Da: “L’Evangelo come mi è stato rivelato”, di Maria Valtorta, ed. CEV

 

VOLUME VIII CAPITOLO 514


 

DXIV. Consigli sulla santità ad un giovane indeciso. Rimprovero ai cittadini di Beteron dopo la guarigione di un romano e di una giudea.

   17 ottobre 1946

 E Gesù è ancora fra i monti, seguito da gente oltre che da­gli apostoli e discepoli. Fra questi ora si trovano anche dei di­scepoli ex-pastori, forse trovati in qualche paesetto per il qua­le sono passati.
Gesù ascende da una valle verso un monte per una strada che segue coi suoi angoli la costa del monte e che è certo una strada romana, dalla inconfondibile pavimentazione e dalla ben tenuta manutenzione, riscontrabili unicamente nelle stra­de costruite e tenute in ordine dai romani. Della gente vi tran­sita, diretta a valle o dalla valle alla catena del gruppo mon­tuoso, incoronato sulle vette di paesi o città. E qualcuno, ve­dendo Gesù e chi lo segue, chiede chi è e si accoda, altri osser­vano soltanto, altri ancora crollano il capo e sogghignano.
   Un drappello di soldati romani li raggiunge con passo pe­sante e tintinnare di armi e corazze. Si voltano a guardare Ge­sù che, lasciando la via romana, sta per imboccare una via… giudaica che si dirige alla vetta dove è un paese. Una via ciot­tolosa e fangosa, perché ha piovuto, sulla quale il piede o sci­vola sui sassi o sprofonda nelle pozze. I soldati, certo diretti al­la stessa città, dopo un poco di alt si rimettono in moto, e la gente è costretta a farsi di lato sulla via molto stretta per cede­re il passo al drappello che passa rigidamente inquadrato. Qualche insulto sibila nell’aria, ma la disciplina di essere in colonna vieta ai militi di
rispondere per le rime.
   Eccoli di nuovo presso Gesù, che si è fatto di fianco per la­sciarli passare e che li guarda col suo occhio mite che pare be­nedire e carezzare con la luce delle iridi zaffiree. E i volti chiu­si dei militi si rischiarano in un ricordo di sorriso che non è schernitore, ma che anzi è rispettoso come un saluto.
   Passano. La gente si rimette in cammino dietro al Rabbi che è davanti a tutti.

 Un giovane si stacca dalla folla e raggiunge il Maestro sa­lutandolo con rispetto. Gesù ricambia il saluto.
   «Vorrei chiederti una cosa, Maestro».
   «Parla».
   «Io ti ho ascoltato per caso una mattina dopo la Pasqua presso un monte vicino alle gole del Carit. E da allora ho pen­sato che… potevo essere anche io fra quelli che Tu chiami. Ma prima di venire ho voluto sapere molto bene ciò che è necessa­rio fare e ciò che è doveroso non fare. E ho chiesto ai tuoi di­scepoli ogni volta che li incontravo. E chi mi diceva una cosa e chi l’altra. E io ero incerto, quasi spaventato, perché in una co­sa erano tutti concordi, chi con più intransigenza e chi con me­no, ed era sull’obbligo di essere perfetti. Io… Sono un povero uomo, Signore, e la perfezione è soltanto di Dio… Ti ho sentito una seconda volta… e Tu stesso dicevi: “Siate perfetti”. E mi sono sconfortato. Una terza, pochi giorni or sono, nel Tempio. E per quanto fossi severo, non mi parve che fosse impossibile divenirlo, perché… non so neppure io perché, come spiegarme­lo e spiegartelo. Ma mi pareva che, se fosse cosa impossibile, o tanto pericoloso fosse questo volerlo divenire come per farsi dèi, Tu, che ci vuoi salvare, non ce lo proporresti. Perché la presunzione è peccato. Il voler essere dèi è il peccato di Lucife­ro. Ma forse c’è una maniera per esserlo, per divenirlo senza peccare, ed è seguendo la tua Dottrina che certo è di salute. Dico bene?».
   «Dici bene. E allora?».
   «E allora ho continuato ad interrogare questo o quello. E saputo che eri a Rama, ci sono venuto. E da allora, con licen­za di mio padre, ti ho seguito. E, ecco, sempre più vorrei veni­re…».
   «E vieni dunque! Di che temi?».
   «Non so… Non so neppure io… Chiedo, chiedo… Ma sem­pre, mentre ascoltando Te mi pare facile e decido di venire, do­po, pensandoci e, peggio, chiedendo a questo e a quello, mi par troppo difficile».
   «Io ti dico come ciò avviene: è un’insidia del demonio per impedire che tu venga. Ti impaura con dei fantasmi, ti confon­de, ti fa chiedere a chi come te ha bisogno di luce… Perché non sei venuto da Me direttamente?».
   «Perché… avevo… non paura, ma… I nostri sacerdoti e rab­bi! Così duri e superbi! E Tu… Non osavo avvicinarti. Ma ad Emmaus ieri!… Oh! credo di aver capito che non devo aver paura. E ora sono qui, a chiederti ciò che vorrei sapere. Un tuo apostolo poco fa mi ha detto: “Va’ e non temere. È buono an­che coi peccatori”. E un altro: “Fallo felice con la tua confi­denza. Chi confida in Lui lo trova più dolce di una madre”. E un altro ancora: “Io non so se erro, ma ti dico che Egli ti dirà che la perfezione sta nell’amore”. Ecco, così hanno detto i tuoi apostoli, alcuni almeno, più dolci dei discepoli. Non tutti, però, perché fra i discepoli ci sono alcuni che sembrano un’eco della tua voce, ma sono troppo pochi questi. E fra gli apostoli ce ne sono alcuni che… fanno paura ad un povero uomo come io sono. Uno mi ha detto con un riso non buono: “Tu vuoi dive­nire perfetto? Non lo siamo noi che siamo i suoi apostoli, e vuoi esserlo tu? È impossibile”. Se non avessero parlato gli altri, sa­rei fuggito sconfortato. Ma tento l’ultima prova… e se anche Tu mi dirai che è impossibile…».

 «Figlio mio, e potrei essere venuto a proporre cose impossi­bili agli uomini? Chi pensi tu che sia stato a metterti in cuore questo desiderio di divenire perfetto? Il tuo stesso cuore?».
   «No, Signore. Io penso che sia stato Tu con le tue parole».
   «Non sei lontano dal vero. Ma rispondi ancora. Per te le mie parole che parole sono?».
   «Giuste».
   «Va bene. Ma voglio dire: parole di uomo o da più che di uo­mo?».
   «Oh! Tu parli come la Sapienza e più dolce e chiaro ancora. Io perciò dico che le tue sono parole più che di uomo. E non credo di dire male, se ho ben capito ciò che Tu dicevi nel Tem­pio. Perché mi è parso che Tu allora dicessi che Tu sei la stessa Parola di Dio, perciò parli da Dio».
   «Hai compreso bene e detto bene. E allora chi ti ha messo in cuore il desiderio di perfezione?».
   «Dio me lo ha messo, per mezzo di Te, sua Parola».
   «Dunque è stato Dio. Ora rifletti: se Dio, che sa le capacità degli uomini, dice loro: “Venite a Me. Siate perfetti”, segno è che sa che l’uomo, volendolo, lo può divenire. È voce antica. È risuonata la prima volta ad Abramo come una rivelazione (Genesi 17, 1), un comando, un invito: “Io sono l’Iddio onnipotente. Cammina al­la mia presenza. Sii perfetto”. Dio si manifesta perché il Pa­triarca non abbia dubbi sulla santità del comando e sulla ve­rità dell’invito. Ordina di camminare alla sua presenza perché chi cammina nella vita, convinto di farlo sotto lo sguardo di Dio, non compie male azioni. Di conseguenza si mette nella condizione di poter divenire perfetto come Dio invita a dive­nirlo».
   «È vero! È proprio vero! Se Dio lo ha detto è perché può es­ser fatto. Oh! Maestro! Come tutto si comprende quando Tu parli! Ma allora perché i tuoi discepoli, e anche quell’apostolo, rendono un’idea così… paurosa della santità? Non credono for­se vere quelle parole e le tue? O non sanno camminare alla pre­senza di Dio?».
   «Non pensare a ciò che è. Non giudicare.

 ‘Vedi, figlio. Talo­ra la stessa loro brama di essere perfetti e la loro umiltà dà lo­ro la tema di non poterlo mai divenire».
   «Ma allora il desiderio di perfezione e l’umiltà sono ostacoli a divenire perfetti?».
   «No, figlio. Il desiderio e l’umiltà non sono ostacoli. Biso­gna anzi sforzarsi di averli profondi, ma ordinati. Sono ordi­nati quando non hanno frette inconsulte, accasciamenti senza ragione, dubbi e sfiducie quali quelle di credere che, data la imperfezione dell’essere, l’uomo non possa divenire perfetto. Tutte le virtù sono necessarie, e lo è un vivo desiderio di giun­gere alla giustizia».
   «Sì. Questo me lo dicevano anche quelli che ho interrogato. Mi dicevano che è necessario avere le virtù. Però chi mi diceva necessaria questa e chi quella, e tutti sostenevano la assoluta necessità di avere quella, che essi dicevano come virtù indi­spensabile per essere santi. E ciò mi impauriva, perché come si può avere tutte le virtù in forma perfetta, farle nascere insieme come un fascio di fiori diversi? Ci vuole tempo… e la vita è così breve! Tu, Maestro, spiegami quale è la virtù indispensabile».
   «È la carità. Se amerai sarai santo, perché dall’amore per l’Altissimo e per il prossimo vengono tutte le virtù e tutte le opere buone».
   «Sì? Così è più facile. La santità allora è amore. Se io ho la carità ho tutto… La santità è fatta di questo». 
   «Di questo e delle altre virtù. Perché la santità non è essere soltanto umili, o soltanto prudenti, o soltanto casti e così via. Ma è essere virtuosi.

 ‘Vedi, figlio mio, quando un ricco vuol fa­re un pranzo ordina forse un solo cibo? Ancora: quando uno vuol fare un mazzo di fiori da offrirsi in omaggio prende forse un sol fiore? No, non è vero? Perché, anche se mettesse sulle ta­vole mucchi e mucchi di una sola vivanda, i suoi commensali lo criticherebbero come ospite incapace, che si preoccupa sol­tanto di mostrare la sua possibilità di acquisto, ma non di mo­strare la sua finezza di signore che si preoccupa dei gusti di­versi dei suoi invitati e vuole che ognuno, o con questo o con quel cibo, si sazi non solo, ma goda. E così chi fa un mazzo di fiori. Un sol fiore, per quanto grande, non fa un mazzo. Ma molti fiori lo fanno, e con i diversi colori e profumi appagano l’occhio e l’olfatto e fanno lodare il Signore. La santità, che dobbiamo considerare come un mazzo di fiori offerto al Signo­re, deve essere formata di tutte le virtù. In uno spirito predo­minerà l’umiltà, in un altro la fortezza, in un altro la continen­za, in un altro la pazienza, in un altro lo spirito di sacrificio o di penitenza, tutte virtù nate all’ombra della pianta regale e profumatissima dell’amore, i cui fiori predomineranno sempre nel mazzo; ma tutte le virtù compongono la santità».
   «E quale deve coltivarsi con più cura?».
   «La carità. Te l’ho detto».
   «E poi?».
   «Non c’è un metodo, figlio mio. Se tu amerai il Signore, Egli ti darà i suoi doni, ossia si comunicherà a te, e allora le virtù, che tu cerchi di far crescere robuste, cresceranno sotto il sole della Grazia».
   «In altre parole, nell’anima amante è Dio che opera grande­mente?».
   «Sì, figlio. È Dio che opera grandemente, lasciando che l’uomo metta di suo la sua libera volontà di tendere alla perfe­zione, i suoi sforzi nel respingere le tentazioni per mantenersi fedele al suo proposito, le sue lotte contro la carne, il mondo, il demonio, quando lo assalgono. E ciò perché il suo figlio abbia merito nella sua santità».
   «Ah! ecco! Allora è molto giusto dire che l’uomo è fatto per essere perfetto come Dio vuole. Grazie, Maestro. Ora so. E ora farò. E Tu prega per me».
   «Ti terrò nel mio cuore. Va’ e non temere che Dio possa la­sciarti senza aiuto».
   Il giovane si separa da Gesù contento…

 Sono ormai prossimi al paese. Bartolomeo insieme a Stefa­no raggiunge Gesù per raccontargli che, mentre Egli parlava col giovane, uno di Beteron, parente di Elchia il fariseo, è ve­nuto a pregarli di condurlo subito presso la moglie morente. 
   «Andiamo. Parlerò dopo. Sapete dove sta?». 
   «Ha lasciato con noi un servo. È dietro, con gli altri». 
   «Fatelo venire e affrettiamo il passo».
   Il servo accorre. Un robusto vecchio costernato. Saluta e sogguarda Gesù, che gli sorride domandando: «Di che muore la tua padrona?».
   «Di… Doveva avere un bambino. Ma gli è morto in seno e il suo sangue si è corrotto. Delira come una pazza e deve morire. Le hanno aperto le vene per far scendere la febbre. Ma il san­gue è tutto avvelenato e deve morire. L’hanno calata nella ci­sterna per spegnere l’ardore. Sta basso finché è nell’acqua ge­lata. Poi è più forte di prima, e tossisce, tossisce… e deve mori­re».
   «Sfido io! Con certe cure!», brontola fra i denti Matteo. 
   «Da quando è malata?».

 Il servo sta per rispondere quando arriva, correndo per la discesa, il capo del manipolo romano.
Si ferma davanti a Gesù.
   «Salve! Tu sei il Nazareno?». 
   «Lo sono. Che vuoi da Me?».
   I seguaci di Gesù accorrono credendo chissà che…
   «Un giorno un nostro cavallo colpì un fanciullo ebreo e Tu lo guaristi per impedire che gli ebrei schiamazzassero contro di noi (Vedi Vol 2 Cap 115). Ora le pietre ebree hanno fatto cadere un soldato ed egli giace con la gamba rotta. Non posso fermarmi. Sono di servi­zio. Nessuno in paese lo vuole. Camminare non può. Non posso trascinarmelo dietro con la gamba rotta. So che non ci disprez­zi come fanno tutti gli ebrei».
   «Tu vuoi che Io guarisca il soldato?».
   «Sì. Hai guarito anche il servo del Centurione e la bambina di Valeria. Hai salvato Alessandro dall’ira dei tuoi compatrioti. Queste cose si sanno, in alto e in basso».
   «Andiamo dal soldato».
   «E la mia padrona?», chiede il servo malcontento.
   «Dopo».
E Gesù cammina dietro al graduato, che divora la via con le sue lunghe gambe nerborute e libere da impacci di vesti. Ma, anche camminando così, davanti a tutti, trova il modo di dire qualche parola a chi lo segue per primo, e che è Gesù, e dice: «Ero con Alessandro un tempo. Egli ti… Parlava di Te. Il caso mette Te presso me in questo momento».
   «Il caso? Perché non dire Dio? Il vero Dio?».
   Il soldato tace qualche momento e poi dice, in modo che Gesù solo senta: «Il vero Dio sarebbe quello ebreo… Ma non si fa amare. Se è come gli ebrei! Neanche di uno ferito hanno pietà…».
   «Il vero Dio è il Dio degli ebrei come dei romani, dei greci, degli arabi, dei parti, sciti, iberi, galli, celti, libici ed iperborei. Non vi è che un Dio. Ma molti non lo conoscono, altri lo cono­scono male. Se lo conoscessero bene, sarebbero tutti fra loro come fratelli e non vi sarebbero soprusi, odi, calunnie, vendet­te, lussurie, furti e omicidi, adulterii e menzogne. Io conosco il vero Dio e sono venuto per farlo conoscere».
   «Si dice… Noi dobbiamo aver sempre le orecchie in ascolto per riferire ai centurioni e questi al Proconsole. Si dice che Tu sei Dio. È vero?».
   Il milite è molto… preoccupato nel dire que­sto. Guarda Gesù da sotto l’ombra del suo elmo, e pare quasi pauroso.
   «Lo sono».
   «Per Giove! È dunque vero che gli dèi scendono a conversa­re con gli uomini? Aver girato tutto il mondo dietro le insegne e venire qui, già vecchio, a trovare un dio!».
   «Il Dio. Unico. Non un dio», corregge Gesù.
   Ma il soldato è annichilito dall’idea di precedere un dio… Non parla più… Pensa. 

 Pensa finché proprio all’ingresso del paese trovano fermo il drappello intorno al ferito che geme per terra.
   «Ecco! », dice molto concisamente il graduato.
Gesù si fa largo e si appressa. La gamba, spezzata mala­mente, sta col piede girato all’interno ed è già gonfia e livida.
L’uomo deve soffrire molto e, vedendo che Gesù stende una mano, supplica: «Fammi poco male! ».
   Gesù sorride. Tocca appena con la punta delle dita là dove il cerchio livido del trauma indica la frattura. E poi dice:    «Alza­ti! ».
   «Ma ha una seconda rottura più su, nell’anca», spiega il graduato volendo certo dire: «Non tocchi quella?».
   In quel mentre ecco un cittadino di Beteron: «Maestro, Maestro! Ti perdi con dei pagani, e mia moglie muore! ».
   «Va’ e conducimela».
   «Non posso. È dissennata!».
   «Va’ e conducimela, se hai fede in Me».
   «Maestro, non la si tiene. È nuda e non si può vestire. È fol­le e si lacera le vesti. È morente e non si regge».
   «Va’ e conducimela, se non sei inferiore nella fede a questi gentili».
   L’uomo va via malcontento.

 Gesù guarda il romano steso ai suoi piedi: «E tu sai aver fede?».
   «Io sì. Che devo fare?».
   «Alzarti».
   «Bada, Camillo, che…», sta dicendo il graduato. Ma il sol­dato è già in piedi, agile, risanato.
   Gli israeliti non gridano osanna.
   Non è un ebreo il guarito. Anzi sembrano malcontenti, o per lo meno con un viso che esprime critica all’atto di Gesù. Ma i soldati non lo sono. E snudano le corte e larghe daghe e le alzano nell’aria bigia dopo averle battute sugli scudi come per fare un rumore di festa. Gesù è in mezzo al cerchio di lame.
   Il graduato lo guarda. Non sa come esprimersi, cosa fare, lui, uomo presso un dio, lui, pagano presso Dio… Pensa e trova che almeno deve fare a Dio ciò che farebbe al Cesare. E ordina il saluto militare all’imperatore (almeno credo che sia così, perché sento risuonare un «Ave!» potente, mentre le lame ba­lenano mettendosi quasi orizzontali in cima al braccio teso). E, non contento ancora, il graduato dice sottovoce: «Va’ tranquil­lo anche di notte. Le strade… tutte sorvegliate. Servizio contro i ladroni. Sarai sicuro. Io…». Si arresta. Non sa che dire più.
   Gesù gli sorride dicendo: «Grazie. Va’ e sii buono. Anche coi ladroni sii umano. Fedele al tuo servizio ma senza crudeltà. Sono degli infelici. E dovranno rendere conto del loro operato a Dio».
   «Lo sarò. Salve! Vorrei vederti ancora…».
   Gesù lo guarda fisso fisso. Poi dice: «Ci rivedremo. Su un altro monte». E torna a ripetere: «Siate buoni. Addio».
   I soldati si rimettono in marcia.

 10Gesù entra nel paese. Fa pochi metri e poi, incontro a Lui e a chi lo segue, vede venire un gruppo numeroso e urlante commenti. E dal gruppo si stac­cano un uomo e una donna – l’uomo di prima – e si curvano davanti a Gesù: la donna in ginocchio, l’uomo soltanto curvo.
   «Alzatevi e lodate il Signore. Però devo dire a te, uomo, che la tua coscienza non è limpida. Ti sei rivolto a Me per egoismo, non per amore di Me e per fede in Me. E della mia parola hai dubitato. E chi sono lo sai! Poi hai avuto un pensiero non buo­no perché Io mi fermavo a guarire un gentile, così come tutto il paese aveva avuto un atto non buono rifiutando di accogliere il ferito. Per un eccesso di misericordia e per cercare di fare buono il tuo cuore, Io ti ho guarito la sposa senza entrare da te. Non lo meritavi. L’ho fatto per mostrarti che non occorre che Io vada, per fare. Basta che Io voglia. Ma in verità dico, a voi tutti, che coloro che voi sprezzate sono migliori di voi e sanno credere nella mia potenza più di voi. Alzati, o donna. Tu non sei colpevole perché in te non era ragione. Va’ e sappi credere d’ora innanzi per riconoscenza al Signore».
   L’espressione degli abitanti si fa fredda e altera sotto il rimprovero di Gesù. Lo seguono immusoniti fino alla piazza dove si ferma a parlare, visto che il sinagogo non lo invita ad entrare nella sinagoga, né nessuna casa si apre al Maestro.

 11«Quando Dio è con gli uomini, tutto possono gli uomini contro la sventura, quale che sia il suo nome. Quando Dio, all’opposto, non è con gli uomini, nulla essi possono contro la sventura. Questa città, nelle sue cronache (che per le parti qui citate sono in: Giosuè 10, 8-11; 1 Maccabei 3, 13-­24), ricorda più di una volta questa cosa. Dio era con Giosuè e Giosuè sconfisse i re cananei, e su questa via Dio lo aiutò a distruggere i nemici di Israele “mandando sopra di loro dal cielo delle grosse pietre, e ne perirono più per le pietre della grandine che per la spada”, si legge nel libro di Giosuè. Dio era con Giuda Maccabeo, il quale si affacciò su questo colle col suo piccolo esercito a guar­dare l’esercito potente di Seron, capo delle milizie siriane, e Dio avvalorò le parole del duce d’Israele con una vittoria stre­pitosa.
   Ma la condizione necessaria per avere Dio con noi è l’agi­tarsi per un motivo di giustizia. “Nelle battaglie la vittoria non dipende dal numero ma dall’aiuto che viene dal Cielo”, dice il Maccabeo. In tutte le cose della vita il bene viene non dal cen­so, dalla potenza o da altra causa, ma dall’aiuto che viene dal Cielo. E viene perché si chiede aiuto per cose buone. “Per le nostre vite e le nostre leggi”, dice ancora il Maccabeo. Ma quando si ricorre a Dio per fine malvagio o impuro, vano è in­vocare il suo aiuto. Dio non risponderà, o risponderà con casti­ghi in luogo che con benedizioni.
   Questa verità è troppo dimenticata adesso in Israele. E si vuole Dio in aiuto e lo si invoca per fini non buoni. E non si praticano le virtù, e si osservano i comandamenti non con ve­rità di osservanza. Ossia di essi si fa ciò che può esser visto e lodato dagli uomini. Ma altro è ciò che avviene dietro l’appa­renza. Io vengo a dire: siate sinceri nelle vostre azioni, perché Dio vede ogni cosa e inutili sono i sacrifici, vane le preghiere se fatte per pura ostentazione di culto mentre il cuore è pieno di peccato, di odio, di desideri malvagi.

 12Beteron, non fare nei tuoi abitanti ciò che Abdia dice di Edom. Edom, credendosi sicuro, si permetteva di opprimere Giacobbe e di gioire delle sue disfatte. Non fare così, città sa­cerdotale. Prendi e medita il rotolo d’Abdia (che è il più corto dei libri profetici: un solo capitolo di 21 ver­setti). Medita. Medita. Medita. E cambia la tua via. Segui giustizia se non vuoi cono­scere giorni d’orrore. Non ti salverà allora né esser su questa cima, né l’essere, in apparenza, fuor dalle vie di guerra. Io vedo in te molti che non hanno Dio con loro e che non vogliono Dio. Mormorate? Io vi dico la verità. Sono salito sin qui per dirvela. Per salvarvi ancora.
   Non era un nome solo il nostro? Non era tutto Israele? Per­ché dunque si è diviso e ha preso due nomi? Oh! che veramente questo mi ricorda il matrimonio di Osea (1) con la donna di prosti­tuzioni e ai figli nati da lei che ha fornicato. Ma cosa dice il profeta? (Osea 2, 1-2) “Il numero dei figli di Israele sarà come la rena del mare… E allora invece di dir loro: ‘Non siete il mio popolo’, sarà loro detto: ‘Voi siete i figli del Dio vivente’. E i figli di Giu­da e d’Israele si riuniranno insieme e eleggeranno un sol capo e saliranno dalla Terra perché grande è il giorno di Iezrael”. 
Oh! ma perché allora criticate Colui che deve tutto riunire e fare un sol popolo, un grande popolo, unico, così come unico è Dio, di amare tutti i figli dell’uomo, perché tutti figli di Dio, e che deve fare figli del Dio vivente anche quelli che al presente paiono dei morti? E potete giudicare le mie azioni e il loro cuo­re e il vostro? Da dove vi viene la luce? La luce viene da Dio. Ma se Dio manda Me col compito di riunire tutti sotto un solo scettro, come potete avere voi una luce, che sia veramente divi­na, che vi mostri le cose contrariamente a come le vede Iddio? Eppure voi vedete contrariamente a ciò che vede Iddio.
   Non mormorate. È verità. Voi siete fuori dalla giustizia. Ma ancor più di voi sono quelli che vi seducono all’ingiustizia. E saranno doppiamente puniti. Mi accusate di fornicare col ne­mico, con il dominatore. Leggo nei vostri cuori. Ma voi non fornicate con Satana facendovi seguaci di quelli che combatto­no il Figlio dell’uomo, il Messo di Dio? Ecco che mi odiate. Ma Io conosco il volto di chi vi istilla l’odio.
Come è detto in Osea, Io sono venuto con le mani cariche di doni e il cuore d’amore, ho cercato di attrarvi con tutte le ma­niere più dolci per farmi amare. Ho parlato al mio popolo co­me sposo a sposa, offrendogli un eterno amore, e pace, e giusti­zia, misericordia. Un’ora ancora resta per impedire al popolo che mi respinge, ai capi che sobillano il popolo – Io li conosco – di rimanere senza re, principe, sacrificio e altare. Ma presso la tana, dove più forte è l’odio e più forte sarà il castigo, ecco che si lavora a comperare le coscienze per avviarle al delitto. Oh! che in verità coloro che sviano e traviano le coscienze sa­ranno giudicati sette volte sette più severamente dei traviati.
   Andiamo. Sono venuto e ho fatto un miracolo e vi ho detto la verità per persuadervi chi Io sono. Ora me ne vado. E se fra voi c’è uno solo che sia giusto mi segua, perché triste è il futuro di questo luogo dove si annidano le serpi per sedurre e tradi­re».
   E Gesù si volge, riprendendo la strada per la quale è venu­to.

 13«Perché, o Rabbi, hai loro parlato così? Ti odieranno», gli chiedono gli apostoli.
   «Non cerco conquistare amore coi patteggiamenti, con la menzogna».
   «Ma non era meglio non venire?».
   «No. Vi è bisogno di non lasciare dubbio alcuno». 
   «E chi hai convinto?».
   «Nessuno. Per ora nessuno. Ma presto qualcuno dirà: “Non possiamo maledire alcuno perché fummo avvisati e non facem­mo”. E, se rimprovereranno Iddio di colpirli, il loro rimprovero sarà come una bestemmia».
   «Ma a chi volevi alludere dicendo…».
   «Chiedetelo a Giuda di Keriot. Egli conosce molti di questo luogo e conosce le loro astuzie».
   Tutti gli apostoli guardano Giuda.
   «Sì. Il luogo è quasi servo di Elchia. Ma… non credo che El­chia …», le parole muoiono sulle labbra di Giuda che, alzando lo sguardo dalla sua cintura che si aggiustava per darsi un contegno, incontra lo sguardo di Gesù. Uno sguardo tanto sfa­villante e penetrante da sembrare persino magnetico. Abbassa il capo e termina: «Certo però è un paese superbo ed esoso, de­gno di chi lo domina. Ognuno ha ciò che merita. Essi hanno Elchia. Noi Gesù. E il Maestro ha fatto bene a far loro sapere che sa. Molto bene».
   «Cattivi certo sono. Avete visto? Neanche un saluto dopo il miracolo! Neanche un obolo! Nulla», osserva Filippo.
   «Io però tremo quando il Maestro li smaschera così», sospi­ra Andrea.
   «Farlo o non farlo è uguale. Lo odiano allo stesso modo. Vorrei tornare in Galilea io! », dice Giovanni.
   «In Galilea! Già!», sospira Pietro e abbassa la testa molto pensieroso.
   Dietro, coloro che hanno seguito Gesù e non lo lasciano, commentano, commentano insieme ai discepoli.

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