Implorando il volto buono del Mistero
Appunti dalla lezione di Luigi Giussani agli Esercizi della Fraternità Venerdì sera, 29/04/94
Chiediamo allo Spirito che non ci abbandoni – «Discendi Santo Spirito» -, specialmente in momenti come questo, in cui la verità ultima delle cose viene richiamata con tutta la serietà ed energia di cui il nostro cuore è capace.
Come primo gesto, vogliamo pensare intensamente alla situazione in cui il nostro Santo Padre si trova: a lui inviamo perciò il telegramma che ora vi leggo. «Proprio all’inizio Esercizi Spirituali diciassettemila aderenti Fraternità Comunione e Liberazione radunati Rimini abbiamo appreso notizia Vostro infortunio. Siamo più intensamente sollecitati offrire preghiere et mortificazione silenzio per pronto ristabilimento Vostra salute sempre nel cuore grati per l’efficacia Vostre parole. Chiediamo benedizione perché Dio curi le nostre ferite e ci renda servitori più efficaci del Suo vicario in terra. Per tutta la Fraternità di Comunione e Liberazione, don Giussani».
Questo non è un «raduno», questo essere qui insieme non si può propriamente chiamare «raduno». Per coglierne la natura occorre riutilizzare la parola che poco fa, in diverso contesto, abbiamo adottato: il nostro essere qui insieme riuniti è un gesto. La parola gesto, come sempre ricordiamo, indica un atteggiamento che porta il mondo, il significato del mondo: porta il mondo nel suo nascere presente e nel suo sviluppo futuro, nella sua storia e nel suo destino. È la coscienza di tutta la realtà. Perciò questo nostro gesto provoca e definisce la fatica che abbiamo fatto per venire fin qui, la fatica che facciamo nello stare insieme ora, la serietà con cui pensiamo a Cristo e preghiamo Cristo.
Quanti eroismi, quanti dolori, quanta semplice tenerezza e affezione convergono in questo luogo di umanità che ognuno di noi contribuisce a creare! Ne danno testimonianza tre brevi lettere.
«Carissimo don Giussani, sono Gabriella, moglie di Carlo. Non potendo essere presente agli Esercizi della Fraternità perché i bisogni della famiglia non me lo permettono, ti prego di ricordare Carlo nella preghiera per i defunti durante la Santa Messa. Carlo ha seguito ed amato con tutto il cuore la nostra Fraternità ed è morto donando se stesso per salvare la vita dei suoi due bambini» (a ognuno di noi è ben noto questo avvenimento). «Caro don Giussani, spero tu possa leggere queste poche righe prima degli Esercizi della Fraternità, a cui mancherò per il secondo anno consecutivo a causa di una forma di tumore che mi ha ripreso e che mi vede qui in ospedale lontana dai miei cari. Se in questi anni non avessi incontrato te e gli amici del movimento e, tramite voi, il volto buono del Mistero che fa tutte le cose, che cosa sarebbe, ora, della mia vita? Sarei totalmente annichilita. È prima di tutto per ringraziarti, dunque, che ti scrivo; e poi perché ho chiesto a tutti i miei amici di pregare per me e per la mia guarigione: non posso non chiederlo, particolarmente, anche a te, che sei il padre di tutti noi. Spero tu possa rivolgere questa preghiera al Signore durante gli Esercizi della Fraternità dove i nostri cuori saranno più uniti che mai in Cristo ed anche il mio e i vostri nella offerta di queste sofferenze che porto. Ringrazio di cuore per questa preghiera in cui già confido e ti abbraccio».
«”La sterile che ha obbedito è diventata generatrice di figli”. Questa frase che ho sentito da lei, caro padre, mi riempie il cuore di speranza. Chiedo allo Spirito Santo e ai teneri volti dei miei amici di custodirmi nella obbedienza a questa storia. Grazie per la fermezza e la chiarezza con la quale ci sostiene e ci consola nel cammino. A presto a Rimini. Con affetto».
Amici, su diciassettemila, in quanti ci conosciamo direttamente? Eppure nessuno di noi sente disagio, esagerazione, impropri età, nell’uso di questo termine: «amici». Anzi, è l’unico termine veramente utilizzabile tra noi. Così che partecipiamo con ammirazione all’ eroismo di Carlo e preghiamo lui che renda anche noi così coerenti col bene; e partecipiamo al dolore della malattia della nostra sorella come se fosse in casa nostra; e accettiamo in modo immediato e semplice l’affezione espressa nel terzo biglietto. É come abbracciarci tutti in questo momento. Ma voglio insistere sull’osservazione fatta all’inizio. Perché non possiamo chiamare «raduno» tutto questo, tutta questa umanità che, dentro tale spazio umano, è coinvolta ed è fatta fluire? Perché dobbiamo chiamarlo «gesto»? Perché ciò che ci unisce – specialmente quando ci ritroviamo in momenti come questo – è la grande questione su cui la vita dell’uomo si gioca tutta: se cioè la vita abbia e sia una responsabilità di fronte al «TU» di Dio, o se essa, per quanto affaticata possa essere o ricca di attività e di dedizione alle persone e alle cose, abbia invece davanti a sé il niente, così che tutto ciò che si è e si fa si spappola e diventa sabbia di un grande deserto. Lo diceva la lettera: «Se in questi anni non avessi incontrato te e gli amici del movimento e, tramite voi, il volto buono del Mistero che fa tutte le cose, che cosa sarebbe ora della mia vita?». Noi siamo qui insieme riuniti, siamo una cosa sola – partecipando, anche senza poter dettagliare il come, all’avventura umana dell’uno, dell’altro, e dell’altro ancora – per affermare che la vita «sta» davanti al volto buono del Mistero che fa tutte le cose, davanti al volto buono del Padre che di’ ogni cosa è generatore.
«Padre nostro», che sei nel profondo di tutte le cose; «Venga il Tuo regno…»: che Tu sia riconosciuto! E questo mondo sarà più umano. E l’attesa dell’altro mondo infervorerà di consolazione e di pace quella pace di cui parla san Massimo il Confessore nel «volantone» che abbiamo stampato per Pasqua – il tempo che passa in questo mondo, che non ha un brandello di terra in cui pace sia. Che in noi, nei nostri rapporti, tra le nostre braccia che si stringono, tra le nostre mani che si tendono le une verso le altre, nelle nostre famiglie, e tra le nostre famiglie, nella nostra comunità, pace sia. E la pace è data dall’incombenza del volto buono del Mistero.
La vita è risposta, è un Tu «dato», riconosciuto, al volto buono del Mistero. Per questo è una grande decisione la nostra (ce ne accorgiamo tutte le volte che diventiamo seri o ci raccogliamo): è una grande decisione quella di essere insieme per costruire una fraternità, la fraternità di uomini che riconoscono come scopo della vita il volto buono del Mistero.
É un dialogo. Non è tragedia la vita: la tragedia è ciò che fa finire tutto nel niente. La vita, sì, è dramma: e drammatica perché è rapporto tra il nostro io e il Tu di Dio, il nostro io che deve seguire i passi che Dio segna. Anche questo ci ricorda quale imponente significato abbia il nostro essere qui – dove l’arte anticipa qualcosa dell’eterno; dove il nostro canto risponde con la timida tenerezza e affezione di chi sa di essere povero peccatore, ma ha Dio che è il volto buono che fa tutte le cose, anche i nostri pensieri che descrivono passo passo il cammino da compiere, che scoprono di ora in ora la volontà di Dio cui aderire.
Per tutto questo è grande questo momento. Iddio ce lo faccia sentire e assaporare, qualunque sia lo stato d’animo in cui ci troviamo. Fossimo anche bloccati e quasi resi ottusi dalla normale dimenticanza e dai nostri insistenti errori e peccati, qui tutto comincia a sciogliersi: davanti a Dio, al senso di tutte le cose, che ha chiamato Carlo all’eroismo, che chiama la nostra amica alla prova grande della sua malattia tremenda.
Chiediamo a Dio che la nostra attenzione non si svaghi, che la nostra tenerezza non si perda nell’inutile, nella sentimentalità, ma diventi sorgente e suggerimento di dedizione, di dono di sé, cioè di carità: e qui ci sentiamo dentro allo stesso cuore di Dio, «carità».
Ricordiamoci di tutto ciò nella Messa con cui iniziamo questa prima giornata: ricordiamo il Papa, ricordiamo tutti gli amici che sono morti, tutti gli amici che hanno bisogno urgente dell’aiuto del Signore, e tutti noi, che dell’aiuto del Signore abbiamo urgenza sempre.
Omelia alla Santa Messa
Il tempo si fa breve. Non c’è nessuna verità che più di questa punga il nostro umano orgoglio, ma anche la nostra sete di vita. E se un altro orizzonte non s’aprisse, sul breve orizzonte di tutti i nostri giorni, grave sarebbe la pesantezza, il peso della vita stessa.
«Il tempo si fa breve». E come dice il canto: «Troppo perde il tempo chi ben non t’ama». Ma chi, tra noi, ben t’ama, o Gesù? Chiunque si illudesse: «Non ho peccato», sarebbe un mentitore. Anzi, farebbe mentitore Dio. Perché Dio ha rivelato l’essenza ultima della sua natura come misericordia, esprime la sua onnipotenza nel perdono. Non capisce questo Mistero chi fosse facilmente distratto, non attento, a ciò che Gesù ci ha fatto e ci fa pervenire attraverso quell’angelo che ci annuncia tutti i giorni la Sua presenza, che si chiama Chiesa, si chiama compagnia nostra – perché la Chiesa è fatta anche della nostra compagnia. In tale compagnia, nella vita della Chiesa, davanti al Mistero ultimo di misericordia e di perdono che ci conforta, che ci rassicura, che ci fa riprendere mille volte al giorno, tutti i giorni, stiamo attenti, alle parole forse più note del Vangelo: «Vigilate, state all’erta!». Non siamo distratti! Ma perché la nostra compagnia s’è fatta? Perché si sostiene? Perché ci tolleriamo reciprocamente, se non per richiamarci a questa vigilanza che è la saggezza del vivere, che è la ricchezza del tempo e che è scoperta continua del nostro destino, la fortuna del nostro destino?