Vittorio Messori è nato a Sassuolo (Modena) il 16 aprile del 1941 da una famiglia contrassegnata dal tradizionale anticlericalismo emiliano. Il padre Enzo (che diverrà uno dei più noti e apprezzati poeti in dialetto modenese, autore di veri best seller a livello locale), dopo tre anni nel Regio Esercito militò nella divisione Littorio della Repubblica Sociale.
Dopo l’addestramento in Germania, combattè sul fronte delle Alpi Piemontesi, per contenere i tentativi dei francesi di De Gaulle di scendere in Piemonte. Nel frattempo, la famiglia era sfollata nel Bresciano da dove, a guerra finita si trasferì a Torino. Qui, il padre trovò lavoro presso la direzione generale dell’Italgas (sulla quale riportiamo un bell’articolo dello stesso Messori), il cui presidente era ancora il senatore Alfredo Frassati, padre del beato Pier Giorgio. Così, sin dalla prima elementare, il piccolo Vittorio frequentò le scuole, ovviamente pubbliche, del centro della metropoli piemontese. Fece il ginnasio e il liceo classico al celebre D’Azeglio, i cui allievi (figli della borghesia torinese liberal e gauchiste) crearono sia la Juventus che l’editrice Einaudi.
Sempre a Torino, frequenta la facoltà di Scienze Politiche. Qui la sua formazione laica, razionalista ed agnostica si consolida a contatto con intellettuali del calibro di Luigi Firpo e Norberto Bobbio, di cui diventa allievo fedele. Si laurea nel 1965 con una tesi in storia del Risorgimento, relatore il prof. Alessandro Galante Garrone e con due “sottotesi” discusse con gli stessi Bobbio e Firpo
Poco prima, nel luglio del 1964, dopo quella che lui stesso definisce “una evidenza del cuore”, seguita alla lettura dei Vangeli, Messori si era convertito al cattolicesimo. Il racconto di quella conversione, e di quanto seguì subito dopo, è contenuto in uno splendido articolo di Francesco Cevasco, uscito sul Corriere della Sera del 29 luglio 2000.
Inizia, da allora, una ricerca appassionata delle “ragioni della ragione” a conforto delle “ragioni del cuore” che lo avevano spinto ad abbracciare la Fede. Bisognoso di conoscere quella prospettiva e quel mondo cristiano così inaspettatamente scoperti, decide di frequentare i corsi dell’Istituto di Cristologia per laici della Pro Civitate Christiana ad Assisi, dove trascorre il 1966 e il 1967, utilizzando soprattutto la grande biblioteca per le ricerche in vista del libro che intende scrivere e che sarà Ipotesi su Gesù. Terminati i corsi, nel 1968 torna a Torino, dove inizia la sua attività professionale presso la SEI, la Società Editrice Internazionale i cui inizi risalgono a don Bosco stesso. Impegnato prima in redazione, passa poi a dirigere l’Ufficio Stampa, mentre comincia la collaborazione a giornali e riviste culturali. In contrasto con il clima “sessantottardo” che lo circonda, lontano da ogni ubriacatura ideologica e teologica (non parteciperà ad alcun corteo, non firmerà alcun manifesto, non si assocerà ad alcuna contestazione clericale), all’impegno professionale affianca la continuazione della ricerca per il suo libro.
Una vita per rendere ragione della fede
Storia singolare quella dello scrittore Vittorio Messori. Autore di best seller venduti in milioni di copie in tutto il mondo. Unico ad aver pubblicato un libro-intervista con il Pontefice Giovanni Paolo II (“Varcare le soglie della speranza”) e aver intervistato il Cardinale Joseph Ratzinger (“Rapporto sulla Fede”), divenuto in seguito Papa.
Solamente “Varcare le soglie della speranza” ha venduto più di 20 milioni di copie ed è stato tradotto in 53 lingue.
Eppure fino a 23 anni Messori non era affatto cattolico. La famiglia agnostica se non anticlericale, cresciuto ed educato con una cultura razionalista indifferente verso il mistero religioso e ostile alla sola idea che possa esistere Dio. Studente universitario seguace dei maestri del laicismo come Norberto Bobbio e Galante Garrone. Giornalista de “la Stampa”.
Era l’estate del 1964, a Torino, quando già si intravedevano i primi fuochi dell’imminente ‘68, con gli studenti universitari che si nutrivano di Sigmund Freud, Karl Marx, Wilhelm Reich, e il mondo cattolico si dibatteva nei problemi del dopo Concilio Vaticano II, fu in questo contesto che Messori incontrò quel Cristo che gli ha cambiato la vita.
La storia del figlio di un falegname di Nazareth che diceva di essere il figlio di Dio e che innocente morì sulla Croce, è entrata così profondamente nella vita di quello studente universitario, che il primo libro che pubblicò “Ipotesi su Gesù” è diventato un best seller internazionale.
A raccontare la conversione, le vicende, le esperienze, i pensieri di un cattolico senza fronzoli, apologetico con ragione, solido e realista, è stato il vaticanista Andrea Tornielli, che è riuscito nell’impresa di intervistare Vittorio Messori nel libro “Perché Credo. Una vita per rendere ragione della fede”, appena pubblicato da Piemme.
In questo dialogo asciutto ed essenziale, Messori racconta che nessuno credeva nel successo del libro “Ipotesi su Gesù”. In molti cercarono di convincerlo a fare altro. Gli anticlericali lo osteggiavano, ma anche i cattolici erano scettici.
I religiosi della ‘Sei’, i suoi primi editori, erano certi che il libro sarebbe stato un flop editoriale, e per questo lo tennero in un cassetto per più di un anno e nella prima edizione lo stamparono in tremila copie.
Oggi quel libro ha superato un milione di copie vendute, è stato tradotto in trenta – quaranta lingue, e nonostante sia stato scritto a metà degli anni Settanta vende ancora 20-30.000 copie all’anno.
Messori spiega però che il merito non è suo, è la vicenda del Cristo che interroga ancora l’umanità.
Un Cristo che continua a far discutere come dimostra il recente divieto in Spagna di esporre i crocefissi nelle aule scolastiche.
“Non mi scandalizzo né mi straccio le vesti per ciò che è accaduto in Spagna – ha commentato a ZENIT Vittorio Messori –, perché sono convinto che un po’ di difficoltà e di ostilità fa bene al cristianesimo, fa risvegliare, fa prendere coscienza della propria identità”.
“La storia lo insegna: le persecuzioni sono state occasioni perché i cristiani si moltiplicassero”, ha poi spiegato.
Nell’introduzione al volume Tornielli precisa che Messori “ha scritto il libro che non trovava”.
Messori non cercava “analisi sulla società, sulla povertà materiale e sulle sue cause, sull’impegno politico e sociale dei cattolici, sull’applicazione delle scienze umane al cristianesimo”.
Lo scrittore convertito cercava risposte alle domande: “Che cosa c’è di vero in questa storia, in questo racconto, che da duemila anni riecheggia nel mondo? Gesù Cristo è davvero il figlio di Dio? È davvero lui il Messia atteso da Israele, annunciato dalle profezie? E, soprattutto, è davvero risorto?”.
Ma soprattutto, Messori cercava delle certezze sulla storicità di quell’uomo venuto al mondo in un villaggio sperduto dell’Impero romano che ha cambiato la storia dell’umanità con la rivoluzione dell’amore caritatevole.
Nel libro Messori racconta la sua conversione che era stata preceduta, da un fatto straordinario, una telefonata di uno zio materno morto giovane per un ictus cerebrale. Lo scrittore è persona razionale ed è certo di non aver sognato né di aver sofferto di allucinazioni.
Poi nel luglio e agosto del 1964, mentre lavorava come centralinista all’allora compagnia telefonica Stipel, trovò per caso una copia del Vangelo. Leggendolo avidamente accadde un fenomeno che Messori descrive come una “Luce esplosa all’improvviso”, un “incontro misterioso” quasi fisico con Gesù.
Il noto scrittore si descrive come un “emiliano terragno” con nessuna vocazione alla vita mistica e ascetica, eppure narra che in quei due mesi visse immerso “in una esperienza mistica” che non avrebbe mai immaginato, né conosciuto. Una situazione di luce piena “con la chiarezza di aver visto la Verità, con tutta la sua forza ed evidenza”. Verità che “mi è stata mostrata senza che lo aspettassi o che lo meritassi”.
Nell’introduzione Tornielli sostiene che Vittorio Messori “è una figura atipica nel panorama ecclesiale e culturale di oggi. Non ha peli sulla lingua, né parla l’ ‘ecclesialese’, cioè quel tipico linguaggio autoreferenziale, spesso stereotipato e tanto più ripetitivo quanto meno agganciato alla reale esperienza umana. E non lo si può facilmente arruolare o collocare in questo o quello schieramento. Non è un tradizionalista, non è un moralista né un teocon”.
Tornielli racconta che Messori ha un solo, grande rammarico: “constatare ogni giorno che la ‘conversione della mente’ – che fu, ed è, totale – troppo spesso non si sia accompagnata alla ‘conversione del cuore’. E che, dunque, debba unirsi al lamento del ‘suo’ Blaise Pascal: ‘Quanta distanza c’è, in me cristiano, tra il pensiero e la vita!’”. Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 25 novembre 2008 (ZENIT.org)