Le conseguenze della scristianizzazione dell’Europa
di Giulio Meotti – Il Foglio, 18 Novembre 2018
I libri di Debray e Brague e l’evidenza che l’abbandono della religione ha creato un popolo incapace di
ragionare sulla morte, e dunque sulla vita

Roma. Qual è il nostro rapporto con la morte in un’Europa scristianizzata e in cui le grandi ideologie sono finite? Se lo chiedono Régis Debray e Rémi Brague in due libri, il primo nell’Angle mort, il secondo in Sur la religion. In quello di Debray ci sono due libri in uno: il confronto fra i jihadisti e le società occidentali attraverso la relazione di ciascuno con la morte; e una riflessione sulla capacità di una civiltà – la nostra – di sopravvivere quando non crede più. “I nichilisti non sono i jihadisti, siamo noi”. Debray, l’intellettuale-guerrigliero diventato un Candido, è rimasto un progressista frustrato, transitato dal marxismo alla religione senza passare dal compromesso liberale. Débray e il medievista Brague arrivano alle stesse conclusioni, pur partendo da posizioni diverse, laiciste il primo e cattoliche il secondo. Il jihadista suicida sciocca l’occidente per un motivo preciso. “Le loro ragioni ci sfuggono, sono nel nostro punto cieco” dice Debray al Figaro. “Troviamo in loro qualcosa che ha abbandonato gli occidentali: la convinzione escatologica che permette di inserire la morte in una grande narrazione”. Brague: “E’ sbagliato attribuire la qualifica di nichilista a queste persone. E’ nella nostra storia che troviamo persone che sostengono di non credere in nulla. L’ateismo non ha nulla da dire sulla morte. Le nostre società, da Hobbes, sono basate sull’idea che dobbiamo trovare delle regole per vivere insieme e soprattutto per evitare la morte. Gli attentati jihadisti contraddicono l’idea di Hobbes e mettono in dubbio le basi della moderna filosofia politica”. Le società occidentali hanno “eliminato” la morte. Debray: “Prima, morivamo con enfasi; oggi di nascosto. Tutte le religioni rendono la morte una seconda nascita, una transizione o un palcoscenico. E’ la loro funzione, proteggere la volontà di vita, negare il nulla. E queste mitologie ci hanno fatto bene perché i morti fanno bene alla vita. Dobbiamo loro molto”. A Debray non piace la parola “decadenza”: “E’ sbagliata nel momento più gustoso, più creativo di una civiltà: il suo declino, quando tocca il ‘punto d’oro della morte’”. Si domanda Brague: “A chi paghiamo il debito? Quando c’è un debito, devi sapere a chi pagare. A questa domanda ieri è stato risposto: ciò che abbiamo ricevuto dai genitori lo passiamo ai figli. Ma le nostre società hanno un basso tasso di natalità, non si riproducono. Vivono su una flebo e si chiama immigrazione”. Due giorni fa è uscito il rapporto Global Burden of Disease pubblicato sulla rivista Lancet. Dal 1950, il tasso di fertilità nel mondo si è dimezzato, in particolare nei paesi occidentali. Lo sostiene anche Debray: “L’Europa è presa tra due civiltà. L’America da un lato, l’islam dall’altra. La tecnologia da un lato, i dati demografici dall’altro. Prima c’era un orizzonte davanti a noi e che ci ha motivato a continuare. Oggi c’è la Silicon Valley con le promesse transumaniste. E’ una speranza sufficiente per prolungare una civiltà? Non credo”. Debray scrive che “non sappiamo cosa pensare della morte, cosa farne, a cosa serva”, complice la “scristianizzazione” dell’Europa. André Malraux lo aveva già detto: “Una civiltà è tutto ciò che aggrega intorno a una religione”. Ma nel nostro angolo morto, conclude Debray, anche “l’idea stessa del futuro è in declino”, da qui il dilagare del pessimismo. “Per la prima volta la civiltà occidentale non sta più aspettando”.

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