Natura, Persona, Mistica – per una ricerca cristiana della verità, p. 62, Città Nuova Editrice, Roma, 1997.


(12)  STEIN E., op. cit., p. 68.


(13)  cfr. TALMELLI R., Ecco, io vedo i cieli aperti, cap. 7, Edizioni OCD, Roma, 2010.


(14)  ALES BELLO A., Edith Stein – la passione per la verità-, pp. 84-85, Edizioni Messaggero Padova, Padova, 1998.

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