SERVA DI DIO
SUOR MARIA CECILIA BAIJ
VITA INTERNA DI GESÙ CRISTO
DALL’ULTIMA ALLA CENA
ALLA MORTE IN CROCE
Ritorna il Figliuolo di Dio in Gerusalemme, per celebrare l’ultima Pasqua con i suoi discepoli. Istituisce il divin Sacramento. Di ciò che operò nel suo interno sino a che andò all’orto di Getsemani ad orare, dove soffrì la penosa agonia.
ARRIVO A GERUSALEMME –
Arrivato a Gerusalemme con i miei apostoli, prima di entrare nella città, la mia umanità intese rincrescimento per l’imminente morire, per tutto quello che avrei dovuto soffrire durante la mia acerbissima passione. Sebbene avessi bramato per tutto il corso di mia vita di morire e di patire per la salute degli uomini, tuttavia nell’appressarsi il tempo destinato, sentivo rincrescimento, volendo io assoggettarmi a tutte le pene e le amarezze, che suol sentire l’umanità, quando si vede vicina al patire ed al morire. Divenuto, però, animoso, mi rivolsi al Padre, offrendomi di nuovo a Lui, prontissimo ad eseguire il suo volere divino, e pregandolo del suo aiuto, nel colmo dei travagli in cui dovevo trovarmi, sia in quella notte dolorosa, come in tutto il resto della mia vita. Mi promise il Padre il suo favore e la sua assistenza, ed lo, generosamente, entrai nella città. Nel passare per la porta, vidi che in breve vi sarei fatto entrare legato, strapazzato, in mano dei miei fierissimi nemici, e tremai per l’orrore. Incoraggiato però dal Padre, entrai, ed andai addirittura al Cenacolo, dove tutto era preparato per la cena legale.
In questa circostanza, rivolto al Padre, lo pregai per tutti i miei fratelli, che si sarebbero trovati in angustie, costretti a soffrire travagli e patimenti, affinché il Padre li avesse animati e confortati con la sua divina grazia. E violi che il Padre l’avrebbe fatto, ed io ne intesi consolazione, offrendogli il mio rincrescimento e la tristezza interna. Avevo presenti tutti coloro che si sarebbero trovati in travagli ed angustie, e sentendo anche per essi la pena, mi consolai nel vedere la grazia e l’aiuto che loro avrebbe dato il divin Padre. Di ciò lo ringraziai anche da parte loro.
LA CENA –
Arrivato nel Cenacolo, ed essendo stato tutto preparato da Pietro e da Giovanni, che avevo inviati prima, mi posi a tavola con i miei discepoli. Fatte le solite benedizioni e cerimonie, che in tale occorrenza si solevano fare, dissi loro di nuovo, che avevo avuto un gran desiderio di far quella Pasqua e mangiare con loro, perché era l’ultima che celebravo con essi, essendo vicino il mio patire (1).
Stando a tavola, mangiando l’agnello, dissi varie cose ai miei discepoli, facendo loro ben capire che in breve sarei stato dato in mano ai nemici, e fatto morire crocifisso, dopo molti strapazzi, battiture e scherni, e che uno di loro mi avrebbe tradito. Dicevo queste parole, e rimiravo tutti i miei apostoli, i quali, molto afflitti, uno per uno mi domandavano: « Sarei forse io? ». Senza rispondere io fissavo gli occhi sul traditore Giuda. Quando anche lui mi fece la richiesta, gli dissi: Tu lo sei (2); ma in modo che nessuno degli altri mi capì. Ed allora gli parlai al cuore e l’ammoni con grande amore, chiedendogli che cosa avesse ricevuto da me di male, da volermi sì brutalmente tradire. Gli ricordai tutte le grazie che gli avevo fatte, l’amore con cui l’avevo sempre trattato, gli dissi che, essendo uno dei miei più intimi familiari, cioè, del mio collegio apostolico, non doveva fare un azione così indegna. Gli offri il perdono del contratto fatto con gli Scribi e Farisei, ma, per quanto cercassi di toccargli il cuore, non si volle arrendere, perché armai indurita nel suo cattivo proposito. Grande amarezza sentivo nel vedere l’ostinazione del traditore.
I miei discepoli mi fecero chiedere da Giovanni, chi fosse il traditore, con 1 intenzione di togliergli la vita. Al quale risposi: E quello che ora intinge il pane nel mio piatto. Ciò non capirono i miei apostoli (1). Ma Giovanni, trafitto dal dolore, si addormentò sul mio petto: in questo sonno capì molti dei divini misteri (2). Udì, però, Giuda, che nello stesso tempo intingeva arditamente il pane nel mio pianto; per mostrare che egli era innocente, egli si prendeva quella (1) Joan., XII, 2226.
(2) In proposito leggiamo nei Colloqui, che Gesù diceva alla sua serva: «Giovanni, nell’ultima Cena che io feci con i miei Apostoli, intese che fra di essi ve ne era uno che doveva tradirmi, e mi domandò chi fosse, ed io avendoglielo significato, restò sorpreso da un cordoglio si fiero, e da una pena tanto grave, per l’amore che mi portava, che. privatolo de sentimenti, quasi preso da un profondo sonno, si addormentò sopra il mio petto. dove gli furono rivelati molti segreti celesti, ed in particolare sopra la mia passione e sopra la divinità unita alla mia umanità ». Vol. VI. Anche S. AGOSTINO (In Joan. tract. 36) fa eco a quanto qui si dice: [parte in latino non rivista]« In quatuor Evangelis vel potius quatuor libris unius Evangeli, sanctus Ioannes Apostolus non immerito secundo intelligentiam spiritalem aquilae comparatus, altius multoque sublimius alis tribus erexit praedicationem suam: et in eius erectione etiam corda nostra erigi voluit. Nam ceteri tres Evangelistae tanquam cum homine Domina in terra ambulant, et de divinitate eius panca dixerunt: istum autem quasi piguerit in terra ambulare sicut ipso exordio sui sermonis intonuit, erexit se non solum super terram, et super omnem ambitum aeris et coéli, ed super omnem etiam exercitum Angelorum, omnemque constitutionem invisibilium potestatum: et pervenit ad eum, per quem facta sunt omnia, dicendo: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Huic tantae sublimitati principi etiam coetera congrua praedicavit, et de Domini divinitate, quomodo nullus alius, est locutus; hoc ructabat, quod biberat. Non enim sine causa de illo in isto ipso Evangelio narratur, quia et in convivio super pectus Domini discumbebat. De illo ergo
pectore in secreto bibebat, ed quod in secreto bibit, in manifesto eructavit: ut perveniat ad omnes gentes non solum incarnatio Fili Dei, passio et resurrectio, ed etiam quod erat ante incarnationem unicus Patris, Verbum Patris, coaeternus generanti, aequalis ei a quo missus est».
. confidenza per mostrarsi amico, non traditore, affinché nessuno degli altri penetrasse che era egli il perfido. Vedendo tanta ostinazione nell’apostolo traditore, lo minacciai col dire: «Guai a colui che mi tradirà e meglio sarebbe per lui non esser nato » (1). Ma il traditore rimase indurito nella sua ostinazione. Vedendo, pertanto, nella persona di Giuda anche tutti i peccatori ostinati, che né per i molti benefici, né per le minacce si sarebbero convertiti, ne intesi più grave pena ed amarezza; onde il mio Cuore amareggiato per la loro ostinazione, si rivolse al Padre per conforto, offrendogli la sua sofferenza per placare la divina giustizia, molto irata verso il traditore. Ed il Padre restò placato e pronto ad inviare nuovi lumi al cuore indurito del traditore, come anche a tutti quelli, che sarebbero stati simili a lui nell’ostinazione. Vedendo tanta bontà del divin Padre, gli resi le dovute grazie.
LA LAVANDA DEI PIEDI –
Ardendo il mio Cuore sempre più della fiamma divina e di immensa carità, e bramando di istituire presto il divin Sacramento, mi levai da tavola, e, deposta la veste di sopra, mi cinsi con un panno di lino bianco, e, facendo prendere dell’acqua in un catino, incominciai a lavare i piedi ai miei discepoli. Prima però di incominciare, offri al Padre quell’atto di abbassamento e di umiliazione, supplicandolo ad inserire un tale sentimento nell’anima non solo dei miei discepoli, ma anche di tutti i miei fratelli e seguaci. Perciò, rivolto al Padre, gli dissi: Chi sarà, o mio divin Padre, che ricusi di umiliarsi e di abbassarsi da ora in poi, se io, vostro Figlio, tanto mi umilio e mi abbasso spontaneamente, per insegnare al mondo una, virtù tanto a voi cara? E vedendo che molto pochi sarebbero stati quelli che l’avrebbero praticata e che in ciò mi avrebbero imitato, ne intesi grande amarezza; rivolto al Padre gli offri di nuovo quella mia azione, in sconto di tutta la superbia, il fasto e l’alterigia dei miei fratelli, perché si placasse verso di loro l’ira paterna. Vidi anche coloro che mi avrebbero imitato in tale virtù, e ne intesi consolazione: pregai il Padre, di dar loro la grazia di potersi sempre più umiliare, per rendersi a lui sempre più grati: perché il divin Padre ama molto chi pratica la suddetta virtù. Vidi, che il Padre avrebbe loro dato la grazia da me richiesta e gliene resi grazie da parte di tutti.
Volendo incominciare a lavare i piedi a Pietro, come capo degli apostoli, avendomi egli confessato per vero Figlio di Dio, essendo illuminato dal Padre, conobbe la mia dignità e la sua viltà, perciò ricusava, né valeva in modo alcuno che lo fossi così umiliato ai suoi piedi, per lavarglieli. Perciò, pieno di confusione, esclamava: Signore, voi volete lavare i piedi a me? voi dovete abbassarvi tanto? Io devo vedere voi lavare i piedi a me? Non sarà mai! Io, che sono un miserabile peccatore, devo permettere che voi mi laviate i piedi ? Non sarà mai Voi, Figlio di Dio! Io, servo indegno! E come potrò consentirlo ? Godevo, nel vedere l’umiltà di Pietro, e come già il divin Padre lo illuminava, per conoscere la sua bassezza e la dignità della mia persona. Tutti gli altri apostoli stavano attoniti ed anche essi con timore, conoscendo la loro bassezza e la maestà mia tanto umiliata.
Di ciò resi grazie al Padre. Solo il periodo Giuda biasimava dentro di sé l’azione che volevo fare. Ed io, rivolto a Pietro dissi: Che non conosceva allora quello che volevo fare e in che consisteva quell’atto; ma che l’avrebbe conosciuto dopo, perciò si lasciasse lavare i piedi da me, suo Signore e Maestro, altrimenti non avrebbe avuto parte con me. A queste parole Pietro si arrese, e si lasciò lavare i piedi, dicendo che anche il capo si sarebbe fatto lavare, perché non l’avessi privato di aver parte con me. Perciò io, genuflesso ai suoi piedi, glieli lavai con grande amore, stando l’apostolo tutto confuso e concentrato nel suo nulla. Mentre lavavo i piedi a Pietro, pregavo il divin Padre di fargli capire ilf significato di quella lavanda e ciò che operava nell’anima sua. Infatti, l’apostolo intese che era come rivestito di nuova grazia, e capì che l’anima sua veniva illuminata e purificata; perciò, tutto compunto, andava fra di sé replicando: Oh, mio divin Maestra, quanta grazia mi andate partecipando in questa azione di tanto vostro abbassamento, e quale esempio mi date di umiltà! Si sentì anche molto confortato, e con lo spirito raccolto, perché la grazia lo andava disponendo a ricevere il divin Sacramento.
Dopo aver lavato i piedi a Pietro, mutata l’acqua del catino, feci lo stesso agli altri miei apostoli, sentendo anch essi ciò che aveva inteso Pietro. Stavano tutti in :silenzio e confusi, non facendo resistenza, perché avevano udito ciò che aveva detto a Pietro.
Perciò nessuno ardì più rispondere, e, solo ammirando l’atto eroico di umiltà, si confondevano e compungevano (1). Arrivato al perfido Giuda, il traditore; la mia umanità intese orrore e rincrescimento, per il peccato che aveva, nell’anima; con tutto ciò, feci anche a lui ciò che avevo fatto agli altri, tenendo celato il sino tradimento. Risolsi però di dare un nuovo assalto al suo cuore indurito: stando per lavargli i piedi, gli dissi internamente: Oh, Giuda! tu vedi il tuo Maestro ai tuoi piedi umiliato. Tu sai pure che sono il Dio della Maestà, e soffrirà il tuo cuore di vedermi tanto abbassato ? Tu, creatura vilissima, avrai ardire di alzar il piede contro di me, e di darmi in mano dei nei? Giuda, torna al tuo caro Maestro! Riconosci il tuo grave errore! Chiedi perdono, mentre io telo offro ed il Padre è pronto a perdonarti! Riconosci la tua viltà, indegnità e miseria! Eccomi qui pronto, non solo per lavarti i piedi, ma per abbracciarti e per mondare l’anima tua da ogni colpa. Fece resistenza il traditore a sì amorosi inviti, e con faccia torbida ricusò la grazia offertagli: rigettò i divini lumi, e restò nella sua durezza, più che mai aggravato dalla colpa. Onde ferito il mio Cuore dal dolore, per tanta ostinazione, lo lasciai.
LA CARITÀ FRATERNA –
Terminata la funzione, feci un ragionamento, lasciando loro un nuovo precetto: quello dell’amore scambievole, con cui si dovevano amare l’un l’altro con fraterna carità. Vedevo come si sarebbero trattati tra di loro i miei fratelli, e il poco amore con cui si sarebbero amati: anzi, come molti si sarebbero odiati, e come ognuno avrebbe procurato di opprimere il fratello, cercando il proprio interesse. Perciò intesi gran dolore. Ardeva il mio Cuore dal desiderio di vederli tutti uniti in carità perfetta, e vedendo che fra di loro vi sarebbe stata tanta disunione, intesi grande amarezza. Perciò, rivolto al Padre, Io supplicai di dare la sua grazia ai miei apostoli per capir bene il nuovo precetto; e poi a tutti i miei fratelli, affinché l’avessero messo in pratica. Vidi allora tutti quelli che avrebbero osservato il mio precetto, e ne intesi consolazione, benché sentissi dell’amarezza nel vedere il gran numero di coloro che non solo l’avrebbero trasgredito, ma di più conculcato.
Malgrado ciò, rivolto ai miei discepoli, prima di istituire il divin Sacramento, diedi logo il precetto della dilezione fraterna, perché ognuno conoscesse, che, essendo quello che stavo per istituire Sacramento d unione e d amore, non deve accostarsi a riceverlo, chi non ha questa unione ed amore col prossimo suo. Pertanto incominciai a dir loro: Io vi do un nuovo precetto, ed è che vi amiate l’un l’altro, come io ho amato voi. Avete veduto l’azione che io ora ho fatto, e l’esempio che vi ho dato. Voi mi chiamate Signore e Maestro, e dite bene, perché lo sono. Ora se io, che sono vostro Maestro, ho lavato a voi i piedi, voi non dovete ricusare di lavarvi i piedi l’un l’altro. Non deve il servo esser più del suo Signore, né l’invitato deve esser da più di chi l’invita. Amatevi perciò scambievolmente, come io ho amato voi. Sopportatevi fra di voi, come vedete che io ho sopportato voi con tanta carità ed amore. Amatevi, figlioli miei, perché da questo conosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete scambievolmente
(1).
Mentre dicevo loro queste parole, si andava inserendo nelle loro anime la dilezione, che loro comandavo e ne provavamo gli effetti. Anche il Padre li andava illuminando, onde capissero bene il peso del nuovo precetto, che davo loro. Difatti capirono e si accesero, di un vivo desiderio di metterlo in pratica. Allora fra di loro poteva dirsi che erano un sol cuore, rimirandosi con carità ed amor perfetto. Con questo si andavano sempre più disponendo a ricevere il divin Sacramento. Sentivo perciò molta consolazione nel vedere i miei discepoli uniti con perfetta carità e come avesse fatta sì buona impressione nella loro mente il comandamento dell’amor fraterno. Si amareggiava però molto il mio Cuore nel vedere, che il perfido Giuda stava ancora ostinato, e non poteva più sentire le mie parole, perché se ai buoni discepoli apportavano tanta consolazione, a lui, per la sua reità, apportavano noia e fastidio.
Vedendo che nei miei apostoli il mio precetto aveva acceso sentimenti di amore fraterno, bramai che simile effetto avesse causato a chiunque l’avesse udito predicare. Ne chiesi grazia al divin Padre, affinché avesse a tutti comunicato i lumi e la grazia che comunicava allora ai miei discepoli. Il Padre mio me lo promise. E vidi, che l’avrebbe fedelmente eseguito. E vidi tutti coloro che avrebbero approfittato di detta grazia, e ne intesi consolazione, ma intesi dell’amarezza nel vedere il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato.
SUPPLICA PEI FRATELLI –
Terminato il discorso ai miei apostoli, che mi avevano ascoltato compunti ed umili, stando fra di loro in perfetta carità, rivolto al
(1) Joan., XII, 1316; 34, 35.
Padre, Io supplicai di nuovo a nome dei miei fratelli, di degnarsi di concedere loro il grande benefici di restar io con essi nel Sacramento, fino alla consumazione dei secoli, offrendogli, da parte loro, tutti i miei meriti, per ottenere un sì gran dono. Gradì il divin Padre la supplica fattada me e molto più i miei meriti, che furono una moneta di prezzo infinito, meritevoli di ottenere il grande beneficio; con gli stessi miei meriti soddisfeci la divina giustizia per le offese che avrebbe ricevuto d agli uomini in questo divin Sacramento. Vidi allora di nuovo tutte le offese che avrebbe ricevuto in detto Sacramento da quelli, che, con rea coscienza, si sarebbero ad Esso accostati; vidi anche tutte le profanazioni a cui sarebbe stato esposto e ne intesi di nuovo un dolore sommo; e offri anche questo al Padre in soddisfazione di tutte le offese che avrebbe ricevuto il Padre si dichiarò soddisfatto.
L’ISTITUZIONE DEL SACRAMENTO EUCARISTICO –
Intanto, ardendo sempre più il mio Cuore del desiderio di presto istituire il Sacramento, per donarmi tutto ai miei fratelli, e fare ad essi conoscere l’incendio della mia carità e del mio infinito amore, presi il pane nelle mie mani, ed, alzati gli occhi al cielo, resi grazie al Padre, perché si adempiva il mio desiderio, e poi lo ringraziai da parte di tutti i miei fratelli per il gran beneficio che ricevevano. Acceso vieppiù l’amore verso i miei fratelli, giunse all’eccesso mirabile. Spezzato, pertanto, il pane, avendolo prima benedetto, dissi ai miei apostoli: Prendete e mangiate e rimirando il pane, dissi: Questo è il mio corpo. Nel dire queste parale, ebbi intenzione di mutare la sostanza del pane nel mio vero e reale corpo, sangue, anima e divinità. Difatti, nel proferirle, rimasi tutto nelle specie del pane, cambiandosi questo nel mio vero corpo e sangue, come ho detto. In tale atto, untesi un godimento infinito, per l’infinito dono che feci di tutto me stesso all’uomo: e l’amore restò soddisfatto. Dando pertanto il pane a tutti i miei apostoli, sotto le cui specie si conteneva il vero corpo, anima e divinità, dissi loro che quello. era il mio Corpo dato per, essi, soggiungendo: Fate questo in memoria di me li ordinai allora miei ministri, e diedi logo la facoltà, che con le parole dette da me nella consacrazione, consacrassero il pane, il quale, si sarebbe subito cambiato nel mio vero corpo.
Dato loro il mio corpo in cibo, sotto le specie del pane, presi il calice, e di nuovo, alzati gli occhi, resi grazie al Padre, come avevo fatto nel consacrare il pane; lo diedi ai miei apostoli, dicendo loro: Prendete e bevetene ognuno la propria parte: questo è il mio sangue, che sarà sparso in remissione dei peccati. Essendosi convertito il vino nel mio vero sangue, i miei apostoli ne bevvero ciascuno la sua porzione, ed io, nel darlo loro, provai lo stesso godimento che avevo sentito nel dare ad essi il mio corpo sotto le specie del pane (1).
LA COMUNIONE –
I miei apostoli, nel ricevere il mio corpo in cibo ed in bevanda, intesero internamente una somma consolazione, provando in quell’istante e gustando l’unione perfetta, che si fece tra l’anima loro e il mio spirito. Nel ricevere il mio corpo e la mia divinità, restarono rinvigoriti e confortati per la stretta unione; furono rivestiti di una nuova grazia; gustarono finalmente la soavità del cibo divinò, e rimasero infiammati, in un modo più perfetto, dell’amore verso di me, perciò, tutti, internamente, rendevano grazie per il cibo ricevuto. Solo il perfido Giuda, poiché aveva ricevuto un tale cibo con l’anima rea di grave colpa, e perciò preso la sua condanna, imperversò, ed il demonio si impossessò di lui, in modo che, provando in sé un inferno di inquietudini e turbamenti, bramoso di eseguire il pessimo contratto della mia vendita, non poteva più indugiare perché stava come sopra un fiero patibolo. A lui io dissi: Quello che tu vuoi fare, va , e fallo presto (2). Facendogli capire con queste parole che io sapevo tutto. Difatti partì in gran fretta il traditore, ed andò ad eseguire il suo pessimo disegno. Io rimasi con i miei undici discepoli, i quali non avevano capito il tradimento di Giuda, ché altrimenti l’avrebbero arrestato e fatto in pezzi, perché era molto grande l’amore che mi portavano e il dispiacere che avevano nel sentire, che uno di essi mi avrebbe tradito e dato in mano ai miei nemici.
Fu molto grande l’amarezza intesa per il discepolo traditore, tanto più che, nonostante l’avessi ripetutamente avvertito egli avessi dato tanti lumi e tanta grazia, volle restare nella sua ostinazione, ed unirsi con gli ostinati Farisei suoi pari. Costoro, dopo essere stati da me tanto beneficati ed aver ricevuto tanta luce, per mezzo della mia dottrina, si fecero accecare dalla loro malizia e rimasero nella loro durezza, cercando anche loro, con grande avidità, di togliermi la vita e darmi una ignominiosa morte. Oh, quanto, sposa mia, veniva trafitto il mio cuore da questi perfidi! Io non mancavo di soffrire tutto e di offrirlo al Padre in sconto delle loro iniquità.
Mentre stavo operando ciò che ho detto, si trovava la mia diletta Madre nel suo ritiro, orando (1). Col suo spirito, tutto penetrava e mi accompagnava negli atti interni, supplicando e rendendo grazie al divin Padre. Anche lei ricevé il mio corpo sotto le specie sacramentali (2), le quali si conservarono nel suo cuore, finché di nuovo fu consacrato il pane, dopo la mia risurrezione, e di nuovo mai ricevé Sacramentato, conservandosi in lei le specie sacramentali da una comunione all’altra (3). Furono mirabili gli effetti che il mio corpo opero nella diletta Madre, sperimentando essa i giubili e le consolazioni, che aveva goduto nella mia incarnazione, quando scesi nel suo seno verginale. Fui da lei ricevuto ed accolto con tutti gli atti di ossequio e di amore, che mente umana non sa capire né intendere. Ed io ne godei in modo, che, anche se non avessi avuto altro grato accoglimento, che quello che ricevetti da lei sola, il mio amore sarebbe stato appagato: tanto mi gradi e tanto amorosamente mi accolse la mia diletta Madre.
Desiderai che tutti i miei fratelli mi avessero accolto con grande amore, ed offri questo mio desiderio al divin Padre, supplicandolo di dare, a chi mi avesse ricevuto nel Sacramento, un lume particolare, per conoscere la grandezza del dono e l’amore con cui avevo istituito questo Sacramento, affinché con una tale cognizione, si fossero accesi d amare, e con grande amore mi avessero ricevuto. Vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, che molti ne avrebbero approfittato e, ricevendomi con ardente desiderio ed amore, avrebbero conseguito molta grazia ed avrebbero dato a me grande soddisfazione. Ne resi grazie al Padre, benché soffrissi dell’amarezza nel vedere la moltitudine di quelli, che si sarebbero abusati della detta grazia e dei lumi divini, non facendone alcun caso, privando me di detta soddisfazione, e se stessi di un bene tanto grande.
GIUDA ACCORDA LA CATTURA DI GESÙ –
Stando dunque con i miei apostoli, cominciai di nuovo a parlare, perché erano già molto confortati. Dissi loro, che era giunta l’ora, in cui io dovevo lasciarli. Si riempirono di tristezza i miei apostoli, ed io li andavo consolando con parole di speranza e dei amore. Mentre li consolavo, sentivo nel mio Cuore dell’amarezza, perché il discepolo traditore stava già trattando con gli Scribi ed i Farisei, dai quali ricevé le trenta monete pattuite per la mia vendita. Sapeva il traditore, che, quando pernottavo in Gerusalemme, ero solito, per lo più, di andare all’orto di Gethsemani a passare la notte in orazione; e credette che io in quella notte, vi fossi già andato. Difatti vi andai (1). Si accordò coi Farisei di venire egli stesso per darmi nelle loro mani, additandomi, con finto segno di amicizia, alla coorte, che si metteva all’ordine per venire, nottetempo, a farmi prigioniero. Stavano i Farisei come pazzi, presi dal timore e dalla falsa allegrezza: dal timore, perché ancora non erano sicuri se sarebbe loro riuscito di potermi avere nelle mani, e poi perché, essendo già entrata la solennità, dicevano fra di loro: Non si dovrà farlo morire in giorno di Pasqua, perché forse si farà tumulto nel popolo. Ma i più perfidi dicevano: Purché arriviamo a dargli la morte, sia quando si sia, cosa importa? Se si può riuscire adesso, facciamolo pure, e leviamocelo davanti. E si consigliavano fra di loro, come potessero fare per darmi una morte ignominiosa, sopra un infame patibolo. Difatti si accordarono di fare ciò che poi fecero. Era la loro allegrezza molto grande, benché falsa, perché nel loro interno era cruccio, passione e un anticipato inferno. Con tutto ciò saltavano e battevano le mani in segno di allegrezza, perché Giuda li aveva assicurati che mi avrebbe dato nelle loro mani. Non trovavano riposo, aspettando l’ora stabilita, e riducendo intanto la coorte con molta segretezza. Dicevano fra di loro: Eppure sarà vero, che alla fine ci riuscirà di averlo nelle mani? Oh, che fortuna sarà la nostra. Non vi sarà più costui che ci inquieti e turbi la nostra pace! Tutto udivo, sposa mia, e puoi credere quanto grande fosse l’amarezza del mio Cuore!
AVVISI E CONFORTI –
Mentre stavano così trattando i perfidi Farisei, io trattavo con i miei discepoli, ricordando loro di nuovo il precetto della fraterna dilezione (1). Li avverti di stare attenti, perché in quella notte sarebbero stati molto travagliati dal nemico infernale. Predissi loro tutto ciò che sarebbe seguito, dicendo che tutti avrebbero patito scandalo per me, in quella notte, e beato chi non si fosse scandalizzato: che tutti mi avrebbero abbandonato, ed a Pietro predissi che mi avrebbe negato. Egli mai rispose francamente, che non l’avrebbe fatto giammai. E perché era molto ardente l’amore che mi portava, diceva che, se fosse stato necessario, piuttosto che negarmi, sarebbe morto con me. Gli risposi che tre volte mi avrebbe negato, prima del canto del gallo. Ma non credette a quanto gli predicevo, fidandosi molto di sé (2). Sentendo che l’apostolo si fidava tanto di sé, ne intesi pena, e vedendo che molti dei miei fratelli l’avrebbero in ciò imitato, presumendo di sé e che poi sarebbero caduti come Pietro, pregai per essi il divin Padre, affinché desse loro lume e grazie per conoscere l’errore e per ravvedersi. Me lo promise il divin Padre, e vidi che Pietro si sarebbe ravveduto, come anche molti altri miei fratelli; intesi consolazione per il loro ravvedimento le ne resi grazie al Padre, benché sentissi dell’amarezza nel vedere che molti avrebbero abusato dei lumi e della grazia, e sarebbero rimasti nella loro infedeltà.
Seguitando a parlare con i miei discepoli, molte cose dissi loro; ma essi, perché molto angustiati ed intimoriti, appena capivano. Dissi che avevo molto da dire loro, ma che trovandoli così incapaci a comprendere, rinunciavo a parlare. Sarebbe venuto il tempo in cui il Padre mio loro avrebbe mandato lo Spirito Consolatore, per mezzo del quale avrebbero capito tutto, e tutto sarebbe stato loro suggerito (3). Vedendoli tanto afflitti ne sentivo pena, ed andavo temperando, con parole di consolazione la loro tristezza. Voi, figliuoli miei, dicevo loro, siete molto afflitti per dover restar privi della persona mia. E in verità, avete ragione di rattristarvi. Ma non temete, che, dopo il terzo giorno risorgerò glorioso, ed allora sarete molto consolati. Per ora è tempo di tristezza, e motto più vi rattristerete per quello che seguirà di me, ma la vostra tristezza si convertirà in gaudio (1). Molti si rallegreranno e godranno per la mia passione e morte, ma questa loro allegrezza andrà a finire in eterno pianto. I principi avranno tutta la potestà sopra di me, ora che è giunto il tempo determinato dal Padre, in cui il Figliuolo dell’uomo deve essere dato nelle loro mani e condannato a morte per compir l’opera della Redenzione, ma in voi non avranno per ora potestà alcuna. E giunto il tempo, in cui devo glorificare il divin Padre e restare Lui glorificato in me ed io in Lui: affinché conosca il mondo che io amo il Padre mio e faccio tutto ciò che Egli vuole da me. Andiamo, perché è già arrivata l’ora nella quale devo dar principio alla mia acerbissima passione. Dico io: perché, se io non volessi, non vi sarebbe alcuno che potrebbe mettermi le mani addosso. Ma io voglio, perché questa è la volontà del Padre mio. Detto ciò ai miei discepoli, rivolto al Padre, lo pregai per tutti loro, e gli domandai molte grazie per essi, come anche per tutti i miei fratelli e seguaci. Raccomandai al Padre quel mio piccolo gregge, che mi aveva dato. Gli chiesi che, dove fossi andato io, cioè, al possesso dell’eterno Regno, ivi fossero i miei ministri, cioè coloro che avessero operato fedelmente. Tutto ciò che domandai al Padre, tutto mi concesse, ed io lo lodai e ringraziai (2).
In questa circostanza pregai il Padre di dare lume e grazia anche ai miei fratelli, ministri e seguaci e di consolare i loro prossimi, quando sanno che vivano in afflizione. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto. Vidi, però, che molti non avrebbero di ciò saputo giovarsi e che, di cuore molto duro, avrebbero lasciato i loro prossimi in gravi afflizioni, senza consolarli neppure con parole. Ne intesi quindi amarezza, e supplicai il Padre di consolarli Lui con la sua divina grazia ed interna consolazione. Me lo promise il divin Padre ed io gliene presi le dovute grazie.
VERSO IL GETHSEMANI –
Avendo ottenuto dal Padre tutte le grazie che gli avevo domandato, ed avendo detto ai miei discepoli quel tanto che dovevo dir loro, per ben avvertirli e consolarli, mi avviai con essi verso. l’orto di Gethsemani. Andiamo, figliuoli miei, dissi loro, perché in breve sarò dato in mano ai miei nemici che si avventeranno addosso a me, come lupi affamati, per divorarmi. Tutto ciò vi dico prima, affinché vi prepariate a soffrire il travaglio, non restiate sbigottiti e vi armiate con lo scudo della fede e dell’orazione, perché il demonio vi crivellerà, come si crivella il grano (1).
Andavo verso l’orto con i miei undici apostoli, dicendo loro molte cose, onde restassero fortificati. Ed essi erano tutti intorno a me, afflitti e dolenti. Sentivo gran pena per la loro tristezza e li raccomandavo al divin Padre. Non potevano neppur parlare per l’afflizione e le lacrime, che tutti spargevano; quantunque li consolassi, era tanta l’afflizione che provavano, che non potevano fare a meno di piangere, perché era molto grande l’amore che mi portavano, e il doverne restar privi causava loro una tristezza profonda.
Nell’uscire dalla parta della città, mi voltai, e, vedendo tutto quello che in essa si operava contro di me, intesi grande amarezza per l’offesa al divin Padre, e per il male che, sopra di essa, sarebbe venuto. Rivolto al Padre lo pregai di perdonare e di trattenere il castigo. La benedissi, col desiderio che cadesse la divina benedizione sopra di tutti, bramando di render loro altrettanta bene, quanto grave era il male che preparavano a me, lasciando di ciò esempio ā tutti i miei seguaci, di far bene a chi fa loro del male, e di pregare per chi li calunnia e li perseguita, come avevo fatta io in tutto il corso della mia vita; pregai il Padre di dare Lume, grazia e virtù a tutti i miei seguaci, per poterlo fare. Vidi che il divin Padre l’avrebbe fatto, e che molti se ne sarebbero approfittati. Del che intesi consolazione, come anche provai dell’amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai inteso, sposa mia, come ti devi preparare per ricevere il mio Corpo sotto le specie sacramentali; avendone un ardente desiderio e ricevendomi con amare e con anima monda da ogni colpa grave, quanto più sarà purificata l’anima tua, tanto, maggior grazia riceverai. A misura della fante che di questo cibo avrai, resterai saziata di beni spirituali, e mi darai molto gusto, compiacendomi io di unirmi e trattenermi nei cuori puri e mondi dia ogni macchia di colpa. Ti inculco la dilezione fraterna: di qui si conoscerà se veramente mi ami: se osserverai questa precetto, come anche tutto ciò che ti ho insegnato. Stai attenta, perché, essendo mia sposa e seguace, devi imitarmi in tutto. Procura di far bene a chi ti fa male, e prega per chi ti perseguita. Tu senti, che in tutta la mia vita ho pregato per i miei nemici, beneficandoli. Non ti accordar mai con chi mormora dei fatti altrui: anzi, fuggi da essi, e procura, per quanto puoi, che si conservi l’unione e la pace fra coloro con cui stai. Fa che ognuna prenda esempio da te nell’amore e nella carità verso il prossimo, come anche in tutte le altre virtù da me praticate ed a te con tanta carità ed amore insegnate, affinché chi ti vede e ti pratica passa dire di te: questa è una vera sposa e seguace del Crocifisso. Se farai ciò, mi darai molta gusto.
Dell’arrivo del Figliuolo di Dio nell’orto di Getsemani e della sua penosa orazione sudore di sangue e conforto dell’angelo e di ciò che operò nel suo interno sino a che fu dato in mano dei suoi nemici.
GIUDA SPIA IL MAESTRO E TRAMA LA CATTURA –
Essendo arrivati all’orto, per orare al Padre, come ero solito fare, il discepolo traditore era venuto a spiare, se con i miei apostoli fossi partito dal Cenacolo, e fossi andato all’orto per orare. Trovando che già ero partito, si recò dai Farisei a darne la nuova. Del che tutti si rallegrarono; saltando e battendo le mani, facevano molta accoglienza al traditore. Chi lo lodava, chi l’abbracciava, e tutti festeggiandolo, gli dicevano: Solo tu ci potevi fare questo sì gran servizio. Veramente tu sei un grande uomo, degno di ogni lode! Stava, però, il traditore molto agitato, provando dentro di sé una infinità di confusioni. Credeva, che, dopo avermi dato nelle loro mani, sarebbe restato libero da quella grave agitazione, perché, diceva: “ Non avrò da pensare ad altro”. Tanto gli suggeriva il nemico infernale, e tanto credeva il miserabile. Perciò procurava di affrettarsi, per uscire presto sia dall’impegno che dal travaglio, che internamente sentiva, in modo che girava dall’uno e dall’altro come pazzo, avvertendo i soldati, che mi avessero ben legato e tenuto forte, perché facilmente sarei loro uscito di mano. Diceva loro: State attenti, perché facilmente vi scapperà. Io per me ve lo darò nelle mani, pensate voi a tenerlo. Sentendo questo, la coorte si provvide di funi, di catene, di armi, di bastoni, e determinarono di strapazzarmi in modo, che, restando oppresso dalle percosse, non potessi aver più forza e spirito neppure di muovermi. Tanta determinarono e tanto fecero, come sentirai. Stabilivano anche in che modo il traditore avrebbe dovuto darmi nelle loro mani. Chi diceva una cosa, chi un altra, quando il traditore risolvette la questione dicendo: io andrò avanti a tutti, mai appresserò a lui, e lo saluterò, dandogli un bacio; quello che vedete che io bacerò, è lui: perciò, avvicinatevi subito, prendetelo, tenetelo ben forte e mettetevi a lui dintorno da ogni parte, perché non vi fugga. A questa risoluzione tutti di nuovo saltarono per l’allegrezza, lodando l’invenzione pessima del traditore. Tutto ciò si operava in
Gerusalemme, mentre io oravo al Padre e pregavo per tutti.
GESÚ NELL’ORTO COI SUOI SUE PRIME PENE –
Essendo arrivati all’orto, lasciai alla prima entrata otto dei miei apostoli, ai quali dissi, che orassero, affinché non li sorprendesse la tentazione. Orate figliuoli miei, dissi loro, perché ora è tempo di raccomandarvi molto al Padre, onde ottenere che vi liberi dalla tentazione, e vi dia aiuto e forza, essendo vicino il travaglio! (1). Restarono quivi mal volentieri i miei apostoli, presi da grave timore. Con tutto ciò, animati da me, rimasero a pregare, ma, poco dopo, si addormentavano.
Condussi Pietro, Giacomo e Giovanni vicino al luogo dove mi valevo porre ad orare, e quivi li lasciai, esortandoli a fare orazione (2). Condussi questi tre apostoli presso di me, perché erano stati spettatori della mia Trasfigurazione gloriosa, ed erano quelli, che, più degli altri, si mostravano ferventi. Pietro aveva protestato di voler morire con me, se fosse stato necessario; Giacomo e Giovanni si erano offerti di bere il calice. Lasciatili, dopo aver loro inculcato molto lo star vigilanti e l’orare, perché non entrassero in tentazione, mi allontanai da loro di poco e mi prostrai in terra, per orare al Padre mio.
La mia umanità aveva inteso rincrescimento ed orrore nell’entrare nell’orto, sapendo il grande travaglio e l’amarezza che mi era stata preparata. Animato, però, dal pensiero che andavo ad adempire la volontà del Padre, entrai con generosità, pronto a soffrir tutto. Essendomi posto ad orare al Padre, facendogli profonda adorazione, mi senti riempire tutto di un più grave timore ed amarezza, per l’imminente passione e morte. Intesi orrore per i gravi patimenti, che mi erano stati preparati, ed esposi al Padre il mio travaglio, dicendogli: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; nondimeno non si faccia la mia volontà, ma la tua; mostrandomi così pronto a soffrire tutto per adempire la volontà del Padre (1).
A questa richiesta mi senti riempire di maggiore tristezza, trovandomi come abbandonato dal Padre, il Quale lasciava che la parte inferiore, cioè, l’umanità mia sentisse tutto il travaglio e l’amarezza, senza, che la parte superiore, cioè, la divinità che era unita a me, mi desse alcun conforto (2). Stando quindi solo, abbandonato, senza alcun conforto, mi riempi di grave desolazione.
Vidi allora tutte quelle anime che avrebbero patito travagli e tristezze interne, senza trovar conforto alcuno, permettendolo il Padre per altissimi fini. Per esse intesi dolore e pregai il Padre onde si degnasse di raddolcir loro la grave pena, offrendomi pronto a soffrire io tutta l’amarezza e tristezza; capi che il Padre avrebbe addolcito le loro amarezze, in virtù della tristezza sì grande che io soffrivo. lo gliene resi grazie da parte di tutti.
Non ti apporti meraviglia, il sentire che, essendo allora come abbandonato dal Padre, con l’umanità mia priva di ogni .conforto, da parte della divinità, che a me stava unita, intendessi ciò che il Padre avrebbe operato a favore dei miei fratelli, per i quali istantemente pregavo: questo abbandono era solo per la persona mia, per privare me d ogni conforto, non già per quello che riguardava il bene e l’utile dei miei fratelli.
SVEGLIA I SUOI
Stando, dunque, così in preghiera, vedevo che i miei apostoli si erano addormentati. Volli andare a destarli, perché non li sorprendesse la tentazione: vedevo il nemico infernale che si studiava molto per farli cadere in pusillanimità. Ed allora più che mai, per il tradimento di Giuda, aveva preso ardire, e la faceva da padrone crudele, istigando tutti contro di me, per procurare la mia morte, perché, stando io al mondo, gli erano di gran tormento le perdite che faceva. Non potendo il nemico penetrare, che io fossi veramente il Messia promesso, i demoni fecero fra di loro un conciliabolo, risolvendo di istigar tutta contro di me, e farmi patire, per mezzo dei ministri di giustizia, tutti gli strapazzi ed i tormenti immaginabili, sperando di farmi perdere la virtù della pazienza, che sino allora avevo esercitata, come anche per scoprire chi fossi.
Alzatomi pertanto dalla mia penosa orazione, andai a destare i discepoli che dormivano. Dissi loro che vegliassero ed orassero, perché non entrassero in tentazione (1). Destati i discepoli, e postisi di nuovo ad arare, tornai alla mia orazione.
Allora supplicai il Padre a volersi degnare di destare i miei fratelli, quando fossero sorpresi dal sonno pernicioso della tiepidezza e della trascuratezza dell’obbligo di attendere alla loro eterna salute. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con vari e opportuni rimedi, secondo il bisogno di ciascuno. Per questo intesi qualche sollievo alla mia grave amarezza, benché sentissi molta pena, nel vedere che pochi se ne sarebbero approfittati, ritornando a dormire, come fecero i miei apostoli, che il nemico infernale procurava di opprimere col sonno, perché non facessero orazione; in tal modo stimava di poterli vincere facilmente. Vidi allora io tutti quelli cui il demonio avrebbe impedita l’orazione, perché, trovandoli sprovvisti di questa fortissima e potentissima arma, può vincerli molto facilmente. Per questo parlai tanto ai miei apostoli della necessità di fare orazione, e nella persona dei miei, apostoli, a tutti i miei fratelli. Pregai il divin Padre di dar lume a tutti, affinché conoscano questa verità, e la necessità grande che ognuno ha di orare, per poter vincere il nemico infernale. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il suddetto lume. Vidi ancora che molti se ne sarebbero approfittati, e, con questa potente arma, avrebbero vinto i loro nemici, ottenendo molte grazie dal divin Padre.
Di ciò godei, benché sentissi grande amarezza nel vedere il numero grande di coloro che se ne sarebbero abusati, rimanendo vinti dai loro nemici infernali.
Volli anche lasciare esempio ai miei seguaci, che a volte devono lasciare i pi esercizi, per aiutare i loro prossimi bisognosi, in pericolo di perdersi, affinché tornassero poi a pregare, come vi tornai io.
L’AGONIA DI GESÙ –
Genuflesso, adorato ancora il divin Padre, tornai a supplicarlo dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; non si faccia però la mia volontà (1), ma la tua. Volli anche in questo, lasciare esempio ai miei fratelli, insegnando il modo con cui devono pregare il Padre, esponendogli il loro desiderio, rimettendosi, però, tutti al divin beneplacito.
In questa seconda orazione, sentendomi abbandonato, mi riempi di più grave tristezza: e come derelitto, fintesi tedio e mestizia (2). Si rappresentarono alla mia mente tutti i patimenti che avrei dovuto soffrire nel corso della mia acerbissima passione: le ingiurie, gli strapazzi, le derisioni. Permisi alle dette passioni che mi tormentassero per soffrirne volontariamente tutta l’amarezza, la pena, lo sfogo sopra la persona mia, onde ottenere che restassero mitigate e raddolcite per tutti i miei fratelli, quando essi le avessero dovute soffrire per l’adempimento della volontà del divin Padre.
Trovandomi; perciò, in grande abbattimento, oppresso da tante pene, ricolmo di affanno, mi ridussi in mortale agonia, senza conforto alcuno. Vedevo anche la mia diletta Madre, che si trovava in grande affanno, perché sentiva, nel suo cuore amante, i crucci che io stavo provando; questo accresceva il mio travaglio. Tutti i miei discepoli dormivano, ed io ero solo, derelitto, abbandonato, tra sfinimenti di morte. Non vi era chi mi dicesse una parola di conforto. E ciò che più mi crucciava era l’abbandono del Padre. Prolungai con tutto ciò la mia penosa orazione, soffrendo allora nella mente tutto ciò che poi avrei sofferto nel corpo durante la mia acerbissima passione. O sposa mia, quanto vidi e quanto intesi di travaglio e di pena in questa penosissima orazione! Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva dai miei fratelli.
Stando in sì penosa agonia, soffrivo anche una grandissima debolezza di forze corporali; prostrato colla faccia in terra, replicavo le preghiere al Padre; ma il Padre mi lasciò in grave affanno, dimostrando di non ascoltarmi.
VA A DESTARE I SUOI –
Essendo stato per un pezzo a penare in tal modo, mi alzai a fatica dall’orazione, ed andai di nuovo a destare i miei apostoli, che dormivano, dicendo a Pietro: Simone, anche tu dormi? Non hai potuto vegliare neppure un ora con me? (1) Volevo con queste parole fargli conoscere, che, se non poteva stare per breve tempo in orazione e vegliare con me, come poi avrebbe potuto morire con me, se fosse stato necessario? Dissi queste parole a Pietro, e, nella persona sua, a tutti quelli che fanno promesse, di voler patire e soffrire grandi cose per amor mio e per imitarmi, e poi, all’occasione, non sanno soffrire neppure un incomodo, né la privazione di una minima soddisfazione, come sfece Pietro, che non seppe superare un po di sonno. Vidi allora tutti coloro che l’avrebbero imitato in questo suo darsi al sonno durante il mio grave travaglio, e ne intesi amarezza.
Svegliati i miei apostoli, dissi loro il mio grande patire: Sappiate che l’anima mia si trova in tristezza, sino a soffrire l’agonia di morte. Ciò dissi loro con parole molto compassionevoli; ma essi, sbigottiti ed oppressi dal sonno, non mi dissero neppure una parola di conforto.
TORNA ALL’ORAZIONE –
Onde io, tutto afflitto e amareggiato, di nuovo ricorsi all’orazione. Prostrato in terra e adorata il divin Padre, Gli ripetei: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice: non si faccia, però, la mia volontà, ma la tua. Il Padre neppure allora mi confortò, ma, lasciandomi abbandonato alla mestizia, alla tristezza e all’amarezza, mi riempì di un più grave affanno.
SUDA SANGUE –
Allora si presentarono alla mia mente tutti i peccati dei miei fratelli, dal principio sino alla fine del mondo, con tutto il loro, peso, gravezza e misura. Vidi la mia persona che si era addossata tutto il peso per pagare alla divina giustizia una traboccante soddisfazione. Vidi l’ira paterna contro di me, per le colpe addossatemi. Vidi la gravezza delle offese al divin Padre, da me infinitamente amato. Vidi, di nuovo, la gravezza ed acerbità della mia passione e morte, per pagare il debita di tanti delitti. Vidi il numero grandissimo di quelli che si sarebbero dannati, per i quali sarebbero stati inutili i miei gravissimi patimenti ed il mio,sangue sparso con tanta carità ed amore. Vidi le offese di coloro che si sarebbero salvati, e che pur essendo anime elette, avrebbero offeso molto il divin Padre, ravvedendosi poi. Vidi tutto ciò che si sarebbe operato nel monda. Vidi la dignità della mia persona esposta a sì gravi tormenti, e il poco conto che i miei fratelli rie avrebbero fatto. Allora, immerso in un mare di crucci e di tormenti, rivolgendomi al Padre, provai un grandissimo dolore per le molte e gravi offese che aveva e che avrebbe ricevuto sino alla fine del mondo; ed in siffatto dolore caddi in terra bocconi, sudando vivo sangue, che, uscendo dal mio corpo, scorreva in terra a gocce ben grosse. Offri quel sangue al Padre per placare il suo sdegno, in caparra di quello che avrei sofferto durante la mia passione e morte, e di tutto il sangue che avrei in essa versato.
Stando in così grave tormento, bagnato di sanguigno sudore, agonizzante, caduto in terra, vedevo che il traditore Giuda e tutta la sbirraglia si erano adunati insieme per venire a prendermi. Ciò causava maggior cruccio al mio cuore afflitto, in modo che arrivarono al colmo le mie pene, i miei dolori e la mia amarezza. Mi trovavo in tale stato che sarei morto, se il Padre, con la sua potenza, non mi avesse conservato in vita. In me la divinità serviva solo per questo prodigio: che non restassi morto sotto il peso di sì gravi tormenti. Alla fine si placò il Padre, per l’offerta che gli feci dell’acerbissimo dolore, della contrizione che avevo di tutte le offese del genere umano é del sudore sanguigno che versai; per cui, soddisfatta appieno la divina giustizia, Egli mandò un angelo perché mi confortasse e mi animasse a bere l’amaro calice della passione. essendo quella la volontà Sua (1).
SUPPLICHE E PENE –
Udita la volontà,del Padre mio, e confortato dall’angelo, mi alzai da terra con generosità, bramando di adempirla. Riacquistate le forze, adorai di nuovo il Padre, lo ringraziai del conforto inviatomi, e gli offri tutto ciò che avevo patito, in sconto di tante offese del genere umano, supplicandolo di molte grazie per tutti i miei fratelli, in virtù di quello che gli offrivo.
Mentre stavo agonizzante, vidi tutti i miei fratelli ad uno ad uno, e non solo vidi tutte le offese che avrebbero fatte al Padre mio, ma anche tutti i loro bisogni e necessità, sia spirituali che temporali, e ne intesi compassione. Perciò, riavuto dalla penosissima agonia, pregai il divin Padre per tutti in generale, e per ciascuno in particolare, affinché si fosse degnato di soccorrerli con la sua divina grazia, secondo il loro bisogno. Gli domandai questo, in virtù di quanto avevo patito. Il Padre così fu placato per le offerte che gli avevo fatto e per la contrizione che per tutti avevo avuta e vidi, che non avrebbe mancato di fare quanto gli chiedevo. Di questo intesi consolazione, benché fu,più l’amarezza e soffri, nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati.
Supplicai ancora il Padre di dare ai miei fratelli un vero dolore di tutte le loro colpe, quando gliel’avessero domandato con umiltà, e specialmente e quelli, che, stando vicini alla morte, nella penosa agonia, ne hanno grande necessità. Questo glielo domandai in virtù della contrizione che io ebbi, allorché ero agonizzante. Vidi che il Padre gliel’avrebbe dato, e che molti, per questa contrizione, si sarebbero salvati. Io ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre. Ebbi però dell’amarezza, nel vedere che molti se ne sarebbero resi indegni, perché durante la loro vita, non l’avrebbero richiesta mai al Padre, ed in morte non se ne sarebbero neppur curati, per cui sarebbero periti miseramente.
Gli domandai ancora, in virtù della pena che soffri nella mia penosa agonia, che si fosse degnato di addolcire le amarezze dell’agonia a tutti i miei fratelli, e che, infine li avesse confortati, così come aveva fatto con me, mandandomi 1 angelo confortatore. Il Padre tutto mi promise, e vidi che avrebbe tutto eseguito fedelmente con paterno amore. Di sciò gli resi le dovute grazie, anche a nome dei fratelli.
Ottenuto tutto dal Padre, lo lodai e lo ringraziai per tanta misericordia e bontà, ed andai di nuovo dai miei apostoli, che dormivano, ma con timore, per quello che avevo detto loro prima; quindi soggiunsi che dormissero e riposassero anche, per quel breve tempo che ci restava, giacché non avevano potuto vegliare (1). Poi, ritirato di nuovo, mi offri al Padre, pronto a soffrire quanto mi era preparato nel corso della mia acerbissima passione, per adempire la sua volontà divina. Anzi, acceso da una brama ardente di patire, aspettavo l’ora con gran desiderio ed amore, perché si compisse l’opera dell’umana redenzione. Andai a destare i miei discepoli, dicendo : Alzatevi ed andiamo incontro ai miei nemici, perché si avvicina l’ora, nella quale il Figliuolo dell’uomo sarà dato in mano ai peccatori. Ecco, che si appressa il traditore (1).
Si destarono i miei apostoli, ma tutti sbigottiti, per le suddette parole, ed intimoriti, perché, non avendo orato, come io avevo ordinato doro, si trovarono privi della forza e della virtù, che suole apportare all’anima la fervente orazione.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai inteso, sposa mia, come sia necessaria l’orazione; perciò ti stia a cuore la pratica di questo sì importante esercizio, non trascurandola giammai, perché tu sia ben provvista di armi per combattere contro i tuoi nemici infernali, contro le tue passioni, ed anche per ottenere dal Padre mio le grazie, per te per i tuoi prossimi. Offri spesso la contrizione che ebbi, in questa mia penosa orazione, con il sangue che sparsi, per la conversione dei peccatori e per ottenere il perdano delle offese e ti assicuro che il Padre mio gradirà molto quest’offerta; domandagli anche una vera contrizione ed il dolore per te e per i tuoi prossimi, specialmente per i peccatori, perché piace molto al Padre mio un cuore contrito ed umiliato. Nella tua orazione domanda tutte le grazie necessarie per te e peri tuoi prossimi, e, se vedi che non sei esaudita, non ti perdere d animo, ma continua a domandare. Non ti stanchino masi il tedio e la tristezza che, a volte, proverai in questo esercizio, ma uniformati sempre alla divina volontà. Hai inteso il modo con cui devi orare e domandare: esponendo il tuo bisogno, o il tuo desiderio, e rimettendoti alla volontà del Padre. E, quando intendi la sua volontà, eseguiscila con prontezza, senza replica, senza turbamento, come feci io, quando, udita la volontà del Padre, che dovessi bere l’amaro calice, subito mi alzai ed andai incontro ai miei nemici. E fa tutto con amore e desiderio. di dar gusto al mio divin Padre. Come il Figliuolo di Dio fu preso e legato dai suoi nemici nell’orto di Getsemani. Del bacio di Giuda, il traditore, e dei molti strapazzi che ricevette dai ministri di giustizia nell’esser condotto in Gerusalemme ed indi in casa di Anna, e di ciò che operò nel suo interno sino a che tu condotto da Caifa.
IL BACIO DI GIUDA –
Mentre stavo con i miei apostoli, dissi loro che già veniva la coorte a prendermi e mi avviai ad incontrarla. Essi stavano alquanto indietro, pieni di timore. Veniva la coorte in gran silenzio, onde non fosse da me sentita, perché temevano che fuggissi; tenevano le lanterne serate, perché non si vedesse il lume.
Venne avanti Giuda, il traditore, e, salutandomi con maniere cortesi e fingendosi amico e discepolo, come prima del tradimento, mai disse: Dio vi salvi, o Maestro! Ed io gli risposi con amorosa voce: Amico, a che sei venuto? Ed egli, appressandosi sfacciatamente al mio volto, mi diede il sacrilego e finto bacio, in segno di amore e di vera amicizia. Non respinsi il traditore, mia con altrettanto amore, quant’era la sua indegnità e finzione, diedi un nuovo assalto al suo cuore indurito dicendo: Ah, Giuda! Tu con questo baciò tradisci il Figliuolo dell’uomo! A queste parole, ed ai lumi che allora gli impetrai dal Padre, il traditore incominciò a conoscere il sino tradimento, ma non si arrese. Si ritirò, però,indietro con la coorte, che stava all’entrata dell’orto, per prendermi; nessuno,però, osava avvicinarsi per mettermi le mani addosso.
Per il fatto di Giuda, fu ferito il mio Cuore da fierissimo dolore. Provai, o sposa mia, un grande orrore nel vedere presso di me quel sacrilego ed il suo sordido volto appressarsi al mio, per baciarmi con la sua infame bocca. Allora si rinnovarono in me le amarezze e le angustie, perché vidi tutti i sacrileghi, che, con sfacciata fronte, sarebbero venuti a ricevermi nel Sacramento dell’Eucaristia, introducendomi dentro le loro sordide anime, macchiate di grave colpa. Intesi orrore e pena grave, vedendo la stretta unione che, in quell’atto, si sarebbe fatta fra il mio e il loro spirito, e vedendo che tante volte mi sarebbe convenuto umiliarmi ed avvilirmi tanto. Offri questa mia umiliazione ed abbassamento al divin Padre, in supplemento delle offese gravissime che, con questo mezzo, avrebbe ricevuto.
Parlai poi internamente al traditore e gli dissi Ah, Giuda, hai avuto tanto cuore di tradire il tuo Maestro, che tanto ti ha amato e beneficato! E come hai potuto fare ciò? E possibile che tanta carità, tanta bontà, tanto amore, non sia stato sufficiente a spezzare il tuo duro cuore? Deh! torna a me contrito del tuo fallo, ché ancora sei in tempo e ti offro il perdono. Resisté anche a questo il traditore, e più si indurì dopo il suo grave misfatto, che ben conobbe, ma inutilmente, perché disperò della divina misericordia.
Nel finto bacio del traditore vidi tutti coloro che l’avrebbero imitato nella finzione e nel tradimento dei loro prossimi. Ne intesi grande amarezza, che offri al Padre mio, supplicandolo di illuminarli e di fare loro conoscere il grave male, che è il tradire il prossimo, mostrando amicizia ed in realtà trattandolo peggio di un nemico. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti avrebbero approfittato dei lumi divini, emendandosi. Di ciò intesi consolazione, benché provassi dell’amarezza nel vedere che molti sarebbero restati nella loro perfida Ostinazione, come l’empio Giuda, e sarebbero perirti miseramente. Vidi anche tutti gli innocenti che sarebbero stati traditi e calunniati dai malvagi; pregai il Padre di dar loro la sua grazia ed i suoi aiuti speciali, per sopportare il tradimento e le calunnie ad imitazione mia, e di far conoscere la loro innocenza, come anche la malizia dei traditori e calunniatori. Vidi, che il Padre l’avrebbe fatto per l’onor suo e dei suoi veri servi, e che i perfidi sarebbero stati conosciuti ed aborriti, come avvenne a Giuda, che, stando nella sua disperazione, non trovò alcuno che lo sollevasse. Chi lo incontrava infatti rivolgeva altrove gli sguardi per non vederlo, perché il suo stesso aspetto spirava orrore, anche a quelli con i quali si era confederata; infatti riportando il denaro ai principi dei sacerdoti e ai Farisei, dicendo loro che aveva errato, che aveva tradito e venduto il sangue di un innocente e di un giusto, tutti rimasero sorpresi dall’orrore e rivolsero la testo altrove per non vederlo.
ROVESCIA I SOLDATI A TERRA E LI RIALZA –
Stando, come dissi, vicino all’uscita dell’orto con la coorte vicina a me per farmi prigioniero, nessuno osava pormi le mani addosso: non si potevano appressare. Volendo far conoscere che spontaneamente mi davo nelle loro mani, le che, se non avessi voluto, non sarebbe mai riuscito loro di prendermi, dissi: Chi cercate? Risposero: Cerchiamo Gesù Nazzareno.
Alle quali parole risposi: Sono io. Dissi queste parole con voce maestosa, ed essi caddero in terra, come tramortiti, sentendo il tono della mia voce. Valli con questo far conoscere la mia potenza, e che io erra il vero Figlio di Dio; ma essi se ne servirono per maggiormente infuriare contro di me: perché, avendo, l’animo mal disposto, ed essendo istigati dai demoni, non fecero conto del lume e della potenza usata contro di loro; per la quale, se avessero voluto, potevano pentirsi del loro fallo e riconoscere me per il vero Messia promesso loro.
Stando così rovesciati in terra, ebbi di essi grande compassione. Il Padre, sdegnato verso di loro, voleva con la sua divina giustizia, fulminarli tutti, e farli precipitare negli abissi infernali, come meritavano. Ma io lo pregai di placare lo sdegno, e di contentarsi, che tornassero al loro primo essere. Lo pregai anche per il loro ravvedimento. Per alcuni non furono vane le mie suppliche, perché, servendosi dei lumi e della grazia, che impetrai loro dal divin Padre, si ravvidero dopo la mia morte; pochi però mi confessarono come vero figlio di Dio, mentre i più rimasero nella loro ostinazione e durezza.
Placato pertanto il divin Padre per le mie suppliche, ordinasi che quegli scellerati tornassero al foro primo essere. Disfatti, rialzatisi, alcuni dei più perfidi, si avventarono contro i miei discepoli, perché non conoscevano quale fosse la mia persona, essendo rimasti sbigottiti per la caduta. Ed io dissi di nuovo: Chi cercate ? Essi risposero: Gesù Nazzareno. Allora dissi di nuovo: Sono io. Se cercate me; lasciate liberi questi, e prendete me. Con questa parola davo loro licenza di prendermi, altrimenti non l’avrebbero potuto giammai.
PERCOSSE ED INGIURIE E MANSUETUDINE DI GESÙ –
A queste parole lasciarono liberi i miei apostoli e si avventarono tutti contro di me. Ed, oh, sposa mia, quanto gravi furono le ingiurie che alcuni mi dicevano, quante le percosse che mi davamo, quanti gli strapazzi! Erano decisi a ridurmi a tal segno, che nessuno mi potesse più riconoscere. E difatti lo fecero.
Nel vedermi addosso tutti quei fieri ed arrabbiati manigoldi, puoi credere quanto fosse grande la pena e l’amarezza del mio nuore! Perciò dissi loro: Siete venuti a prendermi con funi e bastoni, come se fossi un ladro ed un infame assassino. Eppur sapete, che sono stato continuamente nel Tempio ad insegnare la celeste dottrina. Perché ora mi trattate così male? Dissi loro queste parole con tanta dolcezza ed amore, che anche i cuori di ferro si sarebbero mossi a pietà. Eppure quei perfidi si indurirono più che mai. Questa gente era stata ammaestrata da Giuda e dai Farisei, che avevano loro detto di essere forti, perché con la dolcezza delle mie parole incantatrici, li avrei fatti arrendere. Ed essi, stando su l’avviso, si facevano violenza e si sforzavano di trattarmi altrettanto male, quanta pera la dolcezza con cui trattavo con essi.
Il perfido Giuda, vista la mia cattura, e sentiti i molti e gravi strapazzi che mi facevano, partì; sentirai dopo ciò che successe di lui. Mentre stavo fra le mani dei nemici, i miei apostoli si ritirarono; rimasero solo Pietro e Giovanni. Pietro, nel vedere i grandi strapazzi e le percosse, mise mano ad una sciabola, e tirò un colpo ad uno, che, più di tutti, mi maltrattava; voleva recidergli la testa, ma gli tagliò un orecchio. Rimproverai allora l’apostolo, e preso l’orecchio di quel perfido, glielo risanai; ma essendo quello tanto infuriato contro di me, non pensò al beneficio che gli avevo fatto, per cui risanato, mi mise di nuovo le mani addosso, più infuriato di prima.
CATTURA UMILIANTE E PENOSA DI GESÙ –
Mi gettarono in terra, mi legarono le mani e le braccia, e mi misero la cintura al collo. ed ai piedi una grossa catena. Mi percuotevano coi pugni sulla testa, negli occhî. Mi davano dei morsi nelle braccia, mi calpestavano i piedi, mi davano delle bastonate, mi strappavano i capelli, mi davano dei calci, degli urtoni, chiamandomi mago, seduttore, vagabondo, infame, ambizioso; dispregiatore della legge, ipocrita, capopopolo; tutte ingiurie che contro di me avevano udito dagli Scribi e dai Farisei. Io stavo sotto la pioggia di tante percosse e di tante ingiurie, come un agnello mansueto; non mi adiravo, non mi lagnavo, ma offrivo tutto al Padre. Allora la mia umanità sentiva tutti i dolori e i martiri assai più di quello che lo possa sentire alcun altro mortale: perché molto gentile e delicata era la mia complessione.
Quei fieri ministri ristavano tutti intorno, come cani arrabbiati e come tori furiosi. Urlavano, fremevano, facevano rumore e fracasso per l’allegrezza di essere riusciti ad avermi nelle loro mani. Sotto la pioggia di tante percosse, di tante ingiurie, di tanti strapazzi, vedendo che così ricompensavano l’amore che avevo loro dimostrato ed i molti benefici che ad essi avevo fatto, ne sentivo grande amarezza. In quei ministri che facevano a gara a chi più mi potesse percuotere ed oltraggiare, vedevo tutti quelli, che, per le loro colpe, erano responsabili delle pene, che io soffrivo proprio per soddisfare le colpe di tutti.
Non credere, sposa mila, che io li guardassi coni orrore e con sdegno. Anzi, soffrivo tutto con grande amore, ed era mio desiderio che essi approfittassero di sì grande beneficio; la mia maggior pena era, prima per le offese del Padre, e poi nel vedere che molti non avrebbero goduto del frutto della redenzione per colpa loro, e che tanti miei patimenti sarebbero stati inutili per essi. Oh! questo sì che mi passava l’anima, e come una spada mi feriva il cuore! Da quando fui preso dai miei nemici, ed incominciai a patire per le loro mani, volli sospesa anche la poca consolazione ed i gusto che mi apportava il vedere le anime, le quali avrebbero approfittato delle grazie che loro meritavo dal mio divin Padre, e mi avrebbero imitato nelle spie pene, perché durante la mia passione volevo rimaner privo di ogni conforto e consolazione, e soffrire tutta l’amarezza ed il dolore.
La stessa mia diletta Madre mi serviva di grande amarezza, perché la vedevo in tanto grave cordoglio; Essa sentiva nel suo cuore tutto quello che io pativo, edera immersa in un mare di amarezze e di dolori. Oh! quanto mi accresceva la pena, il vedere quell’innocente immacolata colomba, in tanti martiri, ed il suo cuore, veramente amante, gin tanti dolori! Io non avevo chi mi confortasse in tante pene; Lei non aveva chi la consolasse in tanti e si gravi affanni. E così, uniti insieme, stavamo totalmente abbandonati al dolore ed alle pene. Non rivolgevo il pensiero a quelli che ci avrebbero compatito ed imitato, per privarmi anche di questa consolazione; lo rivolgevo, invece, verso coloro che avrebbero tanto patito per amor mio. Vedevo i dolori e le sofferenze di tutti i martiri, di tutti quelli che avrebbero molto patito per amor del mio nome. Di ciò sentivo grande compassione ed amarezza; così, in tutto e per tutto, si andavano, accrescendo le mie pene interne e quelle esterne per mano dei miei nemici. Questo lo praticai per tutto il tempo della mia passione, e l’offrivo al Padre, in sconto dei peccati di tutto il genere umano, soffrendo per miei fratelli, non escludendone neppure uno solo dalla possibilità del beneficio, e soddisfacendo appieno alla divina giustizia per tutti.
OGGETTO DI SCHERNO E DI TORMENTI –
Avendo alquanto sfogato sopra la persona mia il loro furore, dopo avermi i perfidi, caricato di percosse e di Ingiurie, cominciarono a trascinarmi versa la città, con le funi e le catene, dandomi delle bastonate, dei calci e dei pugni. Altri si trastullavano e, battendo le mani, con risate sconce, dicevano: Evviva, abbiamo avuto nelle nostre mani il mago, il malfattore. E tutti alzavano la voce. Altri mi tiravamo per lue orecchie, altri per i capelli. I demoni che li istigavano, quando, vedevano. che alcuni si stancavano e cessavano di percuotermi ed oltraggiarmi, li assalivano con più violenza, in modo che, infuriati più che mai, tornavano a tormentarmi con maggior crudeltà. Ero spesso fatto cadere, per gli urtoni impetuosi che mi davano, e per la violenza che facevano nel tirarmi con le fumi. Alcuni andavano avanti,altri dietro, altri mi stavano dintorno, come ara stato loro ordinato dall’empio Giuda e dai Farisei: alcuni di questi vennero dietro alla coorte, segretamente, per vedere se riusciva loro di farmi prigioniero e se ero trattato come avevano ordinato. Avendo tutto veduto, se ne tornarono lieti in Gerusalemme a darne avviso agli altri, onde si fossero rallegrati. Infatti ne fecero grande festa.
L’ORA DELL’INFERNO –
Andavo in mezzo a quei perfidi, gin sommo silenzio, non aprendo, bocca, non lamentandomi della crudeltà ed inumanità, lasciando tutti liberi di sfogare sopra di me l’ira,e lo sdegno, avendo loro detto, che quella era la loro ora e l’ora della potestà delle tenebre. Vedendo le furie infernali la mia invitta pazienza, vieppiù si infuriavano sospettando che veramente potessi essere il Figlio di Dio; ma, non potendo avere sicurezza alcuna, procuravano di istigarne maggiormente i ministri a maltrattarmi. Poi dicevano non essere possibile che il Figlio di Dio si fosse tanto, avvilito e dato in potere di gente infame e perversa. Così non potevano assicurarsi del vero.
Mentre ero così trattato offrivo tutto al divin Padre in sconto delle offese che riceveva, lo pregavo di dare a tutti li miei fratelli e seguaci un invitta pazienza nelle ingiurie e negli strapazzi, che avrebbero ricevuto dai malvagi, come anche dalle furie infernali, che si sarebbero servite dei cattivi per tormentare i buoni. Allora vedevo tutte le pene che avrebbero sofferto i miei seguaci dagli empi per istigazione dei demoni. Pregai per tutti ed ottenni per essi dal Padre la grazia di soffrire tutto con pazienza e
rassegnazione. Vidi il premio che questi avrebbero acquistato per la loro sofferenza, e resi grazie al divin Padre di tutto, come anche degli aiuti spirituali che avrebbe dato loro.
Vedendomi tanto sfigurato, che non si riconosceva più la mia persona, intesi qualche rincrescimento nella mia umanità di dover comparire in pubblico, dinanzi a tutta Gerusalemme, ed esser deriso da quanti mi avrebbero veduto; mia offri tutto al Padre, mostrandomi pronto a soffrire ogni umiliazione. Volevo sentire nella mia persona tutti i rincrescimenti e lue confusioni che avrebbero inteso i miei fratelli nelle loro pene, travagli e derisioni, offrendoli al Padre per ottener loro la fortezza e la pazienza in tutte le occasioni di dispregi; derisioni e patimenti, ed anche perché non potessero dire all’occasione: io soffro questo travaglio, che Gesù Cristo, mio esemplare, non ha sofferto. Tutto ciò che la creatura potrà incontrare di travagli, di ingiurie e di pene, sempre troverà che io ne ho sofferte assai maggiori, senza paragone alcuno.
LO DEFORMANO NELL’UMILIAZIONE ABBANDONATO –
Gli iniqui, già si erano accordati di maltrattarmi in modo, che non fossi neppure riconosciuto; poiché sapevano che il mio volto ed i miei sguardi erano di tanta virtù, che attiravano i cuori, conciliando l’amore di chi mi rimirava con buona volontà; si studiarono perciò in tutto e per tutto di deformarmi, affinché le turbe, vedendomi, non avessero compassione dei me, né si rivolgessero contro di loro e contro i Farisei. Perciò mi percuotevano spesso il volto con guanciate e gli occhi con pugni, e mi dicevano: Ora va, e con i tuoi sguardi tira a te i popoli interi. Quanto sentivo questo affranto, e quanto dolore soffriva, non vi è chi lo possa comprendere! I miei occhi, pieni di sangue, si erano tanto gonfiati, che appena vedevo la luce. Naso e labbra, a causa delle monte percosse e delle cadute, erano tumefatte, tanto che il mio aspetto metteva compassione anche ai cuori più duri. Sulla fronte e su un ciglio aveva ammaccature e urna ferita sanguinante, per aver battuto, cadendo, su di un sasso. I denti erano parte rotti e parti smossi, per i pugni e per le cadute. Le guance peste e nere, e tutto il volto ridotto in maniera, che non vi era più effigie di uomo. Tutto il corpo era pesto, e le braccia, per i morsi che mi avevano dato, stillavano sangue. I piedi ammaccati e anneriti, e parte delle unghie staccate. Le mani gonfie e annerite per la strettezza delle funi con le quali stavano legate.
Ridotto in tale stato, mi condussero alla città di Gerusalemme, tra fischiate, urli, battimenti di mani, ingiurie; ognuna faceva a gara a strapazzarmi, per far cosa grata agli Scribi e ai Farisei, i quali avevano promesso buona mancia, a chi più mi avesse malmenato. Ed io mi trovavo, in mezzo a sì crudele gente, da tutti abbandonato.
I miei apostoli erano fuggiti, spaventati; solo Pietro e Giovanni mi seguivano, ricolmi di timore e di amarezza. E Pietro camminava assali lontano da me, per il timore che aveva di udire tanto strepito, e di vedere le tante percosse che mi davano. Ed io soffrivo tutto con grande amore. Compativo molto i miseri che tanto mi straziavano, e pregava il divin Padre di perdonar loro un sì grave eccesso. Ed alle furie infernali dicevo dentro di me: Sfogate pure, spiriti ribelli, il vostro furore, perché, in breve, vedrete chi sono io, e sentirete ciò che cadrà sopra di voi! Progettavo infatti di incatenare Lucifero, e dei fulminare tutta i maligni spiriti negli abissi infernali, dopo la mia morte, come a suo luogo sentirai.
Offriva poi tutti i patimenti per amar dei miei fratelli e per ciascuno in particolare, secondo le offese che il divin Padre avrebbe da essi ricevuto. Il Padre si mostrava soddisfatto, ed io lo lodavo e ringraziavo a nonne dei miei fratelli, e mi offrivo pronto a soffrire tutta per amore suo, e per la salute del genere umano. Lo pregavo dei aiutarmi in tonti miei travagli e patimenti: ed il Padre mi dava la forza di soffrire, facendo un continuo miracolo di conservarmi in vita, per patire infatti molte volte sarei morto sotto la pioggia di tante percosse e di tanti strapazzi; perché la mia umanità sentiva tutto e la divinità stava come nascosta in me, per privare l’umanità del gaudio che le avrebbe apportato il sentirsi unita alla divinità. Voleva il Padre che io rimanessi immerso allora in un puro patire, senza mescolanza di consolazione alcuna, per meritare ai miei fratelli la divina consolazione nelle loro pene, travagli e patimenti.
IN CITTÀ UMILIAZIONI –
Mi fecero poi passare il torrente Cedron a guado, tirandomi con le funi, e la mia umanità intese molta patimento. dentro quelle acque.
Arrivati infine alla città, sebbene fosse notte, era accorsa molta gente ;per vedermi, istigata dagli Scribi e dai Farisei, e molto più dalle furie infernali. Al mio arrivo, incominciarono ad ingiuriarmi, chiamandomi seduttore, mago, incantatore. Sei alla fine caduto in mano della Giustizia! Ora pagherai il fio dei tuoi incantesimi e delle tue falsità. Queste furono le accoglienze che ricevei nell’entrare in città. Ve ne erano anche di più perfidi che mi tiravano dei sassi, avvicinandosi, per farlo: perché essendo circondato dagli sbirri e dai soldati, non potevamo farlo da lontano. Vi furono anche di quelli che, cui sassi, mi pestavano le spalle. Nell’entrare per la porta della città così strapazzato, alla mia mente si rappresentarono quelle anime infelici, che, abusando del beneficio della redenzione e morendo impenitenti, sono consegnate in mano dei nemici infernali, dai quali, introdotte nell’abisso infernale, vengono tormentate sopra ogni umano intendimento. Vedendo gli strazi che lue misere avrebbero patito in tale luogo, e i tormenti che loro stanno preparati per tutta un eternità, ne intesi una gravissima pena; come anche provavo grande amarezza nel vedere, che, quasi tutti quelli che mi tormentavano, sarebbero caduti in sì grandi tormenti. Bramando, che tutti ne fossero restasti liberi, offri per essi e per tutti i miei patimenti al divin Padre, supplicandolo che si fosse degnato di liberarli da tanta miseria, dando loro li suoi lumi e la sua grazia. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto; ma intesi dell’amarezza nel vedere l’esiguo numero di coloro che ne avrebbero approfittato, ed il numero quasi incalcolabile dei miseri, che avrebbero abusato della misericordia divina (1).
È CONDOTTO AD ANNA –
Entrando così straziato e sfigurato nella città, mi condussero nella casa di Anna, che era vicina. Questo fu il primo tribunale al quale fui presentato. Anna mi aspettava con grande desiderio dei vedermi: perché era precorsa la voce, che, essendo stato catturato dai ministri, mi avevano Oltremodo strapazzato e percosso. Del che tutti si rallegrarono. Vi erano anche molti Scribi e Farisei, che mi aspettavano, per vedermi e rallegrarsi della cattura, ed anche per ingiuriarmi e maltrattarmi: perché allora ognuno si faceva lecito di trattarmi peggio che avesse saputo. Intesi gran de rincrescimento per essere condotto a questo tribunale, perché sapevo la gravezza degli oltraggi che vi avrei ricevuto. Nonostante ciò, animato, andai con pronta volontà di soffrire tutto, per adempire la volontà del Padre, e per lasciare ai miei seguaci l’esempio di praticare le virtù che con invitta pazienza esercitai io.
Entrato in casa di Anna, Giovanni, che mi seguiva, partì ed andò a portare la funesta novella alla mia diletta Madre, la quale in spirito sapeva e vedeva tutto, trovandosi perciò in gravissimo cordoglio. Ira compativo molto e si accrescevano in me le pene per i suoi interni dolori ed amarezze.
NEGAZIONE DI PIETRO –
Vidi che anche Pietro, il quale da lungi mi seguiva, entrò in detta casa, dietro a quelli che mi accompagnavano (1). Tutto ripieno di timore e di amarezza, avrebbe voluto fuggire anche lui, ma era sì grande l’amore che mi portava, che non gli bastava 1 animo di abbandonarmi. Entrò tutto timoroso interrogato da una servente, e riconosciuto per uno dei miei discepoli, negò di esserlo. Procurava di farsi violenza e di tenere nascosto il timore e la tristezza che sentiva, per dimostrare che non era della mia sequela. Andò a porsi con la donna al fuoco per scaldarsi, essendo l’aria rigida, perché era notte. Essendosi messo nell’occasione, l’apostolo cadde di nuovo e mi negò. E lo fece per tre volte, come gli avevo predetto (2). Tutto ciò accadde mentre io stavo alla presenza di Anna (3).
INTERROGATORIO DI ANNA –
Giunto alla sua presenza, Anna mi rimirò con ciglio grave, altero e superbo, come anche quelli che si trovavano coro lui. Tutti pareva volessero fulminarmi con gli sguardi, rimirandomi con occhi torbidi e maligni e ingiuriandomi. Restarono però tutti attoniti nel vedermi tanto mal ridotto e sfigurato. Dicevano fra di loro: Veramente la coorte ha secondato i nostri desideri.
Io stavo con il capo chino, con gli occhi fissi in terra, con le mani legate, in atto umile, con serenità di volto, in profondo silenzio. A tale vista Anna mi chiese, che ne era dei miei discepoli. Fece ciò perché mai vide solo, in mano della coorte le da tutti abbandonato. In quello stesso momento Pietro mi stava rinnegando. Puoi credere quanta amarezza sentissi in questa interrogazione fattami per scherno! Alla quale, io non diedi risposta alcuna. Il mio Cuore era oppresso dal dolore per le negazioni di Pietro, che già sentivo. Pregavo il Padre di illuminarlo, e fargli conoscere il suo fallo. Difatti il Padre lo illuminò, ed, al cantar del gallo, si ricordò dei quanto gli avevo predetto, ed io, rimiratolo internamente, lo ripresi con molta dolcezza. Alle interne parole ed allo sguardo amoroso, 1 apostolo si pentì, si compunse, e proruppe in amarissime lacrime, dicendo fra sé : O Maestro, da me tanto amato! eppure sono caduto in sì grave eccesso di negarvi, mentre Voi pativate tanto per mostrarci il Vostro grande amore e sopportavate i più gravi tormenti per la salute delle nostre anime. Ferito nel cuore dal dolore, andò a piangere il suo fallo. Pietro corrispose alla grazia ed ai lumi, sperando il perdono, che subito ottenne.
Non cosi Giuda, il traditore, che, essendo tornato in sé, e conosciuto il suo grave delitto, disperò, facendo anche questa ingiuria alla divina infinita misericordia, per la quale non vi è peccatore, per grande che sia, che, contrito dei suoi falli, non trovi il perdono e la divina misericordia in favor suo. Vide anche il perfido Giuda i molti strapazzi e le percosse che ricevetti dai ministri di giustizia, e, conscio di esser lui la causa di tanti miei. patimenti, si empì d amarezza e di disperazione insieme, in modo che il vivere gli sembrò impossibile, avendo dentro di sé un inferno di crucci e di tormenti, perché tutte le sue passioni la laceravano, come tanti cani arrabbiati, ed i demoni lo tormentavano con la disperazione, procurando di indurlo a darsi la morte. Temevano si convertisse come Pietro, per il quale molto si turbò il nemico infernale, che cercava di far cadere e perdere tutti.
È SCHIAFFEGGIATO –
Mentre stavo alla presenza di Anna, soffrivo grande amarezza. Vedendo che io non rispondevo alla richiesta che mi fece dei miei discepoli, me la rinnovò, perché, sapendo che uno di essi mi aveva tradito dandomi nelle loro mani, con tale richiesta pensò di schernirmi ed accrescermi l’amarezza, per darmi motivo di lamentarmi di loro; ma, vedendo che io non rispondevo, mi chiese, con voce più altera, quale fosse la dottrina che insegnavo. A questa richiesta risposi, che avendo parlato sempre pubblicamente, interrogasse quelli che erano presenti, i quali si erano trovati molte volte ad udire la mia parola. Tutti gli astanti restarono feriti da questa risposta: perché non potevano dire cosa alcuna dei male contro di me, essendosi manifestata la mia dottrina santissima, e le mie opere tutte perfette. Perciò fremettero con sdegno; ed un servo, alzando arditamente la mano, mi diede un orribile schiaffo, dicendo: Così rispondi al Pontefice? Questo fu quel perfido, al quale avevo sanato l’orecchio, quando mi avevano fatto prigioniero. Si chiamava Malco, ed era uno dei più perfidi e più duri di cuore.
Tutti fecero festa a questo orrendo schiaffo, dicendo: O servo veramente valente e di spirito ! e battevano le mani per l’allegrezza, ridendo tutti sconciamente, anche il Pontefice.
L’orrendo schiaffo mi fracassò la testa, che era molto indebolita per le percosse e le cadute, sicché appena la potevo reggere; la guancia, che già era tutta pesta, stillò sangue per la violenta percossa, e si ingrossò molto, in modo che mi rese più sfigurato. E l’iniquo servo invitava gli astanti a rimirarmi, schernendomi e beffeggiandomi. Ecco, o sposa mia, a quale segno mi ridussi in casa di Anna: ad essere schiaffeggiato peggio di un vilissimo malfattore, e da un vilissimo servo, senza che alcuno riprendesse la sua temerità ed il suo ardire. Anzi, fu da tutti lodato ed applaudito, tanto era fiero l’odio ed il livore che quei perfidi avevano contro di me: si facevano lecito di usare ogni ingiustizia.
MANSUETUDINE DI GESÙ –
A questa percossa parlai al percussore, dicendogli: Se ho parlato male, danne testimonianza: ma se ho parlato bene, perché mi percuoti? Gli dissi ciò con voce sommessa e umile, anche perché, avendomi il detto servo inteso parlare molte volte al Tempio, desse testimonianza al Pontefice delle mie parole, se fossero state riprovevoli; ma, non potendo far questo, perché io avevo parlato sempre bene, gli richiesi perché mi avesse percosso. E ciò gli dissi,perché il servo rientrasse in se stesso, e si pentisse del grave fallo. Ma egli s indurì più che mai, mentre io, nel tempo stesso che mi aveva percosso, ero pronto a perdonargli, anzi bramavo la sua conversione. E pregai il divin Padre non solo di trattenere il castigo che meritava un sì grave eccesso, ma anche di perdonargli. Ma il perfido non corrispose alla grazia ed ai lumi divina (1).
Nella circostanza dell’orribile guanciata, vidi tutti quelli che avrebbero imitato questo perfido ed ingrato, che dopo aver ricevuto il beneficio dell’orecchio risanato,
mi fece dei grandi maltrattamenti, e poi ardì percuotermi, alla presenza del pontefice. E vidi, ed oh con quanto orrore! che molti dei miei fratelli, dopo aver ricevuto molte e molte grazie, avrebbero offeso gravemente il mio divin Padre, con offese pubbliche e scandalose; per essi sarebbero state derise ed oltraggiate le grazie del Padre anno e le cose del divino servizio, ed applaudite dai cattivi le male operazioni degli empi. Di ciò intesi grande amarezza.
La mia umanità ebbe grande confusione per quella percossa, e ne intese sommo dolore, che offri al Padre, in sconto della gravissima offesa che aveva ricevuta nella mia persona. Il Padre con questo si placò e trattenne il castigo verso quel perfido. Gliel’offri anche in sconto di tutti quelli che, all’occasione, avrebbero imitato quel sacrilego, e lo supplicai del perdono per tutti, e della grazia che, riconosciuto il loro fallo, si fossero pentiti e ravveduti. E vidi, che pochi se ne sarebbero approfittati, ma che i più sarebbero restati nella loro ostinazione e perfidia: di ciò ne provai grande amarezza.
Lasciai in questo fatto un raro esempio, a tutti i miei seguaci, di soffrire con pazienza e per amor mio anche le percosse, e di imitarmi; e pregai il divin Padre di dar loro la grazia di poterlo fare. Vidi che il Padre gliel’avrebbe data, ma molto pochi sarebbero stati quelli che l’avrebbero praticato, approfittandosi della detta grazia. I più non solo non l’avrebbero voluto soffrire, ma n avrebbero fatto vendetta con grandi risentimenti. Il vedere, o sposa mia, lo scarso numero di quelli che avrebbero imitato i
miei esempi, mi cagionava una più crudele pena ed amarezza. Essendo stato trattato in tal modo alla presenza di Anna, il mio Cuore si preparava a soffrire maggiori pene e dispregi. Dicevo al divin Padre: Padre mio, eccomi pronto a soffrire tutto, purché resti soddisfatta appieno la divina giustizia. Io mi sono addossato i debiti di tutti i miei fratelli, e sono pronto a darvene una paga traboccante. Solo vi prego, o Padre mio, del vostro aiuto, e che si plachi il vostro giusto sdegno verso tutti quelli che vi offendono, trattando così male la mia persona. Placatevi, o mio divin Padre, perché questi non sanno ciò che si fanno. Il Padre, a queste mie suppliche, restava placato, benché venisse continuamente irritata la divina giustizia dalle molte e gravi offese che riceveva nella mia persona.
Lo pregai anche di volersi degnare di are un simile sentimento a tutti i miei seguaci, affinché fossero
pronti a soffrire tutti i tormenti e i dispregi per imitarmi; avessero pregato per quelli che li oltraggiano, e tutto offrendo al divin Padre in sconto delle offese che riceve dai loro persecutori; Io supplicai ancora di rimunerare la loro sofferenza. E vidi che il Padre avrebbe concesso detta grazia a tutti i miei seguaci. Vidi anche tutti coloro che se ne sarebbero giovati ed il premio che loro stava preparato. Vidi però, che molti ne avrebbero abusato, ricusando di imitarmi. Intessi amarezza, nel vedere come la creatura, vile per se stessa, avrebbe rifiutato di praticare ciò che praticavo io loro capo, Maestro e vero Figlio di Dio.
È CONDOTTO A CAIFA UMILIAZIONI –
Essendo stato trattato, come hai inteso, Anna ordinò ai ministri, che gli fossi levato davanti, perché non poteva soffrire la vasta di una persona sì vile e deforme. In verità ero ridotto in stato, da non aver più figura di uomo, tante erano state le percosse.
Fui condotto fuori di quella casa, accompagnato da fischiate, da ingiurie e da percosse e tirato, a forza con funi e catene, per essere condotto da, Caifa, che mi stava ad aspettare con impazienza, insieme a molti Scribi e Farisei, tutti bramasi di vedermi, e di maltrattarmi (1). Le furie infernali pori non riuscivano a capirne donde potesse procedere in me tanta pazienza, tanta tolleranza, tanta umiltà. Temevano molto, che potessi essere veramente il Messia, perché la virtù da me praticata in tanti oltraggi, in tanti strapazzi e percosse erra sopra ogni umano potere: ma i superbi non potevano persuadersi, che il Figlio di Dio volesse tanto abbassarsi da divenire meno che uomo; perciò si affaticavano a suggerire a coloro che mi conducevano, sempre nuovi modi per tormentarmi maggiormente, dicendo: Se è puro uomo, alla fine cederà e cadrà, almeno in impazienza; e se è Figlio di Dio, non è possibile che non faccia vendetta di tanti oltraggi che riceve. Perciò, seguitiamo ad istigare i ministri e tutti contro di lui, finché arriviamo a sapere chi sia. Difatti, andavano istigando sempre più quei perfidi contro di me, suggerendo loro i modi più crudeli per tormentarmi. Ed essi li eseguivano senza compassione, come se io fossi stato una bestia indomita e non un uomo: tutti erano privi di umanità verso la persona mia.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai udito, o sposa mia, quanto soffri, quando fui preso dai miei nemici: le percosse, le ingiurie, gli strapazzi che ebbi a subire in questo tribunale: l’esempio di umiltà, di mansuetudine, che ho lasciato a te, ed a tutti i miei fratelli e seguaci. Per imitarmi dovrai anche tu soffrire tutto con invitta pazienza e con generosità; non dovrai fuggire mai l’occasione di patire; nelle ingiurie e nei torti, che ti saranno fatti, dovrai mantenere il silenzio, e, quando sarà necessario che tu parli, dovrai parlare con umiltà e mansuetudine. Ti ho insegnato anche come devi pregare il divin Padre per chi ti offende, ed offrire i tuoi patimenti in sconto delle offese che il divin Padre riceve da quelli stessi che ti offendono e ti maltrattano. Sta bene attenta ai lumi ed alla grazia che ti dà il divin Padre, onde mi possa imitare perfettamente. Abbi sempre in mente quanto ho patito e sofferto io, essendo Figliuolo di Dio: tutto ho fatto per lasciare a te ed a tutti i miei seguaci un raro esempio, di come vi dovete comportare in tutte le occasioni. Così non ricuserai mai di soffrire e di patire ciò che ti si presenterà, se terrai fissi gli sguardi in me, tuo esemplare. Io, in tutta la mia vita, praticai quello che insegnavo; ma, nel tempo della mia passione, lo praticai in modo mirabile, come vai sentendo. Ti avverto ancora di non diffidar mai della divina misericordia, quantunque ti conosca colpevole; ed esorta anche tutti a confidare: perché hai inteso come fossi pronto a perdonare le ingiurie e le offese più gravi; anzi,con quanta liberalità offrivo il perdono al traditore Giuda, a Mallo, ed a tutti quelli, che tanto mi maltrattavano. Anche tu in questo imitami, come seguace e fedele sposa: non solo nel perdonare ai tuoi prossimi le ingiurie ed i maltrattamenti, ma nel pregare per essi, e nell’offrire al divin Padre, quella tua sofferenza, perché si plachi con essi e perdoni loro, domandandoglielo anche tu, dia parte loro. E fa tutto di buon cuore e con vero zelo, perché le loro anime si salvino e tornino all’amicizia di Dio. E quando vedrai che le tue suppliche sono esaudite dal Padre, rallegrati e ringrazialo da parte di tutti quelli che avranno ottenuto le grazie, che per essi domandi. Come il Figliuolo di Dio fu condotto da Caifa e giudicato reo di morte. Dei patimenti che soffrì nel restante di quella notte. Dei falsi testimoni trovati contro di lui e di ciò che operò nel suo interno sino a che fu condotto da Pilato.
VIAGGIO DOLOROSO ED UMILIANTE –
Uscito dalla casa di Anna, mi condussero in casa di Caifa, dove molti stavano ad aspettarmi, perché non volevano andare a riposare, prima di avermi visto. E, quantunque sapessero che ero stato presa, e stavo legato in mano della coorte, con tutto ciò vollero avere la soddisfazione e la consolazione di vedermi con i propri occhi. Pertanto i ministri mi tiravano con gran fretta per le strade, essendo venuta gente a dire che si fossero affrettati, perché Il Pontefice mi aspettava con impazienza, volendo poi andare a riposare.
Poiché ero così violentemente tirato, spesso cadevo in terra, perché la mia umanità era molto indebolita, per i patimenti sofferti. A forza di percosse e di tirature di funi, mi facevano rialzare. Mi conducevano con strepito, ingiuriandomi e maltrattandomi, affinché la gente che udiva, si fosse tutta rivoltata contro di me. Difatti non vi era chi di me avesse compassione. Per lo più tutti dicevano: Ecco che alla fine è caduto, in mano della giustizia: si è scoperto chi egli è. Chi l’avrebbe mai pensato, che fosse stato tale ? Veramente i nastri superiori avevamo ragione di Odiarlo tanto!
Non mancò, chi anche dalle finestre mai accompagnasse con ingiurie e schermi, beffandomi e deridendomi. Tra questi ed anche fra quelli stessi che mi conducevano e mi malmenavano, molti da me erano stati risanati da varie infermità. Ed io, nel vedere tanta crudeltà e tanta ingratitudine, sentivo, una somma amarezza.
Avendo poi io i capelli lunghi, facevano a gara chi più ne potesse strappare. Li tiravano con tale empietà, da ridurli così mal conci, che più non si distinguevano se non dal colore. Infatti, deformarono tutto ciò che in me pareva loro potesse conciliare l’amore, affinché mettessi orrore in chi mi rimirava. Tanta era la loro malizia! Ed io offrivo tutto al Padre, in sconto delle offese che riceveva, ed offrivo la deformità in cui mi avevano ridotto, in sconto dei peccati dei miei fratelli, i quali pongono tutto il loro studio nell’ornarsi per comparire e piacere alle creature. Io allora vedevo tutto e ne sentivo amarezza. Dicevo: Ecco quanto cari mi costano i vostri vani ornamenti, e lo studio che ponete nel comparire, per piacere alle creature! Ecco ciò che soffro per pagare alla divina giustizia le vostre vane soddisfazioni! Ah, almeno trovasse in voi corrispondenza l’amore con cui io pago i vostri debiti, e vi ricordaste di quanto ho patito per voi! E vedendo che la maggior parte ne sarebbe vissuta dimentica, ne sentivo una grande amarezza.
Sappi, sposa mia, che andavo spesso lamentandomi in tal modo con i miei fratelli. Vedendo la loro incorrispondenza e la loro ingratitudine a tanta bontà ed a tanto amore, il mio Cuore soffriva gran pena, perché bramava che tutti si giovassero delle grazie, che loro impetravo dal Padre mio, e corrispondessero all’amore che portavo ad essi ed al beneficio loro concesso. Rivolto poi al divin Padre, gli offri me stesso così sfigurato e lo pregai che, per quanto soffrivo, si fosse degnato di dare ai miei fratelli lume e grazia da conoscere il loro errore, sì da avviarsi ad ornare l’anima, che deve piacere a Lui, e non il corpo per piacere
alle creature. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti ne avrebbero approfittato, rinunziando a tutte le vanità e pompe mondane, contentandosi di vivere sotto umili vesti, per seguire me, povero ed abietto. Soffri però molta e grave amarezza nel vedere il numero stragrande di quelli che sarebbero andati perduti dietro le vanità e le pompe mondane. Ma ciò che più mi affliggeva era il vedere che, anche quelli che si dichiaravano miei seguaci ed imitatori, si sarébbero perduti dietro queste pazzie e vanità mondane, che non servono se non a nutrire la loro passione di amor proprio. Con tali sentimenti essi disgustano molto il divini Padre, e restano privi degli ornamenti nobilissimi, che il Padre darebbe alle loro anime, per mezzo della sua divina grazia.
IN VEGLIA –
Andando, come già ho detto, in casa di Caifa, e soffrendo molti strapazzi ed ingiurie per la strada, nell’avvicinarsi alla casa del Pontefice, la mia umanità sentì grande rincrescimento, per i molti maltrattamenti e i dispregi, che mi erano stati preparati. Ma animato dall’amore con cui soffrivo, e tutto rimesso alla volontà del Padre, andavo con il desiderio di soffrire per l’amore e la salute di tutti i miei fratelli.
Molti stavano alle finestre della casa del Pontefice, per sentire, dal rumore delle fischiate, quando fossi arrivato, e darne a lui la nuova. E, quantunque fosse di notte, pure stavano elle finestre, non temendo né arda, né freddo, e patendo tutti il sonno, per dare soddisfazione al Pontefice, agli Scribi e ai Farisei: tutta la servitù era in veglia. Ed io, nel vedere questo, sentivo grande amarezza, perché si rappresentavano alla uria mente tutti quelli che avrebbero vegliato e patito molto per le loro vane soddisfazioni, e per sfogare le loro ree passioni, e che invece per la salute delle loro anime, e per il servizio e la gloria del divin Padre, non avrebbero potuto né voluto soffrire cosa alcuna, sembrando loro molto grave ogni leggero incomodo, ed ogni piccolo patimento insoffribile e difficile. Perciò, pregavo il divin Padre di illuminarli e di far loro conoscere l’inganno in cui vivono. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti, servendosi dei lumi divini, avrebbero procurato di soffrire incomodi e patimenti per la loro eterna salute e per il servizio e la gloria del divin Padre. Di ciò ne resi grazie al Padre. Ma senti dell’amarezza nel vedere il gran numero di quelli che si sarebbero abusati dei lumi divini, non facendone conto alcuno, e che avrebbero patito e sofferto molto per le loro vane soddisfazioni e capricci. Io offrivo al Padre quella veglia dolorosa in sconto delle loro colpe.
DINANZI A CAIFA ED AL SINEDRIO –
Arrivato, pertanto, in casa del Pontefice Caifa, tutti quelli della coorte incominciarono a far festa, chi saltando e chi battendo le mani per l’allegrezza: facevano tutto per aderire agli Scribi e ai Farisei, che stavano ad aspettarmi.
Entrai in quella casa col capo chino, cogli occhi bassi, pieno di confusione, per la figura deforme in cui mi trovavo: solo, in mano dei nemici, da tutti abbandonato. Tutti erano contro di me, non essendovi uno solo che avesse per me un po’ di compassione. Ero pieno di confusione, per vedermi tanto sfigurato, perché volevo soffrire tutte le pene, che un puro uomo avrebbe sofferto, se si fosse trovato in quello stato deplorabile. E nel soffrire quelle pene, andavo compatendo tutti i miei seguaci, che, per amor mio e del mio Nome, avrebbero patito travagli e confusioni. Domandavo per essi al Padre mio la grazia e la virtù, onde avessero sofferto con generosità, come lo soffrivo per loro amore.
Arrivai frattanto alla presenza del giudice, che sedeva in trono, con volto serio, gonfio di superbia. Intorno all’ampia sala erano, in gran numero, egli Scribi e i Farisei, tutti con aria seria, mostrando autorità sopra di me. Mi guardavano con occhi torbidi ed irati, come se volessero uccidermi con i loro sguardi. E pur vedendomi già tanto mal ridotto e sfigurato, si accrebbe tuttavia in essi l’odio e la vendetta contro di me, essendo io divenuto l’oggetto del loro sdegno e furore per i molti benefici che loro avevo fatto.
INTERROGATORIO E CONDANNA. –
Io stavo Come un agnello mansueto, in mezzo a quei lupi rapaci, alla presenza dell’empio giudice, alle interrogazioni del quale, non diedi mai risposta, essendo falso tutto ciò che mi chiedeva e di cui mi avevano accusato quegli empi e crudeli. Tutti gli astanti fremevano, perché non davo alcuna risposta. Vi fu chi disse al Pontefice, che, essendo io un ipocrita, non rispondevo, perché, stimandomi innocente, pretendevo che anche il giudice mi stimasse tale: per questo stavo in atteggiamento umile, ma in verità, ero un superbo ardito, che, con tanta sfacciataggine, riprendevo tutti, quando predicavo al Tempio. Poi ognuno degli astanti disse il suo sentimento e parere contro di me. Furono molte le accuse che mi fecero in questo tribunale, tutte false ed infami, tacciandomi da seduttore, da prevaricatore, da superbo, da indemoniato, amico di gente infame, che avevo commercio coi pubblicani, che mangiavo e bevevo con essi, che volevo essere Re, e mi chiamavo Figlio di Dio. E nel dire tutte queste ed altre cose contro di me; le accompagnavano con ingiurie e maldicenze. Dopo che si furono sfogati alquanto, stando io ad udire tutto in profondo silenzio, che offrivo al Padre, in sconto dei loro gravi peccati, alla fine mi interrogò il Pontefice, in Nome di Dio vivo, perché gli dicessi, se veramente ero il vero Figlio di Dio, come gli avevan detto che da me stesso mi ero dichiarato. Il Pontefice mi fece questa interrogazione, non per sapere se io fossi veramente il Figlio di Dio, ma per sentirlo dire dalla mia bocca alla presenza di tutti; e per prendere motivo di condannarmi, se l’avessi confessato; di deridermi e farmi restar confuso e svergognato alla presenza di tutti, se l’avessi negato. Quantunque fosse cattiva la sua intenzione, io risposi a questa domanda, per il rispetto e la riverenza che avevo al divin Nome, e gli confessai, alla presenza di tutti, che io ero veramente il figlio di Dio, e che mi avrebbero veduto sopra le nuvole, per giudicare il mondo. Appena ebbi proferita questa parola di verità, furono tante le fischiate, i battimenti di mano, e le ingiurie che quella sala sembrava un luogo di confusione o di vendetta. Irato per la risposta e pieno di sdegno, il giudice esclamò: Ha bestemmiato, e perciò lo faccio reo di morte. Alzando le voci, tutti gridavano: è reo di morte. Strappatesi le vesti in due parti, in segno di ira e di vendetta, ordinò che fossi posto in carcere per il resto della notte (1).
Gli Scribi e i Farisei presero, poi, motivo dalle parole che avevo detto al giudice, confessandomi vero Figlio di Dio, per far credere, che fossero vere anche tutte le altre falsità che mi opponevano. Dicevano al Pontefice: Come non ha negato questa falsità, così è reo anche di tutte le altre. E fini considerato tale. Né io volli discolparmi, ma tacqui. Tra tutte le falsità che dissero di me in questo tribunale, due sole cose erano vere: che io mi chiamassi Figliuolo di Dio, cioè, che chiamavo Iddio, mio Padre celeste, e che mangiavo coi pubblicani. Questo era accaduto qualche volta, ma non perché fossi uno cui piacesse il mangiare e bere, come essi dicevano: infatti la mia vita in questo fu molto parca; patii molto la fame e la sete, ed il mio solito cibo era pane ed acqua; ma trattai con i pubblicani per convertirli. E se mangiai con essi fu, perché vedendo il mio modo di vivere, restassero edificati, ed anche per non lasciare l’occasione, che mi si presentava di bene ammaestrarli.
Soffrii tutte le ingiurie e le false imposture, con somma pazienza, per insegnare ai miei fratelli, che, molte volte, si deve tacere e soffrire; ma, quando è necessario parlare per la gloria del divin Nome, lo si deve fare con libertà e franchezza, come io confessai pubblicamente che ero il vero Figlio di Dio, quantunque sapessi, che tale confessione mi sarebbe costata molte derisioni ed ingiurie, e per essa mi avrebbero dichiarato reo di morte.
In questa circostanza vidi tutti quelli, che per la confessione del’mio Nome e per dichiararsi cristiani, avrebbero sofferto tormenti dai tiranni e dai nemici della mia fede, e che sarebbero stati condannati ad una morte assai penosa. Sentii grande amarezza per tutti, ché io vidi non sol tutti quelli che sarebbero morti per la confessione del mio Nome, ma anche tutti i tormenti che avrebbero sofferto, uno per uno, distintamente, ed intesi allora nel mio intero tutta la pena che essi avrebbero sofferto nei loro corpi. La offri al divin Padre, supplicandolo di volersi degnare di raddolcir le loro sofferenze in virtù della pena, che allora soffrivo io. Lo pregai di dare loro fortezza e generosità nel patire e perseveranza, sino alla fine. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e di ciò gli resi grazie. Vidi ancora, con mia somma amarezza, tutti quelli che si sarebbero arresi, rinnegando la mia fede. Oh, quanto fu grande il mio dolore nel vedere così disonorato il divin Padre, e perdute irreparabilmente tante anime ! Perciò offri quel mio dolore al Padre, e lo pregai del suo aiuto, dei suoi lumi e della sua grazia per tutti quei miserabili. E vidi, che il Padre glieli avrebbe dati, e per questo molti si :sarebbero convertiti e ravveduti. Ne resi grazie al Padre; ma intesi dell’amarezza nel vedere il numero grande di coloro, che sarebbero rimasti nella loro, ostinazione ed infedeltà: e, perciò, sarebbero miseramente periti.
VIENE CONDOTTO IN UNA STANZA IMMONDA UMILIAZIONI –
Avendo ordinato il giudice, che gli fossi levato davanti, e che fossi posto in carcere per il resto della notte, ben custodito dati ministri, perché non scappassi dalle loro mani, mi condussero, a, forza di percosse, in una stanza sordida, dove stavano delle immondezze.
Intanto gli Scribi e i Farisei rimasero a consigliarsi con il Pontefice, di ciò che dovevano fare della mia persona. Si accordarono di farmi condurre, la mattina per tempo, da Pilato,giudice gentile e governatore, e di trovare testimoni che mi avessero accusato, per farmi condannare alla morte di croce. Era questa, allora, la morte più ignominiosa ed infame, che il giudice gentile soleva dare ai malfattori. Mi vollero condurre da Pilato, perché loro non potevano condannarmi ad una morte così umiliante. Onde, risolto ed aggiustato tutto, partirono, per andare a riposare. Vi furono, però, quelli che non vollero prendere né riposo né cibo, finché non mi videro morto in croce. Perciò, usciti dalla casa del Pontefice, vi fu chi andò ad ordinare la croce e chi i chiodi, affinché quando Pilato avesse data la sentenza, si potesse subito eseguire e non vi mancasse cosa alcuna. Vi fu anche chi restò in casa di Caifa, andando dietro alla sbirraglia, per attizzarla a strapazzarmi e tormentarmi nel resto di quella notte. E vollero prendersi la soddisfazione di vedermi tormentare con i propri occhi. Difatti, quei perfidi ministri di giustizia, vedendo che i Farisei gradivano molto che mi avessero tormentato, fecero a chi mene poteva far di più. Questi erano attizzati e fortemente istigati dai demoni. Incominciarono i più giovani ed insolenti a strapazzarmi.
O quanto, sposa mia, soffri in quella notte dolorosa! Non vi è mente che lo possa comprendere. E siccome le creature si fanno lecito di commettere nella notte ogni sorta di peccati, così quei perfidi si permisero dei farmi ogni sorta di maltrattamenti e di ingiurie. Ed io soffri tutto con pazienza, e lo offrivo al Padre, in sconto di tutte le offese, che nelle notti funeste, riceve dai mici fratelli. Tutte sì rappresentarono in quella notte alla mia mente: tutto vidi e per tutti patii, come ora udrai.
In primo luogo mi bendarono gli occhi, chiamandomi falso profeta, dicendomi che, allora,era veramente il tempo di far loro conoscere le mie profezie. Incominciarono a percuotermi, con pugni in testa, sulle spalle, ne1 petto, dicendomi che profetizzassi ed indovinassi chi di loro mi aveva percosso. Altri con calci, altri con bastonate, altri mi tiravano i capelli, altri la barba, altri le orecchie, dicendo tutti: Gran profeta, indovina chi di noi ti percuote. Altri, cavandosi le scarpe, mi percuotevano con le medesime, in segno di disprezzo. Altri mi acciaccavano i piedi, altri mi pigliavano per la carne delle braccia e della vita, e la torcevano fortemente. Altri mi davano delle guanciate.
Stavo io, sposa mia, sotto la piena di tante percosse, in grande silenzio e con invitta pazienza. Altri mi torcevano il collo e mi facevano girare intorno. Sentivo molto il dolore delle percosse e degli strapazzi. E mentre vedevo tutte le offese che il divin Padre, nelle funeste notti, avrebbe ricevuto, gli offrivo la soddisfazione, pagandogli con i miei dolori e disonori, tutti i debiti, che, con la divina giustizia, avrebbero contratto i miei fratelli.
IL MASSIMO DEI DILEGGI E DEGLI OBBROBRI –
Essendosi trastullati un pezzo, in tal mordo, i ministri, stanchi di tormentarmi, mi levarono il sordido panno, che mi avevano posto sugli occhi, e, fattomi sedere, incominciarono a dire che, pretendendo di essere Re, mi dovevano dare i meritati ossequi., Difatti, preso vigore e incitati sempre più dalle furie infernali, incominciarono a farmi dei disprezzi, salutandomi con le spalle rivolte a me, e facendo tutti a gara a chi più potesse dileggiarmi. Incominciarono,poi, a sputarmi in faccia: ognuno procurava di raccogliere delle flemme,per gettarmele con impeto sul volto. Furono tanti gli sputi, che arrivarono a ricoprirmi tutto il volto, in modo che sino gli occhi ne erano pieni. Non ci vedevo più e non potevo pulirmi, perché avevo le mani legate dietro alla cintura. Mi empirono di sputi anche la bocca, tanto che mi sentivo soffocare. Errano, poi, si fetenti e stomachevoli, che la mia umanità soffrì un grande tormento ed una grande pena. Nel gettarmi in faccia quei fetenti sputi, mi ingiuriavano dicendomi: Bisogna che noi aggiungiamo ornamento al tuo bel volto, ché tanto conto facevi della tua bellezza, che volevi essere da tutti amato, onorato e rispettato. Prendi, ora, questi ossequi e questi ornamenti per la tua bellezza e per la vaghezza del tuo aspetto! Ora si vede come era posticcia la tua bella presenza! sì presto si è tutta deformata. Ora sì, che puoi andare a cacciare i demoni, perché il tuo aspetto stesso, sì orribile, li farà fuggire. Or va, e tirati dietro le città intere con i tuoi sguardi! Mi dicevano tutto ciò, e mi andavano sempre percuotendo, senza stancarsi, perché erano aizzati dalle furie infernali, l’e quali, vedendo la mia grande sofferenza, infuriavano sempre più, non potendo arrivare a capire chi io fossi; per scoprirlo, inventavano ogni sorta di disprezzi, di ingiurie, di strapazzi, che la loro malizia sapeva ritrovare, suggerendoli a quei ministri crudeli, perché me li avessero fatti. E quelli erano pronti ad eseguire tutto ciò che loro veniva suggerito. Non poterono mai, i demoni, resistere ai miei comandi, e non potevano stare alla mia presenza, perché soffrivano grande tormento; perciò fuggivano da me. Sentivano farsi anche una grande violenza, e perdendo le forze, restavano atterriti ed abbattuti, e non potevano sapere donde provenisse ciò. Provarono tutto questo nel tempo in cui vissi fra gli uomini; ma, durante la mia passione, restarono in libertà, ed ebbero tutta la possibilità di esercitare contro di me la loro rabbia ed il loro furore, servendosi dei ministri di giustizia. Lo permise il Padre, ed io volli soggiacere alla loro insolenza ed al loro furore, affinché con questa mia sofferenza, potessi meritare a tutti i miei fratelli la grazia di essere liberi dalle insolenze delle furie infermali, e di poterne allontanare da sé e mettere in fuga; perché, divenuti i suddetti spiriti ribelli privi di forza e di potare, sarà loro possibile di fare soltanto ciò che, per altissimi fini il divin Padre permetterà. Perciò, soffrendo io i molti strapazzi, le insolenze e i tormenti inventati da quei maligni spiriti, li offrivo al divin Padre, supplicandolo di dare, a tutti i miei fratelli, virtù, e dominio sopra gli spiriti infernali, affinché essi non abbiano alcun potere, né dominio sopra nessuno. Vidi, però, che molti sarebbero stati travagliati in varia modi dai suddetti spiriti, e che il Padre l’avrebbe permesso per altissimi suoi fini. Di ciò ne intesi .pena, e pregai il Padre di dare fortezza a tutti quelli, che sarebbero stati travagliati, e di liberarli dalle plani di un nemico sì fiero. Vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e gliene resi grazie. Intesi, però, dell’amarezza nel vedere, che molti sarebbero restati sempre travagliati da sì fiero nemico; perciò adorai i profondi giudizi del divin Padre e le sue divine permissioni, e lo pregai della sua grazia ed assistenza per tutti coloro che sarebbero stati travagliati.
Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, ed lo gliene resi grazie a nome di tutti.
Continuando a soffrire molti strapazzi e percosse da parte degli stessi crudeli ministri, alla fine essi si presero giuoco di me, balzandomi da una parte all’altra. Salendo sopra un banco, che vi era per sedere, mi prendevano per i capelli, alzandomi in aria, e mi rigettavano in terra. Furono tanti, sposa mia, gli strapazzi e le percosse che ricevetti nel resto di quella notte, che, se la divinità non avesse conservata in vita l’umanità, sarei morto più volte, soffrendo tali dolori e patimenti, che si rendevano molto sensibili alla mia umanità (1).
Assai maggiore, però, erano la pena ed il dolore interno che soffrivo, nel vedere le offese del divin Padre, l’ingratitudine delle creature, per le quali pativo, e i dolori della mia diletta Madre, che, in spirito, vedeva e sentiva tutto nel suo amante ed afflitto cuore. Non trovavo alcun conforto nelle mie pene, tanto esterne che interne, puoi quindi capire in parte, quanto grande fossero il mio dolore, la mia pena e la mia amarezza. Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva.
RACCOLGONO FALSI TESTIMONI –
Intanto alcuni degli Scribi radunavano falsi testimoni, per accusarmi al presidente Pilato, affinché mi condannasse a morte. Promisero buona mancia a quelli che trovarono. Sebbene le accuse non fossero sufficienti per potermi condannare a morte, dicevano: Ci sarà la nostra autorità, per cui il presidente farà quanto gli chiederemo. Vedevo ed udivo tutto, ed ogni cosa accresceva pena ed amarezza al mio Cuore divino, che si trovava immerso in un mare amarissimo di affanni e di dolori, senza un minimo conforto. Mi dava motivo di consolazione il vedere, che soddisfacevo in tutto e per tutto alla divina giustizia, per i peccati di tutto il genere umano; ma il vedere che continuamente veniva irritata con nuove offese, mi era causa di più crudele amarezza.
Molte furono de accuse, che prepararono i maligni. Insegnavano ai testimoni quello che,dovevano dire, cioè Che mi avevano udito dire che in tre giorni volevo riedificare, il Tempio; che avevo negato dei pagare il tributo a Cesare, e che avevo detto non doversi pagare; che pretendevo il regno; che pervertivo il popolo; che riprendevo e predicavo senza che alcuno me ne avesse data l’autorità; che avevo commercio col demonio; che, per opera del demonio, facevo molti miracoli. I falsi testimoni promisero di dir tutto, ed amiche con giuramento, se fosse stato necessario. Si rallegrarono moto di ciò giri Scribi, sembrando già ad essi, che sarebbero arrivati a conseguire il loro intento.
Io sentivo tutto, e ne provavo grande amarezza. Mi offri al Padre, pronto a soffrire in sconto delle molte e gravi offese, che avrebbe ricevuto dai miei fratelli, specialmente da quelli che testimoniano il falso contro gli innocenti, che tutti ebbi allora presenti alla mia mente, e per i quali intesi grande amarezza e dolore. Pregai il Padre che, in virtù del mio dolore e amarezza, si fosse degnato di illuminarli, facendo conoscere loro il grave errore, e avesse data ad essi la grazia di potersi emendare e di fare penitenza del loro peccato. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti e, dopo aver confessata la loro falsità, ne avrebbero fatta la dovuta penitenza. Di ciò resi grazie al Padre. Ma soffri dell’amarezza, nel vedere che molti sarebbero restati nel loro errore e nella loro falsità. Pregai il divin Padre di dare virtù, grazia e fortezza. agli innocenti, affinché soffrano tutte le calunnie e le falsità con invitta pazienza, come le soffri io per amore di tutti i miei fratelli e in sconto dei loro errori. Vidi che il divin Padre avrebbe eseguito ciò che gli chiedevo. Vidi inoltre che si sarebbe palesata la loro innocenza, e di ciò ne resi grazie al divin Padre, anche a nome di tutti. Quantunque stessi sotto la pioggia di tante percosse, ingiurie e strapazzi, che non mi facevano avere un momento di requie, non lasciai mai di pregare il Padre per tutti i miei fratelli, e di offrirgli tutto in sconto delle loro colpe, non escludendo nemmeno coloro che mi tormentavano con tanta empietà; pregavo il divin Padre di volersi degnare di dare grazia a tutti i miei seguaci di imitarmi anche in questo; cioè, che, stando travagliati e tormentati dai cattivi, non tralascino di offrire tutto al Padre, e di pregarlo per quelli stessi che li travagliano e tormentano. Vidi che il Padre avrebbe dato loro la detta grazia, e che essi ne avrebbero approfittato. Di ciò resi grazie al divin Padre, pur sentendo grande amarezza nel vedere i miei seguaci in tanti travagli e in tante pene. Pregai Il Padre mio, che, in virtù di quella mia amarezza, si fosse degnato di consolarli tra tante loro angustie, perché mi contentavo di restar io privo di ogni consolazione. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto con paterno amore, riempiendo le loro ariane di consolazione in mezzo aghi stessi travagli e patimenti. Di ciò gli resi grazie.
Stando fra tanti strapazzi e tormenti, ridotto ad uno stato veramente compassionevole, non trovai, nel cuore di quei perfidi, né compassione né carità, perché il loro cuore era divenuto carne una pietra verso di me, senza sentimento di pietà alcuna.
Spuntato il giorno, vennero tutti in causa di Caifa per vedermi; vennero anche molti dei detti Scribi e Farisei e, vedendomi tanto mal ridotto e sfigurato, incominciarono a ridere e a beffarmi con motti di scherno e parole ingiuriose; lodando i ministri, che avevano avuto tanto spirito da ridurmi in sì misero stato.
SUPPLICA IL PADRE –
La mia umanità non si reggeva più in piedi, e, rivolto al Padre, lo pregai del suo aiuto, affinché potessi soffrire il molto di più che mi restava. Lo pregai anche, ricorrendo a lui i miei seguaci e fratelli, a domandargli l’aiuto e la grazia di poter patire gli strapazzi e quant’altro Egli permette che sia loro fatto dalle creature, si degni concederlo con prontezza. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo. Di ciò lo ringraziai da parte di tutti.
Devi sapere, sposa mia, che durante la mia passione, mi trovavo spesso privo affatto di forze, in modo che la mia umanità non poteva più reggere a tante percosse e strapazzi. Allora domandavo forza al divin Padre, e Lui me la dava. La mia umanità riprendeva allora vigore da poter reggere ai molti patimenti. Sempre, però, mi umiliavo a domandarla al Padre, quantunque l’avessi potuta avere con un atto della mia volontà. Con tutto ciò, volli vivere in tutto e per tutto soggetto al mio divin Padre, ricorrendo sempre al suo aiuto, e mostrandomi in tutto soggetto a Lui. Lo pregavo anche, ogni volta che gli domandavo la suddetta grazia, che si fosse degnato di dar lume a tutti i miei fratelli, affinché essi pure avessero fatto ricorso a Lui in tutti i loro bisogni, domandandogli con ogni umiltà e confidenza, il suo aiuto. Vedevo che il Padre l’avrebbe fatto. Vidi che molti se ne sarebbero prevalsi . ed avrebbero trovato pronto il soccorso. Di ciò resi grazie al Padre, benché sentissi dell’amarezza, nel vedere che molti non si sarebbero giovati della grazia, anzi, ne avrebbero abusato, per cui avrebbero patito con più pena ed avrebbero inteso molto il travaglio, rivolgendosi essi alle creature invece di chiedere aiuto al divin Padre. Perciò pregai di nuovo il Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l’errore. Vidi che molti si sarebbero ravveduti e, ricorrendo al Padre, sarebbero restati consolati ed aiutati. Di ciò resi grazie.
GIOVANNI PRESSO MARIA SS. –
Mentre stavo in tanti patimenti, si accrebbe molto il mio dolore, perché, essendo andato Giovanni ad avvisare la mia diletta Madre, di quanto mi era accaduto in quella notte: della cattura, degli strapazzi che mi avevano fatto, di come si diceva da tutti; che mi avrebbero fatto morire, la diletta Madre si riempì, nel sentirlo raccontare, di una più grave pena ed amarezza. Così crebbe anche la pena del mio Cuore nel vederla in sì grave affanno. La Maddalena pure, con tutte le altre devote donne, furono prese da fierissimo cordoglio, e, tutte meste e addolorate, piangevano amaramente. Io non tralasciavo di pregare il Padre acciò le confortasse e desse loro fortezza da soffrire tante angustie, giacché, per allora, non potevo consolarle di persona, essendo divenuto l’oggetto del loro dolore. Risolvettero di venire, con la mia diletta Madre e col discepolo amato, per vedermi e farmi compagnia nelle mie pene. Misero tosto in atto il proposito e si avviarono verso Gerusalemme, spargendo molte lacrime e sospiri lungo il cammino. La diletta Madre, che più di ogni altra era afflitta, con generosità veramente mirabile, andava sconsolando e confortando tutte. Ed io mi riempivo di una più grave pena, nel pensare al dolore che avrebbe sofferto la mia afflitta Madre nel vedermi, con i propri occhi, ridotto in uno stato sì deplorabile e compassionevole, che non era rimasta in me figura di uomo. Offri il mio dolore al Padre, pregandolo che si degnasse di dare forza e virtù alla diletta Madre, affinché,con tutta rassegnazione, avesse potuto soffrire sì grave pena e dolore: come anche alle altre devote donne che l’accompagnavano, specialmente alla Maddalena, che molto mi amava, e molto si affliggeva.
MACCHINAZIONI DEI FARISEI –
Essendo spuntato il giorno, ed adunati gli Scribi e i Farisei davanti al Pontefice Caifa, stabilirono, di nuovo, di mandarmi da Pilato, accompagnato dai falsi testimoni; vollero venire anche alcuni di essi, per mostrare la loro autorità al Presidente, perché, se non avesse voluto condannarmi alla morte di croce, essi l’avrebbero minacciato, per indurlo a far ciò che essi pretendevano.
Ricevuto, pertanto, l’ordine da Caifa, intimarono ai ministri di condurmi fuori da quella prigione. E questi mi trassero fuori a forza di pugni, calci ed urtoni, mentre io tacevo e non mi lamentavo punto della loro inumanità. Mentre uscivo da quella casa, per essere condotto dal presidente, pregai il Padre di perdonar loro tutti gli strapazzi, che mi avevano fatto, le percosse, che mi avevano dato, e ingiurie e i disonori, che vi avevo ricevuto. E lo pregai anche di degnarsi di trattenere il castigo da essi meritato, offrendomi di soffrire tutto in sconto delle loro iniquità. Ciò che feci in questa casa, lo feci anche in tutti gli altri tribunali, dove fui condotto. Il Padre lo gradiva molto; con ciò restava placato, ed io lodavo la sua infinita bontà ed il suo amore.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai udito, sposa mia, le gravi ingiurie, gli affronti, le percosse e gli strapazzi, che ricevei in casa del perfido Pontefice, che favoriva molto i miei nemici, dando loro tutta la Libertà di maltrattarmi. Alla mattina, avendo egli saputo lo stato in cui mi avevano ridotto, non volle vedermi, temendo di muoversi a compassione. Da ciò puoi carpire come fosse ridotta la mia umanità! Tu sai che devi aiutarmi in tutto, e, se non puoi soffrine i patimenti corporali, per la debolezza della tua umanità, ricorri al divin Padre, affinché almeno tu possa soffrire i patimenti, che Egli stesso ti invia: perciò, domandargli sempre la sua grazia ed il suo aiuto. Per quanto riguarda poi, il soffrire le ingiurie, gli affronti ed i disprezzi, non puoi scusarti in alcun modo, perché devi soffrire tutto, quando te ne capiti l’occasione, e soffrirlo con pazienza, in silenzio, offrendo tutto al divin Padre, in sconto delle tue e delle altrui colpe, per placare la divina giustizia. E, per dar valore alle tue offerte ed alle tue opere, le devi offrire sempre unite con i miei patimenti e con i miei meriti; così saranno molto grate al divin Padre, ed atterrai facilmente tutte le grazie, che, per essi, gli domanderai,
se saranno espedienti per la salute tua e dei tuoi prossimi. Non si trovi in te falsità alcuna: essendo costretta, in qualche occasione, a parlare, parla con sommissione e di la verità, anche se ti dovesse costare monti travagli e derisioni. Prendi esempio da me, che confessai di essere Figliuolo di Dio, sebbene mi costasse tante ingiurie, derisioni, e sapessi che per questo mi avrebbero dichiarato reo di morte. Interrogato in Nome di Dio, lo confessai, assoggettandomi a tutte le derisioni e gli strapazzi.
Sai come ebbi sempre un cuore amoroso e pacifico verso tutti coloro che mi strapazzavano e disonoravano. Ora voglio che anche tu abbia un simile cuore con chi ti offende; sia lontana da te ogni ombra di sdegno e di rancore. Sta bene attenta, perché mi dispiacerebbe molto se sentendo, continuamente, quanto fosse pacifico ed amoroso il mio Cuore, si trovasse poi in te lo sdegno ed il rancore, cosa troppo disdicevole ad una mia sposa e seguace, e, quel che è più, ad una da me ammaestrata continuamente con tanta carità e con tanto amore. Approfittati di tutto, non mancare in cosa alcuna, e sii in tutto diligente.
Come il Figliuolo di Dio fu condotto di nuovo a Pilato, che lo esaminò e ordinò poi che Gesù fosse flagellato. Fu anche coronato di spine. Di ciò che operò nel suo interno sino a che fu condannato alla morte di croce.
ZIMBELLO DI TUTTI –
Essendo stato mandato da Erode a Pilato, ed avendo sofferto in questo penoso viaggio ciò che hai inteso, arrivato in casa di Pilato, fui anche qui ricevuto con fischiate e derisioni. I perfidi ministri facevano della persona mia come una palla, sbalzandomi ora in una parte, ora in un’altra, acciò tutti mi vedessero e si burlassero di me; tirandomi con le funi come una bestia da macello; essendo essi come cani arrabbiati, e tentando di divorarmi con le percosse, le ingiurie e gli strapazzi.
Mi mettevo spesso a riflettere sopra la dignità della mia persona: facevo ciò per sentire maggior pena nel vedermi ridotto in quello stato. Offrivo tale pena al divin Padre in sconto delle offese che riceveva nella persona mia, da Lui infinitamente amata. Gradiva il Padre mia le offerte, che gli facevo con un Cuore tutto amore, soffrendo volentieri per soddisfare la divina giustizia e placare l’ira paterna. Soffrivo con amore anche per la salute di tutti i miei fratelli, e bramavo che i miei seguaci soffrissero i
propri travagli con amare ed allegrezza, perché così facendo sono graditi al Padre. Perciò gli offrivo l’amore e l’allegrezza con cui li soffrivo io, e per il compiacimento che ne aveva, lo pregavo di dare ai miei seguaci il sentimento e la buona volontà, di soffrire tutto con amore e con allegrezza, per adempire la divina volontà, e per far cosa grata al divin Padre. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare un tale sentimento a tutti, e che molti se ne sarebbero approfittati: di ciò gli resi grazie. Intesi però dell’amarezza nel vedere che molti se ne sarebbero abusati, privando se stessi del merito, ed il divin Padre del compiacimento e del gradimento.
INTERROGATORIO DI PILATO –
Arrivato alla presenza di Pilato, mi derise anche lui, e si burlò dei me nel vedermi con quella veste. Sentendo che Erode mi aveva rimandato a lui, perché non sapeva che fare di me, tenendomi per un insensato e trattandomi da pazzo, si pose ad esaminarmi. Tiratomi in disparte mi esaminò più sottilmente. Vedendo che da principio non gli davo risposta, mi disse che pensassi che lui aveva potestà di condannarmi o di lasciarmi in libertà. Alle quali parole risposi, che lui non avrebbe avuto potestà alcuna sopra di me, se non gli fosse stata data dall’alto. Volli con questa parola fargli conoscere, che se il Padre mio non avesse voluto, lui non avrebbe avuto potestà di condannarmi. Restò Pilato ammirato della risposta, ed ebbe un chiaro lume da conoscere la mia innocenza. Fece riflessione all’invitta pazienza e alla mia tolleranza, e tornò ad interrogarmi, se veramente ero il Re dei Giudei, e se pretendevo il regno, come essi mi accusavano. Io risposi che il mio regno non era dì questo mondo. A queste parole Pillato rimase molto più persuaso della mia innocenza, ed ebbe in animo di liberarmi dalla morte. Ebbe tanto lume, che se vi avesse corrisposto si sarebbe potuto convertire e riconoscermi per quello che ero. Ma lo disprezzò. Con tutto ciò disse agli Ebrei, che non trovava in me causa alcuna per la quale mi potesse condannare alla morte, come essi volevano: perciò mi prendessero e mi condannassero conforme la loro legge, e giudicassero loro la mia causa. A queste parole, i Farisei infuriati incominciarono a fremere, e parlarono arditamente a Pilato, minacciando di volerlo accusare a Cesare. Ebbe timore Pilato, delle loro minacce, ma con tutto ciò, perché conosceva la mia innocenza, non volle condannarmi. Disse loro: Che male ha fatto? perché volete che lo condanni alla morte? I perfidi Farisei arditamente gli risposero, che ero un malfattore, che meritavo la morte, e che se non fossi stato tale essi non mi avrebbero dato nelle sue mani. Conobbe Pilato la loro malignità verso di me e l’odio fierissimo che mi portavano, perciò si turbò molto, ma non volle per allora condannarmi a morte, cercando di placarli, col farmi flagellare. Ebbe però l’intenzione, se non si fossero placati, dopo che fossi stato flagellato, di condannarmi, come essi chiedevano. Perciò ordinò che fossi legato alla colonna e battuto. In tutto questo fatto soffri nel mio Cuore grande amarezza e dolore per le offese al divin Padre, e per tutto ciò che si rappresentava alla mia mente. Stavo alla presenza di Pilato come reo e malfattore. Vedevo allora tutti coloro che sarebbero stati giudicati dai giudici cattivi e perfidi, e quanti imputati sarebbero stati condannati a gravi patimenti da quelli che hanno maggiore reità di loro. Vidi i lumi divini che il Padre avrebbe dato a questi empi, acciò conoscano la loro reità, e come spesso i giudici siano più colpevoli di quelli che devono condannare. Vidi ancora che avrebbero sprezzato i lumi divini, abusando della grazia. Intesi perciò grande amarezza. Vidi pure che non solo i rei sarebbero stati sottoposti a molto patire dai giudici cattivi, ma che anche gli innocenti sarebbero soggiaciuti a gravi tormenti. Di ciò ne intesi maggiore amarezza, e per essi pregai il divin Padre, onde avesse dato loro la sua grazia e la forza di soffrire tutto a mia irritazione. In tutti i miei patimenti, rimiravo la moltitudine delle offese, che avrebbero fatto i miei fratelli al divin Padre, e per ciascuno di essi gli davo la debita soddisfazione e molto più, perché una sola delle mie pene sarebbe bastata a soddisfare per tutti, come anche una goccia del mio sangue. Ma io lo volli spargere tutto e volli soffrire ogni sorta di dolori e di tormenti, per far vedere ai miei fratelli quanto amavo il Padre e quanto amavo anche loro. E volli lasciare ad essi un vivo esempio, affinché mi avessero imitato, ed avessero patito molto per la gloria del mio divin Padre e per la loro eterna salute. Nel vedere tutti quelli che mi avrebbero imitato, resi grazie al Padre e lo pregai per essi del suo aiuto. Intesi ancora dell’amarezza per la moltitudine di quelli che sarebbero andati, non solo molto lontano dagli esempi che ho loro lasciato, ma che ne sarebbero vissuti del tutto dimentichi.
LA FLAGELLAZIONE –
I1 presiedente Pilato ordinò per me le battiture con verghe, come si costumava di fare allora verso coloro che avevano commesso qualche delitto, che non li facesse rei di morte, onde si correggessero dei loro falli. Con questo voleva che anch’io mi correggessi di quelle cose di cui mi accusavano i Farisei, sperando nello stesso tempo che si placasse il furore dei medesimi. Furono contenti i Farisei che Pilato mi avesse con dannato ai flagelli, perché avessi anche quell’ignominioso tormento. Dicevano fra di loro: Adesso lo condanna ad esser battuto; di qui a poco lo condannerà ad esser crocifisso. E risolvettero di non partire, fintantoché Pilato non mi avesse condannato alla morte. Difatti riuscì loro, perché tirarono Pilato al loro volere a forza di minacce.
IL DENUDAMENTO –
Avendo avuto, i perfidi ministri, l’ordine di battermi, si armarono di fierezza, e, condottomi al luogo destinato, mi fecero circolo d intorno, ordinandomi che mi spagliassi non solo della veste bianca, che mi avevano posto indosso, ma anche dei miei vestimenti. Oh qui sì, che restò ferito il mio Cuore più che mai! Anche la mia umanità intese un sommo rincrescimento. Intanto la divina giustizia voleva restar soddisfatta di tutte le offese che avrebbe ricevuto dai miei fratelli contro la purità. Essendomele io addossate tutte, e dovendo soddisfare per tutti, chinai la testa e mi esposi a quella somma confusione ed erubescenza. Difatti ubbidii ai fieri manigoldi. Due volte soffrii la somma confusione di essere spogliato affatto delle mie vesti: una fu alla colonna, per soddisfare le molte e gravi offese che i miei fratelli avevano ed avrebbero fatto al mio divin Padre, peccando contro la purità. La seconda volta restai spogliato affatto sul Calvario, alla vista di tutta la gente. Qui senti maggiore confusione, perché fui fatto morire in tal modo, in alto sulla croce. Questo fu per pagare la divina giustizia per i peccati che contro la purità avrebbero commesso tutti coloro che sono consacrati al culto divino. E siccome questi sano di più grave offesa al Padre, così fu a me di maggiore confusione e di più grave tormento. Avendo ricevuto l’ordine dai manigoldi di spogliarmi, mi levai la veste bianca, e la strinsi al petto, dicendo al divin Padre: Ecco, o Padre, che il vostro Unigenito è stato ritenuto pazzo, e l’eterna Sapienza è stata derisa e oltraggiata. Perciò di nuovo io vi offro questa grave ingiuria, in sconto di tutte le offese che su questo particolare ricevete dai miei fratelli. Per questa mia sofferenza vi supplico di dar lume a tutti quelli che si comportano da veri pazzi, lasciando Voi, fonte di ogni bene, per andar dietro alle pazzie del mondo fallace ed ingannatore. Perciò, vi prego, o mio divin Padre, di volervi degnare di dare a tutti una vera sapienza, cioè il lume da conoscere le pazzie del mondo ingannatore, onde si rivolgano a voi, vera fonte di sapienza. Vidi, che il Padre mi avrebbe consolato, facendo ciò di cui lo pregavo. Vidi tutti quelli che avrebbero approfittato de1 detto lume, e ne resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza nel vedere il gran numero di quelli che ne avrebbero abusato. Nello spogliarmi della mia veste, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che si sarebbero spogliate della bella veste dell’innocenza per mezzo della colpa, e ne intesi una somma amarezza. Rivolto ad esse, dissi loro: Ah, incaute! per voi ora soffro così grave confusione e tormento! Almeno, giacché io patisco tanto, ve ne sapeste approfittare col tornare a penitenza!
Nel levarmi la veste mi ricoprii tutto di un verginale rossore. Vidi anche tutte le vergini, che sarebbero state tormentate sopra questo particolare, e di cui sarebbe stata molto insidiata la purità. Per esse pregai il divin Padre, acciò avesse dato loro fortezza e spirito da soffrir tutto ed uscir vittoriose, in virtù di ciò che allora io soffrivo. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, assistendole e
proteggendole con paterna cura. Di ciò resi grazie al divin Padre, anche per parte loro.
Spogliato delle mie vesti, tutti quei perfidi incominciarono a deridermi, dicendo: Ecco quello che pretende di essere Re! Vedendo il mio corpo tutto ricoperto di un verginale rossore, dicevano: Veramente questo rossore è la porpora reale da te meritata. Ed in questo dicevano il vero, benché in altro senso. Si doveva la porpora verginale alla mia innocenza, come Re delle vergini. Ecco qua, mi dicevano, la tua ricchezza, le facoltà del tuo regno: un’estrema povertà e nudità! Anche in questo dicevano il vero: perché io sono i1 Re di coloro che vivono in povertà e nudità di spirito, distaccati da tutto. Tali appunto devono essere i miei seguaci, i quali militano sotto la mia bandiera. Rivolto al Padre lo pregai, per la mia nudità, che si volesse degnare di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, acciò conoscano come devono spogliarsi,di tutto, per seguire me, e con il lume desse loro anche la grazia di poterlo fare. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto. E vidi ancora tutti quelli che se ne sarebbero approfittati e l’avrebbero messo in pratica; di ciò lo ringraziai. Intesi però dell’amarezza nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati, e non sarebbero mai arrivati ad un totale distacco da tutte le cose, e ad una vera nudità di spirito; quindi non sarebbero mai giunti and uno stato di vera perfezione, come io desideravo. Rivolto al Padre lo pregai di nuovo di illuminarli e far loro conoscere, che per seguirmi, devono spogliarsi dei tutto, anche di se stessi. Vidi che il Padre avrebbe dato loro un nuovo lume, e per questo e per una maggiore grazia, che pure avrebbe dato, molti si sarebbero approfittati. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza, nel vedere che molti ancora si sarebbero abusati.
Essendo così spogliato, ed avendomi i perfidi molto schernito, vidi tutti quelli che per imitarmi sarebbero stati scherniti e
motteggiati dagli empi, perciò offri i miei scherni al Padre pregandolo di volersi degnare di dare a tutti una grazia particolare, in virtù di ciò che io soffrii, affinché avessero sopportato con pazienza tutte le derisioni e gli scherni, che in circostanze simili loro sarebbe convenuto soffrire. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto ed io lo ringraziai anche per parte di tutti.
LA CARNEFICINA –
Mentre stavo, in tal modo, aspettando di esser legato alla colonna, non ardivano gli empi di toccare il mio corpo verginale denudato, perché sentivano dentro di sé un gran timore: credettero che fosse per naturale compassione; perciò, fattisi animo ed istigati molto più dai demoni, mi si avventarono addosso come cani arrabbiati. Mi legarono fortemente alla colonna, con le mani incrociate, cioè una sopra l’altra, stringendo tanto la fune, che i miei polsi rimasero risegati dalla legatura, e si gonfiarono le mani con mio grande patimento. Essendo stato legato, incominciarono, i più fieri e barbari, a battermi con verghe e funi nodose, e con gravide violenza, mi pestarono tutto il corpo, senza pietà e compassione. Sentivo un estremo dolore, perché oltre la delicatezza della mia umanità, ero anche tutto pesto per le percosse avute, onde i colpi mi si rendevano più sensibili e dolorosi.
Offrivo ogni colpo al divin Padre, per pagare i debiti di tutti i miei fratelli e di ciascuno in particolare, secondo le loro offese. Domandai aiuto al divin Padre, per poter soffrire così dura carneficina: in verità vi sarei morto, se il Padre non avesse fatto il miracolo di conservarmi in vita per più patire. Mentre stavo ricevendo i fieri colpi, invitavo tutti i miei fratelli e seguaci a venire in questo luogo a contemplarmi. Allora li invitavo, acciò poi vi fossero venuti. Invitavo anche tutti i peccatori, dicendo loro: Venite voi tutti, che con tanta facilità offendete il divin Padre ! Venite e vedete, quanto care costano a me le vostre soddisfazioni illecite e le vostre colpe! Venite anche voi tutti, miei seguaci, e vedete quanto cara mi costa la vostra eterna salute! Venite, tutti, venite! Rimirate il vostro fratello, Dio e uomo, quanto per voi patisce! Così dicendo, vedevo tutti quelli che mi avrebbero contemplato in queste pene, e la compassione che di me avrebbero avuto. Vidi, inoltre, che molte anime amanti si sarebbero appassionate per i miei dolori. Vidi tutti coloro che, per mio amore, avrebbero battuto e flagellato il proprio corpo per imitarmi nel patire. Vidi anche tutti i peccatori, che sarebbero accorsi all’invito, ma per più tormentarmi, perché non avrebbero avuto che un pensiero di passaggio, senza aver di me compassione. Sentivo estremo cordoglio nel vedere quelli, per cui maggiormente pativo, che appena avrebbero rivolto io sguardo verso di me, perciò con essi mi lagnavo: Ah crudeli e spietati! dicevo loro: è possibile, che tante pene, tanti dolori, tanto sangue, non vi muovano a compassione? Eppure sapete che soffro per voi! Rivolgevo sempre il pensiero al divin Padre, pregandolo di avere compassione delle loro anime. E per il sangue, che per. essi spargevo con tanto amore, lo pregavo di perdonar loro.
Essendo ormai tutto pesto il mio corpo, incominciò a versare sangue in gran copia. Mi sentivo mancare per il dolore e per la debolezza, ne vi era chi mi desse soccorso. Quei crudeli ministri si stancavano e si davamo il cambio, subentrando gli uni agli altri. Si posero in animo di far macello del mio corpo, battendo con rabbia e furore: se tante percosse mi avevano dato per l’addietro, senza che alcuno desse loro licenza, puoi pensare quante me ne diedero quando dal presidente fu loro ordinato. Stavano quivi in disparte anche figli Scribi e i Farisei, istigando i manigoldi, perché facessero a gara a chi mi potesse percuotere, per fare ad essi cosa grata. Il sangue scorreva in terra ed era da me rimirato ed offerto al Padre. Dicevo: Questo sangue sarà la lavanda delle anime che vi ricorreranno, per essere mondate dalle loro colpe. Quelli stessi che mi flagellavano, erano tinti del mio sangue, il quale schizzava sopra di loro. Di ciò sentivo grande amarezza, perché il sangue che sopra di loro cadeva, serviva ad essi per maggiore condanna. Allora si rappresentavano alla mia mente tutte le anime infelici, per le quali il mio sangue si spargeva per loro maggiore condanna, perché non se ne sarebbero volute approfittare. Vedendo calpestato il mio sangue, che scorreva in terra, da quei barbari, si rappresentavano alla mia mente tutti quelli che avrebbero calpestato il sangue mio con le loro iniquità: di ciò sentivo grande dolore. Pensavo che una sola stilla di quel sangue era di tanto valore, che sarebbe stato sufficiente a riscattare tutto il genere umano, e nel vederlo tanto conculcato e disprezzato, ne sentivo un grande cordoglio. Rivolto al Padre Io supplicavo, dicendogli: Padre mio, vi offro questo sangue, sparso con tanto amore, per la salute di tutto il mondo, e vi supplico, per i suoi meriti e per il suo valore, di dare ai miei fratelli tutte le grazie che sono loro necessarie, per la loro eterna salute. E come io non risparmio fatiche e patimenti, così voi non lasciate di dare ad essi ciò che è necessario e molto più, onde tutti quelli che vogliono, si possano salvare. Mi udiva il divin Padre e mi esaudiva, ed io lo ringraziavo a nome di tutti. Sentivo però dell’amarezza nel vedere il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato. Essendo il mio corpo ridotto quasi tutto ad una piaga, scorrendo gran copia di sangue in terra, ed essendo stanchi, i manigoldi temettero che morissi, perciò lasciarono di battermi: perché temevano che non fossi arrivato a lasciare la vita sopra la croce, come bramavano. Si erano però messi in cuore di ridurmi ad uno stato tale che non potessi più sopravvivere, se mai il presidente avesse negato di sentenziarmi alla morte, perché ne stavano con qualche timore. Dicevano: Se mai il presidente lo lasciasse in libertà, non ha da esser più uomo. Difatti mi ridussero ad uno stato, che l’umanità mia, se non fosse stata sostenuta dalla divinità, non avrebbe potuto più vivere. Tante furono le percosse e gli strapazzi che mi fecero.
Vedendo che quei barbari non si saziavano mai di tormentarmi, senti grande amarezza; tanto più che si rappresentarono alla mia mente quelli, che hanno, tanta crudeltà verso i loro prossimi, che non si saziano mai di travagliarli e di perseguitarli. Onde rivolto al Padre lo supplicai di valersi degnare di illuminarli, facendo conoscere il grande male che fanno, e la crudeltà che usano verso i loro prossimi. Vidi, che il Padre avrebbe dato loro il lume da poterlo conoscere, e la grazia di emendarsi, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di ciò ne resi grazie al Padre. Vidi però il numera grande di quelli che ne avrebbero abusato e ne intesi grande amarezza. Supplicai il divin Padre di volersi degnare dei dare pazienza a tutti quelli che sarebbero stati perseguitati dagli empi. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto ed io lo ringraziai.
IL RE DEI DOLORI –
Sciolto pertanto dalla colonna, caddi in terra sopra il mio proprio sangue. Caddi per l’estrema debolezza a cui era ridotto il mio corpo. Eppure a tal vista quegli spietati non si mossero a compassione; vedendomi così in terra più morto che vivo, non vi fu chi si movesse ad aiutarmi, acciò mi fossi potuto rialzare. Anzi, quel ministro crudele e spietato, chiamato Malco, mi diede delle bastonate e dei calci. O quanto, sposa mia, intesi la crudeltà di quel ministro, che era stato da me beneficato poche ore prima, nell’orto di Gethsemani, avendogli risanato l’orecchio tagliato. Fu lui che più d ogni altro mi percosse e maltrattò. Vedendomi così in terra, tutto una piaga, ricoperto del mio proprio sangue, tornarono di nuovo a schernirmi. Mi dicevano: Oh, questa sì che è una porpora che ti sta bene, fatta dal tuo sangue ! Ora sì, che sei veramente il Re che pretendi di essere! Difatti, dicevano il vero: perché io bramavo di essere il Re dei dolori, per acquistare l’eterno regno a tutti i miei fratelli.
Soffrivo tutte le derisioni, le ingiurie, le molte e spietate percosse, senza dire neppure una parola, o fare un atto di dispiacimento. Eppure tanto silenzio, tanta pazienza e tanta mansuetudine, non mosse mai a compassione quei perfidi e duri cuori: se fosse stata una bestia ne avrebbero avuto pietà. Solo per me non vi fu chi avesse un atto di compatimento. Grande sollievo è per chi patisce, l’essere compatito. Ma io, anche di questo mi volli privare, perché le mie pene, fossero pure, volendo con questo meritare il sollievo e la consolazione dei miei fratelli nei loro patimenti, nelle loro angustie ed afflizioni. Perciò tutto offrivo al Padre supplicandolo delle dette grazie, non escludendo da esse nessuno.
BURLE CRUDELI –
Stando così in terra, né potendomi rialzare, mi ordinarono che mi rivestissi con le mie vesti, le quali stavano in terra. Si prendevano giuoco, con i calci, di gettarle ora da una parte ora dall’altra, per vedermi andare carponi per terra a prenderle. Perciò rivolto al divin Padre, lo pregai del suo aiuto, per potermi rialzare. Ed alzatomi mi rivesti della via veste, la quale subito si attaccò a tutto il mio corpo piagato.
Vedendomi ridotto a tale stato, puoi credere quanto fosse grande l’amarezza del mio Cuore, riflettendo alla dignità della mia persona, tanto avvilita, vilipesa, oltraggiata e tutta impiagata. E vero, che godevo di patire per l’amor grande che portavo al genere umano, ma l’amarezza del mio Cuore era molto grande, nel vedere che questo amore sarebbe stato tanto conculcato e sì malamente corrisposto; quei fieri e crudeli manigoldi, mi rappresentavano tutti i peccatori ostinati, che avevo sempre presenti, e per cui tanto pativo. E benché soffrissi per tutti, nondimeno gli ostinati accrescevano le mie pene e l’amarezza del mio Cuore.
INCORONAZIONE DI SPINE –
Stavano le furie infernali molto confuse, nel vedere tanta fortezza, tanta pazienza e mansuetudine in me, né potevano capire donde potesse ciò venire. E dicevano: Questi non è puro uomo: se fosse puro uomo non potrebbe soffrire tanto. Che sia il Figlio di Dio? Non può essere mai che un Dio si assoggetti a tante pene ed a tanti oltraggi. E dicevano: Chi sarà mai? E per indagarlo, cuggerivano ai manigoldi nuove invenzioni da tormentarmi, dicendo: Qualche segno alla fine darà, acciò noi possiamo intendere chi sia.
Difatti, avevano suggerito ai manigoldi di tormentarmi maggiormente. Mentre quelli che mi avevano flagellato si stavano prendendo gioco di me, altri andarono a formare una corona di acutissime spine, ed altri a cercare una porpora vecchia, tutta lacera. Questo fu per consiglio dei Farisei, avendolo suggerito ad essi il nemico Infernale, onde mi vestissero da Re di scherno, perché dicevano che pretendevo di essere loro Re. Volevano essi farmi comparire da Re, perché tutti mi schernissero, e così condurmi alla presenza di Pilato, in figura di Re, ma con la stima che essi ne facevano, cioè di Re finto e da scherno.
Difatti, trovata la porpora, e formata la durissima corona di acute spine, vi fecero sopra delle risate, saltando e battendo le mani per la nuova e dolorosa invenzione. Non avevano, i perfidi, licenza alcuna di trattarmi in tal modo e di maltrattarmi con tanta empietà ma si facevano lecito di fare tutto ciò che volevano sopra la mia persona, perché avevano gli Scribi e i Farisei dalla loro. Io era solo, né avevo nessuno per me, né vi era uno solo che difendesse la mia causa, e chi li riprendesse per tanta empietà. Eppure nella città molti da me erano stati beneficati, molti ancora eseguivano la mia dottrina. Ma tutti questi stavano ritirati per timore dei Farisei. Vedendo allora quelli che avrebbero patito molto, senza che vi fosse alcuno che di loro avesse avuto pietà e compassione, e che nelle loro pene e travagli sarebbero stati da tutti abbandonati, ne intesi grande amarezza. Pregai il divin Padre, acciò si fosse degnato di consolarli, difenderti e liberarli. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto con somma provvidenza. Vidi anche il. premio preparato a chi in tal modo patisce, e ne resi grazie al divin Padre.
LA PORPORA –
Avendo i perfidi preparato tutto per vestirmi da Re di scherno, mi condussero in un’altra stanza, ordinandomi che mi fossi di nuovo spogliato della mia veste, la quale era tutta attaccata con il sangue coagulato. Intesi molto rincrescimento, nel dovermi di nuovo togliere la veste, per il dolore che di nuovo dovevo sentire; ma offrendomi al Padre, pronto a far tutto, gli domandai il suo aiuto e con stento e dolore intenso, mi levai la veste. Difatti mi posero indosso la lacera porpora.
Nel togliermi la mia. veste, offri quel dolore al Padre, pregandolo di dare ai miei fratelli, specialmente a tutti i miei seguaci, fortezza, virtù e grazia da spogliarsi affatto dell’amor di se stessi, della carne e del sangue, per poter speditamente seguirmi per la via da me calcata e ad essi insegnata. Vedendo che per far questo ci vuole una grazia particolare, più volte ne pregai il divin Padre in modo speciale, e vidi, che il Padre l’avrebbe fatto. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, e per il dolore che soffri, pregai il Padre di dare ad essi la consolazione in tale distacco. Vedendo che il Padre l’avrebbe fatto, gliene resi le grazie, anche per parte loro. Intesi però dell’amarezza, nel vedere il numero grande di coloro che avrebbero abusato di tanta grazia.
LA CORONA DI SPINE –
Avendomi vestito con la porpora, la quale pure si attaccò alle mie piaghe, mi fecero sedere, tirandomi per i capelli e percuotendomi. Stavo a sedere,non già per mio riposo, ma per loro comodità, perché mi potessero porre in testa la corona di spine, la quale era fatta in modo, che mi coprisse tutta la testa. Intese rincrescimento la mia umanità alla vista di questa tormento; ma l’amore con cui pativo, subito mi faceva abbracciare tutto con allegrezza, domandando però sempre al Padre il suo aiuto, sì da poter soffrire ogni tormento.
Stando a sedere, ricoperto con la porpora, mi posero in testa la corona di spine, e parte con le mani ferrate, parte con i bastoni, la calcarono con grande forza sopra il mio capo: restando la fronte, le tempie e tutto il capo traforato. Fu così acerbo il dolore che intesi in questo aspro tormento, che sarei morto, se il Padre non mi avesse sostenuto, facendo che la divinità unita a me, mi servisse per conservare in vita la mia umanità, e darle forza da soffrire.
In questa dolorosissima incoronazione, tutto il mio corpo si riempì di un acerbo dolore, in modo che le fierissime punture che sentivo nella testa, le sentivo anche per tutta la vita, esacerbandosi le mie piaghe, e sentendo un tremare in tutte le membra, per l’eccessivo tormento. Il sangue, in gran capi, scorreva per tutto il corpo dalla testa piagata. Si riempirono i miei occhi, la bocca, né mi potevo asciugare, perché mi avevano legate le mani. Non morii, ma soffri i dolori della morte penosa, che avrei fatto, se la divinità non mi avesse sostenuto.
Nella circostanza dell’incoronazione, invitai di nuovo tutti i miei fratelli, affinché venissero a contemplarmi, e vedessero quanto soffrivo per loro amore, e quanto care mi costavano le loro colpe. Vidi tutti quelli che sarebbero accorsi per contemplarmi ed imitarmi, e che avrebbero compatito le mie pene, ed a questi impetrai molte grazie dal divin Padre. Vidi inoltre tutti coloro che sarebbero accorsi, ma per più tormentarmi, come fecero gli spietati Ebrei, che con moltiplicate offese accrescevano a me il dolore. Per questi pregai il divin Padre a perdonare. Sentendo poi le asprissime punture, si rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che con i superbi ed indegni pensieri, avevano la maggior parte nei miei aspri dolori. Di essi mi dispiacevo, per vederli senza compassione alcuna verso di me, che tanto pativo per loro, e ne sentivo un aspro dolore. Mi crucciava poi l’offesa del divin Padre, ed a Lui mi offrivo in quella forma sì dolorosa. Vedevo il Padre adirato col peccatore, e lo supplicavo a voler placare lo sdegno, in virtù del mio patire, che offerivo in sconto di tutte le offese che riceveva; ed il Padre si placava. Rivolto poi a tutte le anime a me fedeli, che pure avevo presenti alla mia mente, le invitavo a seguirmi ed imitarmi nelle mie pene. Vidi tutti quelli, che molto avrebbero patito per amor mio, e ne intesi compassione, e supplicai il divin Padre a dar loro copiosa mercede, per quanto avrebbero sofferto per mio amore. Lo supplicai anche, per il dolore che sentirono tutte le membra del mio corpo nel tormento, e che per la dura incoronazione soffriva il mio capo, di volersi degnare di dare un sentimento di dolore e di compassione a tutti i miei fratelli, membra mistiche di me, loro Capo. Vidi, che il Padre l’avrebbe dato. Vidi anche, che tutti quelli che sarebbero stati uniti, membri di me, loro Capo, avrebbero inteso il dolore e la compassione vera e cordiale. Intesi però dell’amarezza, nel vedere la moltitudine di coloro che, come membri recisi dal mio corpo, per la colpa, non avrebbero avuto né dolore, né alcun sentimento di compassione per le mie pene: molto mi afflisse la loro crudeltà ed ingratitudine.
Domandai poi al divin Padre le grazie per tutti i miei fratelli, che avessero avuto volontà di fuggire la colpa, affinché li avesse assistiti con la sua divina grazia, dando loro forza di resistere a tutti i mali pensieri di superbia, di vendetta, e. di tutto ciò che è sua offesa. Vidi, che il Padre sarebbe stato pronto a dare ad essi la suddetta grazia. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, ne resi grazie al divin Padre; intesi però dell’amarezza per tutti quelli che se ne sarebbero abusati. Vidi la moltitudine di coloro, che, in questo campo, avrebbero commesso ogni sorta di colpa, senza alcun ritegno, non facendo conto alcuno dei molti e gravi peccati, che con i loro pensieri, continuamente fanno. Ed oh, quanto fu grave il mio dolore e l’amarezza dèl mio Cuore, per queste sì gravi offese! Rivolto al Padre lo pregai per il mio grande dolore, a volersi degnare di dar loro un nuovo lume e maggior grazia. E vidi, che il Padre lo avrebbe fatto, e che alcuni se ne sarebbero approfittati e si sarebbero ravveduti: di ciò resi grazie al
Padre mio. Intesi però dell’amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che si sarebbero abusati anche di questo.
LA CANNA –
Stando così coronato, afflitto, e pieno di amarezza, quei barbari mi fecero un nuovo affronto, mettendomi in mano una canna per scettro regale: acciò in tutto e per tutto comparissi Re finto e da scherno. Intese molta amarezza il mio Cuore anche per questo scherno. In quella canna, vidi tutti quelli che sarebbero instabili nel divino servizio, vuoti d ogni virtù, e pieni di leggerezza. Nel veder tali anime, che dichiarandosi della mia sequela a parole, ma con i fatti stando lungi da me, avrebbero dato occasione a molti di deridere e mettere in scherno le cose del divino servizio, ne intesi amarezza. Rivolto al Padre lo pregai di illuminarle facendo loro conoscere il loro errore. Giacché stanno nelle mie mani, giacché si dichiarano della mia sequela, si pongano ad operare con senno; lascino le leggerezze e si applichino alla pratica delle vere virtù. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare loro il detto lume, e che alcune se ne sarebbero approfittate, e operando con senno si sarebbero stabilite nel divino servizio e nella pratica delle vere virtù: per loro resi grazie al Padre. Intesi dell’amarezza nel vedere la moltitudine di quelle che se ne sarebbero abusate. Esse, non facendo conto dei lumi divini, sarebbero restate sempre nel loro misero stato, piene di vanità, di leggerezze e vuote affatto di ogni virtù.
IL RE DEI DOLORI –
Avendomi quei perfidi, così accomodato, si posero tutti sconciamente a ridere ed a schernirmi, chiamandomi il falso Re. Dicevano: Oh. adesso sì, che sei veramente Re come ti sei proclamato! Difatti dicevano il vero, perché nel mondo altro non pretesi che di adempire la volontà del Padre mio, di patire tutti i tormenti per soddisfare la divina giustizia per tutti i peccati, ed essere Re dei dolori, acciò tutti i miei seguaci prendessero esempio da me e si animassero a patire molto per l’acquisto della gloria, che ad essi meritavo con tante pene e tormenti.
Vedendomi ridotto a stato sì deplorevole, dissi all’amore che ardeva nel mio Cuore: Sarai ormai contento, giacché sono ridotto a tale stato. Vedendo che le brame dell’amore ancora non erano soddisfatte, e che molto più desideravano di patire, mi animai a soffrire maggiore pena e più gravi tormenti. Rivolto al Padre lo supplicai, con dirgli: O mio divin Padre! giacché l’amare che arde nel mio Cuore ha una fame insaziabile, di sempre più patire, per mostrarvi la sua grandezza, fate che questo infinito amore, così bramoso di pene, penetri nel cuore dei miei fratelli, onde anche essi siano avidi di patire, per far conoscere a voi l’amore che vi portano. Vidi, che il Padre mio non avrebbe mancato di adempire questa mia domanda, e che tutti i cuori che avrebbero racchiuso in sé questo beato incendio, non si sarebbero saziati mai di patire, cercando sempre nuove invenzioni di pene, per testificare al divin Padre l’amore che gli portano, ed imitare me, loro Redentore. Di questo resi grazie al divin Padre. Intesi però dell’amarezza, ed oh quanta! nel vedere la moltitudine dei cuori, che, per esser pieni dell’amore del mondo e di se stessi, chiudono affatto la porta al divino amore, perciò non sanno bramare altro che delizie, spassi e piaceri, fuggendo il patire. A questi cuori feci sentire i miei rimproveri, chiamandoli ingrati ed infedeli, perché vanno sì lungi, dall’acquisto dall’amore del divin Padre. Essendo essi tanto amati dal divin Padre e da me, che tanto pativo per loro amore, corrispondono con ingratitudine e disamore.
IL LUDIBRIO DI TUTTI – Stavo dunque a sedere, ricevendo molte ingiurie e scherni, dai fieri ministri, i quali erano molti; perché tutti i servi più vili di Anna, di Caifa e di Erode mi seguivano per schernirmi ed oltraggiarmi; vi erano poi i manigoldi, la sbirraglia, e la gente più vile. I Farisei stavano fuori. in disparte ed attizzavano i ministri di giustizia, affinché mi avessero sempre più maltrattato. Anche essi vomitavano contro di me imprecazioni, ingiurie e bestemmie esecrande. I demoni si affaticavano molto ad istigare tutti quei perfidi, e suggerire loro sempre nuove invenzioni per più tormentarmi. Fremevano molto nel vedere la mia invitta pazienza e tolleranza, e pur non potendo arrivare a capire, se fossi il vero Figlio di Dio, ne dubitavano molto per i segni che in me vedevano. Non potevano però trattenersi di non operare conforme la loro malizia e perversità, che è di procurare sempre che tutti facciano del male. Però, quantunque avessero grande timore e sospetto, che io fossi veramente il Messia, con tutto ciò, istigavano i
ministri di giustizia, i Farisei, la plebe, e tutti contro di me, procurando che ognuno mi oltraggiasse e gravemente offendesse Iddio nella persona mia, perché conoscevano chiaramente la mia santità ed innocenza.
Suggerirono, i perversi ribelli spiriti, ai ministri, un nuovo atto di scherno verso di me: che ognuno di essi mi venisse a prestare ossequio con quegli atti di disprezzo, che sa inventare la malizia diabolica. Difatti, incominciarono a venire avanti a me ad uno ad uno per salutarmi come loro Re. Fu questo da tutti applaudito, quantunque avessero molta fretta, perché i Farisei si volevano sbrigare, facendomi presto morire. Ma siccome si trattava di tormentarmi e di schernirmi, non si curavano troppo di perdere tempo. Chinando ognuno il ginocchio, mi dicevano: Ti saluto Re dei Giudei. E schernendomi, mi percuotevano. Ognuno fece a gara a chi più mi sapeva schernire. Alcuni mi tiravano la barba e mi sputavano in faccia, altri mi tiravano i capelli, con mio grande tormento; altri mi tiravano le orecchie, alcuni mi davano calci e pugni, altri delle bastonate, altri ancora mi scuotevano la vita e mi torcevano la testa. Pigliando la corona di spine per una punta, la giravano, e così mi torcevano il collo in tutti i modi. Io sentivo un asprissimo tormento, ma quando mi pigliavano per la corona, mi si rendeva molto più doloroso, perché le spine mi tormentavano. Chi mi dava dei pugni sulle spalle, sul petto, sulle braccia; chi le bastonate sulle gambe; chi, infine, mi pestava i piedi.
Io stavo in sommo silenzio, senza dire parola alcuna, soffrendo con invitta pazienza, ed offrendo tutto al divin Padre. Vedevo che quasi tutti i ministri avevano le mani e i vestimenti tinti del mio sangue. Sentivo grande amarezza, che quel sangue prezioso fosse maneggiato ed oltraggiato da sacrileghi.
Furono tante le percosse, le ingiurie, gli affronti, le insolenze che soffri in questa occasione da quegli spietati, che non vi è mente che possa arrivare a comprenderli. E tutto facevano con furore e sdegno.
Mentre stavo ricevendo ciò che ora ti ho detto, offrendo tutto al divin Padre, vedevo che quasi tutti i miei fratelli avevano qualche parte in ciò che da quei perfidi ricevevo; perciò offrivo al Padre ciò che pativo, per tutti in generale, e poi in particolare per ciascheduno, secondo le loro colpe, onde il Padre restasse soddisfatto. Poi per ciascuno gli domandai la grazia che era necessaria per la sua eterna salute. Il Padre me la prometteva, come difatti non manca di darla. Resta che la maggior parte ne abusa e la disprezza non facendone conto alcuno.
Vedendomi così schernito da quei perfidi, si rappresentavano di nuovo alla mia mente, tutti coloro che per amor mio, e per la confessione del mio Nome, sarebbero stati scherniti ed oltraggiati, e che tanto avrebbero patito. Intesi compassione di essi, e supplicai il divin Padre a dare loro grazia, forza e virtù da soffrire tutto con pazienza. Gli domandai ciò in virtù di quanto pativo io. Di più lo pregai a dare ad essi gusto e consolazione nelle loro pene, raddolcendole con la sua divina grazia, visita e
consolazione interna. Vedendo che il Padre avrebbe eseguito tutto fedelmente, lo ringraziai, e lodai la sua infinita bontà.
Sentivo, sposa mia, una continua pena ed amarezza nel mio Cuore, perché i perfidi, che mi tormentavano ed oltraggiavano con tanta empietà, rappresentavano alla mia mente tutti gli ostinati peccatori, dai quali tanto sarei stato offeso ed oltraggiato.
Intanto che i perfidi mi facevano tali atti di scherno, chiamandomi Re finto, invitai tutti i miei fratelli a venire a riconoscermi ed adorare come loro vero Re e Signore. Li invitai con desiderio che tutti mi avessero riconosciuto per tale. Allora vidi tutti coloro che sarebbero accorsi all’invito, e vidi quanti mi avrebbero riconosciuto per loro Re e Signore. A tutti promisi la mia protezione ed assistenza, e mi offri a reggerli e governarli con amore e sollecitudine. Li offri tutti al mio divin Padre affinché li avesse protetti. Vidi anche tutti quelli che non riconoscendomi per loro Re e Signore, mi avrebbero molto offeso ed oltraggiato. Di essi intesi urna grandissima amarezza, e per essi pregai il divin Padre, perché li avesse illuminati, e avesse fatto conoscere il gran danno che loro sarebbe derivato per andar dietro ad altri signori, che avrebbero precipitato le loro anime e privato me dell’ossequio e dell’onore dovutomi: Vidi, che il Padre avrebbe dato loro lume, accompagnandoli con la sua divina grazia, e che molti se ne sarebbero approfittati: dopo aver riconosciuto il loro errore, si sarebbero pentiti, e, rivolti a me, mi avrebbero adorato e confessato per loro Re e Signore. Di ciò resi grazie al divin Padre, pregandolo di dare ad essi i suoi aiuti speciali e la perseveranza. Vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore. Intesi poi dell’amarezza nel vedere il grande numero di coloro che si sarebbero abusati del lume e della grazia, che il Padre avrebbe loro compartito con tanto amore, e che mi avrebbero voltato le spalle, riconoscendo altri per loro Re e Signore. Fu molto grande la pena che questi fecero soffrire al mio Cuore.
È CONDOTTO A PILATO –
Avendo i perfidi, terminato di fare quegli atti di scherno, si risolvettero di condurmi alla presenza del Presidente Pilato, perché mi avesse veduto in tale figura, ed anche lui mi avesse schernito in loro compagnia. Volevano anche fargli vedere la vile stima che facevano della mia persona; ed in quale basso concetto mi tenevano. Perciò mi ordinarono di alzarmi. Tiratomi per le funi con cui stavo legato, a forza di percosse, ingiurie, gridi e fischiate, mi condussero alla presenza di Pilato.
Quando Pilato mi vide in sì deplorabile stato, si turbò e restò ammirato della loro fierezza e crudeltà, ma non li riprese, dicendo dentro di sé: Costoro hanno sfogato abbastanza la loro rabbia e furore, e, senza dubbio, lo lasceranno andare, ed io sarò libero dal condannarlo.
INTERROGATORIO -‐ SILENZIO DI GESÙ –
Mi fece Pilato altre interrogazioni circa le colpe che mi attribuivano. Io non risposi, perché gli avevo parlato prima, egli aveva, con poche parole, fatto conoscere la mia innocenza.
Gli avevo impetrato anche il lume dal Padre, onde conoscesse la dignità della mia persona e la verità della mia dottrina, in modo che se avesse corrisposto, non solo non mi avrebbe condannato ai flagelli ed alla morte, ma si sarebbe anche lui convertito. Ma Pilato sprezzò i lumi divini, facendosi vincere dal timore e dal rispetto umano.
Vedendomi Pilato in tale figura, risolvè di condurmi sopra una loggia, dei dove si vedeva tutto il popolo che stava ad aspettarmi, con molti Scribi e Farisei. Tutti, con impazienza e coni rabbia stavano ad aspettare che Pilato mi condannasse alla morte di croce, perché i Farisei andavano aizzando la turba, con le loro persuasioni, affinché avesse gridato, strepitato, e domandato a Pilato, che mi facesse morire. E se non l’avesse voluto fare, l’avessero assediato e costretto a farlo per forza. Perciò si affaticavano molto i perfidi Farisei, girando e rigirando intorno alla turba ebrea, promettendo a tutti il loro favore, la loro grazia e protezione. Avevano già dato ordine che si portasse la croce, che tenevano in disparte. Tenevano in ordine anche le cose necessarie per crocifiggermi, facendo tutto con grande cautela e sollecitudine. Io vedevo tutto, e ne sentivo grande amarezza. Nelle persone degli ebrei, vedevo coloro che si sarebbero lasciati sedurre dalla gente maligna e perversa; e nelle persone degli Scribi e dei Farisei vedevo tutti quelli che pongono il loro studio e la loro sollecitudine nel tirare la gente al male. Vedevo quanto sono tutti solleciti per le cose temporali, mentre per la salute delle loro anime non spendono neppure un pensiero. Di tutto sentivo grande amarezza e dolore, Rivolto al divin Padre lo pregavo di dare a tutti lume da conoscere il loro errore, e la grazia da emendarsi. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che avrebbero abusato della grazia, e disprezzato i lumi divini. Per questi intesi grande amarezza.
GESÙ ABBANDONATO DA TUTTI –
Sentivo poi che per tutta la città di Gerusalemme si sparlava molto di me. Essendosi divulgato dappertutto, che io ero fatto prigioniero, e dal Pontefice Caifa condannato e dichiarato reo di morte, ognuno diceva, che veramente ero quello di cui i Farisei avevano sempre predicato, cioè: uno stregone, uno che aveva commercio col demonio, e che per opera del demonio aveva fatto tutti i miracoli. Molti ringraziavano Dio, che avesse permesso che fossi stato scoperto e preso dalla giustizia, per farmi morire. Tutti quelli che erano stati sanati da me, si reputavano disgraziati, perché avevano ricevuto la salute per mezzo mio. Tutti contro di me, mi ingiuriavano e maledicevano.
Il mio Cuore era ferito da acuto dolore, per sentir tutto ciò che ora ho detto. Molto dolore sentivo per le offese del divin Padre, al quale offrivo il mio dolore in sconto delle offese sì gravi che riceveva.
Alcuni pochi stavano forti nella fede, credendo alla mia dottrina ed alla santità della mia persona. Ma questi stavano ritirati per timore molto confusi. Per essi io non mancavo di pregare il Padre, onde avesse dato loro fortezza, e li avesse tenuti saldi nella fede. Difatti il Padre non mancava di assisterli con la sua grazia. Così in tempo di tanta tribolazione, venivano confortati, e si ricordavano di quanto loro avevo detto, cioè, che sarei morto, e il terzo giorno sarei risuscitato. E così, anche con questa speranza, si andavano consolando.
GESÙ E LA MADRE SUA –
Vedevo tutti i miei apostoli dispersi ed afflitti in amaro pianto, ripieni di timore e di tristezza; e pregavo il divin Padre ad assisterli, consolarli e fortificarli nella fede. Il Padre non mancava di farlo, quantunque se ne rendessero indegni, per avermi abbandonato in tempo di tanto travaglio.
Vedevo la mia diletta Madre, la quale sentiva nel suo cuore tutte le mie pene e i miei dolori. Ed oh, quanto mi tormentava il vederla in tanto strazio! Era per me un grande martirio il vedere martirizzata per mio amore, quella purissima ed innocente colomba.
Spesso parlavo al di lei cuore e l’animavo al patire, e pregavo il divin Padre a confortarla; Egli lo faceva con paterno amore. Dicevo poi alla diletta Madre che mi accompagnasse nelle offerte e nelle domande, che rivolgevo al mio divin Padre. E Lei non mancava punto di eseguire quanto da me le era insinuato. Vedevo che il Padre si compiaceva molto delle sue offerte, perciò lo ringraziavo, unito con la medesima. Erano molti i sospiri di compassione, che mi inviava il suo cuore amante, e i desideri di più patire per mio amore. Spesso mi diceva: O Gesù mio! amato Figlio! quanto sarei contenta se io sola soffrissi tutte le vostre pene, e voi, mia vita, foste esente da ogni dolore! Poi tutta uniformata alla volontà del Padre, chinando la testa, l’adorava e lodava nell’opera sua. Adorava i suoi decreti e le sue permissioni. Di ciò il Padre molto si compiaceva.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai inteso, sposa mia, i molti e gravi tormenti che soffrii nell’essere flagellato alla colonna e coronato di spine. Hai inteso l’invito che facevo a tutti i miei fratelli, acciò mi venissero a contemplare, per vedere quanto patii per loro amore. Hai inteso che invitai tutti a venire a riconoscermi per loro Re e Signore. Hai inteso gli scherni e gli strapazzi che soffrii. Perciò non ti sembrerà difficile di imitarmi e soffrire con pazienza quanto ti sarà fatto di male dai prossimi tuoi, sia in fatti, sia in parole. Rallegrati quando ti vedi schernita e disprezzata, perché allora hai occasione di imitarmi in qualche cosa. Hai inteso la confusione ed il rossore che provai nell’essere spogliato, per la flagellazione. Anche in questo devi imitarmi, qualora tu senta qualche parola contro la purità: abbi confusione e rossore. Così si sollecita a cacciare da te anche i pensieri. Ricordati che la purità è un candore che ogni piccola cosa appanna e macchia. Vivi distaccata non solo da tutte le cose create, ma anche da tutte le cose appartenenti a me: spogliata affatto di tutto. Non vi sia cosa alcuna che tenga occupato il tuo cuore, acciò possa abitare in esso l’amare di Dio e di me tuo Sposo. Mentre pativo alla colonna e nell’essere coronato di spine, invitavo tutti i miei fratelli a venirmi a contemplare; ora invito te, come mia sposa, a venirmi a contemplare. Rimirami! osserva bene quel che patii, e sta’ attenta, perché come sposa fedele, devi in tutto e per tutto assomigliare a me. Quanto più sarai simile a me, tanto più mi sarai grata e sarai da me amata. Godo molto nel vedere le mie spose in qualche modo simili a me nelle pene, perché poi nella gloria saranno molto a me dappresso e possederanno una gloria sublime. Non tralasciare di imitarmi anche nelle offerte al divin Padre, e di accompagnare coll’interno tutte le tue opere esterne. Avverti, che in questo ti voglio molto sollecita e diligente. Ti stia a cuore inoltre, la conversione dei peccatori, non tralasciando mai di pregare per essi e di offrire al Padre mio la mia Passione, per la loro conversione. Si in tutto sollecita, fedele e amante sposa.
Come il Figliuolo di Dio da Pilato fu mostrato al popolo. Viene posposto a Barabba. E condannato alla morte. Di ciò che operò nel suo interno sino a che ricevette la croce sulle spalle.
GESÙ PRESENTATO AL POPOLO –
Il presidente avendo determinato di farmi vedere al popolo nella figura compassionevole in cui mi avevano ridotto i miei nemici, affinché avesse pietà di me, come lui stesso l’aveva avuta nel rimirarmi, mi fece condurre sopra una loggia, dove potessi esser veduto da tutti. Vi intervenne anche lui, e con parole di compassione, levando la porpora dall’impiagato petto, disse ad alta voce: Ecco l’uomo! volendo, con queste parole, far loro conoscere che non vi era in me più sembianza d’uomo, essendo tutto lacero e piagato, ridotto in uno stato che poco più avrei potuto vivere.
A tali parole esclamarono, prima i Farisei, e poi con essi tutto il popolo: Levacelo davanti, e dà ordini che sia crocifisso. A queste parole restò molto confuso il presidente; e non sapendo che modo trovare per liberarmi, senza perder la loro grazia, propose ad essi l’infame assassino e omicida Barabba. Lo paragonò con me, domandando, chi di noi due volevano che liberasse; perché nella solennità si liberava uno dalla morte. Il popolo, appena udita la proposta, incominciò a gridare ad alta voce: Viva Barabba, e muoia Gesù Nazzareno! Restò molto disgustato il presidente per la pessima elezione, e tornò di nuovo a dir loro, con volto adirato, cosa doveva fare di me, perché lui mi conosceva innocente. Allora incominciarono tutti ad alzar le grida, dicendo di nuovo: Levacelo davanti e condannalo alla morte di croce. Crocifiggilo, perché è un malfattore! Allora Pilato, pensando di metterli in reputazione, disse loro: Ma volete che io faccia crocifiggere il vostro Re? Allora più che mai alzarono la voce, e cominciarono ad ingiuriarmi, dicendo al presidente, che non avevano altro Re che Cesare. E di nuovo tutta la turba sgridò:
Crocifiggile!
I FARISEI SI IMPONGONO –
I Farisei si mostrarono adirati verso i1 presidente, perché differiva tanto la sentenza. Gli dissero che doveva credere a loro, che se il Nazzareno non fosse stato un malfattore non glielo avrebbero portato avanti, perché la loro coscienza non comporterebbe che si condannasse un innocente. Pilato, preso dal timore, per le minacce e per le parole serie dei Farisei, si indusse a dare la condanna, quantunque conoscesse chiaramente che ero del tutto innocente. Ma rivolto, al popolo, adisse: Io non voglio aver parte alcuna nella morte di questo innocente. Ed essi gridarono, che si addossavano tutta la colpa, e che il mio sangue fosse caduto sopra di loro e dei loro discendenti. Dissero questo, per ottenere che il presidente li avesse soddisfatti, e mi avesse con più libertà condannato alla morte.
Infine Pilato si fece vincere, e per far vedere che lui non aveva parte alcuna nella mia morte, si lavò le mani, poi pronunciò la sentenza, condannandomi alla morte di croce, benché conoscesse chiaramente la mia innocenza. Scrisse pertanto la sentenza, poi la lesse al popolo; tutti stettero ad udire con grande attenzione. Finito di leggere, furono tante le grida, le fischiate, i battimani, i salti che facevano per l’allegrezza, che ognuno fosse arrivato al colmo della consolazione. Gridarono: Evviva il Presidente! E tutti lo lodavano,
specialmente i Farisei, chiamandolo uomo prudente, che avendo voluto prima esaminare bene la causa, infine, conoscendo la mia reità, mi aveva condannato come meritavo. Molti di essi, per sfogare 1’allegrezza che sentivano, si abbracciavano insieme dicendo: Eppure siamo arrivati al nostro intento! Oh che fortuna è stata la nostra! Oh che consolazione abbiamo avuto in questo giorno! Ora sì che vivremo quieti, felici e contenti, perché non avremo più chi turbi la nostra pace!
AMAREZZA DI GESÚ E SUPPLICHE –
In tutto questo fatto, stetti sempre col volto sereno, con gli occhi fissi in terra, con la mente ed il cuore rivolto al divin Padre ed a tutti i miei fratelli, per i quali tanto pativo e pregavo. Ah, sposa mia, quanto fu grande l’amarezza del mio Cuore in tutto ciò, che finora ho narrato! Quanto dolore, quanta pena, quanta angustia e mestizia nel vedere le offese del divin Padre, la perfidia e l’odio degli Scribi e Farisei e di tutta la plebe, tanto da mie beneficata, tanto amata, per la cui salute tanto pativo! Ma essi non vollero giovarsi di tanta mia bontà, mentre per quello che avevo loro insegnato e per i benefici che loro avevo fatto, potevano esser divenuti atti perfetti e santi.
Intese rincrescimento la mia umanità, quando Pilato mi condusse alla presenza di tutta l’adunanza. Rivolto al Padre lo pregai del suo aiuto per soffrire tutto ciò, che quivi mi sarebbe occorso. Mi offri pronto ad andare al patibolo, affinché tutti vedessero l’amore che loro portavo, fino a soffrire per la loro salute così grandi pene.
Arrivato sulla loggia, invitai tutti i miei fratelli, affinché fossero venuti a contemplarmi. E mentre il popolo gridava: Levacelo davanti e condannalo alla morte , vedevo tutti quelli che si sarebbero uniti a . loro, e mi avrebbero tanto disprezzato, che nemmeno avrebbero voluto vedermi, né udir raccontare, quanto per la loro salute io abbia patito. Di ciò intesi grande amarezza. Il mio Cuore veniva ferito anche da un altro dolore,perché le invenzioni che Pilato trovava per liberarmi, tutte riuscivano in mio grandissimo disonore e tormento. Allora si rappresentarono alla mia mente tutti coloro cui il divin Padre avrebbe dispensato sempre nuovi lumi e nuove grazie di salvezza, delle quali essi si sarebbero serviti per offenderlo ed aggravare maggiormente di colpe le loro anime, a più grave loro condanna, per il mal’uso che ne avrebbero fatto. Nel vedere, poi, che quel popolo ingrato, non aveva compassione alcuna di me, intesi grande amarezza, perché si rappresentarono alla mia mente quanti non avrebbero avuto mai un minimo sentimento di dolore per le mie pene. Sapendo che io per essi ho tanto patito, non ne fanno alcun conto, né si rivolgono a me neppure con un atto di compassione. Perciò rivolto verso di loro, dicevo: Ah crudeli, ingrati! Per voi patisco tanto, e voi neppure rivolgete gli sguardi verso di me, né avete compassione alcuna delle mie pene! E rivolto al Padre, lo pregavo di illuminarli, di farli rientrare in sé e conoscere la loro ingratitudine. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che per questo alcuni si sarebbero arresi e dopo aver conosciuto chiaramente, quanto io ho patito per loro amore, avrebbero avuto qualche compassione delle mie pene, e avrebbero approfittato del beneficio. Di ciò ne resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli, che di tutto si sarebbero abusati.
Essendo dal presidente messo in comparazione con l’iniquo ed infame Barabba, intese il mio Cuore una grande amarezza, e la mia umanità una somma confusione. Vidi, che molti dei miei seguaci sarebbero stati trattati in tal modo. Intesi pena, nel vedere gli innocenti esseri ritenuti cattivi e perversi, e da molti paragonati agli empi, per non essere conosciuta la loro virtù, che, per lo più è nascosta agli occhi degli uomini. Perciò, rivolto al Padre, lo pregai di dar lume a tutti, acciò da ognuno sia conosciuta la bontà e la virtù delle anime giuste. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti l’avrebbero conosciuta, benché i più si sarebbero abusati di questo lume, ed avrebbero ritenuto per gente cattiva, i buoni. Vidi però che il Padre molte volte l’avrebbe permesso, perché i buoni abbiano occasione di meritare, e di imitarmi anche in questo.
Nell’udire poi l’elezione che fece il popolo di liberare Barabba, ritenendo la mia persona più indegna e meritevole della morte, di quello che fosse l’infame Barabba, puoi credere, sposa mia, quanto grande fosse il mio dolore e quanta l’amarezza del mio Cuore! Allora si rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che avrebbero imitato in questo gli empi Ebrei, posponendo la persona mia alle loro soddisfazioni, al peccato, all’iniquità. Udivo anche sgridare, se non con le parole, con i fatti: Muoia Gesù Nazzareno, e viva il peccato ! Muoia il giusto e viva l’empio! Cioè: Muoia l’onore, la gloria di Dio, e viva la nostra rea soddisfazione! Oh! quanto dolore e quanta pena sentiva il mio Cuore per questi iniqui! Rivolto al Padre, lo supplicai, per l’angustia e il dolore, che sentivo, che si fosse degnato di illuminarli, affinché conoscessero il loro grave errore, la pessima elezione che facevano e l’offesa di Dio. Vidi, che il divin Padre non avrebbe mancato di dar loro lume e tutti gli aiuti necessari per ravvedersi e che molti se ne sarebbero approfittati, riconoscendo il loro errore, ed emendandosi. Di ciò resi grazie al divin Padre. Intesi sperò dell’amarezza nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati, continuando nel loro errore. E perché ne sentivo una pena molto grande, bramando che il divin Padre, la sua gloria ed il suo onore, fossero anteposti a tutte le loro soddisfazioni, pregai di nuovo Il Padre per tutti quelli ostinati, affinché avesse dato loro maggior lume e più potente grazia ed aiuti. Vidi che il Padre avrebbe soddisfatto alla mia domanda, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti. Del che resi grazie al Padre. Intesi però una più grave amarezza nel vedere che molti, anche di questo, si sarebbero abusati.
Si rappresentò allora di nuovo alla mia mente l’altra proposta fatta, circa la persona mia ed il genere umano, nel divin concistoro, cioè: se si doveva lasciare perire il mondo immerso nella colpa, oppure se doveva la persona mia, cioè, l’eterno Verbo, incarnarsi, patire e morire, per riscattare e salvare il mondo perduto. Posponendo la mia persona al genere umano, elessi di patire e morire, perché il genere umano si salvasse e restasse redento. Vedendo, allora, che gli uomini si mostrarono così ingrati a tanta mia carità e a tanto amore, contraccambiando questa mia amorosa elezione con quella pessima, fatta da loro, di un infame ladro assassino da liberarsi in vece mia, ne intesi luna grande pena ed amarezza. Rivolto al Padre, lo supplicai di perdonare tutti gli ingrati, in virtù del mio dolore. E rivolto ad essi mi lamentai della loro somma ingratitudine e mala corrispondenza a tanta carità ed a tanto amore, supplicando il Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l’ingratitudine con cui rispondevano al mio infinito amore. E vidi, che il Padre li avrebbe illuminati, e che molti, a questo chiaro lume, si sarebbero ravveduti: avrebbero conculcata la colpa, anteponendo in tutto la gloria divina e il divin onore, facendo vivere nelle loro anime la grazia e morire il peccato e l’iniquità. Di questo resi grazie al Padre, supplicandolo di continuare a dare a questi i suoi lumi ed aiuti speciali. Intesi però della amarezza, nel vedere la grande moltitudine di quanti si sarebbero abusati, ed avrebbero disprezzato i lumi divini, restando nella loro durezza ed ingratitudine. Per questi supplicai di nuovo il divin Padre con grande istanza, affinché avesse dato loro maggiori lumi e grazie. E vidi, che il divin Padre l’avrebbe fatto, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti. Di ciò resi grazie al divin Padre, e lo supplicai di dare loro nuova grazia, affinché fossero stati stabili nel bene, da loro conosciuto ed eletto. E vidi che il Padre l’avrebbe data loro, ed io lo ringraziai anche per parte loro. Intesi però una più grande amarezza, nel vedere tutti coloro che avrebbero abusato dei nuovi lumi, che loro avevo impetrato, rimanendo nella loro ostinazione e somma ingratitudine; perciò sarebbero miseramente periti. Nel vedere, poi, che gli Scribi e i Farisei presenti erano quelli che, con i loro mali esempi e cattive persuasioni, facevano pervertire tutto il popolo, tirandolo al loro pessimo partito, perché essi erano i primi a gridare, e dietro ad essi si accordava la plebe, si rappresentarono alla mia mente tutti i superiori cattivi ed indegni del grado che tengono, che con i loro mali esempi e cattive persuasioni, avrebbero fatto pervertire la plebe, e le persone ignoranti e vidi. Di ciò intesi una grande amarezza, e per questi pregai molto il divin Padre, acciò avesse dato lumi e fatto conoscere che da essi procede, in buona parte, tutto il mule che si fa dalla plebe. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dar loro il detto lume, e per questo alcuni sarebbero entrati in se stessi, e, conosciuto il proprio errore, si sarebbero emendati. Di ciò resi grazie al divin Padre. Intesi però dell’amarezza nel vedere la moltitudine di quelli per cui la grazia sarebbe stata vana. Vedendo che, per causa loro, molti sarebbero periti, rivolto di muovo al Padre, lo supplicai di tornare misericordiosamente ad illuminarli, con lumi più potenti e stimoli gagliardi al cuore. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti. Di ciò resi grazie affettuose al Padre. Intesi però dell’amarezza, ed oh quanto grande! nel vedere la moltitudine di quelli che, ad imitazione degli empi Scribi e Farisei, sarebbero rimasti nella loro durezza ed ostinazione, ciechi volontari, anche in mezzo a tanta luce.
Nel vedere che il presidente Pilato, pur conoscendomi e dichiarandomi innocente, si lasciò indurre a condannarmi come reo e malfattore, e dichiarò di non aver colpa nella mia morte, lavandosi le mani; si rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che operano il male con i fatti, e con le parole si dichiarano innocenti. Cioè: operano in modo, che il loro prossimo resti danneggiato e poi, con le parole, lo compatiscono e lo difendono. Per questi ciechi, stolti, ed anche maliziosi, pregai il divin Padre, acciò li avesse illuminati, onde conoscano il loro errore. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero approfittati: conosciuto il loro errore, si sarebbero emendati, ed avrebbero fatta la penitenza del male arrecato al loro prossimo. Di ciò resi grazie al divin Padre, Intesi però dell’amarezza, nel vedere la moltitudine di questi che sarebbero restati nel loro errore, per l’abuso dei lumi divini e della grazia.
Vidi tutti i giudici, che, a persuasione dei maligni e perversi, avrebbero dato la sentenza contro gli innocenti. Di costoro intesi grande dolore ed amarezza, e supplicai il divin Padre ad illuminarli facendo loro conoscere il grande male che operano. Vidi che alcuni, riconosciuto il loro errore, ne avrebbero fatto la penitenza e si sarebbero emendati. Intesi però dell’amarezza nel vedere il grande numero di quelli che, abusando dei lumi divini, e disprezzando la grazia, sarebbero rimasti nel loro errore. Rivolto al Padre, lo supplicai per tutti gli innocenti, che sarebbero stati dagli empi giudici condannati come rei, affinché avesse dato loro la sua grazia e gli aiuti speciali, per soffrire l’ingiustizia e la condanna, con pazienza, ad imitazione mia. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dar loro la detta grazia. Vidi anche il grande premio che per questi stava preparato.
Feci poi una supplica assai premurosa al Padre, acciò nel mondo si fosse amministrata la giustizia con rettitudine; che fossero puniti i rei, conforme i l’oro delitti, e lasciati liberi gli innocenti. Vidi che in questo si sarebbe mancato molto, e ne intesi grande dolore ed amarezza. Supplicai di nuovo il divin Padre ad illuminare tutti quelli che amministrano la giustizia, facendo conoscere loro lo stretto conto che dovranno rendere al tribunale della giustizia divina. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare ad essi chiari lumi, e vedendo tutti coloro che se ne sarebbero approfittati, ne resi grazie al divin Padre. Intesi, però, dell’amarezza, nel vedere il numero grande di quelli, che ne avrebbero abusato, e la sentenza di morte eterna, che per questi stava preparata.
Mentre si leggeva al popolo la sentenza della mia morte, nel vedere la finta allegrezza di tutti dico finta: perché il loro cuore non era contento, ma inquieto si rappresentò alla mia mente la funesta sentenza di eterna morte, che io stesso avrei fulminata contro le anime reprobe, e la vana e finta allegrezza che avrebbero dimostrato gli spiriti infernali. Allora il mio Cuore restò immerso in un mare di amarezza e di dolore, e soffri tutta la pena, che non avrei poi intesa nel condannarle. Rivolto al mio divin Padre, gli dissi O Padre mio amatissimo ! Voi vedete il dolore e l’amarezza che soffro nel vedere che io stesso dovrò fulminare la sentenza di eterna morte contro tutte le anime, che con tanto sangue ho redento, e alle quali, con tanti stenti e patimenti, ho meritato l’eterna beatitudine. Questo è un dolore che al presente mi passa il Cuore. Rivolto alle anime reprobe, che tutte avevo presenti, mi lamentai molto con esse: è possibile, infelici ed insensate, dicevo loro, che vogliate a forza strapparmi di mano la sentenza della vostra condanna? Dite su, che posso fare io per salvarvi? E voi, infelici, di tutto vi volete abusare? Ah! tornate in voi, misere! tornate! Riconoscete il vostro errore! Tornate al vostro giudice ora, che è padre amoroso, e sta pronto per abbracciarvi! Non vi lasciate ingannare dai nemici infernali, né accecare dalle vostre ree passioni e disordinati affetti! Rivolgete gli sguardi verso di me, e vedete quanto cara mi costa la vostra eterna salute, e quanto patisco per liberarvi dall’eterna morte! Questi inviti feci allora a tutte le anime ree, che si sarebbero volute dannare, e mi proposi di farli a tutti i loro cuori, e, con muta loquela, far udire a tutti queste amorose e dolci chiamate. Vidi che molti se ne sarebbero approfittati e si sarebbero convertiti a via di verità. Per questi resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere il numero, quasi innumerabile, di quei miseri, che si sarebbero di tutto abusati, e che avrebbero voluto far sempre i sordi alle mie voci ed ai miei dolci inviti.
RIMORSO DI PILATO –
Letta che fu la sentenza della, mia morte, il presidente Pilato mi lasciò nelle mani dei ministri di giustizia, affinché mi avessero condotto fuori, perché gli Scribi e i Farisei, con tutto il popolo, mi aspettavano con impazienza, non potendo più soffrire la dilazione della mia morte.
Si ritirò il presidente in parte soddisfatto, per gli applausi che gli avevano fatto gli Scribi ed i Farisei con tutto il popolo, ma, con il cuore amareggiato, perché conosceva chiaramente il grande male che aveva fatto, condannando, ad una morte sì infame, un innocente, per istigazione di gente maligna ed appassionata, quali erano i Farisei, che ben conosceva. Onde restò con una grande tristezza e con timore che gli sopraggiungesse il castigo, come poi gli successe (1).
Nella persona di Pilato vidi tutti coloro che, dopo aver fatto il male, sentono la pena, perché conoscono di aver errato; ma, ad imitazione di Pilato, si ritirano a considerare il male fatto, mia non si convertono, né si pentono: restano nel loro travaglio, aspettando il castigo, il quale non tarda molto a sopraggiungere. Per questi inconsiderati, supplicai il divin Padre di illuminarli, acciò,conoscendo di aver errato, si convertano, e, ricorrendo al Padre delle misericordie, facciano penitenza del male commesso e non si diano in preda alla disperazione. Vidi che il Padre avrebbe loro dato lume, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di questo resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che sarebbero rimasti nel loro errore.
Rivolto di nuovo al divin Padre, lo pregai, che, per aver io chinato il capo e ricevuta volentieri la sentenza di morte, mostrandomi in tutto e per tutto obbediente ai suoi divini decreti, morendo volentieri per la sapute del genere umano, si fosse degnato, in virtù di quella mia pronta obbedienza, di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, onde chinino il capo ed obbediscano in tutto e per tutto ai divini precetti e consigli evangelici, da mie lasciati; acciò, adempiendo la divina legge, siano fatti degni dell’eterna retribuzione. Lo pregai inoltre di degnarsi di dar loro grazia ed aiuti speciali, affinché l’avessero potuto fare. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di esaudirmi, e che monti se ne sarebbero approfittati; avrebbero chinato il capo ed obbedito ai divini comandi. Del che resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli, che se ne sarebbero abusati, e non si sarebbero mai ridotti ad obbedire ai divini comandi. Per questi ostinati trasgressori, pregai di nuovo il divin Padre con grande istanza, di illuminarli, e dar loro gagliardi stimoli al cuore. Vidi che, per questa nuova grazia, alcuni si sarebbero ravveduti, ed avrebbero volentieri obbedito e chinato il capo ai divini precetti. Di questi resi grazie al divin Padre. Vidi però la moltitudine degli ostinati trasgressori, che, malgrado i lumi e le grazie del divin Padre, non si sarebbero mai voluti arrendere, restando nella loro durezza ed ostinazione. Di essi intesi una somma amarezza.
Lo supplicai ancora di dare a tutti i miei seguaci una grazia particolare, affinché prendano tutte le cose contrarie ed avverse, dalle sue divine mani, non guardando la creatura che fa soffrire, ma la divina disposizione, che tutto permette per bene e profitto delle loro anime. Vidi che il divin Padre avrebbe dato loro la detta grazia, e che molti se ne sarebbero approfittati. Di ciò gli resi grazie. Intesi però dell’amarezza nel vedere la moltitudine di quelli, che se ne sarebbero abusati non accomodandosi mai a ricevere tutto dalle mani del divin Padre; e così facendo, non avrebbero acquistato alcun merito, anzi, molto detrimento per le loro anime. Questi causavano al mio Cuore grande dolore ed amarezza.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai inteso, sposa mia, i miei patimenti, e come mi comportassi, tanto con il mio divin Padre, come con i miei fratelli. Procura di imitarmi. Hai udito la pessima elezione che il popolo ebreo fece, posponendo la persona mia all’iniquo Barabba. Perciò, sta bene attenta: procura in tutte le cose di eleggere sempre il più perfetto, e di anteporre in tutto e per tutto la gloria e l’onore divini. Questo ti stia a cuore! Odia il peccato e fuggilo, tenendolo lontano da te, acciò là mia grazia, 1’amor mio regnino in te. Muoia in te l’iniquo Barabba, e viva sempre io in te. Con questo voglio dirti, che quando mai la colpa si appressasse a te, per volere entrare nell’anima tua, tu le devi dare la morte, cioè, scacciarla subito da te: così vivrò sempre io in te con la mia grazia. Hai udito la mia pronta obbedienza nell’accettare la sentenza di morte vituperosa. Non volere essere dissimile a me. Obbedisci perfettamente agli ordini dei tuoi maggiori, e molto più ai divini precetti e consigli. Non mancare mai all’obbedienza, se non in casi di grave necessità; perché avendone il voto, devi, con maggiore esattezza, praticare questa virtù. Ricevi infine tutte le cose che ti succedono, tanto prospere come avverse, dalle mani del tuo Padre celeste, ringraziandolo sempre, tanto del bene, come del male: assicurandoti che il Padre ti ama molto, e tutto ciò che dispone di te, tutto lo fa con paterno amore, per bene e profitto dell’anima tua. Procura, dunque, di mostrarti mia seguace e fedele sposa.
Come il Figliuolo di Dio ricevette la croce sulle SS. spalle. Del viaggio che fece per andare alla morte e di ciò che operò nel suo interno finché arrivò al monte Calvario per essere crocifisso.
GESÙ NELLE MANI DEI NEMICI –
Essendo lasciato dal presidente nelle mani dei miei crudeli nemici, perché mi conducessero a morte, questi, come lupi e cani arrabbiati, mi si avventarono addosso, e, chi per le corde, chi per i capelli, mi condussero giù, dove gli Scribi e i Farisei, con tutto il popolo, si stavano, con grande desiderio, ad aspettare, ed ivi arrivato, fui da tutti ingiuriato, schernito ed oltraggiato. Battendo le mani dicevano: Ecco che alla fine, o seduttore, sei arrivato ad avere la sentenza da te meritata! Gridavano ad alta voce, dicendo: Mago, stregone infame, trasgressore, superbo; arrogante, vile, raffinato, seduttore, finto, ribelle, incantatore! Ognuno faceva a gara a chi più ne poteva dire contro di me, per l’odio che mi portavano, o per far cosa grata agli Scribi e ai Farisei, i quali furono i primi ad ingiuriarmi.
Stavo alla loro presenza, e ricevevo tutte le ingiurie con volto sereno, offrendole tutte al divin Padre, in sconto delle loro colpe. Sentivo però nel mio Cuore grande dolore ed amarezza, per le divine offese.
I demoni, che li istigavano, restavano sempre più attoniti nel vedere tanta mia sofferenza ed imperturbabilità, e sempre più andavano sospettando che io potessi essere il vero Messia. Con tutto ciò, non sapevano persuadersi, che se fossi stato il vero Messia, mi fossi assoggettato a sì strani tormenti, e che il divin Padre avesse trattenuto il castigo, per tanta sfacciataggine e crudeltà dei miei nemici. Perciò dicevamo fra di loro Non può esser mai che un Dio si assoggetti a tanti patimenti, a tante ingiurie, e che tanto si avvilisca la suprema maestà. Impazienti, nel vedere in me tanta virtù, non sapevano più che cosa inventare per farmi fare qualche atto d’impazienza. o di collera, verso chi tanto mi oltraggiava. Perciò si univano a consiglio, per trovare nuovi modi di farmi tormentare ed oltraggiare da quei fieri ministri, i quali erano privi di umanità e pieni di malizia e di crudeltà verso di me. Io mi mostravo pronto a soffrire tutto con pazienza ed allegrezza.
RIPRENDE LA VESTE E LA CORONA –
Avendo i crudeli sfogato il loro animo nell’ingiuriarmi e schernirmi, gli Scribi e i Farisei ordinarono che fossi rivestito delle mie vesti, perché, andando per la città, fossi meglio riconosciuto da tutti (1). Difatti mi diedero la mia veste, acciò mi fossi rivestito. Mi strapparono a viva forza la porpora, sicché si riaprirono le mie ferite, ed incominciò il mio corpo a grondare sangue. Mi levarono la corona di spine, a viva forza, con grande empietà, e dalle ferite grondava il sangue in tanta copia, che bagnato il volto, il petto, le spalle e tutto il corpo, ne cadeva gran copia in terra.
Offrivo quel sangue al divin Padre, e lo supplicavo di placare lo sdegno che aveva verso i ministri crudeli. Il Padre, nel vedere il mio sangue, si placava.
Fu molto grande l’amarezza del mio Cuore, nel vedere che quegli inumani carnefici, non si muovevano punto a compassione di me; ma quanto più mi vedevano impiagato, tanto più si accendevano di furore e di odio contro di me.
Rivestito pertanto della mia veste, tornarono di nuovo a mettermi in capo la corona di spine, e a farmi nuove ferite con grande crudeltà. Fu molto il dolore che perciò senti e lo spasimo per le nuove ferite, essendo già la mia testa tutta addolorata. Rivolto a quelle anime, che con tanta facilità tornavano a peccare, e che avevo tutte presenti, mi lamentavo dicendo loro: Ah, crudeli, spietate! Cessate una volta di offendere tanto il divin Padre! Non vedete quanto tormento accrescete alla mia umanità piagata, con aggiungere ferite a ferite? Lo sapete, che le vostre replicate colpe sono causa di tanto mio tormento e dolore! Vedendole tanto ostinate nella loro iniquità, rivolto al Padre, tutto dolente, gli dicevo: Padre mio amatissimo! Ecco, con questo nuovo tormento, pago il debito, che tante anime, con replicate colpe, contraggono verso la divina giustizia. Perciò perdona loro, perché non sanno ciò che si fanno.
Ecco, sposa mia, qual era la vendetta che facevo contro quelli, che erano causa di tante mie pene e dolori: impetrare loro il perdono e scusarli avanti al Padre. Tanto era grande l’amore che a tutti portavo, che mentre ero tormentato per i loro peccati, chiedevo al Padre perdono e pietà per essi, offrendo i miei patimenti, in sconto delle loro colpe, ed impetrando tutte le grazie, che conoscevo essere ad essi necessarie per l’eterna salute. Vedevo che questo mio infinito amore era contraccambiato con tanta ingratitudine e crudeltà, puoi credere quanto si accrescesse l’amarezza del mio divin Cuore.
I DUE LADRONI CON GESÙ –
Mentre stavano operando ciò che ho detto intorno alla mia persona, ordinarono che fossero condotti due ladroni, che erano stati condannati anch’essi alla morte di croce, per i loro misfatti (1). I Farisei, tutti affaccendati, giravano ora da una parte, ora dall’altra, perché si effettuasse il loro pessimo disegno: si erano accordati di condurmi al Calvario e di farmi passare in mezzo alla città, con quei due malfattori accanto, cioè: io, in mezzo ad essi, ed alquanto avanti, come capo dei malfattori e come ladro; perché dicevano, che volevo usurpare il regno, per cui dovevo essere dichiarato anche capo dei ladri.
Ed io, a questa loro risoluzione, dicevo fra di me Purtroppo, è vero che sono ladro; ma ladro che rivoglio il mio; cioè, le vostre anime, che stanno nelle mani del nemico infernale, e le voglio ripigliare a prezzo del mio sangue, che ora spargo con tanto amore. Ma voi, ciechi, non volete restare liberi dalla dura schiavitù, volete perdervi, disprezzando e calpestando lo stesso sangue, che è il prezzo della vostra redenzione. Rivolto al Padre, lo pregai dicendo: Padre mio amantissimo, illuminate tutte le anime da mie redente, fate conoscere il grande beneficio che concedo loro, riscattandole dalla dura schiavitù di Lucifero, e ricomprandole con il mio proprio sangue. Ah, Padre mio! Troppo mi costano le anime dei miei fratelli! Troppo prezioso è il prezzo della loro redenzione! Perciò, vi prego, mio divin Padre, di illuminarle, affinché si prevalgano di un sì grande beneficio. Vedendo che il divin Padre non avrebbe mancato di comunicare a tutti i suoi lumi divini, lo ringraziai, e lodai la sua infinita bontà e misericordia. Intesi però una grande amarezza nel vedere il grande numero di quelli che se ne sarebbero abusati, disprezzando i lumi divini, e la grazia che il Padre, con tanta liberalità, offriva a tutti.
Essendo venuti i due ladri, che dovevano essere crocifissi, quando videro la persona mia sì mal ridotta, si risentirono, stimando troppo vituperio venire in mia compagnia, al luogo del supplizio. A tal segno si ridusse la mia perdona: egli stessi malfattori mi disprezzarono. Una di essi si pose ad ingiuriarmi: fu quel perfido che si perdè, perché non cessò mai di oltraggiarmi con ingiurie e con motti impertinenti; anche l’altro ladro mi andava ogni tanto ingiuriando; ma vedendo la mia invitta pazienza, restò ammirato, e fra di sé andava dicendo : Costui ha una gran pazienza, né si risente di tante ingiurie e di tante percosse. Con queste riflessioni andava disponendosi a ricevere un lume particolare, per il quale mi riconobbe e poi mi confessò per vero Figlio, di Dio, come ti dirò. Nel sentire, che quei due ladri e malfattori si vergognavano di essere condotti al patibolo in mia compagnia, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime peccatrici, che reputavano disonore operare il bene e praticare le virtù da me insegnate. Compatendo la loro cecità, supplicai il divin Padre di illuminarle, affinché conoscessero il loro errore e si vergognassero di reputare disonore l’operare il male. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, e che alcune sarebbero rientrate in se stesse, e si sarebbero emendate, come fece il buon ladro, che, ricevuto il lume, si convertì. Di ciò resi grazie al
Padre. Intesi però dell’amarezza, nel vedere il gran numero di quelli che se ne sarebbero abusati, come fece il cattivo ladro.
PRECEDE L’ARALDO .
Essendo in ordine tutto ciò che era necessario, per condurmi al patibolo, i Farisei ordinarono che andasse avanti un trombettiere, affinché per tutte le strade divulgasse la causa per la quale i principi dei sacerdoti ed il presidente Pilato mi avevano condannato a morte, e pubblicasse tutte le false accuse che si erano fatte contro di me. Fecero questo acciò tutti mi ritenessero un malfattore ed ingannatore, e nessuno avesse avuto compassione di me, anzi, tutti si rallegrassero alla nuova della mia morte.
Allora si rappresentarono alla mia mente tutti gli uomini perversi ed iniqui, che sarebbero andati seminando per il mondo false dottrine. Tante infamie avrebbero detto contro la mia divina legge, ed avrebbero, col loro veleno, fatto pervertire tante anime. Per essi intesi un grande dolore ed il mio cuore si riempì di una grande amarezza. Rivolto al divin Padre, tutto dolente, lo supplicai dei suoi divini lumi, del suo aiuto e grazia per tutte le povere anime, che da quegli iniqui sarebbero state pervertite, acciò stessero salde e costanti nella vera fede, da me insegnata. Lo pregai che si degnasse di abbattere quei mostri di iniquità. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare a tutti la sua grazia, i suoi lumi, onde conoscessero la verità della divina legge, e disprezzassero le falsità degli uomini iniqui e ribelli. Vidi tutti coloro che sarebbero stati forti e costanti. Per questi pregai di nuovo il divin Padre di assisterli e dar loro la perseveranza nella vera fede: e vidi che il Padre l’avrebbe fatto. Del che gli resi grazie anche a nome di tutti. Vidi poi ciò che avrebbero patito per la confessione della vera fede, e supplicai il Padre del suo aiuto particolare per tutti. Vidi infatti che il Padre l’avrebbe loro dato con grande amore. E di ciò lo ringraziai. Intesi però una grandissima amarezza nel vedere la moltitudine degli infelici, che sarebbero precipitati nell’eresia, abbandonando la vera fede. Rivolto al Padre, lo supplicai con grande istanza, acciò avesse ispirato i suoi servi e ministri fedeli, di prendersi l’impegno e 1’ufficio della predicazione, e di andare a convertire quelle anime cieche e pervertite. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo. Gli resi grazie, nel vedere che molte, per le loro sante persuasioni, si sarebbero convertite, abbracciando di nuovo la vera fede. Intesi però dell’amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che sarebbero rimasti nell’infedeltà, perciò sarebbero miseramente periti, per avere abusato dei lumi divini e dell’aiuto di persone fedeli e bramose della loro salute. Per questi infelici non lasciavo giammai di pregare il divin Padre. Lo pregavo inoltre di dar forza, virtù e fervore a tutti coloro che si impiegano nella conversione delle anime, specialmente degli infedeli, affinché possano resistere alle molte fatiche e patimenti. Vidi che il divin Padre l’avrebbe fatto con somma provvidenza. Vidi ciò che, nel praticare tale esercizio, sarebbe loro convenuto patire dai perfidi infedeli e nemici della vera fede. Ne intesi una grande amarezza e compassione, e supplicai il divin Padre di aiutarli, consolarli e confortarli nei loro patimenti. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore, e gli resi le dovute grazie, anche a nome loro.
ABBRACCIA LA CROCE –
Mentre stavo con i due ladri, mi fu presentata la croce, perché vollero, i crudeli, che la portassi da me. Quantunque fossi sì mal ridotto, che stavo quasi spirante, con tutto ciò dicevano fra di loro Costui è molto robusto. Ha resistito a tanti tormenti, resisterà anche a questo. Se vedranno che manca sotto il peso, la leveremo, acciò lo possiamo far morire crocifisso.
Alla vista della grande croce, tutto il popolo incominciò a gridare ed a far festa. Ed io, vi fissai i miei amorosi sguardi. A tal vista si liquefaceva il mio Cuore per 1’amore che ad essa portavo, perché la croce doveva essere l’altare, su cui mi dovevo sacrificare, vittima all’eterno mio Padre, per la salute del genere umano. Perciò la salutai amorosamente, e con essa sfogai le mie amorose brame (1). L’abbracciai con grande dimostrazione di amore, e la ricevei dalle mani di quegli empi, come datami dalle mani del mio divin Padre. A Lui rivolto, dissi: Mio divin Padre; ricevo volentieri e con grande amore, dalle vostre divine mani, questo legno di ignominia. Ma d’ora innanzi sarà di gloria, per i miei seguaci. Voi sapete, da quanto tempo io desidero di abbracciarla, e di morire sopra di essa, per testificare a voi ed al mondo tutto, quanto grande è l’amore che vi porto, e che porto a tutto il genere umano: per obbedire a voi e per salvare gli uomini, io morirò sopra questa croce, e mai sacrificherò a voi, vittima innocente, per riscattare il mondo perduto. Vi prego dunque, o mio divin Padre, di farmi la grazia, che tutti i miei fratelli e seguaci vivano amanti della croce. Illuminateli voi, affinché conoscano il grande bene che apporterà alle loro anime la croce, se da essi sarà, volentieri e di buon cuore abbracciata. Date loro, o mio divin Padre, un grande amore al patire, per l’amore col quale io tanto patisco per la loro eterna salute. Date virtù alla croce di debellare l’inferno, e porre in fuga gli spiriti ribelli. Datele la virtù di comunicare consolazione a tutte le anime, che volentieri l’abbracciano, ad imitazione mia. Fate, infine, che tutti la ricevano con l’amore e la rassegnazione con cui io ora la ricevo. Udì il divin Padre le mie richieste e le esaudì. Vidi allora tutte le anime che avrebbero approfittato delle grazie che loro avrebbe fatto il divin Padre. Vidi quanti sarebbero stati amanti della croce, e che l’avrebbero abbracciata volentieri. E rivolto ad essi, dissi: Seguitemi pure, amici fedeli, per il sentiero del Calvario! Venite pure, fratelli e compagni miei, venite e seguitemi; perché dove andrò io, verrete anche voi. Io vi spianerò la via, con l’andare avanti, come vostro Capo. Per me prenderò tutto l’amaro, tutto l’aspro; anche per voi resterà l’asprezza e l’amarezza; ma sarà molto raddolcita! Voi sarete confortati e consolati, mentre io, per meritarvi la consolazione, mi spoglio affatto di ogni conforto, ed abbraccio il solo e puro patire. E vidi tutti coloro che avrebbero udito i miei amorosi inviti e con tanta generosità e prontezza mi avrebbero seguito, e ne resi grazie al divin Padre. Vidi anche il gran numero di quelli che avrebbero fuggito ed odiato la croce, e con tutto il loro potere avrebbero fuggito il patire, perciò sarebbero andati molto lontani dalle mie vestigia. Rivolto ad essi li
esortai a non evitare la croce, e li invitai amorosamente a seguirmi. Ma intesi una grande amarezza nel vederli ostinati e sordi ai miei dolci inviti. Allora rivolto al Padre lo supplicai di illuminarli, acciò conoscessero il loro errore, e conoscessero anche che, andando così lontano da me, conviene loro soffrire maggiori travagli; e più grave sarà la croce, che essi incontreranno, per seguire i dettami del mondo, di quello che non sarebbe se prendessero la loro croce e seguissero me, loro capo e Maestro. Vidi che il divin Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il detto lume, e che alcuni se ne sarebbero prevalsi, e si sarebbero posti a seguirmi, con molta consolazione delle loro anime; ed lo ne resi grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che, abusando dei lumi divini, sarebbero sempre andati lontani dalle mie vestigia. Li vedevo, i miseri, gemere sotto il grave peso, che loro impone il mondo ingannatore, senza dar loro una stilla di vera consolazione. Di essi ebbi grande compassione, e non lasciai mai di invitarli a porsi alla mia sequela, quantunque facciano i sordi ai miei inviti. Vedevo che alcuni avrebbero conosciuto chiaramente il loro travaglio, eppure non si sarebbero mai risolti di lasciare il mondo, per seguire me, che con tanto amore li invitavo. Per la loro ostinazione, sentivo una più grave amarezza, e compassionavo la loro cecità, non mancando di rimproverare la loro ostinazione; in modo che alla fine, dopo molti rimproveri e molti inviti, vedevo alcuni che si sarebbero posti a seguirmi. Per questi rendevo grazie al divin Padre, e lo pregavo di perdonare loro la tanta resistenza fatta ai miei inviti, e il lungo indugio a ravvedersi e porsi alla mia sequela. Vidi che il Padre si sarebbe mostrato loro benigno e cortese, non negando ad essi la grazia che compartiva ai primi e più solleciti a seguirmi. Di ciò lo ringraziai e lodai la sua infinita bontà e clemenza. Intesi però dell’amarezza, ed oh, quanto grande! nel vedere l’ostinazione di molti, che si sarebbero abusati di tanti lumi, di tanti inviti e di tanta grazia.
L’ISCRIZIONE DELLA CROCE –
Mentre i ministri di giustizia stavano per mettermi la croce sulle spalle, i Farisei mandarono a dire al presidente Pilato di fare una iscrizione da mettere sopra la croce, affinché, come capo dei malfattori, si leggesse anche sopra il patibolo il mio nome, per mia maggiore ignominia, e per distinguermi dai due ladri. Lo scritto, in poche parole, doveva manifestare la causa principale per la quale mi crocifiggevano; dissero cioè che volevo usurpare il regno della Giudea. Pilato fece l’iscrizione, e la fece senza rifletterci. Scrisse: Gesù Nazareno, Re dei Giudei. Ciò fu ordinazione del mio divin Padre, che volle che fossi dichiarato Re, anche sopra l’infame patibolo. Come io nobilitavo ed esaltavo la croce coll’esservi crocifisso sopra, così, essendovi il mio corpo, volle che vi fosse scritto anche il mio Nome, e fossi dichiarato vero Re: perché con la mia morte, mai acquistavo il Regno, non solo della Giudea, ma di tutto l’universo, ed anche di tutte le anime: ricomprandole con la mia morte e col mio sangue, divenivo `infatti loro Re ed assoluto padrone.
Non credette il presidente di fare ingiuria ai Farisei; perciò, dopo averla scritta la mandò loro. Ma essi, leggendola, si infuriarono, e tornarono da Pilato, perché la rifacesse, dichiarandosi molto offesi da lui, per avere scritto: Re dei Giudei. Ma Pilato stette forte, né volle in modo alcuno mutare l’iscrizione. I Farisei, dopo avere strepitato, si quietarono, né vi fecero più riflessione !per allora, permettendolo il divin Padre, onde si eseguisse la sua divina ordinazione (1). Vidi allora tutte le anime che si sarebbero opposte ai divini decreti, e che si sarebbero tanto affaticate affinché si seguisse nel mondo il loro sentimento. Di esse ebbi grande compassione, perché le vedevo affaticarsi invano, mentre ciò che il divin Padre ha decretato, conviene che si eseguisca. Perciò, rivolto al Padre, lo pregai di far loro conoscere l’errore in cui si trovano. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di illuminarle, e che, per questo lume, molte si sarebbero rimesse alle divine disposizioni. Di questo gli resi grazie. Intesi però dell’amarezza nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati di detto lume, ed avrebbero tormentato sempre se stessi e gli altri, senza mai poter arrivare ad effettuare i loro disegni: perché le creature tutte devono assoggettarsi ai divini decreti, di buona voglia, essendo essi immutabili.
SULLA VIA DEL CALVARIO –
Stando con la croce, che tenevo con le mie mani appoggiata a me, i perfidi me la posero sulla spalla, dalla parte destra, lasciandomi sciolte le mani, perché la potessi tenere. Al primo movimento, la croce colpì la corona di spine, per cui intesi grande dolore nella mia addolorata testa. Mi avevano poi legate le braccia con corde, e una corda avevano legato alla cintura. Mi posero una grossa e lunga fune al collo, con la quale mi teneva un perfido manigoldo, gli altri mi tenevano per la corda della cintura, ma in modo che potessero stare discosti alquanto da me, perché fossi veduto da tutti. Mi precedevano il trombettiere e molti ministri di giustizia, come anche d’intorno e dietro venivano altri, seguiti dalla plebe. Ai lati venivano i due ladri, alquanto dietro di me. Dopo, tutta la plebe alla lontana, venivano gli Scribi e i Farisei, cioè, quelli che non mi lasciarono mai, bramosi di vedere tutto, e che si erano prefissi di non voler partire, se non dopo che fosse stata eseguita la mia sentenza di morte. Vi venivano anche per il timore che fossi loro uscito di mano; oppure, che qualche persona di autorità fosse venuta, e mi avesse levato dalle mani dei ministri di giustizia. Dicevano fra di loro: Costui si è fatto tanti amici e tanti aderenti: chi sa che non vengano con violenza a levarlo dalle mani dei carnefici? perciò seguiamolo, acciò, vedendoci, abbiano soggezione e timore di noi. Questi erano i più perfidi, che non stimavano né onore, né reputazione, avvilendo anche il loro grado, per soddisfare alla loro sfrenata passione. Così si incominciò il doloroso viaggio, alla volta del Calvario. In tutto questo fatto, non apri mai bocca per dire neppure una parola. Il mio Cuore stava immerso in un mare di amarezza.
Ricevuta la croce sulla spalla, intesi la gravezza del peso, in modo che non potevo reggerla. Rivolto al divin Padre, lo pregai del suo aiuto, e di darmi le forze, affinché la potessi portare. Accrebbe la divinità le forze all’umanità, ma non le scemò il dolore; anzi, accrescendosi in me le forze, si accresceva anche il dolore; perché per questo appunto, si accrescevano le forze al mio corpo, affinché sentisse anche maggiore pena e sofferenza. Rivolto al Padre lo supplicai per tutti i miei fratelli e seguaci, che tutti vedevo, specialmente per quelli che sono molto aggravati dal peso della croce, ed aggravati sopra le loro forze. Lo supplicai di dare anche ad essi aiuto e forza per soffrire e portare la croce, di sì gran peso alla loro debole umanità. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare loro aiuto e fortezza, e di ciò lo ringraziai.
Intese poi la mia umanità una grande ripugnanza per dover passare in tal modo per la città, dove stavano quasi tutti in aspettazione per vedermi, ed il dover comparire, in tal guisa, per le contrade, come capo di ladri e di malfattori. Ne sentivo una grande amarezza, tanto più che vedevo tutti gli scherni che mai sarebbero stati fatti, tutte le ingiurie e le molte insolenze che avrei ricevuto. Rivolto al Padre lo supplicai di nuovo del suo aiuto. L’amore infinito che stava nel mio Cuore, mi fece abbracciare tutto con amore, rassegnazione e prontezza grande, e mi offri al divin Padre, pronto a soffrire tutto. Vidi allora tutti coloro che avrebbero auto grande ripugnanza di dover soffrire le ingiurie e gli scherni, di dover comparire in pubblico, ed essere ritenuti persone indegne e cattive, di essere pubblicamente infamati, scherniti e vilipesi, essendo per altro la loro vita innocente. Di questi ebbi grande compassione. Rivolto al Padre lo pregai del suo potente aiuto e della sua grazia speciale per essi, onde con generosità, soffrano tutto per amor suo; e ad imitazione mia, portino pubblicamente questa grande croce. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di fare quello di cui lo supplicai, e che essi si sarebbero prevalsi dei lumi e della grazia, e con generosità avrebbero sofferto tutto, portando pubblicamente la croce e sopportando ogni ingiuria ed ignominia con grande coraggio. Ne resi grazie al divin Padre, ed essi furono da me rimirati con grande amore, come miei cari fratelli, seguaci, ed imitatori. Vidi anche coloro che non avrebbero voluto mai soffrire cosa alcuna, che sarebbero stati pieni di amor proprio, esigendo da ognuno un rispetto grande, amando il decoro della propria persona, non volendo soffrire alcuna ingiuria, o sinistra opinione del popolo, vergognandosi di portare la croce in pubblico, o di essere tenuti in poca stima dalla gente mondana. Di questi intesi grande amarezza, perché sarebbero andati tanto lontani d ai miei insegnamenti, e non avrebbero mai fissato gli sguardi su ciò che io, per loro esempio, soffrii. Perciò supplicai il divin Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l’errore in cui si trovano, quando per coprire la loro ripugnanza, trovano variai pretesti, sotto figura di bene. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, che alcuni si sarebbero ravveduti, ed avrebbero posto sotto i piedi ogni rispetto umano ed ogni vana stima di se stessi, portando pubblicamente la croce, abbracciando l’ignominia ed ogni altro obbrobrio, che il mondo suol far soffrire ai miei seguaci. Per essi resi grazie al Padre, supplicandolo di continuare con i suoi lumi divini e con l’assistenza della sua divina grazia. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che di tutto si sarebbero abusati, e sarebbero andati tanto lontani dai miei esempi, vergognandosi di portare la croce in mia compagnia, e di essere vilipesi e scherniti dal mondo ingannatore.
Mentre camminavo con la mia croce, mi offrivo al Padre, ad ogni passo, soffrendo tutto per amore. Perciò lo pregavo di voler dare ai miei fratelli e seguaci un tale sentimento, cioè di soffrire con amore e per amore, e di tener lontano da essi ogni ombra di vanità e di ambizione, di essere stimati dagli uomini per gente buona e virtuosa. Feci molte volte questa richiesta al divin Padre, perché vedevo che questa passione avrebbe tenuto ingannati molti, e fatto perdere ad essi tutto il merito dell’opera buona e dei patimenti sofferti: perché il demonio astuto, non potendoli vincere ed impedire il bene da essi intrapreso, procura, con tutto il suo potere di porre in testa ad essi la vanagloria. Vedendo che, in questo, il nemico avrebbe riportato delle vittorie, spagliando le anime di tutto il merito, ne intesa una grande amarezza, perciò molto mi affaticai presso il divin Padre, acciò si fosse degnato di illuminare tutti i miei fratelli e seguaci, onde stiano attenti, né si facciano ingannare dall’astuto nemico. Vidi che il divin Padre non avrebbe mancato, con i suoi lumi, di far conoscere un sì grande errore, e che molti se ne sarebbero approfittati, fuggendo ed aborrendo la vanagloria. Di essi resi grazie al divin Padre, supplicandolo della sua continua assistenza, e del suo aiuto in tutte le loro virtuose operazioni. Intesi però una molto grande amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati dei lumi divini e della grazia, e che in tutte le operazioni avrebbero cercato sempre la vana stima e la gloria mondana, e con questo, sarebbero venuti a perdere tutto il merito del bene che fanno e di quanto patiscono, perché il fine loro non è retto, né ciò fanno per piacere al divin Padre e per imitar me, nelle pene e nei patimenti, ma per essere lodati e stimati dagli uomini e per acquistar credito presso di essi. Ed oh, quanta pena questi poveri ciechi e insensati facevamo soffrire al mio povero Cuore! Perciò tornavo sempre a supplicare il divin Padre, affinché li avesse illuminati ed avesse fatto conoscere il loro errore. Vedevo che alcuni infine si sarebbero ravveduti della loro vanità e pazzia, con dare udienza agli interni rimorsi, e con ricevere i lumi divini. Di ciò lodavo il divin Padre, restando però sempre amareggiato il mio Cuore, nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati di tutto rimanendo nella loro cecità e pazzia.
Seguitando il viaggio per la città, dove mai convenne passare, per andare alla porta, che conduceva al Calvario, furono molte le ingiurie e gli scherni che da tutti ricevevo. Chi stava sulla porta, chi alle finestre: tutti vomitavano ingiurie e maledizioni verso di me. Mi furono tirate anche delle immondezze. Andavo io, sposa mia, col capo chino, con gli occhi fissi in terra, col volto sereno, senza turbamento alcuno: Invitavo i miei fratelli e seguaci, dicendo loro: Venite e vedete in qual modo dovete anche voi portare la vostra croce! Osservate come la porto io, che sono il vostro Maestro e la vostra guida! Vedete la mansuetudine, il silenzio, la sofferenza, l’amore! Osservate i miei dolori e patimenti! Sappiate che dovete imitarmi nelle virtù che in me risplendono!
LE CADUTE DI GESÙ –
La croce ad ogni passo mi batteva sopra la corona di spine, e mi faceva soffrire un aspro tormento. La spalla era già tutta piagata. In questo viaggio andavo soffrendo degli svenimenti per l’asprezza del dolore, e spesso cadevo sotto il grave peso. Nelle cadute, ero percosso dai manigoldi con le aste e con i bastoni, facendomi con impeto rialzare. Era tanto lo spasimo che sentivo che non vi è finente che lo possa penetrare. Mi si sconvolgevano tutte le ossa, e sopra il dorso ne restarono scoperte alcune e smosse, restando le mie spalle tutte impiagate.
Mi si rappresentavano alla mente tutte le anime, che essendosi poste alla mia sequela, ed essendo molto avanti nella virtù, cadono dal dritto sentiero, ed incorrono in gravi errori. Di ciò sentivo un grande dolore ed amarezza. Rivolto al divin Padre lo supplicavo per quello spasimo che sentivo, che si fosse degnato di illuminarli e di fare and essi conoscere i1 loro grave errore. Vidi, che il divin Padre l’avrebbe fatto, ed avrebbe usato verso di loro la sua grande misericordia, col dar loro l’aiuto per rialzarsi e tornare di nuovo alla mia sequela. Vidi quanti si sarebbero approfittati della grazia e dei lumi: e ne resi grazie al divin Padre. Vidi però quelli che, dopo caduti, non si sarebbero più rialzati, e abusando delle grazie divine, sarebbero stati sempre nei loro errori. Di questi intesi grande amarezza, tanto più che sarebbero stati di scandalo ai loro prossimi, ed occasione a molti incauti, di seguirli nei loro errori. Quando cadevo sotto il grave peso, privo di forze, i perfidi alzavano grida, battendo le mani, fischiando e saltando. Nell’udirli tripudiare in tal modo, si accresceva una grande amarezza nel mio Cuore, e si rappresentava alla mia mente tutta la festa che fanno i demoni e la gente perversa, quando vedono cadere in qualche grave mancamento quelli che sono della mia sequela, che si dichiarano miei discepoli ed imitatori. Perciò si accresceva allora la mia amarezza e confusione. Molti erano quelli che mi rinfacciavano i miracoli che avevo fatto, e la liberazione di tanti infermi e storpi. Mi dicevano: Perché ora, o gran profeta, non ti liberi dalle mani della giustizia ? Vedi, se veramente eri un mago, un indemoniato! Ora che sei nelle mani della giustizia, non puoi fare più niente! Questi, per lo più, erano i saluti che mi facevano quelli che stavano alle finestre per vedermi. Mi dicevano: Ora va a pagare il fio delle tue furberie; ben ti sta Ed io, rivolto al Padre, lo supplicavo di perdono per tutta quell’ingrata e cieca gente, e gli offrivo i miei dolori, in sconto delle loro colpe e di quelle di tutti i miei fratelli.
LA PIETOSA VERONICA –
Camminando avanti, fui veduto, alla lontana, dalla devota Veronica, la quale, mossa a compassione, per scorgere il mio Volto pieno di sangue e anche di sputi perché gli inumani non cessarono mai di farmi tale oltraggio prese un panno di lino, e corse velocemente ad asciugarmi il Volto. Ma fu subito dai manigoldi rigettata e schernita. Mi pose il panno sul Volto, con grande compassione, dicendomi Oh, povero Gesù! A che stato vi hanno ridotto i vostri nemici! Per queste compassionevoli parole, e per l’atto caritativo che mi usò, e molto più per la generosità da lei usata, nel spassare fra i manigoldi, fu ricompensata da me con un segno di amore straordinario, lasciandole impressa nel panno la mia effige. Ma la scolpii molto più nel di lei cuore, e finché visse, non se ne dimenticò mai, e sempre pianse amaramente, per amorosa compassione. La donna, toltomi il panno dal Volto, fu da me rimirata con grande amore. Del quale sguardo restò ferita, e visse amante di me ed anche delle mie pene. Avvedutasi poi subito del mio ritratto nel panno, corse frettolosa a contemplarlo, ed a sfogare l’amor suo in amare lacrime.
A questo fatto, invitai ancora tutti i miei seguaci a venire a vedere ;il mio Volto deformato e sì mal ridotto, e ad avere di me una compassione amorosa. Vidi tutti quelli che sarebbero accorsi all’invito, e contemplando le mie pene e la deformità del mio Volto e di tutta la persona mia, ne avrebbero avuto sentimento di compassione. Ed io, fissai fin d’allora sopra le loro anime i miei sguardi amorosi, lasciando impressa nel loro cuore la memoria delle mie pene ed accendendoli del mio amore. Vedendo la Loro gratitudine e compassione, ne resi grazie al divin Padre, e lo supplicai di dar loro una copiosa mercede. Intesi dell’amarezza, ed oh quanta! nel vedere la moltitudine di quelli, che non solo non sarebbero accorsi al mio invito, a contemplare le mie pene, ma, ad imitazione degli iniqui Ebrei, si sarebbero burlati, schernendo quelli che vi sarebbero accorsi. Di costoro intesi una più grave pena. Non mancai però di scusarli presso il divin Padre.
L’INCONTRO DELLA MADRE –
Seguitando il doloroso viaggio, mi tiravano quei crudeli con gran fretta e mi accompagnavano con ingiurie e percosse, senza pietà né compassione. Dove mi rivolgevo, trovavo materia di dolore e di amarezza: per me non vi era alcun conforto. Avendo camminato alquanto, giunse la mia diletta ed afflitta Madre. Oh! quanta pena ed amarezza soffrì il mio Cuore nel vederla immersa in un mare amarissimo di affanni! Mi vide da lontano, e fu da me rimirata. Parlai al di lei cuore e d invitai ad appressarsi. Ed ella, spinta dall’impeto dell’amore, corse ad abbracciarmi per l’ultima volta. Passò in mezzo alla turba insolente ed ai carnefici, ed arrivata alla mia presenza, restò priva di respiro, per la ferita crudele che sentì il suo afflitto ed amante cuore. Non poté proferire altra parola che questa: Gesù, mio Figlio! E mi abbracciò, e nell’abbracciarmi restò anch’ella bagnata del mio sangue e punta dalle spine, ma molto più, ferita nuovamente nel cuore. Le dissi: Cara madre, fatevi animo, perché più gravi dolori vi conviene soffrire. Altro non potei dirle perché anch’io ero ferito dal dolore nel vederla in sì grave affanno. Si parlarono i nostri cuori, animandosi l’un l’altro a soffrire e ad eseguire la volontà del Padre.
Ma appena mi ebbe abbracciato, i crudeli manigoldi la discacciarono. Io le dissi: Seguitemi, cara Madre! Ed ella, pronta, mi seguì, non molto da lungi, sino alla cima del Calvario. L’amante Maddalena, il discepolo Giovanni e le altre devote donne pure mi seguivano, ricolme d’affanno, in compagnia della diletta Madre. In questo fatto vidi tutti i genitori, che avrebbero provato grande travaglio e dolore per i loro figli, che sarebbero stati uccisi dai loro nemici, o per mano della giustizia. Di loro ebbi grande compassione, e rivolto al divin Padre, lo supplicai di dare ad essi fortezza e grazia da poter soffrire sì gravi colpi. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo. Vidi tutti quelli che si sarebbero rassegnati ed avrebbero sofferto il travaglio con pazienza, e ne resi grazie al Padre. Intesi però grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli, che dando nell’impazienza, e non volendosi in modo alcuno rassegnare, avrebbero molto offeso il divin Padre, col rivoltarsi contro di Lui, prorompendo in lamenti, trattandolo da crudele ed ingiusto. Nel vedere questi tali (ve ne sono molti al mondo), fui riempito di una più grave amarezza. Rivolto al divin Padre, lo supplicai, per quella mia rassegnazione e per quella della mia addolorata Madre, che si volesse degnare di illuminarli, e fare ad essi conoscere il loro grave errore. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti, e chiesto perdono al divin Padre, si sarebbero emendati: di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza nel vedere che molti sarebbero rimasti nel loro errore: non si sarebbero mai voluti arrendere e rimettersi alle divine permissioni, lasciandosi accecare dal forte amore, in modo che, scordati di Dio, si sarebbero dati in preda alla passione, vivendo sempre in rancore ed amarezza.
Essendo così seguito dalla mia cara Madre e dai diletti discepoli, Giovanni, Maria Maddalena, con le altre devote donne, soffrivo un altra pena, perché questi, con il loro cordoglio, accrescevano a me il dolore, e mi servivano di doppia croce. Essendo immerso in tanti dolori ed in tante amarezze, non li potevo consolare, perché io stesso ero la causa del loro grande dolore. Perciò, rivolto al Padre, lo supplicai di volersi degnare di consolarli Lui e confortarli. Li confortò il Padre e li animò a seguirmi: ma non li consolò, perché questo era tempo di pene e di dolore. Vidi allora tutte le anime, che essendo afflitte e sconsolate, non hanno chi le sollevi e le consoli nelle loro pene ed affanni. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai a volersi degnare Lini di confortarle, perché dove si valgono, trovano materia di tristezza e di dolore. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, con grande amore, specialmente a quelle anime che patiscono con rassegnazione e per suo amore. Di ciò resi grazie al Padre.
La mia diletta Madre sentiva tutte le bestemmie e le ingiurie, che contro di me vomitavano i perfidi manigoldi, e le molte percosse che mi davano, erano al di lei cuore tante spade che la ferivano. Anche lei mi andava accompagnando nelle offerte, supplicando il divin Padre di perdonare loro, e di trattenere il castigo, che vedeva star fulminante su di loro.
La CORREDENTRICE. Nel resto del cammino la diletta Madre mi andava accompagnando con atti di compassione e di amare, e le sue voci interne penetravano nell’intimo del mio Cuore. Spesso mi diceva: O amato Figlio, a quale stato vi hanno ridotto i vostri nemici!
O come le colpe del genere umano sono vendicate dall’ira paterna sopra di voi, Figlio innocente? Quanto è grande l’amore che portate alle vostre creature, mentre, per la loro salute, tanto soffrite! Potessi io sola soffrire tutte le vostre pene, purché voi, mio amato Figlio e. Signore, ne foste esente! Quanta consolazione ne avrei! Ma giacché voi solo dovete e volete soffrire tutto, io abbraccio volentieri il dolore che ne provo. E poi rivolta al divin Padre, gli diceva: Padre amatissimo, io vi offro tutte le pene ed i martiri del vostro e mio unigenito Figlio, ed uniti a questi, vi offro anche i miei dolori ed il martirio del mio cuore, per soddisfare la divina giustizia, per i peccati del genere umano! Se più pene volete da me, eccomi pronta a soffrirle. Mandate pure sopra di me il castigo: tutto accetto volentieri, dalle vostre paterne mani.
In questi atti la diletta Madre dava molto gusto al Padre mio. Io parlavo al di lei cuore, l’animavo, e spesso le andavo replicando: Consolatevi, cara Madre, purché voi sola siete quella che non avete parte alcuna nelle mie pene. Ed essendo voi la più afflitta e dolente per i miei martiri, sarete anche quella, che più d ogni altro ne godrà la ricompensa. Cosi andavo spesso animandola a soffrire il grande martirio.
Essendo arrivato alla porta, per la quale dovevo uscire dalla città ed andare al Calvario, feci una terribile caduta. Si affollarono tutti i ministri di giustizia a percuotermi ed a farmi rialzare. Soffrii un grande dolore e sconvolgimento di tutte le ossa, con sfinimenti mortali. Domandando aiuto al divin Padre, per poter proseguire il viaggio, mi riebbi in forze per andare avanti.
SUPPLICA PER L’INGRATA GERUSALEMME –
Uscito dalla città, fissasi il pensiero all’ingratitudine e crudeltà di quel popolo, tanto da me beneficato. Vedendo ricompensati i benefici, con tanta ingratitudine e crudeltà, rivolto al divin Padre, lo pregai di perdonare, per i meriti di quanto io avevo operato per sua gloria, nella medesima città, dicendogli: Padre amantissimo, avete veduto quello che ho operato in questa città, per vostra gloria e come ho in tutto adempito la vostra divina volontà! Ora vi prego, per il compiacimento che avete avuto di me, e per i meriti da me acquistati, che vi vogliate degnare di perdonare ai miei nemici tutte le offese che quivi ho ricevuto. Vi prego ancora, che vogliate illuminare questa cieca nazione, onde conosca il beneficio grande che le avete fatto, di mandare ad essa il Messia promesso: e giacché non mi ha voluto riconoscere ora vivente, fate che mi conosca almeno dopo la mia morte, affinché goda il frutto della redenzione. Udì il divin Padre le mie suppliche, e vidi che non avrebbe mancato di illuminarli e di fare ad essi molte grazie; ma vidi la loro durezza: conoscendo chiaramente la verità, pure avrebbero voluto restare nella loro ostinazione e cecità. Vidi però, che alcuni non avrebbero mancato di corrispondere ai lumi divini e di convertirsi alla verità della mia fede. Fu molta l’amarezza che soffrii nel vedere l’ostinazione di quel popolo, tanto beneficato, e l’ingratitudine che usava verso di me. Vidi anche l’ingratitudine di tutti i miei fratelli, e ne intesi una grande amarezza. Vidi tutta l’ingratitudine che avrebbero usata verso il mio divin Padre, al quale dopo tanti e sì grandi benefici, non sanno che recare sempre maggiori offese. Di questo intesi una più grave amarezza. Rivolto al divin Padre gli offrii la mia gratitudine e la corrispondenza al suo amore, in supplemento di quanto mancano i miei fratelli. Il Padre lo gradiva e si chiamava soddisfatto. Io lo ringraziavo e lodavo la sua infinita bontà. Lo ringraziavo anche a nome di tutti i miei fratelli, per supplire al loro mancamento.
È TRATTATO QUALE VILE GIUMENTO –
Andavo con la pesante croce verso il Calvario, molto stanco ed affaticato, curvo, rendendomisi troppo gravoso il peso della croce. Sudavo, e col sudore si mischiava il sangue, che usciva dall’impiagato corpo. Ero molto affannato, e quei crudeli mi facevano violenza a camminare di buon passo, per la fretta che avevano di farmi presto morire. Si levava spesso anche il lume dai miei occhi; per l’estrema debolezza e per lo spasimo che sentivo in tutto il mio corpo. A volte perciò mi fermavo alquanto, per respirare. Ed allora quei crudeli, mi spingevano a gran forza: chi con calci, chi con percosse, mi facevano camminare. L’estremità della grande croce andava battendo per terra ad ogni passo; a causa di questo sentivo in tutta la mia persona un grande dolore. Pensavo alle replicate offese contro il divin Padre e ne soffrivo una più grande amarezza. Gli offrivo i miei patimenti ed aspri dolori, in sconto delle continue offese che riceveva.
GLI VIENE LANCIATA UNA GROSSA PIETRA –
Essendomi una volta fermato alquanto per respirare, un perfido mi lanciò una grossa pietra sotto il fianco sinistro: da ciò ricevetti una grande ammaccatura con acuto dolore. Rivolto al Padre lo supplicai del perdono per quel ministro spietato. Poi rivolto a tutti quelli che mi tormentavano, dicevo loro internamente: È possibile che in vai sia estinta ogni pietà, e non si trovi compassione alcuna verso di me, nei vostri cuori induriti? Vedendo che infuriavano sempre più, venivo ferito da una maggiore pena, più per i loro peccati, che per i miei aspri dolori.
INCONTRA LE PIE DONNE –
Alcune devote donne si posero a seguirmi; erano della plebe più povera; piangevano per compassione, e dalla sbirraglia erano maltrattate. Mi voltai a rimirarle, in segno della mia gratitudine, e con quello sguardo pietoso ed amoroso, le consolai, parlando ad esse ed esortandole a piangere sopra di loro e sopra i loro figli, non sopra di me, perché anche per esse vi sarebbe stato molto da patire, perché, se tanto si scaricava il flagello sopra di me, cosa sarebbe stato poi sopra di loro? (1). Volevo loro significare con questo, che se il peccato era tanto punito nella persona mia innocente, essendomelo solo addossato, cosa sarebbe stato sopra il peccatore, per il quale stanno preparati gli eterni tormenti? Perciò le esortai a piangere le colpe loro, quelle dei loro figli, cioè, dei loro prossimi e di tutto quel popolo ingrato e ribelle. Rivolto al Padre, lo supplicai di dar lume a tutte le persone che hanno qualche compassione delle mie pene, acciò, conoscendo la causa dei miei dolori, che sono le colpe, si pongano a deplorare non solo le loro, ma anche quelle di tutti i peccatori, affinché per le loro suppliche e per le loro lacrime, vengano a conseguire il perdono, e trovino misericordia presso il divin Padre, non solo per esse, mia anche per i loro prossimi; perché il Padre non scaccia mai da sé un anima, che, contrita ed umiliata, lo supplica del perdono: ed è sempre pronto ad usure misericordia, specialmente a chi, riconosciuto il suo errore, si pente,e ricorre a Lui. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di illuminarli, e che molti si sarebbero prevalsi dei lumi e della grazia, e per mezzo di questi, molti peccatori si sarebbero convertiti, avrebbero conseguito il perdono é sarebbero stati liberati dagli eterni tormenti. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che se ne sarebbero abusati, perché non avrebbero pianto i peccati altrui, nemmeno quelli dei loro congiunti, né i propri: perciò sarebbero stati sottoposti a gravissimi tormenti e crucci interni, nella presente vita e nella futura, per essere condannati agli eterni supplizi. Supplicai inoltre il divin Padre di dare lume e grazia a tutti quelli che per il grado o per l’obbligo, devono consolare i loro prossimi afflitti, affinché non manchino di farlo, quantunque essi si trovino nei travagli e nelle afflizioni maggiori; ma soffrendo con pazienza il travaglio loro, consolino anche gli altri, come feci io, che trovandomi in sì grave afflizione, non lasciai di confortare quelli, che per me si affliggevano e mai si appressavano. VEDE LE ANIME CHE SALGONO IL MONTE DELLA PERFEZIONE –
Salendo il monte Calvario, con molta mia pena e dolore, e con grande fatica per la pesante croce, vedevo tutte le anime che si sarebbero incamminate al monte della perfezione, tra pene e travagli, con la loro croce. Vidi tutti i loro patimenti, e quanto avrebbero sofferto per arrivare alla cima del detto monte, cioè, alla sublime altezza della perfezione. Furono da me compatite e con grande amore riguardate ed animate. Rivolto al divin Padre lo supplicai di volersi degnare di assisterle con la sua grazia, di rinvigorirle, di consolarle e confortarle; perciò gli dissi: Padre mio amatissimo, abbiate compassione di questi miei fratelli e seguaci! Aiutateli, confortateli, consolateli con le vostre visite interne, animateli con la speranza del premio, perché io mi contento di restar privo di ogni consolazione e di ogni conforto, volendo per me tutta l’amarezza, acciò essi siano consolati e confortati. Assisteteli, onde seguitino il cammino incominciato; date loro il dono della perseveranza e fate ad essi, ogni tanto, gustare la dolcezza del vostro amore e la vostra soavità, affinché rinvigoriti, camminino con passi più veloci e con più ardore. Udì il divin Padre le mie suppliche e mi promise di fare quello di cui lo supplicavo, e vidi, che l’avrebbe eseguito fedelmente. Di ciò gli resi affettuose grazie, anche da parte di tutti i detti miei fratelli e seguaci. Ebbi poi un vivo desiderio, che tutti i miei fratelli si fossero incamminati per questo monte della perfezione, e che tutti fossero giunti alla cima di esso. Vedendo, che molto pochi sarebbero stati quelli che ci sarebbero saliti, e che molti, incominciando a salire, sarebbero poi tornati indietro, ne intesi una grandissima amarezza. Supplicai il divin Padre di illuminarli, facendo conoscere il loro errore. Vidi, che per i detti lumi, alcuni si sarebbero ravveduti, ponendosi di nuovo sul diritto sentiero. Per questi domandai il dono della perseveranza. Vidi che molti sarebbero giunti alla cima della perfezione: per questi resi grazie al divin Padre. Intesi però dell’amarezza, nel vederne molti che, abusando dei lumi divini e della grazia, con farle resistenza, sarebbero rimasti nel loro errore: anzi, avrebbero camminato a passi veloci per la via della perdizione.
Nel salire il monte, poi, andavo ogni tanto invitando i miei fratelli a seguirmi. Vedevo tutti quelli che sarebbero accorsi all’amoroso invito, e per questi impetravo multe grazie dal divin Padre. Sentivo però dell’amarezza, nel vedere il grande numero di quelli, che avrebbero fatto sempre i sordi ai miei inviti, seguendo il mondo ingannatore ed il demonio, loro fierissimo nemico. Di essi, oh quanto, sposa mia, sentivo dolore ed amarezza! Rivolto al Padre, lo supplicavo con grande istanza, acciò li avesse illuminati facendo conoscere i1 loro inganno, la loro miseria, lo stato miserabile in cui si ritrovano. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di fare quello di cui lo pregavo, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di questi rendevo grazie al Padre. Sentivo però dell’amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che se ne sarebbero abusati, seguendo sempre i loro nemici, che infine li avrebbero condotti alala perdizione.
ULTIMA CADUTA –
Andavo in tal modo seguitando il viaggio, ed essendo tanto indebolito, caddi di nuovo, sotto il grave peso. In quest’ultima caduta, mi ridussi in fin di vita, provando un grandissimo sfinimento di forze, per la veemenza del dolore e per lo spargimento di tanto esangue, privo affatto di forze, in modo che non potevo più rialzarmi. Quegli spietati mi diedero delle percosse con le aste e con calci, tirando le funi con violenza. Ed accorgendosi che la mia umanità non poteva più reggere, ebbero timore che restassi quivi morto. Ed affinché mi potessero far morire, come bramavano, inchiodato sulla croce, per mia maggiore ignominia, risolvettero di scaricarmi della croce. Mentre stavo così per terra, privo affatto di forze, mi dicevano delle ingiurie, mi tiravano per i capelli, facendo soffrire un grande tormento alla mia testa piagata.
COSTRINGONO SIMONE CIRENEO –
Non si trovava chi volesse portare la mia croce, reputandolo tutti vituperio ed infamia, perfino i manigoldi più vili. Stando in questo contrasto, passò Simone, detto il Cireneo. Vedutolo i soldati e la sbirraglia, lo presero a forza, e lo costrinsero a portare la mia croce. Ricusò questo più volte, ma infine, costretto dai ministri, gli convenne portarla (1).
Stando il Cireneo presso di me, per prendere la croce, mi osservò, ed io lo rimirai con occhi compassionevoli. Fissai molto più lo sguardo nell’anima sua, di modo,che restò preso da un grande amore verso di me e da una tenera compassione. Supplicai per lui nello stesso tempo il Padre, affinché l’avesse illuminato. Difatti, lo fece il divin Padre. Così, per avere compassione delle mie pene, mi credette innocente, perciò si prestò a portare il legno d ignominia. Ricevutolo sulle sue spalle, intese riempirsi 1’anima di compunzione e di consolazione. Gli si rese assai leggero il peso della croce; e conoscendo tutti gli effetti, che il legno della croce in lui operava, di buon cuore la portò, e ringraziava Dio, ad ogni passo, per la grazia ricevuta. Anzi, bramò di morir lui stesso sulla croce. I manigoldi, nel vedere che il Cireneo portava la croce con tanta facilità e con tanta allegrezza, dopo che l’ebbe ricevuta, si stupirono, come all’improvviso si fosse così mutato, e mostrasse tanta forza e vigore nel portarla. Ebbero anche qualche raggio di luce divina, impetrata ad essi dal Padre; ma si estinse subito in essi, perché non vi fecero riflessione e lo cacciarono da sé, dicendo tutti, che il Cireneo, essendo persona di grande forza, voleva mostrare il suo valore. Si posero, allora, tutti a deriderlo per questo fatto, che non fu se non ordinazione del divin Padre e mia, per lasciare esempio convincente a tutti i miei fratelli, che anch’essi devono portare la croce, o per forza o per amore: non vi è chi ne sia esente, avendola portata io, loro
Capo e guida.
Volli, col fatto del Cireneo, far ancora vedere, come si renda leggera ed anche soave la croce a quelli che di buon animo ed allegramente la prendono dalle mani di Dio. E quantunque venga loro presentata da gente perversa e cattiva, con tutto ciò è sempre ordinazione divina, e di buon cuore la devono ricevere e con generosità portarla. Vidi allora, nella persona del Cireneo, tutti quelli che di mala voglia ricevono la croce. Questi sono quasi tutti, perché all’aspetto della croce, ognuno si spaventa. Perciò supplicai il divin Padre di illuminarli, perché conoscano la consolazione e la soavità che sta nascosta nella croce, dopo che fu portata da me, e l’abbraccino di buon cuore. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, e che essi, servendosene, ne avrebbero sperimentata grande consolazione, portando con grande amore la loro croce, soffrendo con pazienza ed anche con generosità tutti i travagli che nella vita presente sogliono accadere. Vidi inoltre tutte le anime, che sarebbero subentrate, come il Cireneo, a portare la mia croce, cioè, che si sarebbero poste ad imitarmi e seguire le mie orme nelle cose di grande patimento, quali le predicazioni, le conversioni delle anime, il patire e soffrire molto per il mio nome, per la propagazione della vera fede, per la gloria e l’onore del divin Padre, per la riforma dei costumi del secolo corrotto e delle religioni rilassate. Per tutti questi pregai il Padre dei suoi divini aiuti, delle sue grazie particolari, e lo ringraziai lodando e benedicendo la sua infinita bontà.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai inteso, sposa mia, in che modo portai la croce, cioè: con pazienza, con fortezza, con generosità, con silenzio e con amore. Procura in questo di imitarmi, col portare volentieri la croce, che il Padre celeste ti manda. Hai inteso, come domandavo al Padre d aiuto per poter portare la croce: ma non troverai giammai che gli domandassi che mi alleggerisse il peso, e che mi diminuisse le pene acerbissime che soffrivo. Ora anche tu, quando ti trovi abbattuta e priva di forze, ricorri al divin Padre e supplicalo del suo aiuto e della sua grazia, non perché ti diminuisca il patire: in tal modo lo pregheresti di diminuirti anche il merito. Inoltre ti mostreresti a me contraria, onde non saresti poi rimirata dal Padre, con l’amore di mia vera seguace e sposa fedele: perché gli chiederesti il contrario di ciò che gli domandavo io, e resteresti priva anche del grande premio che ti tiene preparato. Domandagli bensì, che ti dia forza, spirito, virtù e grazia da poter portare la tua croce, in quel modo appunto in cui la portavo io, tuo sposo, maestro ed esemplare. Né ti vergognare giammai di portare la mia croce, in qualsiasi modo. Voglio dire, che tu soffra con pazienza tutte le derisioni, le ingiurie, gli affronti che ti saranno fatti, per seguirmi nell’esercizio delle virtù, come io ne soffri tanti per tuo amore. Hai inteso ancora, quanto era grande la carità che ardeva nel mio Cuore verso miei fratelli, e che con tutti i miei aspri dolori, non lasciai giammai di pregare per essi il divin Padre; come consolai le devote donne che mi accompagnavano, quantunque fossi tanto afflitto ed angustiato. Così tu, quando ti troverai travagliata, angustiata. derelitta, non tralasciare per questo di porgere al prossimo tuo quel sollievo che ricerca da te, e di cui ha bisogno. Tieni per te ed in te la tua afflizione, e consola il prossimo tuo, perché a te non mancherà mai la divina consolazione, né sarai afflitta sopra le tue forze. E quando ti paresse di essere soverchiamente angustiata, non temere, perché la grazia divina sta con te. Non tralasciare mai di pregare anche per tutti i tuoi prossimi, come senti che facevo io ad ogni respiro.
Come il Figliuolo di Dio, arrivato che fu al Monte Calvario, fu abbeverato di fiele mischiato, spogliato e inchiodato sulla croce. Di ciò che operò nel suo interno finché fu inalberata la croce e posta a vista di tutto il popolo.
SUL CALVARIO VISTA ORRIBILE –
Arrivato al Monte Calvario, molto stanco ed afflitto, in modo che più non potevo reggermi in piedi, privo affatto di forze, domandai aiuto al divin Padre, per poter sostenere gl. asprissimi e crudeli tormenti, che mi stavano preparati. Rinvigorì la divinità le forze alla mia indebolita umanità. Vidi tutti gli strumenti che erano preparati per tormentarmi. Intese la mia umanità un grande rincrescimento per gli orribili tormenti; ma l’amore infinito, che nel mio Cuore ardeva verso il divin Padre, ed anche verso il genere umano, mi animò e mi riempì di un ardente desiderio di patir tutto, per eseguire la volontà del Padre, e per la salute di tutti i miei fratelli. Feci un offerta di me stesso al Padre, mostrandomi pronto a soffrire tutto con amore.
Vedevo i manigoldi ed i soldati far festa, ed applicati nel preparare ciò che occorreva per la mia crocifissione. Chi metteva all’ordine una cosa e chi l’altra, e tutto si faceva con grande fretta. Io ero spettatore di tutto, senza che vi fosse chi mi dicesse una parola di conforto. I due ladri, che erano venuti in mia compagnia, erano da molti confortati ed animati a soffrire il supplizio, dovuto ai loro misfatti; io solo, essendo stimato il più infame, fui lasciato da tutti in preda al cordoglio. Anzi, fui da molti ingiuriato e schernito.
In questo fatto, vidi tutti quelli che, dovendo soffrire gravi tormenti per la gloria del divin Padre, sono lasciati abbandonati in braccio al dolore ed all’angustia, e pregai il divin Padre di consolarli, animarli e dar loro spirito e fortezza, per soffrire tutto per suo amore, ad imitazione mia. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore. Vidi anche tutta la ripugnanza ed il rincrescimento che avrebbero avuto nel dover soffrire i tormenti. Per questo ancora porsi suppliche al Padre, acciò avesse accresciuto in essi l’amore verso di Lui. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto, ed essi, per l’amore ardente verso il divin Padre, avrebbero preso grande coraggio e si sarebbero mostrati pronti a soffrire tutto per amore. E vedendo che tanti e tanti sarebbero corsi al martirio, ed avrebbero sofferto tanti tormenti, ne lodai il divin Padre, e lo supplicai di alleggerire loro le pene, offrendomi io pronto a soffrirle tutte, acciò essi, fra i loro tormenti, trovassero consolazione. Ed il Padre in questo mi compiacque e di ciò lo ringraziai. Vidi, come tanti martiri si sarebbero burlati dei tormenti, chiamandoli piuttosto loro delizie, per l’amore che ardeva nel loro cuore, e per la divina consolazione che inondava l’anima loro. Di ciò resi grazie al Padre, restando io soddisfatto, che, in virtù dei miei patimenti, e delle mie suppliche, essi restassero consolati negli stessi tormenti. Pregai inoltre il divin Padre per tutti quelli che erano spettatori delle mie pene, onde li avesse illuminati facendo loro conoscere la verità, cioè, che io ero il loro vero Messia. Vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, ma vidi anche 1’ostinazione di quei perfidi. Vidi però, che dopo la mia morte, molti l’avrebbero confessato con grande sentimento. Lo pregai ancora per tutti quelli che sarebbero stati spettatori del martirio e dei tormenti di quanti per la confessione del mio Nome, li avrebbero sofferti; affinché li avesse illuminati e fatto conoscere la verità della fede e della mia dottrina. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto. Vidi la moltitudine di coloro che ricevendo i lumi divini, si sarebbero arresi alle verità della fede, e che molti avrebbero sparso il sangue e data la vita, per la verità della medesima. Per questi resi grazie al divin Padre. Intesi però dell’amarezza, nel vedere il gran numero degli ostinati che sarebbero rimasti nelle loro tenebre e cecità.
IL REDENTORE E LA CORREDENTRICE –
Stava la mia diletta Madre alquanto lontana da me, non potendosi appressare per la moltitudine dei soldati e della sbirraglia. Non cessava però di parlarmi al Cuore con le sue voci amorose, le quali erano da me ben capite. Mi spiegava il suo cordoglio ed il dolore del suo cuore amante. Non cessavo di animarla a patire ed a sempre più rassegnarsi alla volontà del Padre e ad accompagnarmi nelle suppliche ed offerte: Ecco, Madre mia amatissima, che siamo giunti alla cima del monte, dove il vostro unico Figlio deve esser sacrificato; e voi, cara Madre, mi offrirete al Padre, quale già sono, vittima innocente, per pagare i debiti di tutti i miei fratelli, e redimerli dalla schiavitù di Lucifero. Voi, Madre amorosa, sarete la prima, unita, con me, a fare al divin Padre questa offerta, e la prima a dargli questa soddisfazione e compiacimento. Sarà poi, ogni giorno, più volte offerta al Padre, dai miei fedeli; ma voi siete quella che prima di ogni altro gliela farete nell’atto stesso in cui sarò immolato. Consolatevi, dunque, cara Madre, per questo privilegio; cioè: che la vittima innocente da voi offerta per l’umana redenzione, è anche parto delle vostre viscere, e frutto del vostro purissimo seno. Si rinvigoriva ed animava la diletta Madre, e conoscendo l’amore infinito che io portavo al divin Padre, procurava anche lei dei accendersi sempre più nel di Lui amore, col desiderio ardente di più patire, se fosse di gradimento del Padre, e se fosse stato possibile patire. Vedeva anche l’amore ardente e la carità immensa che avevo io per il genere umano, ed anche in questo mi accompagnava, patendo volentieri per la salute di tutti. Vedeva, come io rimiravo tutti i miei nemici con amore grande, e che per essi pativo, non escludendone neppure uno solo, ed in questo ancora mi imitava, perché anche lei rimirava tutti i miei nemici, che tanto mi oltraggiavano, con grande amore perfino gli stessi crocifissori, non avendo avversione alcuna verso di loro, anzi, pregando molto per essi. In tutto procurava, la diletta Madre, di imitarmi, e di ricavare in se stessa un perfetto originale di me, suo Signore e Figlio amatissimo.
Vedendo la mia diletta Madre tanto attenta e sollecita d imitarmi in tutto e per tutto, ebbi un ardente desiderio che tutti i miei fratelli l’avessero imitata. Di ciò (porsi supplica al Padre, acciò avesse dato a tutti un ardente desiderio e grazia di poterlo fare. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di darlo ad essi, specialmente ai miei seguaci. E vidi, che alcuni si sarebbero approfittati della grazia; e di ciò resi grazie al divin Padre. Questi furono rimirati da me con grande amore, e mi proposi di dar loro tutti gli aiuti necessari per tale effetto. Vidi quanti si sarebbero abusati della detta grazia, e non avrebbero accolto in sé il desiderio, che il divin Padre avrebbe dato loro; perciò sarebbero andati molto lontani dalla mia imitazione. Per questi intesi una grande amarezza, e con essi mi lamentavo, vedendo il poco canto che avrebbero fatto dei miei esempi e delle grazie che, con tanta sollecitudine, loro meritavo dal mio divin Padre.
LA BEVANDA DISGUSTOSA –
Stando sul Calvario, ed avendo fatta intera oblazione di me al Padre, mostrandomi pronto a soffrire tutto con grande amore e desiderio, per adempire la divina volontà, da quei crudeli mi fu data l’amarissima bevanda, per rinvigorire la mia umanità, acciò potessi sostenere il grande tormento della crocifissione. Era quella composta di aceto con fiele ed altre cose potenti, disgustosissime al palato, in modo che sarebbe stata sufficiente a darmi la morte, se la divinità non mi avesse sostenuto in vita, tanto era pessima la bevanda. Mi fu portata col dirmi che prendessi quel ristoro e conforto, giacché ero tanto abbattuto di forze. Stavano tutti attenti per vedere se la bevevo. E dicevano: Prendi questo conforto, meritato da te, infame seduttore! Meglio di questo non si conviene alla tua infamia. Tu hai tanto amareggiato gli Scribi e i Farisei, ed anche i principi dei sacerdoti, con le tue infamie e ribalderie; ora, da (parte loro, ti si presenta questa bevanda. Tutto ciò mi dicevano con altre ingiurie e gesti impertinenti, ai quali io non risposi parola alcuna. Chinai la testa, e gustai qualche sorso di quella pessima bevanda, ricusando poi di berla (1). Nel gustarla contremarono tutte le mie viscere e la mia bocca restò sommamente amareggiata. Essi si contentarono che io non la bevessi, pensando di darmela a poco a poco. Mi ingiuriarono però con molti motti impertinenti, dicendo che non la bevevo perché non era secondo il mio genio e gusto. Mi dicevano: Infame, seduttore, l’avresti ben trangugiata tutta, se fosse stata di vino ottimo! o se ti fosse stata data da qualche infame pubblicano, o da qualche indemoniato, seduttore par tuo! Non risposi alcuna parola, ma stando in silenzio, trattavo col divin Padre, e lo pregavo di perdonar loro sì grande empietà. Molti furono, sposa mia, i misteri racchiusi in questa amarissima bevanda, che io gustai, in modo, che le mise viscere ne restarono tutte amareggiate. Fino allora, solo il mio Cuore era stato sempre amareggiato dal dolore, le viscere però erano state esenti dall’amarezza, come anche la mia lingua e il palato col gusto. La mia umanità aveva sofferti grandi tormenti in tutte le parti del corpo, solo le viscere non avevano ancora sofferto i tormenti sensibili: ma perché le iniquità del genere umano erano arrivate al sommo, cioè sin dove può arrivare la malizia, era necessario che io, dovendo dare un intera soddisfazione alla divina giustizia, arrivassi al sommo delle mie pene, e che in tutta la mia persona ne dovessi soffrire i tormenti: e perché nelle viscere non vi erano penetrati i flagelli, vi penetrò l’amarissima bevanda, volendo io dare alla divina giustizia un intera e sovrabbondante soddisfazione per tutte le offese che dall’uomo avrebbe ricevuto. Fu per me di grande tormento tale bevanda, restando tutto amareggiato. Rivolto al divin Padre gli offri questa mia amarezza e tormento, in sconto di tutte le offese che dai miei fratelli avrebbe ricevuto in questo particolare genere di cose. Vidi allora tutti quelli che, con i peccati del gusto, avrebbero offeso il divin Padre, e lo pregai, per quel tormento che allora soffrivo, che si fosse degnato di illuminarli, di fare ad essi conoscere il loro errore, dando loro grazia di emendarsi. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto. Vidi allora tutti coloro che si sarebbero prevalsi della grazia, si sarebbero emendati e ne avrebbero fatto anche penitenza: e di ciò resi grazie al Padre. Vidi poi quelli che in questa specie di patimenti avrebbero, con grande amore, procurato di imitarmi, con mortificare il loro gusto con bevande amare e disgustose. E per questi pregai il Padre di fare ad essi gustare la dolcezza dell’amor suo, e di riempire di consolazione il loro spirito. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto. Del che gli resi grazie a nome di tutti. Vidi inoltre tutti quelli che, aggravati da varie infermità, avrebbero dovuto gustare bevande amare e cose molto disgustose. Di essi ebbi grande compassione, perché, per conforto dei loro mali, e per esserne liberati, avrebbero tanto patito nel gusto. Per questi domandai al divin Padre, una totale rassegnazione a soffrire tutto con pazienza, pregandolo di dar loro la sua grazia, acciò possano sostenere il travaglio; e a dar loro anche il premio, col restituire ad essi la salute, se è giovevole per la salvezza dell’anima; ed a quelli a cui non é espediente, lo pregai di dar la ricompensa, col raddolcire ad essi l’amarezza e le pene della morte, tutto mettendo in sconto delle loro colpe. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore, e di tutto gli resi grazie. Intesi poi dell’amarezza, ed oh quanto grande! nel vedere, come la maggior parte dei miei fratelli avrebbero abusato della grazia da me richiesta al divin Padre, specialmente i peccatori più grandi, che in queste particolari contingenze avrebbero commesso tante colpe, delle quali, perché ostinati nel vizio; non si sarebbero mai voluti ridurre a penitenza, abusando sempre dei lumi e della divina grazia.
Avendo gustato, come ho detto, alquanto della pessima ed amara bevanda, ne lasciai una gran parte, ed invitai tutti i miei fratelli a fare altrettanto. Venite, dissi loro, e gustate ognuno di questa amara bevanda, che ora ho gustato io. È veramente amara e disgustosa al senso, ma la sperimenterete gustosa, ed oh quanto! allo spirito. Gustate pure dell’amarezza della bevanda, che ora gusto io, perché questa vi meriterà l’eterna consolazione, e se sarete a parte delle mie pene, delle mie amarezze, sarete anche a parte della mia gloria e della beatitudine eterna. Vidi, che molto pochi sarebbero accorsi a quest’invito, e che, per non gustare poche stille di amarezza, sarebbero rimasti privi, non solo della dolcezza che suole comunicare allo spirito, ma anche dell’eterno gaudio: perché non arriverà giammai a possedere l’eterno riposo, chi non vuol gustare dell’amarezza della mia passione, e non vuol soffrire cosa alcuna: mentre è necessario che ognuno, che vuol venire dove sono io, cammini per quella strada che ho calcato io. Chi non mi segue, chi non mi imita, chi ricusa di soffrire ciò che il Padre gli invia per la salute della sua anima, va molto lungi da me, e chi va lungi da me, non verrà dove sono io. Intesi una grande amarezza nel vedere il numero grande di questi tali, e fui ripieno di tristezza, perché il mio desiderio era che tutti accorressero all’invito. Mi proposi però di non cessare mai d’invitarli a bere l’amaro calice, sintantoché si fossero arresi. E vidi che alcuni, alla fine, dopo molti inviti, avrebbero accettato di farlo. Difatti l’avrebbero gustato col soffrire tutti i travagli, e col mortificare tutti i loro gusti ed appetiti. Per essi resi grazie al divin Padre, ma intesi dell’amarezza nel vedere il grande numero degli ostinati. E più,si accrebbero la mia amarezza e il mio dolore, quando vidi la grande moltitudine di quelli, che sarebbero accorsi agli inviti del mondo, loro nemico ed ingannatore, che sotto apparenza di bene, cioè di gusti e di piaceri, porge loro una stilla di miele, che poi fa loro gustare quale è, cioè, fiele amarissimo, senza conforto alcuno.
VIENE SPOGLIATO CON CRUDELTÀ –
Mentre stavo tutto amareggiato ed addolorato, i manigoldi mi ordinarono che mi spogliassi, e per farlo con più prestezza ed empietà, mi si avventarono addosso, per farlo loro stessi. Mi levarono dal capo la corona di spine, ed il sangue incominciò di nuovo a grondare dalle ferite. Mi levarono dopo la veste a forza, la quale era tutta attaccata alle piaghe, sentendo io un grande dolore. Si ricoprì il mio corpo di sangue, e si riaprirono tutte le piaghe, in modo che divenni una piaga sola. Si vedevano le ossa spolpate in più parti del corpo, specialmente sugli omeri. Ed essendo così denudato e tutto impiagato, fui da tutta la spietata gente deriso ed oltraggiato. Mi posero di nuovo la corona di spine in capo, facendomi nuove ferite, con mio grande tormento.
In questo fatto la mia umanità intese un grande rincrescimento, per dover restare di nuovo spagliata, alla vista profana di tutto quel popolo scellerato, che con occhi maligni e licenziosi, si erano posti a rimirarmi. Ma riflettendo, che dovevo soddisfare la divina giustizia per i peccati dei miei fratelli; mi animai a soffrire quel rossore, che fu per me molto grande e doloroso. Vidi i peccati di tutti quelli, per i quali allora venivo spogliato, e ne intesi una più grande confusione, perché erano i peccati di coloro che, dedicati al servizio del divin Padre, si danno in preda ad una vita licenziosa, lacerando, anzi, strappandosi di dosso la bella veste dell’innocenza e l’ornamento della purità. Vidi anche tutti quelli che, essendosi astretti con voto a conservare il prezioso tesoro della castità, 1’avrebbero poi perduta, con tanta ignominia ed offesa del mio divin Padre. Vidi le piaghe putride ed incurabili, che avrebbe fatto nelle loro anime questa sorta di colpe. E di tutto intesi grande confusione, amarezza e dolore. Rivolto al divin Padre, lo supplicai del suo aiuto, dei suoi lumi e della sua grazia per quei miserabili, acciò, riconosciuti almeno i
loro falli, ne avessero fatto penitenza e si fossero emendati. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo: e perché era molto adirato contro questi miserabili, io, per placarlo, gli andavo replicando le offerte, delle quali il Padre mio molto si compiaceva e restava placato. Vidi poi, che molti, per i lumi divini e per la grazia da me impetrata loro, si sarebbero ravveduti del loro grave fallo e si sarebbero emendati, facendo anche penitenza dei loro peccati. Di questi resi grazie al divin Padre. Vidi però il grande numero di quelli che si sarebbero mostrati ostinati, sprezzando i lumi divini e la grazia, e che avrebbero continuato nei loro errori. Per loro intesi una più grande amarezza.
Vidi ancora tutte le vergini innocenti, che sarebbero state straziate dai carnefici, per la confessione del mio Nome e per sostenere la verità della mia fede. E vidi, che molte di esse avrebbero sofferto il grande martirio e rossore della nudità, perché dai manigoldi sarebbero state denudate ed oltraggiate, con parole indegne. Di queste ebbi una grande compassione. E supplicai il divin Padre di volersi degnare di difenderle dagli insulti dei nemici, e dare ad esse virtù e fortezza da poter soffrire con generosità un sì grave tormento e confusione. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore e provvidenza, prendendosi la cura di difendere e custodire la loro purità ed innocenza. Di ciò gli resi grazie; poi, rivolto ad esse, che mi erano tutte presenti, le animai, le incoraggiai, le esortai alla sofferenza, e dicevo loro: Specchiatevi in me, che essendo la stessa innocenza e purità, mi convenne soffrire sì grande rossore e confusione, per soddisfare gli altrui delitti, io, sposo purissimo delle vostre caste anime. Vi serva di esempio, e perciò animatevi a soffrire sì grande rossore, perché vedete come lo soffro anche io, per le colpe altrui. Proposi anch’io di volerle custodire e difendere dagli insulti dei nemici, acciò non vi fosse stato chi avesse ardito accostarsi ad esse, e restasse così intatto il loro candore. Per queste supplicai il divin Padre di voler preparare un più grande premio nel regno dei cieli.
Mentre gli spietati carnefici mi ponevano di nuovo in capo la corona di spine, producendomi altre ferite, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime che avendo camminato per qualche tempo per là via della virtù, tornano di nuovo ad oltraggiare il divin Padre, con ricadute in colpe gravi. Di queste intesi una grande pena. Vidi il numero grande di esse e ne intesi amarezza e dolore. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai, per i miei aspri dolori, di volersi degnare di richiamarle di nuovo a penitenza ed alla mia sequela. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto in vari modi; a chi con gagliardi stimoli al cuore, ed a chi con minacce e castighi. E vidi, che alcune si sarebbero ravvedute, si sarebbero poste a seguirmi per la via del patire, ed avrebbero fatta grande penitenza dei loro errori. Di esse resi grazie al. Padre. Intesi però dell’amarezza nel vedere la moltitudine di quelle che sarebbero rimaste nella loro cecità ed ostinazione.
Nel sentire poi le derisioni di tutto quel popolo infame e ribelle, vidi tutte le derisioni e gli scherni che sarebbero stati fatti contro coloro che tengono in pregio l’innocenza e la purità, e che la custodiscono; cosa che ai cattivi mondani serve di tormento; e perché non possono far altro, si mettono a deriderli ed a schernirli. Ne intesi una grande amarezza. Supplicai il divin Padre a dare fortezza e pazienza a quanti avrebbero dovuto soffrire simili derisioni. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore. Lo supplicai poi di dar lume a tutti i disgraziati, che fanno un tale oltraggio alla purità e all’innocenza; acciò conoscano il loro errore e si emendino. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero emendati. Di questi resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza nel vedere il grande numero che sarebbe rimasto nella cecità, perché ostinato nell’errore.
SI OFFRE SULL’ALTARE DELLA CROCE –
Essendo all’ordine tutte le cose necessarie per inchiodarmi sulla croce e crocifiggermi, mi ordinarono, i manigoldi, che mi stendessi sulla croce. Postomi ginocchioni sulla stessa croce, adorai il divin Padre, e ad esso mi offri pronto ad esser crocifisso. Intese la mia umanità rincrescimento per dover soffrire quegli aspri dolori; ma l’amore, che nel mio Cuore ardeva, mi animò ad eseguire la volontà divina, perciò, fatta di me stesso un offerta intera al Padre, mi coricai sopra il duro legno, con grande dolore di tutte le lacere membra.
Appena coricato, quegli spietati, con grande fretta, mi posero le mani addosso,e molti di essi, saltando e sollazzandosi, gridavano: Ecco che siamo arrivati a soddisfare le nostre richieste! Ecco che siamo giunti alla fine ad inchiodarlo sulla croce, castigo da lui meritato! Tutti alzavano la voce, facendo una grande confusione, tutti uniti ad ingiuriarmi e ad oltraggiarmi. Mi presero i manigoldi per le braccia. E chi mi teneva i piedi, chi le mani, chi porgeva i chiodi, chi i martelli. Ognuno di loro voleva avere qualche parte nella mia crocifissione. Nel vedermi toccare tanto spietatamente da quegli infami e crudeli ministri, sentivo una grande amarezza; mentre si rappresentarono alla mia mente, tutti i pessimi sacerdoti, che con le loro mani sacrileghe, avrebbero toccato e maneggiato il mio corpo, sul sacro altare. E di ciò ne ebbi un grande orrore ed una grande amarezza. Vidi tutti gli strazi che mi avrebbero fatto, e tutti gli oltraggi, come se i crudeli ministri me li facessero sull’altare della croce, dove dovevo essere immolato. E di ciò intesi grande dolore. Rivolto al divin Padre il quale, nel vedere il mio dolore e l’amarezza del mio Cuore, e per la loro iniquità, stava con essi molto adirato lo supplicai per i miei dolori, a volersi placare, e degnarsi di dar loro luce e grazia, onde si ravvedano, e conosciuti i loro gravissimi errori, si emendino e ne facciano penitenza. Vidi che il Padre, in virtù delle mie suppliche, avrebbe dato loro il detto lume e la grazia, mostrandosi anche pronto al perdono. Vidi che alcuni si sarebbero approfittati, e per questi resi grazie al Padre. Restai però con una grande amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli che si sarebbero di tutto abusati, e rimanendo nei loro errori avrebbero continuato a compiere iniquità. Vidi i grandi castighi preparati a questi pessimi ed iniqui sacerdoti, e ne intesi compassione, quantunque fossero da essi più che meritati.
LA CROCIFISSIONE LA MANO DESTRA – Stese le braccia sulla croce, per ordine dei carnefici, prima mi inchiodarono la mano destra, e ciò fu con mistero: perché la mia crocifissione era a me procurata dai nemici, ma prima decretata dal divin Padre, ed Io dalla destra del Padre presi quel tormento, per soddisfare la divina giustizia e per salvare il genere umano. Intesi prima lo spasimo nella mano destra, perché questa a tanti doveva aprire la porta dell’eterno Regno. Difatti la prima fu la destra a sentire il dolore, e la prima fu la destra che donò il Paradiso al ladro. Volli anche soffrire prima il dolore nella mano destra, e sentire quanto spasimo mi conveniva sopportare per salvare le anime perdute e per aprire loro il sentiero e l’entrata al Paradiso.
Stesa pertanto la mano sul forame già fatto nella croce, uno spietato ministro vi pose il chiodo, ed a colpi di martello l’inchiodò sulla croce. A questo tormento sì grave si risentirono pel dolore tutte le mie membra, e mi arrivò sino al Cuore. Dissi allora all’amare che quivi ardeva: Sarai ormai soddisfatto, o amore insaziabile, mentre arrivano i tormenti di far sentire spasimo anche al Cuore. Ma l’amore non pago, domandava più pene. Ed io, rivolto al divin Padre, lo pregai di volersi degnare di darmi forze ed aiuto,perché già mi sentivo mancare. Ed il Padre fece che la divinità desse vigore all’umanità, acciò potesse sostenere i più aspri tormenti. Ed io, tutto rassegnato alla volontà del Padre, mi mostravo pronto a soffrire tutto con grande amore; e non lasciavo di domandare ogni tanto forza ed aiuto al Padre, quantunque questo mi servisse per farmi sentire di più i patimenti.
Inchiodata che fu la mano destra sulla croce, rivolto al Padre, lo supplicai, per quel dolore che soffrivo, di volersi degnare di adoperare la sua destra onnipotente, in favore di tutti i miei fratelli, non solo con perdonar loro tutte le colpe, ma col dare la grazia di emendarsi e mutar vita, dicendogli: Voi, Padre mio amatissimo, fate con la vostra destra, che tutti i miei fratelli erranti, si riducano al diritto sentiero della virtù. Mutateli voi, con il potere del vostro braccio, e riempite tutte le loro anime di benedizioni. Stendetela pure sopra tutti, e siano tutti protetti dalla vostra destra. Fate, infine, che tutti si ritrovino alla destra, nel giorno dell’universale giudizio, vengano tutti a possedere quel Regno, che io ora merito loro, a costo di tante pene. Udì il divin Padre la supplica, ed esaudì le mie richieste. E vidi tutte le grazie, tutte le benedizioni, tutta la protezione e tutta la mutazione delle anime, che Lui avrebbe operato con la sua destra onnipotente, e di tutto gli resi affettuose grazie. Intesi però dell’amarezza, nel vedere che molte anime si sarebbero abusate delle grazie che la destra del Padre avrebbe loro dispensate. Invitai ancora tutte le anime giuste ad entrare in questa piaga, per conservarsi e per crescere nelle virtù. Invitai anche tutti a venire a questa piaga a domandare l’entrata al Paradiso, e ad offrirla al Padre, acciò, per i meriti di essa, l’avesse loro donato. E vidi quanti sarebbero accorsi all’invito, e per essi domandai al Padre molte grazie, ed in particolare che li avesse introdotti nell’eterno Regno. Vidi però, con mia grande amarezza, tutti quelli che avrebbero ricusato l’invito, e che sarebbero stati sempre sordi alle mie voci amorose. Intesi poi un più aspro dolore, nel vedere che la mia diletta Madre sentiva nel suo cuore i colpi di martello, e che il chiodo le penetrava il cuore con aspro dolore, ed io, parlando al di lei cuore, la compativo e la invitavo ad offrire anche lei il suo dolore al Padre, con tutti gli atti con cui glieli offrivo io, e che avesse domandato anche lei tutte le grazie che io gli domandavo per i miei fratelli. E la Madre amorosa mi accompagnava con grande coraggio e fortezza, dando molto gusto al divin Padre.
LA MANO SINISTRA –
Intanto i ministri, legato l’altro braccio, lo stiravano con gran forza, perché non arrivava al forame che era stato fatto alla croce. In questo stiramento sentii grande dolore: si incominciava a dividere la legatura delle ossa, e ad aprirsi le ossa del petto. Grande era perciò il dolore! Ma molto più grande fu l’amarezza e la pena che soffrivo, perché in questo fatto vedevo tutte le anime infelici, che si sarebbero lasciate tirare a forza dai loro nemici, cioè: demonio, mondo e carne, a commettere le colpe, e che non avrebbero fatta ad essi la dovuta resistenza. Vedevo la potenza di questi nemici e ne sentivo una grande amarezza. E rivolto al Padre lo supplicai, per quello spasimo che allora sentivo, che avesse indebolito le forze nemiche, ed avesse dato fortezza e grazia a tutti i miei fratelli, per poter loro resistere stando forti alle loro violenze. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e di ciò lo ringraziai. Vidi però la grande moltitudine degli incauti, che si sarebbero lasciati tirare dalle loro frodi, e non si sarebbero prevalsi della grazia. Ed oh, quanto fu grande la mia amarezza! Li invitavo a resistere e a star forti, dicendo loro: Ecco il mio braccio che vi darà fortezza! Non vi allontanate da me! Accorrete ai miei inviti! Non seguite i vostri nemici! perché vi tireranno agli abissi infernali. Ma essi, sordi alle mie chiamate, si lasciano tirare, e non curandosi dei loro strapazzi, per un momentaneo piacere, si dilungano da me, e si lasciano strascinare dai loro nemici, volendo a forza fuggire da chi solo può dare ogni bene vero ed ogni vera consolazione.
Essendo stirato il braccio, con grande crudeltà, ed arrivata la mano al forame, fu inchiodata sulla croce. Ed oh, quanto grande fu il mio dolore e quello della mia diletta Madre, che tutto sentiva nel di lei cuore! Inchiodata questa mano, fu tanto lo spasimo, che mi sentivo mancare in tutto. Domandai di nuovo aiuto al divin Padre, per poter soffrire maggiori pene. In questo fatto, vidi tutte le anime che sarebbero precipitate negli eterni tormenti, per seguire gli allettamenti del demonio, del senso e del mondo, loro nemici; e che sempre si sarebbero allontanate da me, disprezzando i miei inviti amorosi. Intesi, oh quanta! amarezza e dolore, vedendo che tutte, nel giorno del finale giudizio, sarebbero state alla sinistra, ed avrebbero avuta la sentenza di eterna pena. Allora, tutte le mie ossa e tutte le giunture si sconvolsero, per lo spasimo, ed il mio interno soffriva indicibile dolore ed amarezza, in modo che già ero privo di ogni conforto; ma in questo poi le mie pene arrivarono a sommergermi in un mare di dolore. Rivolto a tutti quei miseri, dissi loro: Venite, venite a questa piaga amorosa, a domandare la liberazione dagli eterni tormenti! In questa nascondetevi, ed udite i suoi dolci inviti: ché questa piaga vi chiamerà sinché avrete vita, né cesserà mai di chiamarvi ed invitarvi a ricorrere ad essa, a riconoscere i vostri errori ed a farne penitenza. Vidi che tutti si facevano sordi a queste mie voci. Ed io più forte chiamai ed invitai. E vidi, che alcuni alla fine, sarebbero accorsi all’invito, e rientrati in se stessi, avrebbero conosciuto i loro errori, e, fattane penitenza, per i meriti di questa piaga, avrebbero scampato gli eterni supplizi. Per questi resi grazie al Padre. Invitai poi tutti ad entrare nella detta piaga, per trovare lo scampo dai logo crudeli nemici. Intesi poi una grande amarezza nel vedere il numero di quelli che avrebbero dispregiato i miei inviti, e sarebbero eternamente periti.
IL PETTO DI GESÙ –
Sentivo poi un asprissimo dolore nel petto, per essersi aperto e tutto scompaginato. Offri questo grande dolore al Padre, col dirgli: Mio divin Padre, Voi vedete, come il mio petto si è tutto fracassato e si è aperto! Perciò, io vi offro questo spasimo che ora soffro. Giacche si è aperto, fate, in virtù di questo mio aspro dolore, che traspiri la fortezza dal mio petto a quello di tutti i miei fratelli! Voi, Padre mio, vedete, che essendo il mio petto la stessa fortezza, ora dai miei nemici è stato fracassato. Ed è di ragione che la fortezza del mio petto patisca e si trovi in affanni e senta la debolezza, per meritare al petto dei miei fratelli fortezza e costanza. Perciò vi prego di nuovo, o divin Padre, di darla loro, acciò siano forti e costanti nel patire. Il Padre udì le spie suppliche e le esaudì. E vidi che avrebbe dato tanta fortezza a tutti i confessori della fede, ed a tutti i martiri, ed a tutti coloro che si pongono alla mia sequela. Di ciò gli resi affettuose grazie. Intesi però dell’amarezza, nel vedere che molti si sarebbero serviti della fortezza per maggiormente offendere il divin Padre e star forti nei loro errori e falsi dogmi.
POSIZIONE PENOSISSIMA –
Inchiodate già le mani, le quelli stavano tanto stirate, che appena potevo respirare, con grande stento andavo respirando. Le spalle poi, che già erano tutte una piaga, e di cui si scoprivano le ossa, stavano attaccate alla croce con mio asprissimo dolore. La testa pure stava appoggiata alla croce, e ne sentivo uno spasimo indicibile, perché le spine della corona mi tormentavano. Ed ai tanti miei martiri, non vi era neppure uno che avesse compassione; anzi erano tutti infuriati contro di me: chi non mi poteva tormentare con le percosse, mi tormentava con le ingiurie. Grande era l’amarezza del mio Cuore per tanta crudeltà. Rivolto al Padre, gli offrivo tutti quegli spasimi, e spesso gli andava replicando: Padre mio, grandi sono le offese che ricevete dal genere umano! Ma mirate come grandi sono anche i miei dolori. Perciò vi prego, per tutti questi spasimi, di placare il vostro giusto furore, e perdonare loro.
CROCIFISSIONE DEI PIEDI –
Avendo inchiodate le mani, mi legarono i piedi con funi, ed incominciarono a stirarli spietatamente, perché non arrivavano ai forami, già fatti nella croce, onde ne sentivo un asprissimo tormento. O quanto, sposa mia, era grande il mio dolore! Mi sentivo morire di spasimo: perciò ad ogni istante supplicavo il Padre del suo aiuto, e la divinità andava ogni momento facendo il miracolo di conservarmi in vita.
Quei perfidi si erano consigliati ed avevano determinato il modo di crocifiggermi, cioè, non come gli altri crocifissi, mia in modo più doloroso, inchiodandomi i piedi l’uno sopra l’altro. E questo fu con grande mistero, benché essi lo facessero per mio maggiore tormento. Ma nell’inchiodarmi non poteva loro riuscire: perciò prima mi inchiodarono il piede destro. Parte di loro tenevano le braccia della croce, e parte tiravano le corde, a cupi erano legati i piedi; ed inchiodato il piede destro, passarono ad inchiodare il sinistro. Ed essendo stato così alquanto stirato, svelsero il chiodo del piede sinistro, e tirato a forza di tenaglie il chiodo del piede destro, l’inchiodarono sopra il sinistro, con mio grande spasimo sicché fui crocifisso con quattro chiodi come si costumava, ma prima di inalberare la croce, essendo già il corpo stirato, mi inchiodarono il piede destro sopra il sinistro con un solo chiodo, di grossezza maggiore di quelli delle mani (1).
In questo fatto si racchiuse il mistero della divina giustizia e della misericordia, perché andando queste del pari, infine la misericordia vinse e sovrabbondò la giustizia. L’ira si mitigò, e la misericordia sovrabbondò. Il rigore di giudice cedette all’amore di padre; si unirono insieme e si baciarono, e la giustizia cedette il primato alla misericordia: sicché, avendo per l’addietro camminato del pari, per i miei meriti, la giustizia si contentò di cedere il primato alla misericordia; ed io ne resi grazie al divin Padre, per parte di tutti i miei fratelli. Lodai la giustizia divina ed esaltai la misericordia.
Quando mi inchiodarono il piede destro, offrii l’aspro dolore al Padre, e lo supplicai di volersi degnare di dar lume a tutti quelli che camminano per il diritto sentiero dell’eterna salute, acciò non errino nel cammino, e seguitando il loro viaggio, arrivino al termine bramato. Intesi poi un grande dolore, quando vidi tutte le angustie ed i travagli che avrebbero sofferto quelli, che vogliono andare per il diritto sentiero: pregai il divin Padre di assisterli con la sua grazia, e li invitai tutti a venire ad abitare in questa piaga, perché quivi sarebbero stati confortati, animati ed illuminati. Vidi tutti gli assalti che ad essi avrebbero dato i loro nemici perciò ancora li invitai a ricorrere a questa piaga; che quivi avrebbero trovato scampo sicuro. Vidi inoltre tutte le colpe che avrebbero commesso questi, che camminano per la dritta strada della salute, e quantunque non fossero gravi, tuttavia ne intesi dolore: perché le offese del divin Padre, quantunque leggere, erano a me di grande tormento, per l’amore immenso che gli portavo, e perché conoscevo il suo merito infinito. Perciò offri al Padre i dolori che sentivo, in sconto di tutte le loro mancanze; ed il Padre si mostrò pronto al perdono ed anche a concedere loro la grazia di ravvedersi subito ed emendarsi.
Nell’inchiodatura del piede sinistro, intesi 1’asprissimo dolore per la piaga, e molto più perché vidi tutti coloro che camminano alla perdizione. Nel vedere la gravezza delle loro colpe, ero molto amareggiato, e rivolto al Padre gli offrii i miei dolori in sconto di tutte le loro iniquità, e lo supplicai di illuminarli e far conoscere il loro grave errore, e come camminano per la via della perdizione. Lo pregai della sua misericordia infinita verso di essi; e perché vedevo che la divina giustizia sarebbe stata sempre in atto di castigarli, lo pregai, che avendo ceduto il primato alla misericordia, avesse trattenuto i castighi ed avesse dato luogo alla misericordia, onde questa li avesse aspettati a penitenza. E vidi, che la giustizia avrebbe trattenuto i castighi, e la misericordia li avrebbe benignamente aspettati a penitenza. Vidi, che molti avrebbero approfittato di sì grande beneficio, riducendosi infine a penitenza. Di questi resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza, ed oh quanto grande! nel vedere il grande numero di coloro che avrebbero abusato della misericordia e della bontà divina, così paziente nell’aspettarli a penitenza, e che perciò sarebbero periti miseramente; provando alfine i rigori della divina giustizia, la quale per tanto tempo aveva trattenuto i castighi.
Mentre mi inchiodavano i piedi uno sopra l’altro, intesi un più grande dolore: vidi allora tutte le anime sopra le quali avrebbe tanto sovrabbondata la divina misericordia, e che infine, quantunque per le loro colpe avrebbero dovuto provare i rigori della giustizia, sarebbero arrivate a godere e ad esaltare eternamente la divina misericordia: perché si sarebbero ravvedute, ed avrebbero corrisposto ai benefici divini. Di queste, ne resi grazie al divin Padre. Intesi però un aspro dolore ed una grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che di tutto si sarebbero abusati, anche di tanta misericordiosa bontà loro usata e che, miseri, sarebbero infine periti, facendo sì che prevalesse su di loro la giustizia divina, per avere, in vita, disprezzata la misericordia.
Terminata la crocifissione, e stando la croce in terra, soffri un tormento incomparabile. Grande era lo spasimo: ogni momento soffrivo sfinimenti di morte, levandosi il lume dai miei occhi per l’asprezza dei dolore. Supplicavo di continuo il divin Padre del suo aiuto, e la divinità non mancava di darmi forza per resistere e soffrire gli asprissimi tormenti.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai udito, sposa mia, quanto furono acerbi i dolori della mia crocifissione, e quanto furono più grandi quelli del mio interno, quanta l’amarezza del mio Cuore, quanto grande la mia sofferenza! Perciò procura di imitarmi nel patire tutti i mali corporali con rassegnazione, senza lamentarti, perché i tuoi mali non arriveranno giammai ad assomigliarsi ai miei. Hai udito quale fu il ristoro che ricevetti dopo tanti patimenti: un amarissima bevanda, e tanto pessima, che era sufficiente a darmi la morte. E tu non andare in cerca di consolazioni nelle tue angustie, se vuoi assomigliarti a me. Mortifica anche il tuo gusto; non ti lamentare delle cose disgustose, perché non lo saranno quanto l’amara bevanda che gustai io. Non cercare diletto nel cibo, ed abbi sempre alla memoria il fiele di cui fui abbeverato: così ti sarà facile il mortificarti. Sta bene attenta nel prevalerti della divina misericordia, e non abusare delle molte grazie che ricevi. Temi sempre la divina giustizia, perché quantunque adesso sia molto ritenuta nel castigare, verrà poi il tempo in cui farà provare i suoi rigori a tutti coloro che abusano della misericordia. In tutte le tue angustie e travagli, in tutte le tentazioni ed assalti dei tuoi nemici, ricorri alle mie piaghe, perché in queste troverai sicuro scampo. Quivi sia la tua dimora, perché quivi troverai ogni conforto e consolazione. Offri ogni pena continuamente al divin Padre, acciò ti conceda tutte le grazie necessarie per la tua eterna salute e per quella dei tuoi prossimi. Hai udito quanto grande fu la mia confusione nell’essere spagliato dai perfidi manigoldi, e nell’essere maneggiato dalle loro sacrileghe mani. Perciò ti ammonisco a star bene attenta nel tenere l’anima lontana da ogni macchia d’impurità, benché minima. Perciò custodisci con gelosia la purità, che a me con voto hai consacrata: e fuggi tutte le occasioni che possono far patire qualche detrimento a sì nobil fiore. Sta attenta, perché ci vuol molto poco ad illanguidirlo. E sappi che io nelle mie spose ricerco una grande cautela e diligenza nel custodirlo; molto mi dispiacciono le trascuratezze nel campo delicato di questa virtù. Custodisci infine l’anima tua e si diligente nel tenerla monda da ogni colpa, acciò ricevendomi sacramentato, io senta gusto e piacere dal contatto e non disgusto ed amarezza.
Come, inalberata la croce, il Figliuolo di Dio crocifisso fu posto a vista di tutto il popolo. Di ciò che Egli operò nel suo interno finché cominciò a parlare dalla croce.
SULL’ALTARE DELLA CROCE –
Essendo inchiodato sulla croce, incominciarono i manigoldi ed i soldati a trattare di alzare la croce, e metterla in alto, acciò tutto il popolo mi vedesse, ed ognuno potesse saziare la sete, che aveva contro di me, di schernirmi e di ingiuriarmi. Difatti, tutti stavano ad aspettare con impazienza, perché non tutti mi potevano ancora vedere per la calca della gente. Avevano preparata sulla cima del monte una fossa, aggiustata con pietre, per mettervi dentro il piede della croce; e fecero in modo, che io stessi assai più in alto degli altri due crocifissi. Seppe molto bene la loro astuzia ed arte trovare il modo che io stessi in alto più degli altri, perché tutti mi vedessero e si burlassero di me. Ma ciò non fu senza mistero del divin Padre, come udirai.
Mentre stavano trattando del modo di inalberare la croce, ed ognuno era pronto per aiutare, io me ne stavo inchiodato sulla croce in terra, con il volto e tutto il corpo rivolto al cielo, soffrendo un asprissimo tormento. Allora mi offri al divin Padre, dicendogli: Rimirate, o mio divin Padre, il vostro Unigenito, il quale ora viene sacrificato per l’umana redenzione. Ecco, che prima di essere posto alla vista di tutta Gerusalemme e del mondo intero, sono posto alla vista di voi, Padre amantissimo, e di tutta la corte celeste! Vedete, come sono grandi i miei dolori, come dolorose le mie piaghe! Ora questi e queste offro a voi, a nome di tutti i miei fratelli, per soddisfare la divina giustizia per i loro debiti. Sono molti, è vero; mia mirate quanto più grande è il prezzo che io vi offro per soddisfarvi! Sono gravi, è vero; ma mirate come gravissimi sono anche i miei dolori; e se più soddisfazione bramate da me, sono pronto a darvela. Si placò il Padre, ma dichiarò che voleva più soddisfazione. Ed io mi offri pronto a dargliela, ed a stare in croce, quanto a Lui fosse piaciuto: perché l’amore che ardeva nel mio Cuore, era infinito, né si saziava mai di patire, per soddisfare la divina giustizia e per salvare il genere umano.
IL CIELO LA TERRA L’INFERNO –
Tutti gli angeli, che furono spettatori di sì funesta tragedia, si riempirono d’ammirazione. Il sole cominciò ad oscurarsi e ad eclissarsi. Le altre creature insensate si risentirono, dopo che fu inalberata la croce. I demoni si arrabbiavano, fremevano, ed ancora non arrivavano a capire, se io veramente fossi il Messia. Stupiti di tanta sofferenza, di tanta fortezza, di tanta virtù, andavano come perduti, non potendo capire sì grande portento; ed andavano sempre più attizzando i manigoldi a straziarmi ed oltraggiarmi con bestemmie e scherni, in modo che in quel luogo non si udivano, che bestemmie orrende, maledizioni, ingiurie, villanie, fischiate e strida.
IL DOLORE E LA COMPASSIONE DI MARIA –
La mia diletta Madre, che udiva tutto, non potendosi appressare alla croce per la grande calca, stava in un aspro tormento. Anche lei era inchiodata. alla mia croce, mentre io, che ero il suo cuore, ero crocifisso. Ed oh, con quanti modi mi andava compatendo, e come si liquefaceva l’anima sua di un dolore amoroso e di un amore doloroso! Altre parole la sua bocca non proferiva che queste: O Gesù, mio Figlio! o Figlio mio, Gesù, chi mi concede che io possa morire per te e con te ? Con il cuore però molto mi parlava, ed ora tutta amorosa, ora tutta addolorata, mi andava spiegando quanto mi amava, e quanto mi compativa. Erano però queste sue voci di un grande martirio al mio Cuore,perché essendo da me molto amata, anzi il più caro oggetto del mio amore, dopo il divin Padre, era anche da me compatita, e molto mi amareggiavano i suoi dolori. Anch’io parlavo al di lei cuore, e le narravo che le sue pene accrescevano a me il dolore. Ed anche per questo motivo pativa di più la diletta Madre. Ma era decretato che la sua anima doveva essere immersa in un mare di amarezze, senza conforto alcuno, per più assomigliarsi a me; perciò, io, che potevo apportarle consolazione nelle sue pene, ero l’oggetto dei suoi più aspri dolori, come lei era l’oggetto dei miei, per l’amore infinito che ardeva nel mio Cuore verso di Lei, e per l’amore grande che ardeva nel suo cuore verso di me, suo Dio e suo vero ed unico Figlio.
LA CROCE INALBERATA –
Essendo stato allestito tutto ciò che era necessario, strascinarono la croce al luogo dove si doveva innalzare, sentendo io un grande tormento in tutte le mie membra, specialmente nella testa, che mi andava sbattendo sulla croce. Offrivo quel tormento al Padre, per le replicate offese che riceveva da tutto i1 popolo crudele ed ingrato. Malti, fra quel popolo stesso, erano stati da me risanati da varie infermità. E ancor essi mi andavano insultando e schernendo con vari motti, dicendomi: Tu hai con tanta facilità liberato noi dai mali, ed ora non sei capace di liberare te stesso. Mi ferivano il Cuore queste parole, perché mi mostravano ingratitudine e crudeltà. Tacevo con la lingua, ma parlavo col Cuore, dicendo loro: Ah cuori ingrati! Non vedete che se ho risanato i vostri corpi, oara patisco tanto per la salute delle vostre anime? E rivolto al Padre, gli andavo ripetendo: Padre mio, perdonate loro, perché non sanno ciò che si dicono e ciò che fanno.
Arrivato al luogo dove si doveva piantare la croce, si avvidero che non ci avevano inchiodato il titolo scritto da Pilato, e subito ve l’inchiodarono. Io allora senti un aspro tormento, perché i colpi del martello facevano muovere la croce, onde le mie piaghe più si inasprivano. Alzando poi la croce, la facevano sbalzare, ora da una parte ed ora dall’altra, con mio grande tormento.
È FISSATA LA CROCE SCHERNI –
Il popolo nel vedere la croce alzata, incominciò a gridare con voci strepitose. Chi mai diceva un ingiuria, chi un altra. Tutti mi motteggiavano. Infine, con molta loro fatica e con mio grande tormento, arrivarono a mettere la croce nella fossa fatta, facendola cadere di peso. In questo orrendo colpo si riaprirono tutte le piaghe del mio lacero corpo, contremarono tutte le mie ossa ed interiora e fui preso da un tremito doloroso, per gli aspri tormenti, battendomi la testa sul petto.
Oh quanto, sposa mia, fu grande lo spasimo che allora sentii! Vidi di nuovo tutte le anime che si sarebbero rapidamente precipitate e sprofondate negli eterni tormenti; e nel pensare, che tante mie pene sarebbero state inutili per esse, perché si sarebbero di tutto abusate, mi riempi di una più grande amarezza.
Posta in alto la croce e fortificata con pietre, acciò non cadesse, una parte di essi mi lasciarono, e si posero ad innalzare gli altri due crocifissi. Intanto che facevano ciò, alcuni erano rimasti a rimirarmi e schernirmi. Essendo io posto in alto e da tutti rimirato, intesi una somma confusione, perché il mio corpo stava esposto alla vista di tutto il popolo e di tutta la città. Non vi mancarono molti che anche da lontano mi stavano rimirando, cioè, tutti quelli che avevano confusione e vergogna di venire sul monte, per risguardo al grado che avevano, benché anche da lontano non cessassero di ingiuriarmi e di schernirmi. In questa mia confusione intesi un grande dolore; perché si rappresentarono alla mia mente tutte le anime peccatrici, che, per non voler soffrire un poco di confusione, nel confessare le loro colpe, sarebbero poi nel finale giudizio, ben più confuse, venendo quelle colpe, a tutti manifestate. Vedendo il grande numero di esse, intesi un grande dolore. Rivolto al Padre, lo supplicai, per quella mia confusione, di volersi degnare di illuminarle, facendo ad esse conoscere il loro grave errore, dando loro grazia di poter manifestare le loro colpe, affinché conseguano il perdono. Vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e che alcune poche si sarebbero approfittate dei lumi e della grazia. Per queste resi grazie al Padre. Vidi anche il grande numero di quelle, che si sarebbero abusate dei lumi e della grazia, e, rimanendo nel loro errore, sarebbero eternamente perite. Ne intesi grande amarezza, tanto più che io soffrivo la confusione ed il rossore, per agevolare ad esse la via, e rendere loro facile ogni ripugnanza e confusione.
GLI INVITI DI GESÚ ALLA MADRE –
Stando in alto, in vista di tutto il popolo, invitai tutti i miei fratelli a venire a contemplarmi ed a specchiarsi in me, loro maestro ed esemplare. Prima di tutti, invitai la mia diletta Madre, la quale stava poco distante, e le dissi al cuore: Venite, Madre mia, venite a contemplare da vicino l’unico oggetto del vostro amore, il vostro Dio, che patisce, il vostro Figlio, che sta consumando l’opera dell’umana redenzione. Voi, cara Madre, sarete il testimonio di tutte le mie pene, di tutti i miei affanni, dolori e tormenti, di tutte le mie angustie ed amarezze : perché tutte in voi stessa le provate, essendo lo specchio fedelissimo, in cui si fermano di riverbero tutti i miei tormenti. Ecco, come sono fedele alla promessa fattavi di farvi partecipe di tutti i miei dolori e di tutte le mie pene. Venite, dunque, caro oggetto del mio amore e del mio dolore! A tale invito venne la diletta ed afflitta Madre, dicendo: Ecco, mio amato Figlio e Signore, che vengo a contemplarvi! Benché sappia che la mia vista sarà per voi di maggior dolore, per l’amore infinito che a me, vostra indegnissima creatura e Madre, portate; con tutto ciò, oh quanto volentieri io vengo! mentre anche a me si accresceranno i dolori e le pene, e così più mi renderò simile a voi, vita mia ! Ma vi supplico di concedermi la grazia, che io sia sempre costante e desiderosa di più patire! Né segua in me alcun deliquio, per non restare in quel tempo priva di pene. Assicurai la Madre della detta grazia, e supplicai il divin Padre di fare verso di Lei il continuo miracolo, di tenerla sempre in sentimenti e mantenerla in vita.
Arrivata al piede della croce, in luogo dove mi poteva ben mirare e contemplare, prima mi adorò con profonda adorazione, e si offrì di nuovo, pronta a soffrir tutte le mie pene. Poi fece di me e di se stessa un intero olocausto al divin Padre, indi si pose in piedi a rimirarmi e contemplarmi, né mai più si mosse né torse gli occhi, tanto del corpo, come della mente, dall’oggetto del sino amore e del suo dolore; ricopiandosi nella di Lei anima l’immagine del crocifisso suo Figlio, restandone in lei impresse, per virtù dell’amare, tutte le pene e tutti i dolori.
ALLA MADDALENA –
Invitai anche l’amante Maria Maddalena, con parole amorose al di lei cuore, dicendole: Venite, o amante penitente e discepola fedele! giacché per il passato avete goduto la dolcezza dell’amor mio, venite ora a soffrire l’amarezza dei miei tormenti. E vedete quanto care costano a me le colpe del genere umano, e con quanto prezzo io ricompro la vostra e le altrui anime. Ora è tempo che facciate mostra del vostro amore verso di me, vostro Maestro e Redentore. Ferita la Maddalena nel cuore dall’amoroso invito, corse a mettersi ai piedi della croce, che tenne abbracciata, con gli occhi fissi ai miei piedi, che più volte, con tanto amore, aveva lavati con le sue lacrime ed amorosamente baciati. Nel vederli allora sì laceri e tormentati, si disfaceva in lacrime dolorose, e con quei piedi, che tanto si erano affaticati per la sua salute, e che vedeva tanto laceri e tormentati, sfogava il suo amore ed il suo aspro dolore, non saziandosi di rimirarli, contemplarli, imprimendo nel suo cuore quelle piaghe, a forza di amore e di compassione. Ciò serviva anche a me di amarezza, nel vederla tanto addolorata senza poterla consolare, perché io stesso ero l’oggetto del suo aspro dolore.
A GIOVANNI –
Invitai anche il mio diletto ed amato discepolo Giovanni, dicendo al di lui cuore: Venite, o discepolo amato, e giacché voi siete stato sempre il mio compagno nella predicazione ed in tutti gli altri luoghi, dove sono andato, e siete stato il testimonio della mia gloriosa trasfigurazione sul monte Tabor; siate ora il testimonio dell’orribile tragedia sul Calvario, e guardatemi in sì dolorosa figura. Voi direte agli altri miei discepoli quanto ho patito su questo monte. Narrerete ad essi tutti i miei tormenti, acciò anche essi siano a parte delle pene che ora voi soffrite per mio amore, e sappiano quanto io patisco, si specchino in questo originale, per ricavarne in loro stessi la figura, imprimendola nella loro mente e nel loro cuore, perché possano imitarmi e narrare al mondo tutto, quanto io ho patito per redimerlo, e per acquistargli il regno eterno. Venne il discepolo amato, trafitto dal dolore, e postosi al lato della croce, sfogava la sua pena in armare lacrime. Tanto il discepolo, come la Maddalena, andavano spesso soffrendo dei deliqui mortali, benché non vi fosse chi li osservasse. Ma io pregavo per loro il divin Padre, acciò li conservasse in vita: ché, per verità, il solo rimirare di passaggio la mia umanità, era sufficiente a dare la morte ad un cuore amante. Si pose Giovanni a rimirare attentamente il mio divin petto, dove una volta aveva sì dolcemente riposato, e dove aveva ricevuto e inteso tanti arcani divini, e si struggeva di dolore nel vederlo aperto e tutto lacero e spolpato. Soffrivo della pena anche per questo discepolo: nel vederlo tanto addolorato per mio amore senza poterlo consolare, essendo io l’oggetto del suo amore e del suo dolore.
ALLE PIE DONNE –
Invitai anche le altre devote donne, che accompagnavano la mia diletta Madre, dicendo al loro cuore: Venite anche voi presso la croce a contemplarmi, e giacché avete goduto dell’amabile compagnia della mia diletta Madre, come anche della dolcezza :e soavità delle mie parole, venite a soffrire in compagnia della Madre, parte dei suoi dolori; e contemplando le mie pene, procurate di ricavarne in voi stesse un perfetto ritratto, con l’imitarmi, assicurandovi che essendo a parte delle mie pene, sarete anche a parte della mia gloria. Vennero le devote donne, ed anche esse si posero presso la croce a contemplarmi ed a compatirmi.
AGLI APOSTOLI –
Invitai anche tutti i miei apostoli e discepoli a venire a contemplarmi; ma questi, per il grande timore, fecero resistenza all’invito. Restarono però tutti feriti da grande dolore ed amarezza, sentendo nel loro interno, una grande compassione dei miei dolori, e si disfacevano in amare lacrime, specialmente Pietro, il quale, per avermi negato, più d’ogni altro si afflisse e si rattristò.
A NICODEMO –
Invitai il discepolo occulto, cioè Nicodemo, e gli dissi: Ora non è più tempo di stare occulto. È tempo che vi manifestiate, ed a voi lascio la cura di sotterrare il mio corpo. Corrispose Nicodemo all’interno invito, e, appena fui spirato, si prese la cura di darmi sepoltura, avendo, prima che io morissi, domandato il mio corpo al presidente Pilato, il quale liberamente glielo concesse. E mentre io stavo in croce penando, lui preparò gli aromi e tutto ciò che bisognava per darmi onorevole sepoltura.
A GIUSEPPE D ARIMATEA –
Invitai anche Giuseppe d’Arimatea a fare lo stesso. Questi era compagno di Nicodemo e mio discepolo, ed anche lui era andato a domandare a Pilato il mio corpo con Nicodemo.
IL PIANTO DEL CREATO –
Andavano intanto crescendo le tenebre, oscurandosi vieppiù il sole: si scuoteva la terra, e tutte le creature insensate incominciarono a dar segno del loro dolore al ravvicinarsi della mia morte (1). I perfidi Giudei, gli Scribi e i Farisei, nel vedere oscurarsi il sole e scuotersi la terra, dicevano: Costui per tutta la sua vita ha operato da incantatore, e per virtù del demonio ha fatto molti prodigi; così anche nella morte va operando questi segni, facendo tutte per incantesimo. E ciò andavano dicendo, perché la gente non si rivoltasse contro di loro in favor mio, vedendo i segni mirabili che si operavano nella mia morte, dalle creature insensate. Quanta amarezza e dolore mi accresceva questa loro perversità, malizia ed ostinazione! Con tutto ciò non lasciai di invitarli con grande amore a venire per contemplarmi e vedere quanto pativo per la loro eterna salute; ma essi, duri ed ostinati, disprezzarono gli amorosi inviti, scacciando dai loro cuori ogni compassione che incominciava a nascere verso di me. E quelli che si trovarono sul Calvario, venivano sì, ma solo per bestemmiarmi.
AI PRESENTI –
Invitai tutti quelli che si trovavano presenti al Calvario, a venirmi a contemplare e rimirarmi attentamente. Vi venivano, ma di passaggio. Mi insultavano e mi schernivano, accrescendosi sempre più il mo dolore e l’amarezza del mio Cuore.
AI DUE LADRI –
Intanto furono posti ai miei lati i due ladri crocifissi, alquanto distanti dalla mia croce, i quali mi bestemmiavano ed insultavano (1). Li invitai con grande amore; e giacché anche essi erano vicini alla morte, bramavo che avessero goduto del frutto della Redenzione. I1 ladro che stava alla mia destra, si arrese all’invito amoroso, smise di bestemmiarmi, incominciando ad osservare la mia invitta pazienza e sofferenza fra tanti tormenti. Così, a poco a poco, si andò disponendo a ricevere nuovi inviti e nuovi lumi. Il ladro però che stava alla sinistra, non solo non si arrese all’invito; ma incominciò a bestemmiarmi ed a maledirmi maggiormente, in modo che il ladro che stava alla mia destra lo riprendeva. Ma il perfido, non si volle arrendere; volle morire come un disperato, ingiuriandomi sempre dicendomi: Se tu fossi il Figlio di Dio, mai libereresti da questi tormenti, ma perché sei un infame malfattore, non puoi liberare né te stesso, né me!
A TUTTI –
Invitai poi tutti i miei fratelli, dicendo loro: Venite tutti, venite a contemplarmi! Venite e vedete a che caro prezzo io ricompro le anime vostre! Venite e specchiatevi in me, vostro esemplare! Eccovi l’originale da cui dovete ricavare il modello del vostro vivere! E sappiate, che, se non mi imiterete, non entrerete dove sarò io. Il mio divin Padre vi rimirerà e vi riconoscerà per suoi figli, se vi vedrà simili a me, vostro fratello e vostro esemplare. E per questo sono posto su questo monte, affinché ognuno di voi mi veda, mi rimiri attentamente e mi imiti perfettamente. Ed allora vidi tutti quelli che sarebbero accorsi all’invito, mi avrebbero contemplato, ed avrebbero procurato di imitarmi, ricopiando in se stessi l’originale. E per costoro domandai risolte grazie al divin Padre, cioè: la fortezza nel soffrire, la pazienza nel patire, l’amore, la carità e tutte le altre virtù che io stesso praticai sul patibolo. E perché il divin Padre li avrebbe considerati come suoi figli e miei veri fratelli e seguaci, lo lodai e ringraziai da parte di tutti. Intesi sperò un grande dolore ed una più grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che, o non sarebbero accorsi ai miei dolci inviti, non volendomi riconoscere per loro Redentore, oppure, accorrendovi, mi avrebbero bestemmiato, oltraggiato e schernito, come gli empi Ebrei. Oh quanto, sposa mia, mi apportarono angustia e travaglio questi perfidi, ingrati e sconoscenti a tanti benefici, a tante grazie, a tanta carità, a tanto amore!
INVITO DI PREDILEZIONE –
Invitai ancora molti ad inchiodarsi alla croce ed essere crocifissi al mondo, col dedicarsi e consacrarsi tutti all’amor mio, facendo di sé un totale sacrificio ed olocausto al divin Padre, per mezzo dei tre voti di povertà, di obbedienza e di castità. Questi li invitai con un invito più amoroso, promettendo a tutti una grazia ed una assistenza particolare, dichiarandomi sposo amantissimo delle loro anime. E vidi tutti quelli che sarebbero accorsi all’amoroso e dolce invito, e come,io solo sarei stato tutto il loro tesoro, la loro con
solazione, la loro ricchezza ed eredità. A questi mi rivolsi con tutte le espressioni più cordiali del mio sviscerato amore; mi dichiarai di valere essere tutta la delizia dei loro cuori, e di far loro godere tutta la dolcezza del mio amore. E al divin Padre dissi: Padre mio, questa è la mia porzione più scelta, la parte più nobile. Con questi si prenderà il mio spirito le sue delizie. A questi comunicherò i segreti del mio Cuore. Questi avranno il privilegio di seguire dappertutto me, loro duce ed agnello immacolato. Perciò vi supplico di arricchirli delle vostre grazie, dei vostri doni sublimi. Rimirateli, o mio divin Padre, con grande amore, perché si mostreranno verso voi veri figli, e prenderanno in tutto la mia somiglianza, col soffrire ogni travaglio, pena e dolore, e saranno inchiodati alla croce e crocifissi con me. Perciò voi proteggeteli, difendeteli, assisteteli, date loro il dono della perseveranza e tutte le virtù in grado perfettissimo. Né permettete mai che si allontanino da voi, o che scendano dalla croce, alla quale volontariamente si sono inchiodati. Ed infine preparate loro una mercede ed un gaudio ben dovuto alla loro fedeltà, al loro amore ed alla servitù cordiale che vi faranno sino alla fine della loro vita. Udì con grande gusto il divin Padre le mie suppliche e le esaudì, promettendomi, con grande amore, quanto per essi egli avevo domandato. Ed io lo lodai e ringraziai, anche da parte di tutti loro. Vidi poi con mia grande pena ed amarezza tutti coloro che avrebbero ricusato l’invito e le grazie, che loro promettevo; ed intesi maggior dolore, nel vedere la pessima fine che avrebbero fatto, per non corrispondere alla dolce ed amorosa vocazione. Non lasciai di tornare di nuovo ad invitarli e chiamarli; ma, ostinati, vidi che avrebbero fatto sempre i sordi ai miei dolci inviti. Vidi anche le pene grandi che per essi sono preparate, ed anche per questo intesi dell’amarezza. Vidi poi, con la più aspra pena e dolore, tutti quelli che sarebbero accorsi all’invito ed alla vocazione, ma che avrebbero abusato della grazia, e tanto male avrebbero corrisposto; che in tale stato, sarebbero vissuti male, sì da servire di scandalo a tutti gli altri; vidi che le loro colpe sarebbero state assai più gravi, perché trasgredivano con tanta facilità le promesse ed i voti fatti al divin Padre, offendendolo gravemente. Vidi gli orribili castighi preparati a questi infedeli trasgressori, ed anche di questo intesi una grande amarezza. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai, per i meriti miei e per tutte le pene che soffrivo, di volersi degnare di illuminarli e richiamarli a sé, facendo loro conoscere il grave errore, col dare ad essi la sua potente grazia. Vidi che alcuni si sarebbero ravveduti, avrebbero fatto penitenza e sarebbero tornati a vivere santamente: di ciò resi grazie al Padre, e lo supplicai di dare ad essi il dono della perseveranza, e ad usare verso di loro la sua infinita misericordia. Ed il Padre si mostrò pronto a far tutto. Intesi però una grande amarezza ed asprissimo dolore, nel vedere la moltitudine di coloro che avrebbero abusato dei lumi, della grazia, dei dolci e replicati inviti, e che sarebbero rimasti nei loro gravi errori, e miseramente periti.
INVITA A CONSIDERARE I DOLORI DI MARIA – Invitai poi tutti i miei fratelli e seguaci a venire a contemplare i dolori eccessivi della mia diletta Madre, ed a compatirla nelle sue pene. E vidi, che molti vi sarebbero accorsi, l’avrebbero accompagnata e compatita nei suoi aspri dolori, ed avrebbero goduto della di lei protezione,e che la diletta Madre loro avrebbe compartito molte grazie. Anche da me sarebbero stati rimirati con grande amore, io avrei compartito loro grazie e favori sublimi. Vidi però, con mia grande amarezza, la moltitudine di quelli che sarebbero vissuti del tutto dimentichi dei suoi aspri dolori, restando perciò privi di molte grazie, specialmente della di lei particolare protezione. Bramavo molto che la mia diletta Madre fosse stata compatita nelle sue pene da tutti i miei fratelli, perché pativa nel vedere me, suo Figlio e Signore, in pene e tormenti; ma la causa delle mie e delle sue pene erano le colpe del genere umano: quindi bramavo che tutti la compatissero, perché tutti avevano parte nelle mie e nelle sue pene; ed ella con grande amore e generosità per tutti le pativa, cooperando alla Redenzione per quello che si apparteneva al grado di mia Madre, e compagna indivisibile di tutte le mie pene e dolori.
GESU’ RE Avendo invitato tutti a venirmi a contemplare e ad imitarmi, dissi in generale: Rimirate chi è colui che vi invita a contemplarlo e ad imitarlo! Osservate ciò che sta scritto sopra la mia croce: Gesù Nazareno, Re devi Giudei: Questa iscrizione è stata fatta dal Presidente Pilato, è vero, ma per decreto del mio divin Padre. Fui da Pilato chiamato Re dei Giudei, perché non capiva il mistero nascosto sotto tale nome; e perché anche i Giudei mi vollero crocifiggere, dicendo che io mi volevo fare loro Re. Ma il Padre ebbe un fine più alto ed a me dovuto: Re dei Giudei, e Re giusto. Jesus Nazarenus, Rex iustitiae, Rex iustorum. Incarnandomi divenni Rex iustitiae. Divenni anche Rex iustorum: quando venni al mondo per regnare nelle anime dei giusti, per essere loro Re, e condurli nel mio regno a regnare con me, cioè: a godere della stessa gloria e beatitudine di cui godo io, avendola loro meritata con la mia passione e morte. Vedete, dunque, dissi loro, che sono io che vi invito. Sono un Re giustissimo e rettissimo, e chi si appressa a me con cuore sincero ed umile, resterà giustificato. Non troverete in me alcun inganno o ingiustizia, come trovasi in altri perversi, che pretendono di signoreggiare le anime vostre; quali sono il demonio ed il peccato. Io sono vero Re di giustizia. Ma vedete che sto in un trono, dove alla giustizia prevale la misericordia; perciò fidatevi pure di me, che sono Re legittimo, sono un Re che posso darvi a godere un regno eterno di beatitudine. Sono Re dei giusti, ché regno nelle anime giuste. Beati coloro che hanno la bella sorte di avermi Re nelle loro anime! In questi non ardisce accostarsi altro Signore, che li possa ingannare e precipitare. Datemi dunque tutti, le vostre anime, acciò regni in esse, e siate da me governati e posseduti! O voi felici, avventurati, se udirete le mie voci, ed accetterete i miei inviti! Anche voi regnerete in terra, perché dominerete le vostre passioni; e poi regnerete anche in cielo per tutta un eternità. Ecco dunque il vostro legittimo Re e Signore! Ecco, chi vi ha ricomprati a costo di tante pene e della vita stessa! Osservate quanto grande è l’amore che porto alle anime vostre! Mentre godevo nel seno del divin Padre la stessa sua beatitudine, essendo una stessa cosa con Lui, scesi in terra a prendere carne umana, per redimervi dalla dura schiavitù di Lucifero e del peccato. Mi sono fatto vostro fratello, vostro Maestro, vostro esemplare, vostro cibo, vostro medico e medicina, per curare tutte le vostre infermità; vostro avvocato, vostro consolatore, difensore e liberatore, vostro Re. Riconoscetemi dunque per tale! E. non vogliate abusare di tanta bontà, di tanta carità, di tanta liberalità, di tanto amore! E sappiate che sono anche vostro giudice, e che da me dovete essere rettamente giudicati, puniti o premiati, secondo le vostre operazioni. State ben attenti! E sappiate che se non mi riconoscerete per vostro legittimo Re e Signore, e se non metterete in pratica i miei esempi ed i miei insegnamenti, mi sperimenterete giudice severo e giusto.
Dissi allora ciò a tutti, avendoli presenti alla mia mente. E vidi coloro che si sarebbero approfittati delle mie parole e dei miei dolci inviti, e che mi avrebbero riconosciuto per loro legittimo Re e Signore, e nelle cui anime io avrei regnato. Di tutti questi resi grazie al divin Padre, e lo lodai per la sua immensa carità ed amore verso le sue creature, per le molte grazie che avrebbe loro compartito. Intesi però una grande amarezza ed un asprissimo tormento e dolore, nel vedere la grande moltitudine di quelli, che non solo non mi avrebbero riconosciuto per loro legittimo Re e Signore, ma mi avrebbero tanto offeso ed oltraggiato, abusando di tanti benefici, di tante grazie, di tanta carità, bontà ed amore. Vidi che avrebbero riconosciuto per loro Re e Signore il demonio, e si sarebbero lasciati dominare dalle loro ree passioni, dal vizio, dall’iniquità, e che la superbia avrebbe avuto un grande dominio nel mondo. Vidi il culto che avrebbero dato ai falsi numi, e come il demonio, fierissima bestia, avrebbe signoreggiato, tirando tanti e tanti al suo partito. O quanto fu grande l’amarezza del mio Cuore! Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai con grande istanza di volersi degnare di illuminare tutti gli infelici, che con tanta facilità si sarebbero lasciati sedurre. Gli domandai ciò, in virtù degli aspri tormenti e dolori, che allora soffrivo. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di illuminarli, e di fare ad essi conoscere il loro inganno e il loro grave errore. Vidi inoltre che sarebbe stato pronto a dare a tutti la sua grazia, perché si potessero ravvedere; vidi, che molti si sarebbero ravveduti, e si sarebbero posti a seguire me, riconoscendomi per loro legittimo Re e Signore. Di questi resi grazie al divin Padre. Intesi però una più grande amarezza, nel vedere la moltitudine, quasi innumerevole, che sarebbe rimasta nella sua ostinazione e durezza, abusando di tutti i lumi, della grazia, e di ogni altro aiuto particolare, che il Padre con tanta carità ed amore avrebbe inviato. O quanto, sposa mia, arrivarono al sommo i miei dolori e l’amarezza del mio Cuore! Quando vidi, che molti della mia sequela, che mi riconoscono come loro Re e Signore, si sarebbero voltati contro di me, e negandomi empiamente, sarebbero stati a molti occasione di scostarsi da me, di abbandonarmi, e che questi sarebbero stati i più perfidi e crudeli nemici della mia Legge e del mio Nome, ah! per questo sì, che i miei dolori interni si accrebbero in modo che mi avrebbero dato la morte, se la divinità non mi avesse prolungato la vita, per farmi più patire.
È INSULTATO E SCHERNITO IN CROCE –
Stando poi così fin croce, soffrendo tutti questi dolori, alzavo alle volte gli occhi, e vedendo tutti i miei nemici che mi schernivano. Da qualunque parte guardassi, trovavo materia di dolore e di pene. Tutti mi insultavano, mi bestemmiavano, mi ingiuriavano. I più mi dicevano: Va’ ora, e chiama il demonio, o perfido stregone, acciò ti liberi dalle pene, come tu hai liberato tanti dalle loro infermità e dolori! Vedi se operavi per opera del demonio; hai liberato tanti e non puoi liberare te stesso. perché ora stai nelle mani della giustizia! Altri mi dicevano Se sei figlio di Dio, come tu stesso ti chiami, scendi dalla croce e ti crederemo. Ed altri ancora: Va’ ora, chiama tutti quelli che hai risanato e tutte le turbe che ti seguivano, acciò ti vengano a liberare dalle nostre mani! Vedi, come tutti ti hanno abbandonato? Perché sono arrivati a conoscere che sei un infame seduttore. Solo una pubblica peccatrice, la tua Madre e i tuoi parenti, si trovano presenti alla tua morte! Vedi come da tutti sei abbandonato e fuggito? Anche dai tuoi più intimi discepoli! O come tutti si sono avveduti della tua infamia e dei tuoi inganni; Altri mi dicevano Va’, ora, millantatore, disfa il tempio, e poi riedificalo in tre giorni, come ti eri vantato! Tacevo io, né mai dissi parola alcuna. E questi perfidi mi dicevano Dove sono andate la tua grande eloquenza, la tua dottrina, la tua attrattiva? Ora non sai più parlare, perché non hai più con te l’assistenza dei demoni. Tutte queste parole mi ferivano il Cuore, e mi facevano soffrire una grande amarezza, vedendo tanto oltraggiata, schernita e vilipesa la divinità, che sotto le spoglie dell’umanità stava nascosta (1).
Vedevo il divin Padre irato in atto di fulminare i perfidi sacrileghi. Ed io, gli dicevo: Ecco, o mio divin Padre, che io sono posto in mezzo, fra voi e l’uomo: perciò serva io di riparo ai castighi! Rimirate, o Padre, la mia sofferenza, le pene, i miei dolori e tormenti! Tutti ve li offro in sconto delle offese che ora ricevete e riceverete da tutto il genere umano. Si plachi dunque il vostro giusto sdegno, e si scarichi tutto il flagello sopra di me, perché sono pronto a soffrire tutto, ed a dare al vostro giusto furore tutta la soddisfazione. A queste parole si placava il divin Padre, ed io restavo il bersaglio delle pene.
Nel sentire le ingiurie e le bestemmie, che quei perfidi vomitavano contro di me, si rappresentarono alla mia mente tutti coloro che per seguirmi ed imitarmi, sarebbero stati dagli empi calunniati, insultati, ed oltraggiati: ne intesi una grande amarezza. E rivolto al Padre lo supplicai di dare ad essi la sua grazia, la fortezza e la virtù per soffrire tutto con pazienza, per amor del mio Nome, per sua maggior gloria e per profitto delle loro anime. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore. Di ciò gli resi grazie. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che non avrebbero voluto soffrire una minima ingiuria o parola di offesa; ed avendo io lasciato ad essi sì grande esempio di sofferenza, non mi avrebbero in modo alcuno voluto imitare. Perciò, rivolto al Padre, lo supplicai, per quella mia, sofferenza, di volersi degnare di illuminarli, facendo loro conoscere che devono anche in questo imitarmi perfettamente. Avendo sofferto tanto io, Re e Signore, per loro amore e per lasciare a loro gli esempi, devono anche essi soffrire per amor mio e per imitarmi, se vogliono essere partecipi degli onori e della gloria immortale che ho acquistato ad essi con tante pene. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti si sarebbero approfittati dei lumi e della grazia, soffrendo poi con pazienza le ingiurie, le derisioni, gli insulti ed ogni altro maltrattamento, che dalle persone cattive e perverse sarebbe loro stato fatto. Di ciò resi grazie al Padre e lo supplicai di continuare verso i medesimi coi suoi aiuti e con la sua grazia: Intesi poi una più grande amarezza; quando vidi il grande numero di quelli che di tutto si sarebbero abusati, non facendo conto alcuno dei miei esempi, della grazia, dei lumi ed aiuti, che avevo loro impetrato dal divin Padre. E molto più si accrebbe la mia pena ed amarezza, nel vedere che questi avrebbero dovuto poi soffrire, per un eternità, gli insulti, le ingiurie, i mali trattamenti e molti strapazzi dai demoni, negli eterni abissi, perché sarebbero andati sempre tanto lontani dai miei insegnamenti, non volendomi imitare in modo alcuno. Essi non sarebbero mai arrivati al possesso della gloria da me loro acquistata, perché non mi seguono per la via che io ho calcato e ad essi insegnato con tanta carità ed amore.
Sentiva la mia diletta Madre tutti gli improperi e gli scherni che facevano contro di me, e ne veniva trafitta dal dolore per le offese divine; ed anche da questa parte si accrescevano a me le pene, perché la vedevo tanto tormentata nell’anima. Lei conosceva che anche io per questo soffrivo dell’amarezza; e ciò le accresceva il dolore, in modo che Lei serviva a me di maggior pena, ed io a Lei di maggior dolore. Furono tante le ingiurie, i dispregi, gli scherni, gli improperi che ricevetti da tutto il popolo, mentre stavo in croce, che più non ne seppe ritrovare ed inventare la malizia farisaica, come anche la malizia delle furie infernali. Su questo monte, fui saziato di obbrobri e di scherni, e la fame e la sete che avevo di più patire, trovò un pascolo sufficiente ad estinguerla e renderla sazia appieno, perché furono molti e di ogni sorta: ed il contraccambio che io resi a questi perversi, fu di pregare il divin Padre di saziare le loro anime e riempirle di consolazioni e di grazie, ogniqualvolta, pentiti e ravveduti dei loro errori, fossero ricorsi a Lui. Ed il Padre si mostrò pronto a farlo; ed io stesso mi determinai di voler saziare ed inebriare del mio amore tutte le anime che, con cuore umile e contrito, fossero ricorse a me per il perdono, e si fossero poste a seguirmi con fedeltà e con buona volontà.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai inteso ciò che io operai stando in croce: come invitai tutti a venirmi a contemplare, e molti anche ad inchiodarsi in croce, e vivere crocifissi al mondo. Una di queste invitate sei tu, sposa mia; perché per mezzo dei voti ti sei inchiodata alla mia croce ed hai determinato di vivere crocifissa, e perfettamente imitarmi, come mia vera e fedele sposa. Sta’ perciò attenta nell’osservare perfettamente, quanto mi hai promesso. E per farlo, guardami attentamente sulla croce, e pensa che quello è l’originale, di cui devi ricopiare in te stessa un perfetto modello. Corrispondi agli inviti della grazia, per arrivare allo stato, al quale sei chiamata e destinata. Né vi porre alcun ostacolo con la tua incorrispondenza, altrimenti, misera te, perché essendo tanto favorita e graziata, devi di tutto rendere stretto conto. Ma te felice e beata, se corrisponderai e custodirai nella tua mente le mie divine parole, e metterai in pratica quanto io ti insegno! Sappi, che se ti corre l’obbligo di assomigliarti a me, come mia sposa, ti corre anche l’obbligo di mettere in pratica tutti gli insegnamenti che io ti do, come mia discepola. Perché quanto sono di maggiore scienza i maestri, tanto riescono virtuosi i discepoli. Quale dunque deve essere la virtù in te, che hai la sorte di avere sì buono e perfetto Maestro! Si paziente nel soffrire le ingiurie e gli scherni; e quando l’animo si vuol risentire, dà un occhiata a ciò che io soffrii stando in croce, e pensa a ciò che dissi e feci contro quelli che mi insultavano,bestemmiavano ed oltraggiavano. Allora vedrai come ti devi portare anche tu, come devi ricevere tutto in silenzio, e pregare per quelli che ti oltraggiano e scherniscono. Maria! sta bene attenta! perché io voglio che tu si mia perfetta discepola! E se tanta carità e tanto amore ho io per te, che sei creatura vilissima, quanta ne devi aver tu verso di me, che sono il Re della gloria ed il Padrone assoluto di tutto il creato? Come devi corrispondere a tanta carità, a tanta liberalità, a tanto amore? Infine, sta’ bene attenta a vivere in modo, che io possa prendere in te le mie delizie, regnando sempre in te, e tu possa continuare a godere delle grazie, che io con tanta liberalità e con tanto amore, vado partecipando all’anima tua. E regnando io in te, nella presente vita, puoi star certa, che verrai a regnar meco per tutta l’eternità nel mio Regno.
Delle sette parole che disse il Figliuolo di Dio sulla croce. Della conversione del ladro che stava alla sua destra, e di ciò che operò nel suo interno prima di morire.
PREGHIERA DI GESÙ IN CROCE –
Stando in croce, soffrendo tutti gli improperi e gli scherni che ho detto, non lasciavo di pregare il divin Padre per la conversione di tutto il popolo, che tanto mi insultava, specialmente per i due ladri che stavano in mia compagnia crocifissi, perché anche essi stavano soffrendo asprissimi dolori, ed erano in procinto di morire; bramavo che le loro anime avessero goduto il beneficio della redenzione. Perciò ne porgevo calde suppliche al Padre. Difatti non mancava il Padre di inviar loro i suoi lumi; avevano anche l’esemplare dell’invitta sofferenza.
CONVERSIONE DEL BUON LADRO –
Il ladro che stava alla mia destra si andava illuminando; già si era fermato con la mente a pensare come io soffrivo tutto con tanta pazienza. Ciò fece nel salire il Calvario, e dopo essere stato inchiodato sulla croce. Ma tutte le riflessioni erano di passaggio: perché poi anche lui si accordava con gli altri a schernirmi e ad oltraggiarmi. Furono però tante le riflessioni che fece sopra la mia sofferenza, che, alla fine, una si fermò nella sua mente. Illuminato dal divin Padre, conobbe chiaramente le virtù da me praticate sulla croce, e la mia invitta pazienza fra tanti scherni, ingiurie e patimenti. Rivolto lo sguardo verso di me, si mise a contemplare le mie pene. Vide il mio lacero corpo, che era tutto una piaga, e, stupito di tanta sofferenza, incominciò ad avere grande compassione di me. Perciò rivolto al compagno che mi bestemmiava, gli disse: Noi meritatamente siamo castigati e scontiamo i nostri misfatti, perciò, ben ci sta questo castigo. Ma quest’uomo, che tanto patisce, che male ha fatto, essendo innocente? Pur vedi con quale pazienza soffre tante pene! (1).
A queste parole, il ladro che stava alla sinistra, invece di rientrare in sé, incominciò ad infuriare di più, ed a maltrattare il compagno. Ed il ladro, che stava alla destra e mi aveva confessato innocente, ricevette un nuovo lume, e mi conobbe per vero Figlio di Dio. Fissati di nuovo in me gli sguardi, si pose a contemplarmi, e nello stesso tempo il suo cuore fu ferito da un grande dolore, sia per i suoi misfatti, come per le mie pene. Nel rimirarmi e contemplarmi attentamente, riconobbe in me la mia divinità, cioè, conobbe chiaramente esser io il Figliuolo di Dio; e lo credette fermamente.
LA PRIMA PAROLA –
Mentre tutto ciò si andava operando nell’interno del ladro ché stava alla mia destra, e il popolo mi insultava e bestemmiavo, facendo tutti a gara a chi più mi potesse schernire ed ingiuriare, specialmente gli Scribi ed i Farisei che si trovavano presenti e vomitavano contro di me bestemmie ed ingiurie esecrande, vedevo il Padre irato contro di loro, ed io lo supplicai ad alta voce, dicendogli: Padre mio, perdonate loro, perché non sanno ciò che si fanno (2). Questa fu la prima parola che dissi, stando in croce, cioè: pregai il Padre di perdonare ai miei nemici, che tanto mi oltraggiavano; e li scusai col dire, che non sapevano ciò che facessero.
Quantunque avessi pregato continuamente il Padre per essi, volli però infine farlo pubblicamente, ad alta
voce, perché ognuno mi udisse; e per lasciare l’esempio a tutti i miei seguaci, come devono comportarsi con chi li perseguita e li offende. Nello stesso tempo supplicai il divin Padre di volersi degnare di dare a tutti i miei fratelli lume e grazia di potermi imitare.
Si placò il Padre e si mostrò pronto al perdono, come anche a dare a tutti la grazia ed il lume da me richiesto. Vidi allora tutti coloro che si sarebbero approfittati del detto lume e della grazia, e di essi resi grazie al Padre. Vidi però, con mia grande amarezza, quanti se ne sarebbero abusati, e avrebbero domandato castigo e vendetta invece di perdono, ed avrebbero accusato e non scusato i loro nemici. Perciò, rivolto di nuovo al divin Padre, lo supplicai di dare a questi maggior lume e grazia. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti, e mi avrebbero imitato, pregando per i loro nemici e scusandoli. Di ciò resi grazie al Padre, supplicandolo di essere anche lui liberale nel perdonar loro le offese ricevute. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, ed anche di ciò lo ringraziai. Intesi però una più grande amarezza e dolore, nel vedere la moltitudine di coloro, che anche di questa nuova grazia si sarebbero abusati ed avrebbero sempre conservato sdegno e rancore verso chi una volta li aveva offesi, ed avrebbero sempre domandato al Padre castigo e vendetta contro gli offensori. Intesi maggiore amarezza nel vedere che essi non avrebbero ottenuto dal Padre il perdono delle proprie colpe, e che sarebbe caduto sopra di loro il castigo, che, con tanta ostinazione e perversità, bramavano cadesse sopra chi li offese. Del che restò il mio Cuore molto amareggiato.
Avendo inteso i Farisei, gli Scribi ed il popolo che stavano oltraggiandomi, la parola che io dissi al divin Padre in loro favore, presero a insultarmi e schernirmi maggiormente, gridando: Come? tu, infame, bugiardo, dici che non sappiamo ciò che facciamo, mentre sai molto bene, che ti conosciamo chiaramente per uno stregone, seduttore, malfattore ? Chiedi il perdono per te, che tanto male hai fatto, non per noi, che operiamo con giustizia, dandoti il castigo meritato!
A queste parole, dette con tanta sfacciataggine ed impertinenza, veniva ferito il mio Cuore da un aspro dolore, mentre il divin Padre si adirava molto contro di loro per le gravi offese che riceveva nella persona mia. Ed io di nuovo lo supplicavo del perdono per tutti i perversi, per tutti quelli che sarebbero vissuti male, e che ogni cosa avrebbero presa in male, cioè: che di tutte le grazie, da me loro meritate, si sarebbero serviti per maggiormente offendere il divin Padre.
Intese le mie parole la mia diletta Madre, ed anche lei mi accompagnò nella supplica. Ogni volta che proferivo le parole, parlavo al di lei cuore dicendole: Imitatemi, cara Madre, ed anche voi supplicate il divin Padre nel modo che viene supplicato da me. E la
Madre in tutto si mostrava fedelissima compagna.
LA SECONDA PAROLA –
Intese le suddette parole il ladro che stava alla mia destra, e già nel suo interno, convertito ed illuminato, sentendo che io supplicavo il Padre che perdonasse a quelli che mi oltraggiavano, si riempì di fiducia e di speranza, e disse fra di sé: Se con tanta carità,ed amore prega il suo divin Padre che perdoni a questi, che tanto l’oltraggiano, molto più posso sperare il perdono e la grazia io, che l’ho dichiarato innocente e lo credo vero Figlio di Dio. Animato da questo pensiero, confidando nella mia bontà e carità, rivolto a me, disse, con grande fede ed umiltà: Signore, ricordatevi di me, quando sarete nel vostro Regno.
Al quale subito risposi: Oggi sarai con me in Paradiso (1). Questo gli dissi subito, perché il divin Padre, mentre il ladro proferiva le suddette parole, gli donò il perdono ed il paradiso insieme.
Fatta da me la promessa al ladro, si riempì l’anima sua di consolazione. Difatti si trovò libero dal grave
peso delle sue colpe, e, ripieno della divina grazia, incominciò, meglio che poté, a lodare e benedire il Nome mio, ed a soffrire tutti i suoi dolori in sconto delle sue passate colpe. Si angustiava molto nel vedere la grandezza dei miei dolori, e capiva che lo li soffrivo per la salute delle anime, perché conobbe essere io il Messia promesso, che dovevo riscattare il mondo.
Lodai e ringraziai il divin Padre per i lumi e la grazia datti al buon ladro già convertita; lodai ed esaltai la divina Misericordia, che tanto liberale si era dimostrata verso di lui. Ciò lo feci anche da parte sua. Nella persona del ladro convertito vidi tutti i peccatori che si sarebbero convertiti ed avrebbero approfittato dei lumi divini e della divina grazia; e questi erano in gran numero. Per tutti, resi grazie al divin Padre, lodando la divina misericordia, che tanto liberale si sarebbe mostrata versa di loro. Per tutti domandai il dono della perseveranza nella grazia, e la pazienza in tutte le pene, che avrebbero dovuto soffrire, in sconto delle colpe commesse. Il Padre mi promise tutto. Intesi però una grande amarezza nel vedere l’ostinazione del cattivo ladro che stava alla sinistra, il quale tanto abusava dei lumi e della grazia. Nella persona del cattivo ladro, vidi tutti i peccatori ostinati, che sarebbero morti impenitenti, e che tanto avrebbero abusato dei lumi divini, della grazia e di tutti gli aiuti che il Padre, con tanta liberalità, avrebbe loro inviato. Ed oh, quanto grande fu il dolore e l’amarezza del mio Cuore! Adorai gli occulti giudizi del divin Padre, ed esaltai la divina giustizia, che si sarebbe compiuta sopra di loro; perché, abusando della divina misericordia, sarebbero infine arrivati a provare i rigori della giustizia divina.
COMMOZIONE DEL CREATO –
Mentre stavo così in croce, soffrendo asprissimi dolori e tormenti, seguitavano tutti ad insultarmi ed oltraggiarmi con parole e con gesti insolenti. Vi erano già le tenebre folte, in modo che appena mi potevano vedere: il sole si era oscurato e tutte le creature insensibili mostravano ira e sdegno verso i crocifissori ed il popolo ingrato e ribelle: tutte stavano in atto di vendicare le offese e la morte dolorosa del loro Creatore. Ed io pregavo il Padre di non permettere che cadesse sopra quel popolo alcun astro, offrendogli, in sconto delle loro gravi colpe, le mie pene ed i miei dolori. Ed il Padre tratteneva, per le mie suppliche, tutti i castighi e le vendette, che avrebbero fatto le creature insensate, specialmente la terra, che stava per aprirsi e subissar tutti.
I perfidi vedevano tutti questi segni, ed invece di ravvedersi del loro grave errore, e di riconoscere che uccidevano il loro Creatore e Redentore, si rivolgevano con più,crudeltà contro di me, dicendo che facevo tutto con arte diabolica, che ero un mago, uno stregone, che i demoni facevano comparire tali segni, e turbavano tutti gli elementi, perché si stava dando la morte ad uno, di cui essi si servivano per precipitare tante anime, dopo averle tirate al loro partito.
A tanta perversità ed iniquità non si smorzò la fiamma ardente, che divampava nel mio Cuore, e l’amore che avevo verso di loro, bramando sempre più la loro eterna salute. Perciò, quantunque mi oltraggiassero tanto, non cessai di pregare per essi e di scusarli presso il divin Padre.
IRA DEI DEMONI –
Stavano quivi i demoni tutti, infuriati per i segni che vedevano, e molto più per vedere la mia sofferenza e invitta pazienza fra tanti oltraggi, pene e dolori. Incominciavano a capire che potessi essere il vero Figlio di Dio, umanato, per riscattare il genere umano, e si andavano tormentando gli uni con gli altri, armati di rabbia; ma si andavano animando col pensare, che non era possibile che un Dio si fosse ridotto a tale stato. E si mettevano a tentare maggiormente tutti quelli che stavano sul Calvario per oltraggiarmi, acciò mi avessero sempre più schernito. Dicevano fra di loro Se questi non è il Figlio di Dio, darà alla fine in qualche atto d impazienza. Non è possibile che un puro uomo possa soffrire tanto, senza almeno lagnarsi. Perciò facciamo pure tutti i nostri sforzi per farlo cadere. Se è il Figlio di Dio, giacché ora non vi è più riparo, perché si vede che va morendo, sfoghiamo pure il nostro odio, furore e sdegno verso di Lui, giacché ora ci è permesso e lo possiamo, non essendoci alcuna forza che ci trattenga. E difatti, si posero come disperati, ad attizzare gli Scribi e i Farisei con tutto il popolo, suggerendo loro le più esecrande bestemmie, insolenze e scherni, che mai potesse ritrovare la l’oro malizia.
Tutto vedevo, sposa mia, e tutto soffrivo con invitta pazienza, non dando mai segno alcuno di sdegno o di vendetta, ma soffrendo tutto con grande amore e serenità di volto, il quale, benché fosse tanto deformato e contraffatto, pure si rendeva amabile a chi lo mirava con occhi di compassione e con buon cuore, come facevano Giovanni, la Maddalena, e le altre devote donne, le quali erano eccitate a più amarmi e compatirmi nelle mie pene.
IL DONO DELLA MADRE –
Stando già così tormentato ed avvicinandosi l’ora della mia morte, stabilita e decretata dal Padre, rimirai tutti i miei fratelli con occhi di compassione e d’amore e volli, nell’ultimo della mia vita, dare ad essi un segno dell’amore sviscerato, che a tutti indistintamente portavo, e questo segno fu di dare a tutti per loro Madre, la mia Madre stessa. Già avevo loro donato tutto me stesso; dopo di questo non avevo cosa più preziosa da dar loro della mia diletta Madre. E per mostrare ad essi l’amore che a tutti portavo, feci loro, anche di questa, un liberalissimo dono, spogliandomi di tutto per arricchirli. Perciò fissai gli occhi nella mia diletta Madre, e le parlai al cuore, dicendole: Madre mia! Voi sapete che siete la mia delizia e la cosa più cara che io abbia. Perciò voglio anche di questo privarmi nel mio morire, e lasciarvi per Madre a tutti i miei fratelli. Voglio spogliarmi di questa consolazione, e dichiararvi Madre di Giovanni, e nella persona di Giovanni intendo dichiararvi Madre di tutti i miei fratelli. Non temete però, se io non vi chiamerò col titolo di Madre mia, perché non per questo non sarete mia Madre, anzi, mi sarete doppiamente Madre, ed a me più cara e diletta, perché sarete anche Madre di tutti i miei fratelli, per i quali ho dato tutto il sangue, ed ora dà la vita morendo per essi. E per questo sarete da me amata e rimirata prima come mia Madre e poi come Madre di tutti i miei fratelli. Ma in questo punto del mio morire, mi voglio spogliare di questa consolazione, cioè, di chiamarvi Madre, e restar privo di tutto ciò che io possiedo, per donarlo ai miei fratelli, affinché vedano a qual segno sia arrivato l’amore che porto loro. Degnatevi voi dunque, o mia cara Madre, di ricevere tutti miei fratelli per vostri figli, e di praticare sempre verso di loro l’amore di vera Madre: tutti io ora vi raccomando; e vi supplico di non voler escludere neppur uno solo dal vostro materno amore, come io neppure uno solo escludo dal beneficio della redenzione.
A queste parole rispose la diletta Madre: Eccomi pronta, o mio Figlio e Signore, ad eseguire in tutto la vostra volontà. Di buon cuore accetto tutti i vostri fratelli per miei figli, anche questi stessi che vi hanno crocifisso, ed ora tanto vi oltraggiano. Sono pronta a fare verso di tutti l’ufficio di vera Madre. E se voi, Dio di immensa grandezza, non escludete alcuno dal beneficio della redenzione, perché chi vorrà potrà salvarsi, come potrò io, vostra creatura e Madre, escludere alcuno e negare ad alcuno il mio materno amore? Eccomi pronta ad abbracciar tutti: chiunque si accosterà a me con filiale amore, mi sperimenterà vera ed amorosa Madre, e mi avrà propizia in tutti i suoni bisogni, tanto spirituali come temporali. E giacché la vostra infinita bontà si degna di darmi a tutti per Madre, si degni ancora di udirmi ed esaudirmi in tutte le suppliche che vi porgerò, ed in tutte le richieste che vi farò a pro del genere umano. Ora io di nuovo accetto tutti per miei figli, e solo resta trafitto il mio cuore nel vedere che tanti e tanti abuseranno della detta grazia, non facendo alcun conto del mio materno amore, e non ricorrendo a me in tutti i loro bisogni. Ma con tutto questo non lascerò giammai di fare verso di essi, l’ufficio di Madre, ad imitazione vostra, che non lasciate di fare l’ufficio di avvocato presso il divin Padre, anche per questi, che tanto vi offendono. Degnatevi dunque voi, o mio Dio e Figlio diletto, di darmi tutte quelle prerogative, che si richiedono ad una, che essendo già stata graziata e privilegiata ad esser Madre vostra, sia ora eletta da voi per Madre di tutti i viventi.
A queste parole dissi: Voi, Madre mia, siete piena di grazia, ed in voi si trovano tutte le virtù e tutte le prerogative, perché possiate degnamente esercitare un tale ufficio. Ed io stesso, ora, vi ringrazio a nome di tutti i miei fratelli, dell’amore con cui vi degnate accettare l’ufficio di loro Madre. Rallegratevi, perché vedrete molti dei vostri figli regnare nella celeste Gerusalemme, e, se le vostre pene sono tante, nel vedere, per divina manifestazione, che tanti e tanti abuseranno e non faranno conto alcuno del vostro materno amore, siano anche grandi le vostre allegrezze, nel vedere che tanti e tanti vi saranno figli ed imiteranno i vostri esempi, onde a voi tanta gloria ne risulterà nel regno dei cieli, e ne resterà tanto glorificato il divin Padre. Allora la diletta Madre, unita con me, adorò, ringraziò e lodò la divina, beneficenza a nome di tutto il genere umano, per avergli dato me, suo Unigenito, per Redentore, e lei per Madre.
Passato tale ufficio con la diletta Madre, vidi tutti coloro che avrebbero approfittato di una grazia sì speciale, l’avrebbero imitata e riconosciuta per loro Madre, e come tale obbedita ed ossequiata. Di tutti resi grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza e dolore, nel vedere il numero grande di quelli, che avrebbero abusato di grazia sì speciale. Io avevo tutti già presenti alla mia mente, sia i buoni come i cattivi. Vidi anche quelli che l’avrebbero oltraggiata, seminando, con i loro scritti e detti, tante falsità contro di Lei. Rivolto al divin Padre lo supplicai di volersi degnare di mandare al mondo ministri fedeli, acciò avessero difeso l’onor suo, e fatto conoscere, con i loro scritti e detti, la sua integrità verginale e la sua divina maternità. Vidi, che il divin Padre l’avrebbe fatto con somma provvidenza, a beneficio di tutti i fedeli, ed a gloria della medesima. Di questo resi grazie al Padre, anche a nome di tutta la Chiesa. Vidi che in tutte le nazioni vi sarebbe stato chi l’avrebbe onorata e chiamata beata, per la sublimità del posto a Lei concesso, cioè, di essere stata eletta per mia vera Madre, e privilegiata sopra ogni altra pura creatura; e come da tutta la Chiesa sarebbe stata lodata e magnificata la sua purità ed immacolata concezione. Di tutto ne resi grazie al
Padre: preso da un impeto d’amore verso il genere umano, la dichiarai sua Madre, dicendole:
LA TERZA PAROLA –
Donna, ecco il tuo figlio accennandole la persona di Giovanni, e nella persona di Giovanni tutto il genere umano. Le accennai la persona di Giovanni, perché questo discepolo era onorato della nobile virtù e speciale prerogativa della purità verginale. Si doveva ad una Madre, vergine purissima, uno che fosse ornato di sì nobile virtù, affinché ognuno faccia stima di questa preziosa gioia della purità, e sappia che quanto più sarà puro e casto, tanto più sarà amato e riconosciuto per figlio, da questa purissima Madre. Né speri di godere la protezione di questa Madre ed il suo materno amore, chi vuol vivere immerso nell’impurità. Chi brama conservare o acquistare sì nobile virtù, ricorra a Lei, a Lei si appressi, che la troverà in suo aiuto.
Avendo io pronunciato le suddette parole, la diletta Madre chinò la testa e rimirò Giovanni, e nella di lui persona accettò di nuovo tutto il genere umano per figlio. Ed io, rivolto a Giovanni, gli dissi: Ecco la tua Madre, accennandogli la mia diletta Madre; ed il discepolo, pieno di consolazione ed anche di confusione, chinò la testa in auto di ossequiarla e riceverla per sua Madre. Intese consolazione per la grazia speciale che riceveva, e confusione per riconoscersi indegno di un tanto e sì sublime favore. Nella persona di Giovanni vidi che i miei fratelli l’avrebbero riconosciuta per loro Madre. Il diletto discepolo, nel pronunziar Io le parole, intese nascere nel cuore un filiale amore verso la diletta Madre, e di allora in poi l’amò sempre con amore di vero figlio, avendola prima rimirata, temuta ed amata come sua Signora e Madre del Messia. Allora egli si prese la cura specialissima di assisterla per tutto il restante della di lei vita; ed anche la dilettissima Madre rimirò poi sempre con materno amore, il diletto suo figlio Giovanni, arricchendolo dei grazie e speciali favori, specialmente di una particolare benevolenza, trattenendolo in sacri colloqui, parlando per lo più fra di loro dei misteri divini e della mia predicazione, passione e morte, ed insieme andavano liquefacendosi le loro anime in amore e dolore per le pene da me sofferte.
Nel proferire le parole alla mia diletta Madre, cioè Donna, ecco il tuo figlio, intesi una grande amarezza, perché soffrii, come se già fossi rimasto privo della mia diletta Madre. Questa pena ed amarezza la volli soffrire, per meritare la divina consolazione a tutti coloro, che, per disposizione divina, restano privi delle cose a loro più care. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai di volersi degnare di consolare tutti i miei fratelli nell’occasione in cui rimangono privi delle cose da essi molto amate. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto. Lo supplicai ancora di dare a tutti virtù e grazia da poter vivere distaccati dalle cose anche più sante, acciò, dovendo anche di queste restare privi, si uniformino alle divine disposizioni ed alla divina volontà. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e quanti si sarebbero approfittati della grazia. Del che resi grazie al Padre. Intesi però dell’amarezza, nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati.
Al proferire le suddette parole alla diletta Madre, cioè: Donna, ecco il tuo figlio, intese altresì la diletta Madre un grande dolore, perché intese in se stessa la pena, come se restasse priva di me. Ed in questa sua pena si uniformò alla divina volontà, e si unì con me nell’offerta che facevo al Padre. Intese anche nascere un materno amore verso tutto il genere umano; e quantunque l’avesse avuto anche per l’addietro, tuttavia allora nacque in lei un amore più intenso e cordiale, con un più Vivo desiderio della salute di tutti, rimirando tutti come suoi figli. E nel vedere quelli che tanto mi oltraggiavano, ne intese una più grande amarezza, perché li vedeva come figli di perdizione. Fece per questi una supplica premurosa al divin Padre per la loro eterna salute. Ma essi di tutto abusano; non già che la diletta Madre non facesse il possibile perché si ravvedessero e si salvassero.
La mia diletta Madre, ai piedi della croce, era guardata da molti, che rimanevano ammirati della sua fortezza e costanza, della modestia e sofferenza, in modo, che alcuni dicevano: Gran donna è questa! Fra tante pene ed obbrobri del figlio, non si risente, non si lamenta, non si scompone. Vedendo che era ammirata la virtù e la fortezza della mia diletta Madre, non la chiamai col nome di Madre, per privarmi dell’onore che mi poteva risultare, di avere una tale Madre, perché volli morire spogliato affatto, non solo della roba, ma anche dell’onore, dando con ciò esempio ai miei fratelli, che non solo devono vivere distaccati dalla roba, ma anche da ogni stima mondana. Di ciò ne porsi supplica al Padre, affinché si fosse degnato di dare a tutti lume per conoscere la vanità della stima e dell’onore del mondo, onde non ne avessero fatto alcun conto, ma avessero stimato solo l’onore e la gloria divina, ed il loro vero onore e ricchezza, che consiste nelle vere virtù (1).
L’ABBANDONO DEL PADRE –
Trovandomi fra tante pene ed angustie, spogliato affatto di tutto, privo anche della Madre, volli soffrire un abbandono ed una privazione assai più dolorosa e sensibile alla mia umanità ed al mio spirito, perché restai abbandonato anche dal Padre. Qui sì, che l’anima mia intese un asprissimo dolore e la mia umanità un incomprensibile tormento ed amarezza. Il divin Padre fece che la divinità, che stava ipostaticamente unita al mio spirito, sospendesse affatto ogni conforto che da quella gliene potesse derivare, e la mia umanità restò abbandonata adatto al dolore, alla pena, all’amarezza, senza alcun aiuto speciale che mi desse forza di poter soffrire tutti quegli aspri tormenti. Tale abbandono fu sì grande, che solo io che lo soffri, lo posso intendere. Non vi è mente, né umana, né angelica, che sia sufficiente a capirlo; perciò le mie pene non possono essere mai abbastanza comprese, perché non vi è mente che le possa penetrare.
Trovandomi in questo si grande abbandono, colmo di affanni, di dolori, di angustie, di amarezze, con smanie mortali, privo quasi di respiro, oh, quanto erano grandi, sposa mia, le mie pene! Allora 1’orribile tempesta di tante pene e martiri mi sommerse. Restando allagato in un mare amarissimo di tormenti, rivolgevo or qua or là gli occhi, per vedere se si trovava chi porgesse, alle mie grandi afflizioni, una stilla di conforto. Non vedevo che oggetti di pene. Si esasperarono i miei dolori corporali, lo spasimo delle piaghe delle mani e dei piedi; facevo alcuni movimenti per trovare qualche sollievo: tutto mi serviva di maggior cruccio. Già la testa non mi reggeva più. Incominciai a sentire gli orrori ed i terrori della vicina morte. Fra tanti miei spasimi e dolori mentali, non sentivo altro che bestemmie, improperi, derisioni, insulti; onde il mio cuore, trafitto dal dolore, stava al sommo amareggiato. I miei crocifissori si posero in faccia a me, a giocare le mie vesti, e dividersele fra di loro con scherno e derisione. Già si andava oscurando il lume dei miei occhi. Fra tante pene, si rappresentarono alla mia mente tutti gli affanni che avrebbero sofferto nell’anima coloro che stando in afflizioni, vengono anche abbandonati dal divin Padre,
che si sottrae ad essi, in prova della loro fedeltà ed amore. Ed io allora le sentivo tutte in me stesso, soffrendo gli abbandoni di spirito di tutte le anime giuste. Tutto offri al Padre, per impetrare ad esse la fortezza nelle suddette pene, ed anche la divina consolazione.
LA QUARTA PAROLA –
Essendo giunte al colmo le mie angustie, rivolto al divin Padre, esclamai: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (1) Lo chiamai due volte, affinché accorresse ad apportarmi qualche conforto. E questa supplica gliela feci anche a nome di tutti i miei fratelli; pensando che si sarebbero trovati anch’essi in sì grande afflizione. Non lo chiamai col nome di Padre, perché già mi ero di tutto privato, non avendo cosa alcuna che mai potesse apportar conforto. La parola di Padre apportava consolazione al mio spirito, e perciò anche di questo mi privai. Mi consideravo non più come vero Figlio di Dio, ma come obbrobrio degli uomini ed abiezione della plebe; e come se il Padre fosse irato verso di me, non ardi chiamarlo con tale nome, ma col suo nome proprio, cioè, di Dio. Dissi: Dio mio perché già ero suo, non essendo in me cosa alcuna che da Lui mi potesse separare; e tutto il carico dell’iniquità del genere umano, che mi ero addossato, non era mio. Anche di ciò ne porsi supplica al Padre, affinché avesse dato tanta grazia a tutti i miei fratelli, di vivere sempre in modo che non siano mai da Lui divisi o separati, onde con buona faccia passano dichiararsi suoi. Feci questa supplica al Padre a guisa di lamento, per insegnare ai miei fratelli di ricorrere a Dio nelle loro afflizioni, amorosamente lagnandosi di trovarsi abbandonati, affinché il divin Padre, con prontezza, porga loro aiuto e li consoli. E vidi tutti coloro che in questo mi avrebbero imitato, e per tutti supplicai il divin Padre di accorrere a porger loro conforto ed aiuto nelle loro gravi afflizioni e travagli. E vidi che il Padre l’avrebbe fatto con paterna amore, ed avrebbe goduto di sentirsi in tal modo pregare; che volentieri avrebbe inteso i dolci e cordiali lamenti di chi si trova in gravi travagli e in derelizioni. E per meritare ai miei fratelli le suddette grazie, mi contentai di restar privo di ogni conforto e di non avere consolazione alcuna, nell’ultima ora del mio vivere. Intesi però una grande amarezza nel vedere il grande numero di quelli, che nelle loro pene ed angustie, invece di ricorrere al divin Padre e seco lui amorosamente lagnarsene, si sarebbero dati in preda alla disperazione, e rivoltati contro il divin Padre, con audacia l’avrebbero oltraggiato e gravemente offeso. Per questi feci una supplica al Padre, acciò li avesse illuminati ed avesse fatto conoscere il loro grave errore. E vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume con la sua grazia; che alcuni se ne sarebbero approfittati, e, riconosciuto il loro errore, si sarebbero emendati: di essi resi grazie al divin
Padre. Fu grande però la mia pena ed amarezza nel vedere che molti si sarebbero di tutto abusati.
LA QUINTA PAROLA – Mentre stavo soffrendo tutti gli spasimi del corpo ed i travagli dello spirito, senza conforto alcuno, da tutti abbandonato, intesi una tormentosissima sete, sia nell’anima, per la salute di tutti i miei fratelli e per la gloria del divin Padre, come nel corpo, per essere del tutto esausto e consumato. Perciò alzai la voce, dicendo: Ho sete (1). Appena fu udita questa parola, i crocifissori presero l’amara bevanda, che prima mi avevano dato e che non avevo bevuto tutta. Attaccata ad una canna la spugna, inzuppata, me la porsero per ristoro alla mia grande arsura, con animo di più tormentarmi con quel pessimo liquore. Come difatti fu, perché essendo tutta la mia lingua inaridita, le fauci arse, le labbra e le gengive tutte ferite e péste, il pessimo liquore mi fece soffrire un grande tormento. E si appagò la sete che ancora avevo di più patire. Ardeva però il mio Cuore di una sete più grande che si compisse presto il mistero decretato dal divin Padre e si formasse, cioè, prima della mia morte, la Chiesa nello stesso mio Cuore, col mio sangue e con l’acqua. Sangue ed acqua che, dopo la mia morte, uscirono dal mio costato, quando fu aperto dalla lancia. Con ciò si manifestò a tutti il mistero che dentro il mio Canore si era operato e vi stava nascosto. E si manifestò dopo la mia morte, in segno che si sarebbe edificata la mia Chiesa col mio sangue e con l’acqua uniti insieme dall’amore che ardeva nel mio Cuore.
Avvenne dunque questa formazione nel mio Cuore, e ciò fu così: l’amarissimo liquore che mi fu dato, fu da me ricevuto con grande amore, e, arrivato nel mio petto, si purificò, addolcì, e divenne , per virtù del divin fuoco che vi ardeva, come limpidissima acqua, e quest’acqua, per divina virtù, entrò dentro il mio Cuore e vi si fermò; ed il sangue del mio Cuore si adunò tutto insieme con quell’acqua, e quivi si formò il mistero della mia Chiesa. Io vi misi, per parte mia, il sangue del mio Cuore, in segno del grande amore con cui vi contribuì, e gli uomini, per parte loro, vi posero l’amarissima bevanda, significata negli aspri tormenti che mi davano, e nella morte, non meno dolorosa che ignominiosa. Ma il tutto, accettato da me con tanto amore, divenne per loro un tesoro di grazie e di meriti. Ecco il mistero dell’amarissima bevanda: in essa gli iniqui non posero se non pene e tormenti alla mia persona, uniti alle scellerataggini ed iniquità delle loro coscienze perverse. Qui si manifestò il mio grande amore, perché, ricevendo nella persona mia tante pene e tormenti, mi servii di questi per preparare a tutti il dono della redenzione, mediante la mia morte, come, ricevendo l’amara bevanda, formai con essa, nel mio Cuore, la Chiesa, sommo beneficio per tutti. In questo formarsi della Chiesa nel mio Cuore, fu nascosto anche il mistero che l’uomo, così amaro per il passato a causa delle sue iniquità, significate nell’amara bevanda, per l’avvenire sarebbe divenuto capace di dare consolazione e dolcezza. Nella Chiesa, infatti, vi sarebbero poi state tante e tante anime che avrebbero amato, onorato e servito fedelmente il divin Padre ed avrebbero imitato me, loro Capo e Signore. Che, se io ho dato il sangue per la salute dell’uomo, egli deve cooperare alla propria salvezza. Non volli operare il mistero di edificare e formare la Chiesa con il mio sangue solamente, ma volli che vi fosse anche l’acqua, cioè, la parte dell’uomo. E quantunque la miscela fosse un amarissima bevanda, nel mio petto si addolcì e si purificò; e ciò si fece con mistero: per insegnare all’uomo che, se per l’addietro era stato molto amaro al suo Dio, per l’avvenire gli doveva e poteva essere dolce e gustoso, operando conforme ai miei esempi, ed offrendo al Padre le opere sue, unite con i miei meriti; ciò sarebbe stato di gusto e di gradimento al Padre.
Rivolto al divin Padre gli offrii la mia grande sete, e lo supplicai che, in virtù di tale offerta, si fosse degnato di perdonare a tutti i miei fratelli le molte offese, che gli avrebbero fatto con la loro intemperanza. Poi lo supplicai di volersi degnare di dare a tutti una sete insaziabile della sua divina gloria e della loro eterna salute. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di darla, e che alcuni se ne sarebbero approfittati, e con tutta sollecitudine avrebbero cercato, in tutte le loro operazioni, la gloria divina e la salute delle toro anime. Di questo resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che si sarebbero abusati della detta grazia: che in tutte le loro operazioni non avrebbero cercato se non la propria gloria e la stima mondana, di tutt’altro avendo sete, fuor che della propria salute eterna. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai di volersi degnare di illuminarli facendo loro conoscere l’inganno in cui si trovano. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare ad essi il detto lume, con gagliardi stimoli al cuore, ed alcuni avrebbero approfittato della detta grazia e si sarebbero ravveduti del loro errore. Per questi resi grazie al Padre. Intesi però una profonda amarezza nel vedere il grande numero di quelli che ancora ne avrebbero abusato e sarebbero miseramente periti. Lo supplicai anche di degnarsi di dare una sete insaziabile a tutti i suoi ministri e servi veri, della salute dei loro prossimi, affinché vi si fossero impiegati con tutte le loro forze. Lo pregai ancora di voler dare ad essi la sua grazia e gli aiuti particolari, acciò avessero conseguito il loro intento di salvare molte anime persuadendole, guidandole con la parola ed il buon esempio, sicché la sete insaziabile venisse appagata. Vidi che il Padre avrebbe dato loro la detta grazia; vidi il gran frutto che avrebbero riportato dalle loro fatiche, e le molte anime che per mezzo loro si sarebbero salvate. Di questo resi grazie al divin Padre. Fu molto grande però l’amarezza che soffrii nel vedere la moltitudine di quelli, che , ostacolando l’opera dei Sacerdoti, altro non avrebbero cercato che di togliere le anime dal dritto sentiero della salute, per condurle alla perdizione, con i loro detti contrari, con i loro cattivi esempi e persuasioni. Lo pregai ancora, che si fosse degnato di dare a tutti i miei seguaci una grande sete di patire, per più assomigliarsi a me nelle pene. Vidi che il Padre l’avrebbe fatto, e che molti ne avrebbero approfittato, cercando sempre nuovi modi di soffrire. Per questi domandai una grazia speciale, acciò nei loro patimenti, restassero consolati, ed avessero sempre l’aiuto della divina grazia. Il Padre me lo promise, e vidi che l’avrebbe eseguito fedelmente. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi una grande amarezza nel vedere la moltitudine dei fratelli, che sarebbero stati miei seguaci solo di nome, ma non di fatto, perché non avrebbero voluto mai soffrire cosa alcuna di penoso, ma sempre sarebbero andati in cerca di delizie e di comodi. Perciò pregai il Padre di illuminarli, e far loro conoscere l’errore in cui si trovano, stando tanto lontani dai miei insegnamenti. E vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, ma che pochi se ne sarebbero approfittati, volendo di più godere su questa misera terra, non curandosi di andare a godere i beni eterni, ai quali si arriva con 1’imitarmi nel patire e col negare a se stessi le soddisfazioni, che, apportando consolazione al corpo, danno detrimento all’anima.
PENOSA AGONIA –
Avendo rivolto tali suppliche al Padre, ed ottenute molte grazie per tutti i miei fratelli, si avvicinava la mia morte, ed io soffrivo una penosa agonia con smanie e sfinimenti mortali, aggravati da dolori corporali e molto più da dolori interni. Sentivo di andare mancando, abbattuta affatto la mia umanità. Non fu la mia tormentosa e penosa agonia come quella dei moribondi, che, storditi per la gravezza del male, non sentono tanto i dolori corporali. Io intesi tutti gli spasimi finché spirai, stando il mio spirito sempre in un tenore. Oh, quanto furono grandi, sposa mia, le mie pene ed i miei tormenti! Quanti gli spasimi ed i dolori! Tutto offrivo al divin Padre in sconto delle offese che riceveva ed avrebbe ricevuto dal genere umano. Supplicavo il divin Padre, ora che stavo per esalare lo spirito, di volersi degnare di riceverlo nelle sue mani, alle quali lo raccomandai.
LA SESTA PAROLA –
Ed alzata la voce dissi: Padre mio, nelle vostre mani raccomando lo spirito mio (1). Nello stesso tempo gli raccomandai lo spirito di tutti i miei fratelli, come cosa mia. In quest’ultimo della mia penosa agonia, chiamai il divin Padre col nome di Padre mio, affinché mi rimirasse con paterno amore, e nella persona mia avesse rimirato anche tutti i miei fratelli, che gli raccomandai con speciale amore, dicendogli Padre mio, rimirate me, vostra unico e diletto Figlio, e nella persona mia, rimirate, vi prego, tutti i miei fratelli. Rimirateli con paterno amore, in virtù dei tormenti che ora sto soffrendo, e dei patimenti che ho sofferto tutto il tempo della mia vita mortale. E per questi patimenti, vi supplico di avere compassione di loro, e di ricevere nelle vostre mani il loro spirito, quale io ora ve lo consegno e raccomando. Il Padre si mostrò pronto a ricevere nelle sue mani il loro spirito, ogni qualvolta glielo conseguivo. Perciò feci la supplica ad alta voce: per insegnare ai miei fratelli che devono raccomandare e consegnare il loro spirito nelle mani del divin Padre, perché egli è sempre pronto a riceverlo. E ciò non devono farlo solo in punto di morte, ma anche in vita, procurando di star sempre con lo spirito unito al Padre, come ne lasciai loro l’esempio. Manifestai ad essi più volte, che io facevo sempre tutto quello che era gradito al divin Padre, onde anche essi operino sempre ciò che è di gusto del Padre, se vogliono che egli riceva nelle sue mani il loro spirito. Ma vedendo che molti miei fratelli, per essere vissuti sempre lontano dal divin Padre, ed avendo seguito il mondo, il demonio e la carne, loro capitali nemici, non sarebbero stati ricevuti nelle mani del Padre, ma del nemico infernale, al quale sempre obbediscono, ne restai, oh quanto! amareggiato e trafitto dal dolore. Nel vedere che una cosa sì nobile, qual è lo spirito dell’uomo, l’anima ragionevole, dovesse essere preda dei nemici infernali, e sottrarsi a quel Dio, che l’ha creata per tanta sua gloria, le mie pene crebbero al sommo! Così nell’ultimo della mia agonia, stavo soffrendo asprissimi dolori nel mio interno, e spasimi indicibili nella mia umanità.
LA SETTIMA PAROLA –
In questo penoso stato diedi un’occhiata a tutta la mia vita passata, e vidi che si erano adempiute puntualmente le Scritture, cioè tutto ciò che di me era stato scritto e profetizzato: avevo adempiuto fedelmente la volontà del Padre da cui ero stato mandato, avevo sparso tutto il mio sangue e sofferto tutti i patimenti, il mio corpo era ridotto all’ultimo della vita, esausto e consumato, avevo già ottenuto dal Padre tutte le grazie necessarie per la salute di tutti i miei fratelli, e si era compita l’opera dell’umana redenzione, rimanendomi solo da spirare e mandar fuori lo spirito, per cui dissi: Tutto è consumato (1)
invitando con queste parole la morte, acciò si avvicinasse e separasse l’anima dal corpo. Nel dire queste parole, ebbi un vivo desiderio che anche tutti i miei fratelli le avessero potute dire nell’ultimo momento della loro vita, cioè: che ognuno di loro avesse adempita la volontà del Padre, operando come li obbliga il loro stato. E nel vedere che molti avrebbero operato contrariamente, ne intesi grande amarezza. Sicché sino all’ultimo respiro della mia vita, fui amareggiato e addolorato senza alcun conforto.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
Hai udito, sposa mia, quali furono le parole che dissi sulla croce prima di morire: procura anche in questo, di imitarmi in tutto il tempo di tua vita. In primo luogo scusai i miei nemici e pregai il divin Padre di perdonare ad essi. Il simile devi fare tu, come mio sposa fedele: scusare chi ti offende e pregare per essi. In secondo luogo promisi il Paradiso al ladro contrito, il quale mi confessò per vero Figlio di Dio e mi pregò di ricordarmi di lui. Il simile devi fare tu: cioè imitare il buon ladro, e con fede e confidenza andare spesso replicando: Signore mio e Sposo mio, ricordatevi di me, ora che siete nel vostro regno. E brama, e chiedi anche tu, di essere introdotta nell’eterna beatitudine. Non ti vergognare dei confessarmi pubblicamente, cioè, di operare in modo, che, ognuno che ti vede ē ti ode, creda che tu sei mia seguace e sposa fedele. In terzo luogo io consegnai la mia diletta Madre a Giovanni, col dirgli: Ecco la tua Madre. E prima consegnai Giovanni alla diletta Madre, dicendole: Donna, ecco il tuo Figliuolo. Ora così devi fare tu, quando tratti con i tuoi prossimi. Ricorda loro spesso che la Madre mia è anche loro Madre, e procura dal canto tuo, che ognuno la riconosca per tale, ossequiandola, invocandola, ed imitando le di lei virtù. Va’ spesso da lei, e con amore filiale dille: Ecco, SS. Vergine, la vostra figlia. Riconoscetemi per tale! e domandale tutte le grazie di cui ti conosci bisognosa. E quando la preghi per i tuoi prossimi, ancora dille: Madre nostra, questi sono vostri figli, da voi accettati, quando il vostro divin Figliolo ve li consegnò nella persona di Giovanni. Perciò, ricordatevi di loro, e fate loro sperimentare il vostro materno amore. E domandale con istanza e con filiale amore tutte le grazie di cui tu sei pregata e che tu conoscerai essere necessarie per la loro eterna salute. Procura di assomigliarti a lei nelle virtù, perché troppo disdirebbe il vedere la figlia dissimile dalla Madre. In quarto luogo, trovandomi in grandissimi affanni, abbandonato dal Padre, esclamai dicendo: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E tu impara nei tuoi travagli, nelle tue derelizioni, a ricorrere con fede al tuo Dio. Non ti lamentare con le creature, ma con un cuore amoroso e pacifico, lagnati col tuo Dio, perché ti lascia derelitta, mostrando brama di essere da lui solo assistita ed aiutata. Tutto dirai con serenità di spirito, con una totale uniformità al divino beneplacito, con fede, credendo che il tuo Dio verrà ad aiutarti, e consolarti. Né sia mai che tu ti vada lagnando con le creature, per ricevere da esse il conforto; ma solo col tuo Dio siano i tuoi amorosi e cordiali lamenti, in atto supplichevole, acciò si muova a consolarti. Hai udito, che io non feci mai questo lamento in tempo di mia vita, quantunque patissi tanto; ma solo in procinto di morte, trovandomi in estremi bisogni, per i gravi affanni e per le tormentose pene, che negli ultimi momenti soffrivo. Ora così devi fare anche tu; non voler essere sì facile a lagnarti per ogni minima occasione e piccolo abbandono, ma soffri pazientemente. Nelle cose gravi, parla al tuo Dio con dolore e ad esso raccomandati. In quinto luogo trovandomi del tutto arso ed assetato, come hai inteso, dissi: Ho sete, in atto supplichevole, acciò fosse dato qualche ristoro alla mia grande arsura. Anche tu, nelle necessità, domanda ciò che ti occorre, ma con umiltà e rassegnazione. E se ricevi cose amare e disgustose al senso, soffri con pazienza. Abbi anche tu una grande sete dell’onore del tuo Dio, della salute dell’anima tua e dei tuoi prossimi, di patire molto, per somigliarti più a me, tuo Sposo e Maestro; perciò, va replicando spesso: Sitio, Domine, sitio! e prega che si estingua la tua sete, con l’eseguirsi quanto domandi. In sesto luogo dissi: Nelle tue mani, o Padre, raccomando lo spirito mio. Così va’ ripetendo spesso queste parole in vita, acciò le abbia in mente in tempo di morte; e procura di star sempre unita al tuo Dio. Eseguisci prontamente i divini voleri, e procura in tutte le tue operazioni di assomigliarti a me, facendole con tutta la perfezione. Sii perfetta, come è perfetto il tuo Padre celeste! Procura in tutto e per tutto di operare da figlia, acciò tu, in punto di morte, con verità, lo possa chiamare tuo Padre, e consegnare nelle di lui mani il tuo spirito puro, come Lui te l ha dato. In settimo luogo dissi: è consumato. Così tu opera in modo da poter dire: Ho consumato tutta la mia vita in onore e gloria del mio Dio.
Della morte del Figliuolo di Dio. E di ciò che successe nel suo morire. E di ciò che operò nel suo interno.
ACCETTAZIONE DELLA MORTE –
Essendo arrivato l’ultimo momento del mio vivere in terra, rivolto al divin Padre, gli feci di nuovo un’offerta di tutto me stesso, dicendogli: Ecco, o mio divin Padre, che è giunto il tempo da voi decretato, nel quale debbo soggiacere alla morte. Perciò volentieri abbraccio questa pena, in soddisfazione dei peccati del genere umano, e per adempire i vostri decreti. Accetto volentieri la morte, e con la stessa uniformità con cui accetto la morte, accetterei anche di vivere in questi tormenti, fino alla fine del mondo, quando ciò a voi piacesse, fosse di vostra volontà e fosse anche necessario per la salute dei miei fratelli. Ma giacché a voi, o Padre mio, è in piacere che ora io muoia, e che non solo basta, ma sopravvanza di gran lunga quanto ho operato e patito per soddisfare la divina giustizia, per i peccati di tutti gli uomini, e per lasciare ad essi sovrabbondanti esempi, volentieri accetto la morte. Ed in quest’ultimo momento della mia vita, vi supplico di nuovo di volermi concedere tutte le grazie, che in tempo di mia vita, vi ho domandato per tutti i miei fratelli. Se in punto di morte non si nega grazia al moribondo, né gli si nega soddisfazione alcuna, che lecitamente richieda, molto più voi, o Padre di misericordia, concederete al vostro moribondo Figlio, quanto ora vi chiedo per i miei fratelli. Niente vi domando per me, perché voglio morire afflitto, abbandonato, addolorato, amareggiato, senza conforto alcuno; affinché voi, in virtù di tutte queste mie pene, diate conforto a tutti i miei fratelli, li consoliate nella loro ultima agonia e nella penosa morte. Perciò ora abbraccio volentieri tutte le pene che la morte fa soffrire agli uomini, onde in virtù di queste mele pene, venga ad essi raddolcita la grande pena della morte. Vi offro, o mio divin Padre, questa mia rassegnazione alla morte ed alle pene che con essa vanno accompagnate. Ed in virtù di questa mia rassegnazione, vi domando una totale rassegnazione per tutti i miei fratelli, acciò tutti si rassegnino ed abbraccino volentieri la morte, rimettendosi ai vostri divini decreti, ricevendola in pena delle loro colpe; e soffrano con pazienza tutto ciò che di penoso ha con sé la stessa morte. Promettetemi, dunque, o mio divin Padre, di dare a tutti questa grazia, che ora vi domando, in virtù di tutte le pene che ora sito soffrendo, e della morte stessa, che volentieri accetto, per obbedire a voi, mio divin Padre. Tutto mi promise il divin Padre; vidi che l’avrebbe eseguito fedelmente, e di tutto lo ringraziai. Intesi però una grande amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli che avrebbero abusato della detta grazia, perché avrebbero dato orecchio alle cattive persuasioni del demonio, che, in quest’ultimo momento, fa tutti i suoi sforzi contro le anime moribonde. Rivolto al divin Padre lo pregai di volersi degnare di abbattere la bestia infernale, affinché non prevalga contro le anime da me redente, e che in virtù della mia passione e morte, perdesse tutte le forze. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e coloro che fossero stati devoti della mia passione, si sarebbero serviti, in quell’ultimo conflitto, di arma sì possente, contro il fiero nemico, con l’offrire al Padre le mie pene ed i miei meriti; in tal modo il Padre avrebbe dato loro forze ed aiuto, debilitando le forze degli spiriti infernali. Di tutto resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere che molti si sarebbero lasciati vincere dalle tentazioni e persuasioni del nemico infernale, perché abituati in vita a non fargli resistenza, e ad eseguire tutto ciò che il nemico loro suggerisce, vivendo del tutto scordati della mia passione.
SI SPOGLIA DEI SUOI MERITI –
Mi spogliai poi affatto di tutti i miei meriti, donandoli ai miei fratelli, dicendo al Padre: Padre mio, ecco che ora, prima di spirare, fo un dono irrevocabile di tutti i meriti della mia vita, passione e morte, ai miei fratelli, affinché questi se ne prevalgano, in tutti i loro bisogni. Mirate, o divin Padre, il ricco tesoro che ora questi possiedono, e concedete loro tutte le grazie che vi domanderanno in nome mio e per i miei meriti divenuti loro. Il tesoro è infinito; perciò potrete essere soddisfatto appieno, tanto quando ve li offriranno in sconto delle loro colpe, come quando ve li offriranno per impetrare le grazie necessarie alla loro eterna salute. Voi, Padre mio, siete contento che io abbia fatto ad essi questo dono: resta ora che voi mi promettiate di dar loro tutto ciò che essi vi domanderanno per i miei meriti, già divenuti loro, per il dono totale che io ora faccio ad essi. Ed il Padre mi promise tutto ciò di cui lo pregavo, ed io lo ringraziai, e gli resi grazie a nome d i tutti i miei fratelli.
LA CORREDENTRICE E LA MADRE –
La mia diletta Madre, che penetrava ciò che stavo operando con il divin Padre a pro del genere umano, mi accompagnava nelle domande, offrendo anche Lei i suoi dolori ed i suoi meriti al divin Padre. Rivolta a me col pensiero, mi ringraziò a nome di tutti i miei fratelli, facendo per essi l’ufficio di amorosa Madre, perché vedeva, che allora non vi era chi fra loro mi riconoscesse e ringraziasse dei sì gran dono. Supplì per tutti i suoi figli, ed io rimasi appagato del ringraziamento e della gratitudine della diletta Madre, come se tutti i miei fratelli me ne avessero allora ringraziato e se ne fossero mostrati riconoscenti, restando anche il
Padre soddisfatto per l’ufficio che la diletta Madre faceva a nome di tutto il genere umano.
RINGRAZIA L’UMANITÀ SUA –
Mentre stavo operando tutto ciò col divin Padre, la mia umanità si ricoprì di pallore: gli occhi si incavarono, si affilò il naso, si rilasciarono tutte le mie membra, ed io sentivo le pene di morte. Prima di spirare ringraziai la mia umanità che sì fedelmente era stata compagna allo spirito: di quanto aveva patito con tanta allegrezza, di tutte le ignominie e le persecuzioni sofferte, della fame e della sete che tante volte aveva patito; dei lunghi viaggi fatti nella predicazione, dell’essere stata tante volte afflitta dal caldo e dal freddo e da tutte le intemperie dell’aria, delle molte fatiche sostenute nel predicare; di tutti gli strapazzi, ingiurie, calunnie, falsità ricevute dagli Scribi e dai Farisei e da tutto il popolo ebreo; della penosa agonia e sudore di sangue sofferto nell’orto del Gethsemani; del tradimento di Giuda e di tutte le percosse ricevute nella cattura; dell’esser lasciata sola, abbandonata da tutti, anche dai discepoli; delle ingiurie, battiture e scherni ricevuti nei tribunali; dei flagelli e delle spine con cui era stata tanto tormentata; della nudità sofferta, dell’ingiusta sentenza, essendo stata condannata come rea; del grave peso della croce, portata con tanto amore, del fiele gustato, dell’essere stata denudata ed inchiodata sulla croce, e di tutte le ingiurie ed improperi che aveva ricevuto; dell’esser stata sempre con tanta uniformità soggetta ai divini comandi. Di tutto la ringraziai, come compagna fedele, ed abitazione sì degna del mio spirito, promettendole, a nome del divin Padre, l’esaltazione e la padronanza sopra tutte le cose create, e la potestà, sia in cielo come in terra, quando di nuovo il mio spirito si sarebbe unito ad essa, per farla risorgere gloriosa. E siccome si era tanto umiliata ed abbassata sotto tutte le creature, ed anche sotto i demoni, soggiacendo alle loro tentazioni nel deserto, alle loro persecuzioni nella predicazione, al loro furore e alla loro vendetta nel tempo della passione, così, nel risorgere gloriosa, tutti sarebbero soggiaciuti al suo impero, non essendovi, né in cielo né in terra, cosa alcuna sopra di lei; solo Iddio, che a lei sarebbe stato ipostaticamente unito, come vi stava di presente.
SPIRA GESÙ –
Detto tutto questo, chinai la testa, per significare che accettavo volontariamente la morte, e chinando la testa, emisi lo spirito nelle mani del Padre, al quale l’avevo raccomandato. Intesi, nello spirare, la pena della separazione dell’anima dal corpo, volendo soggiacere a tutte le pene a cui sono soggetti gli uomini. Ciò feci per alleggerire, con le mie, le loro pene.
IL DOLORE DI MARIA –
Al mio spirare, la mia diletta Madre sentì la pena della morte che intesi io, come aveva inteso nell’anima sua tutte le altre mie pene. Ed il divin Padre fece il miracolo della sua potenza nel conservarla in vita, nel tempo stesso che soffriva le pene della morte, restando l’anima sua trapassata dal coltello doloroso, nel vedere morta la sua vita.
Prima di spirare, avevo parlato al di lei amante e addolorato cuore, licenziandomi di nuovo e ringraziandola di quanto aveva sofferto e patito per me. Ma questo lo feci molto di passaggio, per non affliggerla di più, essendo al sommo afflitta ed amareggiata. E per confortarla, l’ultima parola che le dissi fu, che sostenesse il fiero colpo con la sua solita generosità, che io sarei risorto il terzo giorno, e Lei sarebbe stata la prima a godere la mia presenza, e le glorie della mia risurrezione. Restò l’afflitta Madre con questa fede certa, e si confortò uniformandosi alla divina volontà.
IL PIANTO DEL CREATO –
Nella mia morte, si risentirono tutte le creature insensate. Si ruppero le pietre, si aprirono d sepolcri, tremò e si scosse fortemente la terra, si squarciò il velo del Tempio, si oscurò il sole, in modo che appena si vedevano gli uni con gli altri. Gli angeli della pace amaramente piansero, dando tutti segni di mestizia e di dolore, per la morte del loro Creatore. Solo i perfidi ed ostinati Farisei non fecero movimento alcuno, essendo i loro cuori più durai delle pietre. Molti però, che erano presenti, nel vedere tanti segni, si percuotevano il petto, dicendo: Veramente questi era il Figlio di Dio! e molti si convertirono (1). Tutti i miei discepoli, quantunque da me lontani, intesero, nel mio spirare, un grande dolore, e piansero la mia morte con amare lacrime. Tutti gli spiriti infernali, con Lucifero loro capo, conobbero allora che io ero il vero Figlio di Dio, ed intesero una forza insuperabile, che li sprofondò tutti negli abissi infernali, e pieni di rabbia e di furore, si tormentavano fieramente gli uni con gli altri, accrescendosi fra di loro le pene, per avere loro stessi cooperato alla mia morte, con l’attizzare gli Scribi, i Farisei e tutti i ministri di giustizia, ad inventare tanti modi. perché più mi avessero tormentato ed oltraggiato: onde erano allora costretti a soffrire tutta la pena del male che avevano fatto.
IL CUORE TRAFITTO –
Stando in croce morto, un soldato, per ben assicurarsi della mia morte, si appressò molto alla croce, e non sazio di avermi oltraggiato vivo, volle anche lacerarmi, morto. Questo fu il suo sentimento, benché fosse stato decretato dal Padre, che si dovesse aprire il mio costato e ferire il Cuore, dove stava nascosto il mistero della formazione della Chiesa, nel sangue e nell’acqua che quivi si conservava. Perciò il soldato mi aprì, con la lancia, il costato e mi ferì il Cuore; difatti ne uscì sangue ed acqua. Restò il soldato illuminato nel vedere il mio costato aperto, e nel vedere uscire quel sangue e quell’acqua misteriosa, e si convertì, confessandomi vero Figlio di Dio (2).
LA DEPOSIZIONE – Intanto Giuseppe e Nicodemo, che chiesero il mio corpo a Pilato, avvenuta la mia morte, vennero subito al Calvario, portando geli unguenti per ungere il mio corpo, e la sindone per involgerlo.
Deposero il mio corpo dalla croce, e lo diedero in seno alla diletta Madre, la quale lo rivide tutto, lo ripulì del sangue e degli sputi, e tutti, unitamente, lo rimirarono e contemplarono con amare lacrime. Baciarono le piaghe, specialmente Maddalena, che si disfaceva in pianti e sospiri ai miei piedi. Avendo aggiustato tutto, mi condussero al sepolcro.
Quivi composto, mi adorarono unitamente tutti, specialmente la diletta Madre, che più di tutti, trafitta dal dolore, non sapeva staccarsi da quel corpo, al quale aveva dato del suo più puro sangue, per formarlo. Fatte le funzioni solite, si chiuse il sepolcro, ed ognuno partì, colmo di affanno e di dolore (1).
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA –
ECCO, o sposa mia, che è terminata la prima opera, ossia, la prima parte della mia vita che ti faccio scrivere, ed è terminata con la mia morte. Perciò questa morte non parta mai dalla tua mente, e questa continua rimembranza ti serva di stimolo a morire affatto a te stessa ed al mondo. E quando le tue passioni si risentono, tienle a freno, sinché arrivino a morire affatto, in te. Ti sarà questo di pena; ma se rifletterai che un Dio è morto per te, facilmente ti riuscirà di morire affatto a te stessa ed a tutte le cose, e di far morire tutte le tue passioni. Procura in tutto il resto di tua vita di vivere sempre unita a me, affinché nel tempo della tua morte, consegni lo spirito nelle mie mani, come feci io, consegnandolo nelle mani del Padre mio, al quale fui sempre unito. Abbi una particolare devozione alla mia passione e morte penosa, e non passi giorno in cui tu non ne faccia qualche meditazione, e procura, in tutto e per tutto, di imitarmi. Approfitta degli insegnamenti che ti ho dato, come buona discepola, e sposa fedele. Abbastanza sei stata da me istruita, perciò altro per ora non mi resta da dirti: se farai quanto ti ho insegnato, ti prometto che sarai meco eternamente beata.