LETTURE INSIEME: CRISTO NEI SUOI MISTERI_BEATO COLUMBA MARMION O. S. B._#39

LETTURE INSIEME: CRISTO NEI SUOI MISTERI_BEATO COLUMBA MARMION O. S. B._#39

VIII. – L’EPIFANIA

SOMMARIO. – Dio, luce eterna, si manifesta principalmente nell’Incarnazione. – I. La manifestazione ai Magi significa la vocazione delle nazioni pagane alla luce del Vangelo. – II. La fede dei Magi, pronta e generosa, è il modello della nostra. – III. Contegno dei Magi alla scomparsa della stella. – IV. Quanto sia profonda la loro fede a Bethlehem; simbolismo dei doni offerti al bambino Gesù; in qual modo dobbiamo imitarli.

Dio, luce eterna, si manifesta principalmente nell’Incarnazione.

Ogni volta che l’anima viene a trovarsi in un contatto un po’ intimo con Dio, essa si sente come avvolta di mistero (Ps. XCVI, 2). Questo mistero è la conseguenza inevitabile della distanza infinita che separa la creatura e il Creatore. Da ogni parte, l’essere finito è sorpassato da colui il quale, eternamente, è la pienezza stessa dell’Essere; perciò uno dei caratteri più profondi dell’Essere divino è la sua incomprensibilità e la sua invisibilità, ed è veramente una cosa singolare questa invisibilità quaggiù della luce divina.

«Dio è luce» dice S. Giovanni, la luce infinita «senza nube né tenebre». S. Giovanni ha cura di notare che questa verità costituisce uno dei fondamenti del suo Vangelo (Joan. I, 5).

Ma questa luce che ci inonda tutti della sua chiarezza, invece di rivelare Dio agli occhi dell’anima nostra, ce lo nasconde. Accade di essa come del sole: Il suo splendore medesimo impedisce di contemplarlo (I Tim. VI, 16); tuttavia questa luce è la vita dell’anima. Voi avrete osservato che nella sacra Scrittura le idee di vita e di luce sono frequentemente associate: quando il salmista vuole descrivere la beatitudine eterna di cui Dio è la sorgente, dice «che in lui si trova il principio della vita»; e subito aggiunge: «E nella tua luce noi vedremo la luce (Ps. XXXV, 9-10).

Parimenti, quando nostro Signore proclama se stesso «la luce del mondo», dice: «Colui che mi segue (e qui vi è qualche cosa di più che una semplice giusta posizione di parole) non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita» (Joan. VIII, 12). E questa luce di vita procede dalla vita per essenza che è luce (Ibid. I, 4).

La nostra vita in cielo sarà di conoscere, senza velo, la luce eterna e di gioire dei suoi splendori.

Anche quaggiù Dio largisce una partecipazione della sua luce arricchendo d’intelligenza l’anima umana (Ps. IV, 7). L’intelligenza è per l’uomo veramente una luce. Tutta l’attività naturale dell’uomo, per essere degna di lui, deve innanzi tutto essere governata da questa luce che gli mostra il bene da seguire, luce sì potente, da essere persino capace di rivelare all’uomo l’esistenza di Dio e qualcuna delle sue perfezioni. S. Paolo scrivendo ai fedeli di Roma (Rom. I. 20) dichiara colpevoli i pagani di non aver conosciuto Dio contemplando il mondo, che è opera delle sue mani. Le opere di Dio contengono un vestigio, un riflesso delle sue perfezioni e manifestano così, fino a un certo punto, la luce divina.

Vi è un’altra manifestazione più profonda e più misericordiosa fatta da Dio di se stesso: l’Incarnazione.

La luce divina, troppo sfolgorante per manifestarsi ai nostri deboli sguardi in tutto il suo splendore, si è nascosta sotto l’umanità, come dice S. Paolo (Cf. Hebr. X, 20). «Splendore della luce eterna» (Sap. VII, 26), luce zampillata dalla luce, lumen de lumine, il Verbo ha rivestito la nostra carne affinché attraverso ad essa potessimo contemplare la divinità (Prefazio della Natività).

Cristo è Iddio messo alla nostra portata, manifestantesi a noi in una esistenza autenticamente umana, mentre il velo dell’umanità impedisce allo splendore infinito e sfolgorante della divinità di accecare i nostri occhi.

Ma per ogni anima di buona volontà, vi sono raggi che si dipartono da questo uomo per manifestarci che egli è anche Dio, e quest’anima illuminata dalla fede vede gli splendori che si nascondono dietro il velo di questo Santo dei Santi. In Gesù uomo la fede trova Dio stesso e, trovando Dio, si abbevera alla sorgente della luce, della salute e della immortalità (Prefazio dell’Epifania).

Questa manifestazione di Dio agli uomini è mistero così inaudito, un’opera così piena di misericordia e costituisce uno dei caratteri così essenziali dell’Incarnazione che, nei primi secoli, la Chiesa non aveva nessuna festa per onorare in modo particolare la nascita del Salvatore a Bethlehem; essa celebrava la festa delle «Teofanie» ossia «delle manifestazioni divine» nella persona del Verbo Incarnato: manifestazione ai Magi, – sulle rive del Giordano al momento del battesimo di Gesù, – alle nozze di Cana, ove Cristo compì il suo primo miracolo. Passando dalla Chiesa di Oriente a quella di Occidente, la festa ha conservato il suo nome greco: Epifania, «manifestazione»; ma essa ha per oggetto pressoché esclusivo la manifestazione del Signore ai gentili e alle nazioni pagane nella persona dei Magi.

Voi conoscete abbastanza il racconto evangelico della venuta dei Magi a Bethlehem, racconto illustrato e volgarizzato dalla tradizione

[La maggior parte degli autori mette la venuta dei Magi dopo la presentazione di Gesù al tempio; noi seguiremo qui l’ordine indicato dalla Chiesa la quale, nella sua liturgia celebra l’Epifania al 6 gennaio e la presentazione al 2 febbraio].

Vi dico solo qualche cosa sul significato personale del mistero; riferendomi in seguito ad alcuni particolari vi accennerò qualcuno dei numerosi insegnamenti che esso contiene per la nostra pietà.

[…] CONTINUA  # 40