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Ven. Lug 4th, 2025

BIBBIA / INVECCHIARE SECONDO DIO

Una visione realistica della vecchiaia.
La nostra cultura rifiuta ormai il concetto di invecchiamento: il mito per tutti è l’eterna giovinezza, e in fondo si pensa che, grazie alla cura del proprio fisico, ad una corretta alimentazione, ad una vita sportiva, e soprattutto ai progressi della moderna medicina, si giungerà a sconfiggere il decadimento senile e la stessa morte. Ma nella Bibbia la vecchiaia è considerata con estremo realismo, senza mitizzazione e senza disperazione. L’anzianità talora è vista come premio di Dio, come coronamento di una vita retta (Sl 92,15); come Abramo e gli altri patriarchi amici di Dio, il giusto muore “sazio di giorni” (Gen 25,8), dopo una vecchiaia felice e florida. La stessa morte è spesso un momento sereno, vissuto nella dignità e nella benedizione riconoscente, attorniati dai figli (Gen 49).
Ma la Bibbia ci presenta anche con oggettività la vecchiaia come tempo di decadimento e di malattia. Qoelet ci parla della senescenza con crudo ma sereno disincanto, descrivendo con precisione e ironia, in un brano bellissimo, il degrado corporeo e il rallentamento psicofisico progressivo dell’anziano (Qo 12,1-7). Talora la morte è persino attesa come una liberazione: “O morte, è gradita la tua sentenza all’uomo indigente e privo di forze, vecchio decrepito e preoccupato di tutto!” (Sir 41,1-2).
Ma anche nel momento della limitazione e del dolore, il credente si affida con semplicità a Dio: “Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla giovinezza… Non mi respingere nel tempo della vecchiaia, non mi abbandonare quando declinano le forze… Ora, nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi” (Sl 71,5.9.18).
La vecchiaia, momento di crisi di Fede, di Speranza e di Carità
L’anziano deve considerare la sua situazione come tempo in cui Dio può operare prodigi inattesi per il credente, come fece donando in tardissima età un figlio ad Abramo e Sara e a Zaccaria ed Elisabetta: la fede può rendere la vecchiaia un tempo di fecondità.
Ma in ogni caso la vecchiaia è sempre il tempo di una salvezza che arriva solo da Dio. In questo senso è anche da comprendere lo strano messaggio della Genesi che ci dice che Dio abbreviò la vita dell’uomo, che nei patriarchi antidiluviani arrivava fino ai novecentossessantanove anni di Matusalemme: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni” (Gen 6,3). Di fronte alla pretesa dell’uomo di autosufficienza, di divinizzarsi da solo (si pensi al mito dei giganti di Gen 6,4 o al peccato della torre di Babele di Gen 11…), Dio pone la vecchiaia, con il suo decadimento, come segno di una salvezza che giunge solo per la grazia di Dio e non per gli sforzi degli uomini.
Prepararsi. Fin dalla giovinezza
Non è facile invecchiare bene. Occorre prepararsi “fin dalla giovinezza” (Sl 71,5), curando la propria spiritualità, operando una vera e propria ascesi per arrivare alla Sapienza interiore. L’uomo a qualunque età è chiamato da Dio a convertirsi, a liberarsi dall’”uomo vecchio…, e rivestire l’uomo nuovo” (Ef 4,22-24). Ad ogni età bisogna farsi “come bambini, per entrare nel Regno dei cieli” (Lc 18,17). Gesù rivela il segreto della vera eterna giovinezza: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio” (Gv 3,4-6).
Ma soprattutto quando il tempo passa, quando svaniscono gli entusiasmi iniziali della conversione o della gioventù, il credente è chiamato alla perseveranza, virtù quanto mai oggi in crisi. Gesù insiste sulla necessità di perseverare nella Fede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8): la venuta del Signore si realizzerà al momento della nostra morte, e Gesù sa che con il passare degli anni, con l’accumularsi delle prove, delle disillusioni e delle ferite della vita, è sempre più difficile confidare in lui e a lui affidarsi.
Anche la Speranza spesso viene messa in crisi: spesso l’anziano è un brontolone, sempre pronto a criticare tutto ciò che vede e a rimpiangere i tempi passati. Molte volte anzi si insinua la depressione: l’età anziana è quelle che ha maggior incidenza di suicidi rispetto a tutte le età della vita.
La crisi dell’amore
Ma pure la Carità tende a diminuire. Gesù afferma che all’”inizio dei dolori…, per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato” (Mt 24,8-13). È vero: quando incominciano le prove, le difficoltà, le malattie, spesso si affievolisce il nostro slancio di amore. Anche Pietro sa che quando si va verso la fine della vita, la dimensione che va più in crisi è proprio l’amore: quando “la fine di tutte le cose è vicina, soprattutto conservate tra voi una grande carità” (1 Pt 4,7-8). Andando avanti negli anni di vita cristiana, l’attenzione più grande deve proprio essere quella a perseverare nell’amore. È la grande sfida dell’invecchiare da cristiani: in un’età in cui si è portati a chiudersi in se stessi, preoccupati delle proprie malattie e del proprio declino, occorre più che mai coltivare la capacità di restare aperti agli altri, nell’ascoltarli e nel servirli.
Imparare a mendicare
Gesù aveva detto a Pietro: “”Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”… E detto questo aggiunse: “Seguimi”” (Gv 21,18-19). Dobbiamo imparare la sequela del Signore anche in questo portare la croce dietro di lui, nell’età difficile in cui si deve, come diceva il cardinal Martini, “imparare a mendicare”. Ma anche quando viene il tempo in cui la nostra vita dipende sempre più dagli altri, non dovremmo mai perdere la gioia cristiana, anzi diventare capaci, diceva Martini, di “godere di questo fatto”, di quella spogliazione e umiliazione che Gesù ci chiede chiamandoci alla logica della Croce che prelude la Resurrezione (Mt 16,25), del chicco di frumento che solo morendo porta molto frutto (Gv 12,24).

Carlo MIGLIETTA 

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