Amore e solitudine

N. 41

Amore e solidutine

Miei cari Amici,

un’anima d’orazione, vivamente cosciente della trascendenza
divina, e della solitudine in cui essa ci immerge, mi ha detto:
“Nell’ora della morte sarò sola di fronte a Dio: cerco di abituarmi
a questo fin da quaggiù.”
Anch’io ho pensato a lungo che nell’ora della morte saremo
inesorabilmente soli… per scoprire oggi che avevo torto: scrivo
questa lettera per spiegarmi!
Non appena l’anima si separa dal corpo, evidentemente, non è
più sola: è in presenza della Corte celeste, in particolar modo del-
la Santa Vergine, dell’Angelo custode, del nostro santo patrono,
ecc. Sono presenti anche le anime del Purgatorio e, per i repro-
bi… i demoni!
Ma ciò che chiamiamo morte corrisponde piuttosto agli ultimi
istanti della nostra vita, generalmente definiti agonia, con tutte le
sue sofferenze fisiche e morali. È soprattutto in quel momento
che pensavo sarei stato solo. Ma, rileggendo il Vangelo e la Bib-
bia, ho scoperto il mio errore…
“Ai piedi della Croce stavano Maria e il discepolo che Gesù
amava.” La Chiesa è rimasta affascinata da queste parole e da se-
coli canta lo Stabat Mater per contemplare la Compassione di Ma-
Lettera n.41

ria, in occasione della Settimana Santa e della festa della Madon-
na dei Sette Dolori. La Chiesa è talmente consapevole
dell’importanza di questa presenza da richiederla con insistenza
nella salutazione angelica: “Prega per noi peccatori, adesso e
nell’ora della nostra morte.”

Maria conta così tanto per Gesù che, in quell’ora suprema, le
rivolge ancora la parola, così come a Giovanni: “Donna, ecco tuo
Figlio… ecco tua madre.” Parla anche al Buon Ladrone (che dun-
que non è morto “solo”): “Questa sera sarai con me in Paradi-
so.” Se Gesù si lamenta della solitudine, lo fa piuttosto con il Pa-
dre: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”
Tutto questo sconvolge le nostre corte vedute sulla solitudine
e sulla morte. La Chiesa ci offre San Giuseppe come patrono del-
la buona morte. Giuseppe non è morto solo davanti all’infinito
metafisico, ma “circondato” da Maria e da Gesù, il Verbo Incar-
nato in Persona. Maria era una creatura, e anche Gesù nella sua
umanità: questo è il modello della “buona morte,” quella che noi
dobbiamo domandare.
È un po’ come se Dio, in quell’istante critico, volesse quasi
scusarsi d’essere infinito, e volesse offrirci i limiti della creatura
per proteggerci da quella voragine intollerabile. Dipende solo da
noi approfittarne, volgendoci verso Maria e l’umanità di Gesù. Se
ce lo propone la Chiesa, ce lo propone anche Dio. E Dio non
propone niente per ridere: la Chiesa circonda i morenti cantando
“Parti, anima cristiana…” con la gioia silenziosa e raggiante della
casa dei moribondi di Madre Teresa!
Già nell’Antico Testamento, certe morti sono solidali molto
più che solitarie. Nel Libro dei Martiri d’Israele, ad esempio, una
madre esclama: “Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno
nove mesi, che ti ho allattato per tre anni… Non temere questo

Amore e solitudine

carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la mor-
te, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno
della Misericordia.” Immagine di tanti altri nella Chiesa, a comin-
ciare dalle Carmelitane di Compiègne che si presentarono in
gruppo al patibolo cantando il Veni Creator.
Teresa del Bambino Gesù proclama, molto meglio di quanto
sappia fare io:

Come si può dire che sia più perfetto allontanarsi
dai propri cari? Si è mai rimproverato a dei fratelli di
combattere sullo stesso campo di battaglia, si è mai
fatto loro rimprovero di volare insieme per cogliere
la palma del martirio? Senza dubbio si è giudicato
con ragione che essi si facevano coraggio a vicenda,
ma altresì che il martirio di ciascuno diventava il
martirio di tutti. Così accade nella vita religiosa che i
teologi chiamano un martirio. Dandosi a Dio, il
cuore non perde la sua tenerezza naturale, anzi, que-
sta tenerezza cresce divenendo più pura e più divi-
na. (Storia di un’anima, 283)

Così, noi non siamo mai soli di fronte a Dio… se non appunto
a causa del peccato: è il peccato che ci isola, non la trascendenza
divina. Certo, le creature possono allontanarci da Dio, e Gesù ci
avverte: “Se qualcuno non odia… Non sono venuto a portare la
pace ma la spada: il padre contro il figlio, ecc…” Ma ciò che biso-
gna odiare, e talora fino al sangue, è il peccato degli altri, non la
loro anima.

Dio è l’unica Fonte a cui dobbiamo bere per saziare la sete del
nostro cuore, Fonte del fuoco che Gesù è venuto a portare sulla
terra e dell’amore che deve regnare tra noi. Questo amore è la
Lettera n.41

nostra sola beatitudine, non bisogna cercarne un’altra, e si deve
sacrificare tutto per raggiungerlo (“Se il tuo occhio ti scandalizza,
ecc.”).
Teresa conferma:
“Ecco il maestro che ti do, ti insegnerà tutto
quello che devi fare. Voglio farti leggere nel libro di
vita ov’è contenuta la scienza di Amore [Parole di
Gesù a Santa Margherita Maria]. La scienza
d’Amore, oh sì! La parola risuona dolce all’anima
mia, desidero soltanto questa scienza. Per essa, a-
vendo dato tutte le mie ricchezze, penso, come la
sposa dei cantici, di non aver dato nulla. (241)

E insiste:
Il mio cuore sensible e affettuoso si sarebbe dato fa-
cilmente se avesse trovato un cuore atto a capirlo…
Come ringrazio Gesù di avermi fatto trovare “sol-
tanto amarezze nelle amicizie della terra!” Con un
cuore come il mio, mi sarei lasciata prendere e ta-
gliare le ali, allora in qual modo avrei potuto “volare
e riposarmi?” Un cuore abbandonato agli affetti del-
le creature, come può unirsi intimamente con Di-
o?… Sento che questo non è possibile. Senza aver
bevuto alla coppa avvelenata dell’amore troppo ar-
dente delle creature, sento che non posso ingannar-
mi; ho visto tante anime sedotte da questa falsa luce,
volare come povere farfalle e bruciarsi le ali, poi ri-
tornare verso la vera, dolce luce dell’amore che dava
ad esse nuove ali più brillanti e più leggere affinché
potessero volare verso Gesù, il Fuoco Divino “che

Amore e solitudine

brucia senza consumare” [San Giovanni della Cro-
ce]. Ah, lo sento, Gesù mi sapeva troppo debole per
espormi alla tentazione! Forse mi sarei lasciata bru-
ciare tutta dalla luce ingannatrice se l’avessi vista brilla-
re ai miei occhi… Non è stato così: ho incontrato so-
lamente amarezza là dove anime più forti incontra-
no la gioia e se ne distaccano per fedeltà. Io non ho
dunque alcun merito per non essermi abbandonata
all’amore delle creature, poiché da esso fui preserva-
ta solo per la grande misericordia del Signore! Rico-
nosco che, senza di Lui, avrei potuto cadere in bas-
so quanto Santa Maddalena. (118-119)

Tutto questo è chiaro… o almeno ci sembra tale, ma è una
chiarezza pericolosa che corriamo sempre il rischio di irrigidire e
perciò di tradire. Perché, lungi dal separarci, questo amore esclu-
sivo ci unisce, secondo il dogma della comunione dei santi: “A-
matevi gli uni gli altri come io vi ho amati: è da questo segno che
si riconosceranno i miei discepoli.”
Così l’amore di una creatura, se viene da Dio, può essere sacro
quanto Dio stesso: come si può disprezzare la dolcezza della co-
munione dei santi? E tuttavia questo amore così umano è tal-
mente divino che è inaccessibile ai nostri cuori duri, impermeabili
alla dolcezza ineffabile di Gesù. Rifiutando di amare quelli che
Dio ama come Lui li ha amati, noi crocifiggiamo questo Cuore
“che ha tanto amato gli uomini e non ha ricevuto in ricompensa
che la loro ingratitudine e il loro disprezzo.”
Teresa riconosce di aver capito queste parole solo l’ultimo an-
no della sua vita: ha dovuto attendere ventitré anni! La sola pos-
sibilità di arrivarci a nostra volta, è che il nostro cuore di pietra
sia sostituito da un cuore di carne, grazie a delle operazioni divi-
ne che San Giovanni della Croce presenta come orribili, ma che

Lettera n.41

possono diventare dolci se sappiamo consacrarci alla Santa Ver-
gine… come assicura Grignion de Montfort.
Per tutta la sua vita Teresa ha cantato questa dolcezza. Se ac-
cettiamo di lasciarci affascinare da essa, otterremo forse di entra-
re nella via di cui Gesù ha detto: “Il Regno dei Cieli appartiene ai
bambini e a chi è come loro… Ti benedico, o Padre, perché hai
tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai
rivelate ai piccoli… Imparate da Me, che sono mite e umile di
cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infat-
ti, è dolce e il mio carico leggero.” Dice Teresa:

Quest’anno, cara Madre, il Signore mi ha concesso
la grazia di capire che cosa è la carità; prima lo capi-
vo, è vero, ma in modo imperfetto, non avevo ap-
profondito queste parole di Gesù: “Il secondo co-
mandamento è simile al primo…” Nell’ultima cena,
quando egli sa che il cuore dei suoi discepoli brucia
ancor più di amore per lui che si è dato ad essi
nell’ineffabile mistero della Eucarestia, questo dolce
Salvatore vuole dare un comandamento nuovo. Dice
loro con tenerezza inesprimibile: “Vi do un coman-
damento nuovo, di amarvi reciprocamente; come io
ho amato voi, amatevi l’un l’altro.” (288)

A questo punto, Teresa sottolinea che Gesù non ha amato i
suoi discepoli a causa delle loro qualità naturali (“C’era tra loro e
Lui una distanza infinita”), e aggiunge:

Ho visto che non amavo le mie sorelle come le ama
Dio… ma soprattutto ho capito che la carità non de-
ve restare affatto chiusa nel fondo del cuore… non
basta amare, bisogna dimostrarlo… Dico che è diffi-

Amore e solitudine

cile, piuttosto dovrei dire che sembra difficile, per-
ché il giogo del Signore è soave e leggero; quando lo
si accetta, sentiamo subito la sua dolcezza… Non
basta dare a chiunque mi chieda qualche cosa, biso-
gna che io vada incontro ai desideri, che mi mostri
molto grata ed onorata di rendermi utile, e se pren-
dono una cosa a mio uso, non debbo mostrare di
rimpiangerla, ma al contrario sembrar felice di es-
serne sbarazzata. (289-298)

E ancora:
C’è un modo così garbato di rifiutare quello che non
si può fare, che il rifiuto fa piacere quanto il dono…
su questa via non c’è che il primo passi che costi…
Oh, gli insegnamenti di Gesù come sono contrari ai
sentimenti della natura! Senza il soccorso della sua
grazia sarebbe impossibile non solamente metterli in
pratica, bensì anche capirli. (301)

Teresa parla dall’alto di una vetta dove l’amore di Dio e del
prossimo sono tutt’uno, e il secondo comandamento diventa si-
mile al primo. Ma non appena si scende dalle altezze in cui Tere-
sa si librava al termine della sua vita, la concupiscenza carnale dei
cuori umani entra in conflitto con l’amore di Dio e diventa
un’impurità. Ma, a questo proposito, devo denunciare un tranello
terribile che minaccia i nostri cuori di pietra… tranello in cui ca-
dono tanti cristiani, persino tra i religiosi e le religiose. È un tra-
nello talmente infernale, talmente lontano da Teresa ch’ella non
lo sospettava nemmeno lontanamente, non immaginando (come
Gesù stesso, oso dire) che le sue parole potessero fornire un pre-
testo a tenebre così spaventose…

Lettera n.41

Gesù infatti dice: “Se amate quelli che vi amano, che merito
ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso!” E Teresa confer-
ma: “Si è naturalmente felici di fare un dono a un amico, soprat-
tutto ci piace fare delle sorprese; ma ciò non è affatto carità, per-
ché lo fanno anche i peccatori” (296).
Viene pertanto preclusa la gioia di fare dei piaceri e di ricevere
dei doni? Come direbbe San Paolo: “Absit! Lungi da me tutto
ciò!” Nella sua infanzia, Teresa non pensava a elevarsi a tali al-
tezze, e lasciava parlare il suo cuore così com’era: cuore di carne
amorevole, affettuoso, sensibile… anche troppo, come lei stessa
ammette, prima della grazia di Natale!
Dunque sì, sarebbe potuta cadere, come Maddalena, nelle
trappole dell’amore umano, se non ne fosse stata preservata. A-
vrebbe potuto conoscere la strada delle prostitute che varcheran-
no davanti a noi la porta del Regno dei Cieli, perché almeno loro
avranno lasciato parlare il loro cuore, mentre noi chiudiamo il
nostro. Per evitare i pericoli dell’amore noi ce ne proteggiamo e
questo ci preserva dalle impurità… ma ci preserva dall’amore
stesso! Il nostro cuore allora diventa gradualmente un cuore di
pietra: questo è il risultato, ahimè quanto frequente, della nostra
volontà di “perfezione,” questo è il tranello che voglio denuncia-
re in questa Lettera.

È evidente che Teresa non ha mai agito così, e che Gesù non
incoraggia in questo senso: Egli non ci rimprovera di amare quel-
li che ci amano, né di riporre la nostra gioia nelle delizie e nei
tormenti dell’amore umano. Ripeto dunque con lei: “Dandosi a
Dio, il cuore non perde la sua tenerezza naturale, anzi, questa te-
nerezza cresce divenendo più pura e più divina.”
Ma come crescerà se ne diffidiamo, se la blocchiamo con il
pretesto che è impura, che ci espone a gravi pericoli… e se, in

Amore e solitudine

questo modo, la facciamo morire? Mi baso qui sull’esempio di
tutti i santi, a cominciare proprio da Teresa bambina che si rifiuta
di salire le scale se sua madre non le offre una vera e propria litur-
gia dell’amore – egoista, infantile, impura!… Ma gradino indispen-
sabile per arrivare un giorno alla grazia di Natale. Scrive pressap-
poco Teresa (cap. 5): “Ero veramente insopportabile chiedevo in
continuazione a Maria di consolarmi, di rassicurarmi, infliggen-
dole il peso delle mie lacrime; e dopo piangevo per aver pianto.”
Quadro pietoso, ma cammino obbligato per non diventare un
cuore di pietra, e per orientarsi verso il cuore di fuoco che Gesù
ci vuol dare. Questo cuore di fuoco, Teresa lo ha presentito con
Celina molto prima che l’una e l’altra fossero purificate: “… mi
sembra che l’effusione delle nostre anime somigliasse a quella di
Santa Monica con suo figlio, quando al porto di Ostia restavano
perduti nell’estasi alla vista delle meraviglie del Creatore!… Mi
sembra che ricevessimo grazie di un ordine tanto elevato come
quelle concesse ai grandi santi.”
Questo cuore che vibra in ogni occasione senza preoccuparsi
di essere puro e neanche prudente, questo cuore che funziona a
proposito e a sproposito è il solo vero cammino della perfezione:
“Amami come sei – diceva Gesù a non so più chi – se aspetti di
essere puro, non mi amerai mai!”
Ed è quello infatti che capita a tante anime che chiudono il lo-
ro cuore in un cassetto perché ne intuiscono la bruttura ma non
la vogliono vedere e tanto meno mostrare: e così, invece, lungi
dall’essere purificato, il loro cuore di carne si incista e muore, di-
ventando segretamente un cuore di pietra.

Ci si deve allora abbandonare senza freni ai disordini della
passione? Si ha il diritto di divenire deliberatamente peccatori,
con il pretesto che le prostitute ci passeranno avanti?

Lettera n.41

Non esageriamo: lasciar parlare il proprio cuore, anche im-
prudentemente (ed è inevitabile non appena ci si rifiuta di indu-
rirsi), non espone necessariamente al peggio. Teresa riconosce
semplicemente che avrebbe potuto “bruciarsi le ali, per poi ritor-
nare verso la vera, dolce luce dell’amore” per trovarvi “nuove ali
più brillanti e più leggere per volare verso Gesù.”
E se i rischi diventano più gravi? Ebbene, mi richiamo a Gio-
vanni Paolo II “Rischio di dire uno sproposito, ma lo dico u-
gualmente: il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei
peccati gravi. Perché? Ma perché coloro che li hanno commessi
se ne pentano e diventino più umili. Non vien voglia di credersi
dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver peccato
gravemente.”9
Sì, l’orgoglio delle “angeliche” di Port-Royal è più grave di
quello dei peccatori come Gilles de Rais.10 “Preferisco i santi che
peccano (Péguy, se mi ricordo bene, prestava queste parole a Di-
o) ai peccatori che non peccano…” (e che, sottinteso, non ama-
no).
Dunque sì, preferisco peccare nella povertà tremante di chi è
umile di cuore e accetta il rischio dei peggiori disordini, ma che
rifiuta di indurirsi – per capitare forse, giunto agli estremi, nel “ri-
fugio” ambito da Teresa, se le avessero chiuso le porte del Car-
melo: un rifugio in cui le anime pure si sarebbero confuse con
quelle pentite, in uno stesso amore e in una stessa gioia sopran-
naturale.
Era questa l’intuizione di Padre Lataste quando ha fondato le
Domenicane di Betania: confondere le “riabilitanti” e le “riabili-
tate” nella coscienza di essere tutte peccatrici perdonate… Tra

9 Udienza del 6 settembre 1978.
10 Non parlo dei suoi crimini orribili, ma del suo orgoglio che seppe capitolare da-
vanti alla minaccia dell’inferno.

Amore e solitudine

queste le più pure sono le più perdonate, come Teresa proclama-
va: “In verità – diceva sul letto di morte – sono una grande pec-
catrice! Mi sembra di versare lacrime di contrizione perfetta”
(Novissima Verba, 12 Agosto).
Non c’è salvezza al di fuori di questa contrizione: la Storia di
un’anima è la storia di una grande peccatrice, così salvata fin
dall’infanzia da ricevere alla fine il privilegio di mangiare alla ta-
vola dei peccatori… e di ricevervi la corona suprema del martirio.
Se accettiamo questa prospettiva, riconoscendo che ci supera,
chiederemo aiuto e cadremo nella voragine della supplica fidu-
ciosa. Ma se pretendiamo di fare meglio a colpi di virtù, questa
virtù sarà peggio di un amore troppo umano, perché ci allontane-
rà dalla via dei piccoli, degli umili e dei peccatori, la sola per la
quale Gesù è venuto in questo mondo: “Non son venuto a
chiamare i giusti ma i peccatori.”

Terminerò con qualche riga tratta da La Lumiére crucifiée:

Dio non ha mai detto prima di Gesù Cristo: “Sto alla porta e
busso. Busso alla porta del tuo cuore, e se mi apri cenerò con te,
avrò con te un nuovo tipo d’intimità. Chi cenerà con me sarà an-
cora nell’oscurità della fede, ma potrà vivere “come se vedesse
l’invisibile.”
… A partire dalla Pentecoste, infatti, l’oscurità della fede è
sempre altrettanto assoluta, ma è abitata o “minacciata” da una
prossimità, da una pressione del Cielo che fa dell’intimità con
Dio un dono nuovo, un’intimità nuova, che i mistici cristiani de-
scrivono con termini che sono inapplicabili al di fuori di Cristo.
… Amare i nostri fratelli come Gesù li ha amati, è volere per
loro come per noi il beneficio dell’acqua viva, è dare la propria

Lettera n.41

vita perché essi ricevano a loro volta questa acqua e questo fuoco
che sono la nostra beatitudine fin da quaggiù. La carità fraterna è
una specialità cristiana, perché essa ama Gesù attraverso i nostri
fratelli: quelli che non Lo conoscono non possono amare in un
modo come questo, che trasfigura l’amore fraterno. Possono
amare gli altri, ma non in quel modo.
… Non si può dire che si ama qualcuno se non si desidera per
lui la stessa felicità che si vuole per sé. Ora il dono portato da
Gesù è la vita eterna, il Cielo, che è Gesù stesso. Non si ama il
prossimo come Gesù se non si desidera per lui questa beatitudi-
ne, e non si può desiderarla per lui se non la desideriamo in pri-
mo luogo per noi (carità ben ordinata…). Si vede bene il legame
che c’è tra l’acqua viva e l’amore fraterno, l’amore dei poveri:
Madre Teresa non mi smentirà su questo punto.
Per questo motivo Gesù nell’ultima Cena, ha compiuto il ge-
sto folle di lavare i piedi dei discepoli: “Vi ho dato infatti
l’esempio.” Gesto gratuito, gesto inutile (“Voi siete mondi”), che
canta l’amore trinitario nella follia della sua gratuità. Gesto che
lascia trasparire il fuoco che animava il cuore di Gesù, il suo de-
siderio di infiammare i discepoli al calore di quel fuoco, di abbe-
verarli alle fonti d’acqua viva di cui la vita trinitaria è il germe ma
di cui questo fuoco è la consumazione, l’esplosione finale che in-
fiammerà la terra e provocherà la Parusia.

Festa dell’Epifania 2000
Fr. M.D. Molinié, o.p.

Related Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *