Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.

Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (1Ts 4,12).

La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l’Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l’accordo della giustizia e della bontà in Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. Se la fede ci insegna che esiste un purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, Sess. XXV) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.

 

L’espiazione del peccato.

Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l’anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l’uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un’eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel battesimo e nel martirio, sommergere nell’abisso dell’oblio divino anche l’ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell’altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.

 

Il merito.

In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l’anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto.

Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, – chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell’altro – alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (1Cor 12,27).

Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed è accettata secondo tutto il suo valore e secondo l’intenzione di colui che l’applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all’anima per la quale mi piace offrirla (De suffragiis, sectio iv).

 

Le indulgenze.

È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono a quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l’Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell’efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita.

 

Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? È così pungente che nessuna miseria della terra l’uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il “fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all’oceano del paradiso” (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt 5,26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare i piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me almeno voi che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Gb 19,21).

La preghiera per le anime del Purgatorio.

Lo Spirito Santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il purgatorio rigurgiti più che mai per l’affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l’approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l’unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. In quest’opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli, rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva [1], perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo nella felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria.

 

Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell’oblazione dell’augusto sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (2Mac 12,46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell’anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l’anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant’Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura pro mortuis, iv).

Sant’Odilone.

Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l’istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l’attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l’abate di Cluny, sant’Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell’inferno che, con visioni – che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2,13) – accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell’abisso avessero a tenere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di sant’Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina.

I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti

 

Messa dei Morti

La Chiesa Romana raddoppiava una volta in questo giorno la fatica del suo quotidiano servizio verso la Maestà divina. Il ricordo dei morti non escludeva l’Ottava dei santi e faceva precedere all’Ufficio dei morti l’Ufficio del secondo giorno dell’Ottava. Recitata Terza di Ognissanti, si celebrava la Messa corrispondente e, solo dopo Nona dello stesso Ufficio, si celebrava il Sacrificio dell’altare per i defunti. Oggi la Chiesa, consacra loro tutta la giornata.

Quanto all’obbligo di considerare di precetto nel giorno delle anime, gli usi erano diversi. In Inghilterra il giorno era di mezzo precetto e i lavori più necessari erano permessi; in molti altri luoghi il precetto terminava a mezzogiorno; in altri era prescritta soltanto l’assistenza alla Messa. Parigi osservò per qualche tempo la festa come una di quelle di primaria obbligazione e nel 1673 l’arcivescovo Francesco de Harlay prescriveva ancora di osservare il precetto fino a mezzogiorno. Ora anche a Roma il precetto più non esiste.

[…]

Morte e Risurrezione.

Mentre l’anima, uscita dalla vita presente, supplisce nel purgatorio l’insufficienza delle sue espiazioni, il corpo, che ha abbandonato, ritorna alla terra, in esecuzione della sentenza inflitta ad Adamo e alla sua discendenza all’inizio del mondo (Gen 3,19). Ma la giustizia è anche amore per il corpo del fedele, come lo è per l’anima. L’umiliazione del sepolcro è giusto castigo del primo peccato, ma san Paolo ci fa vedere in questo ritorno dell’uomo al fango dal quale è stato tratto una seminagione necessaria alla trasformazione del grano predestinato, che deve un giorno riprendere vita in condizioni ben diverse. In effetti, la carne e il sangue non potrebbero possedere il regno di Dio, né potrebbero gli organi destinati a dissolversi raggiungere l’immortalità. Frumento di Cristo, secondo la espressione di Ignazio di Antiochia, il corpo dei cristiani è gettato nel solco della tomba, per lasciarvi alla corruzione la forma del primo Adamo con il suo peso e le sue infermità; ma per virtù del nuovo Adamo, che lo riforma a propria immagine, dalla tomba uscirà tutto celeste, spiritualizzato, agile, impassibile e glorioso. Onore a Colui che volle morire come noi, per distruggere la morte e fare della sua vittoria la nostra vittoria.

 

Una volta la Chiesa non escludeva l’Alleluia nelle funzioni funebri dei suoi figli ed esprimeva con esso la sua allegrezza, che trova il motivo nella speranza che una morte santa ha assicurato al cielo un nuovo eletto, anche se il cristiano, per il quale la prova della vita è terminata, debba per qualche tempo prolungare la sua espiazione. L’adattamento della Liturgia dei morti ai riti degli ultimi giorni della Settimana santa modificò l’uso antico e parve allora che la Sequenza, sviluppo festivo e all’origine seguito dell’Alleluia, non potesse conservare il suo posto nella Messa per i defunti. Roma tuttavia, a questo riguardo faceva una eccezione alle regole tradizionali, in favore del poema attribuito (a torto) a Tommaso da Celano. Il Dies irae cantato in Italia fin dal secolo XIV, nel XVI fu adottato da tutta la Chiesa.

[…]

La voce del giudice

Il Purgatorio non è eterno e la sentenza del giudizio particolare, che segue subito la morte, varia in modo infinito quanto alla durata. Può durare per secoli per anime particolarmente colpevoli o per anime, che, essendo escluse dalla comunione della Chiesa cattolica, restano prive dei suffragi della Chiesa stessa, sebbene la misericordia di Dio le abbia strappate all’inferno. Tuttavia la fine del mondo e di quanto esiste nel tempo deve porre fine all’espiazione temporanea e Dio saprà conciliare la sua giustizia e la sua grazia per la purificazione degli ultimi uomini e supplire con l’intensità della pena espiatrice a quanto potrebbe mancare nella durata. Per quanto riguarda il corpo la sentenza del giudizio particolare è sospensiva e dilatoria e lascerà il corpo del giusto come quello del reprobo alla comune sorte della tomba. Il giudizio finale invece avrà carattere definitivo e registrerà per il cielo o per l’inferno soltanto sentenze assolute, immediatamente e totalmente esecutorie. Viviamo dunque nell’attesa dell’ora solenne in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio. Colui che deve venire verrà, non può tardare, ci ricorda il Dottore delle genti (Ebr 10,37; Ab 2,3). Il suo giorno verrà all’improvviso come un ladro, ci dicono come lui (1Ts 5,2) il Principe degli Apostoli (2Pt 3,10) e Giovanni, il prediletto (Ap 16,15) facendo eco alla parola del Signore stesso (Mt 24,43): come il lampo esce dall’oriente e brilla già fino all’occidente, così sarà l’arrivo del Figlio dell’uomo (ivi 27).

 

Facciamo nostri i sentimenti che ispira l’Offertorio dei defunti. Sebbene l’eterna beatitudine resti finalmente assicurata alle anime purganti ed esse abbiano di questo coscienza, il cammino, ancora più o meno lungo, che le conduce al cielo, si apre tuttavia nel pericolo di un supremo assalto diabolico e l’angoscia del giudizio. La Chiesa, estendendo la sua preghiera a tutte le tappe di questa via dolorosa, non si preoccupa di custodirne l’inizio e non ha paura di mostrarsi qui tardiva. Per Dio, che con uno sguardo solo abbraccia tutti i tempi, la tua supplica di oggi, già presente all’ora del terribile passaggio, procura alle anime il soccorso implorato. Questa supplica le segue nelle peripezie della lotta contro le potenze dell’abisso, quando Dio permette che esse pure servano la sua giustizia per espiazione, come più volte hanno sperimentato i Santi. In questo momento solenne in cui la Chiesa offre i suoi doni per l’augusto e onnipotente Sacrificio, moltiplichiamo anche noi le nostre preghiere per i defunti. Imploriamo la loro liberazione dalle fauci del leone, otteniamo dal glorioso Arcangelo, preposto al Paradiso, appoggio delle anime all’uscita da questo mondo, loro guida inviata da Dio (Antifona e Responsorio della festa di san Michele), che le conduca alla luce, alla vita, a Dio, promesso come ricompensa ai credenti nella persona di Abramo, loro padre (Gen 15,1).

 

Le tre Messe.

Abbiamo dato il solo testo della Messa per tutti i defunti e ciascuno potrà trovare nel suo messale il testo delle altre due Messe. I sacerdoti possono infatti dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all’intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti.

L’intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione e dalla confisca dei beni ecclesiastici.

Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. […]

 

Conclusione.

Ogni anima si raccoglie così nel culto delle persone più care e dei più nobili ricordi.

È la festa dei nostri cari morti e prestiamo allora l’orecchio alle loro voci, che di campanile in campanile in tutto il mondo cristiano si fa supplichevole e dolce in queste prime notti di novembre. Per tutto l’ottavario facciamo la visita delle tombe in cui riposano in pace i loro resti mortali. Preghiamo per loro e preghiamoli: non abbiamo paura di parlare con essi degli interessi che davanti a Dio loro furono cari, perché Dio li ama e, per una specie di soddisfazione alla sua bontà, le ascolta meglio, se implorano per altri, mentre la sua giustizia li mantiene in una condizione di assoluta impotenza per se stessi. Autore: Dom Prosper Guéranger

Non lasciarci O Dio, che soffri

per la morte dei tuoi amici,

non lasciarci sprofondare nella tristezza

per la morte dei nostri cari

La morte di coloro che amiamo ti pesa.

Per il Cristo in agonia per ogni uomo,

Tu soffri con chi è nella prova.

Nel Cristo risorto, tu vieni ad alleggerire

il peso insopportabile e apri i nostri occhi

allo stupore dell’amore.

Per mezzo di lui

Tu ci ripeti senza sosta:

“Seguimi!

Io sono dolce e umile di cuore,

In me troverai il riposo,

riposandoti in me

conoscerai la vera pace”.

Fr. Rogè di Taizè

 

L’eterno riposo dona loro, o Signore,

e splenda ad essi la luce perpetua.

A te si addice la lode. Signore, in Sion,

e a te sia sciolto il voto in Gerusalemme.

Ascolta la mia preghiera,

a te ritorna ogni anima mortale.

Signore, pietà, Cristo, pietà. Signore, pietà.

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