Che l’uomo venisse liberato mediante la passione di Cristo, fu consono sia alla misericordia di Dio sia alla sua giustizia. Alla giustizia, perché mediante Ia passione Cristo soddisfece per il peccato del genere umano, e così l’uomo fu liberato in virtù della giustizia di Cristo. Fu consono poi alla misericordia di Dio perché, non essendo I’uomo in grado di soddisfare da sé per i peccati di tutta la natura umana, Dio gli diede come redentore il suo proprio Figlio, secondo le parole di san Paolo «Tutti sono giustificati gratuitamente per la grazi di lui, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù, che Dio ha posto quale propiziatore per mezzo della fede in lui» (Rm 3,25).

E questo fu un gesto di misericordia più grande che se avesse condonato i peccati senza nessuna soddisfazione. Perciò san Paolo dice: «Dio, che è ricco di misericordia, per l’eccesso della carità con cui ci ha amati, ci ha fatti rivivere in Cristo» (Ef 2,4).

Scrive Agostino: «Per sanare la nostra miseria non ci fu modo più conveniente» che la passione di Cristo. Infatti un mezzo è tanto più adatto a conseguire il fine, quanto più numerosi sono i vantaggi che con esso si raggiungono in ordine al fine. Ora per il fatto che l’uomo è stato liberato mediante la passione di Cristo, oltre alla liberazione dal peccato si ebbero anche molti altri vantaggi in ordine alla salvezza dell’uomo.

Anzitutto, considerando la passione di Cristo l’uomo conosce quanto Dio lo ama, e così viene provocato ad amarlo: ed è in tale amore che consiste la perfezione dell’ umana salvezza.

Dice infatti san Paolo: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, quando eravamo ancora suoi nemici, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). In secondo luogo, con la passione ci è dato un esempio di obbedienza, di umiltà, di costanza, di giustizia e di tutte le altre virtù che Cristo ha manifestato in quella circostanza: ed esse sono tutte necessarie per la salvezza dell’ uomo. Perciò sta scritto: «Cristo patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme» (1 Pt 2,21). In terzo luogo, Cristo con la sua passione non solo ha liberato uomo dal peccato, ma gli ha meritato Ia grazia che giustifica e la gloria della beatitudine eterna. In quarto luogo, dalla passione è derivata all’uomo un’esigenza più forte a conservarsi esente dal peccato, secondo le parole di san Paolo: «Siete stati comprati a caro prezzo: glorificate e portate Dio nel vostro corpo» (1 Cor 6,20). In quinto luogo, la passione di Cristo aumentò la dignità dell’uomo sì che, come l’uomo con l’inganno era stato vinto dal diavolo, così fosse l’uomo a vincere il diavolo, e come l’uomo si era meritato la morte, cosi un uomo morendo vincesse Ia morte. Dice san Paolo: «Siano rese grazie a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo» (1 Cor 15,57).]

Inoltre, per poter conseguire gli effetti della passione di Cristo, dobbiamo configurarci a lui, e questa configurazione avviene sacramentalmente nel battesimo: «Siamo sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte» (Rm 6,4). Quindi ai battezzati non viene imposta nessuna penitenza riparatrice, perché essi sono totalmente liberati per mezzo della soddisfazione offerta da Cristo. E poiché «Cristo è morto una volta per tutte per i nostri peccati» (1 Pt 3,18), l’uomo non può configurarsi alla morte di Cristo una seconda volta per mezzo del sacramento del battesimo. È dunque necessario che coloro che peccano dopo il battesimo si configurino a Cristo sofferente per mezzo di qualche penitenza e sofferenza sostenuta nella propria persona. Ne basta tuttavia molto meno di quanto sarebbe proporzionato al peccato, perché interviene la forza redentrice della passione di Cristo. Essa però ha efficacia in noi solo se siamo incorporati a lui come le membra al capo. Le membra devono essere conformi al loro capo. Perciò, come Cristo per primo ebbe la grazia nell’anima insieme alle capacità di soffrire nel suo corpo, e mediante la passione giunse alla gloria dell’immortalità, cosi anche noi, che siamo sue membra, mediante la sua passione siamo liberati dalla colpevolezza degna di qualunque pena, ma in modo da ricevere prima nell’anima «lo spirito d’adozione a figli» (Rm 8,15), per cui ci è riservata l’eredità della gloria immortale anche se per ora abbiamo un corpo soggetto alla sofferenza e alla morte: ma per il futuro, «configurati alle sofferenze e alla morte di Cristo» (cfr. Fil 3,10), siamo guidati verso la gloria immortale, come dice san Paolo: «Se siamo figli Dio, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, purché partecipiamo alla sua passione per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17.