Nello sviluppo della persona la tappa dell’invecchiamento e della terza età è l’ultima. Oggi essa si presenta più precoce e più lunga che nel passato. L’età media delle persone infatti si è alzata e in Italia si è attestata attorno ai settantotto anni per gli uomini e a oltre gli ottanta per le donne. Più che mai quindi c’è oggi il dovere di invecchiare bene e vivere in modo significativo questa fase della vita.
Con Romano Guardini vogliamo chiederci “se la vecchiaia sia proprio soltanto la conclusione della vita, dopo la quale non viene più nulla, oppure se la vecchiaia abbia un senso proprio, e se non abbia, forse, persino un senso buono e profondo” 2.
1.La posta in gioco: integrità o disperazione
Non è bene, e non corrisponde a verità, considerare la terza età come un tempo di perdita o di progressivo decadimento. Questo periodo della vita anzi lancia una sfida alla nostra capacità di crescita. Se la terza età non è un periodo di sviluppo, si corre il rischio di trascorrerla nella depressione e/o nella disperazione, sentendosi finiti, dimenticati, insignificanti, incompresi e alla fine inutili.
Dice Eric Erickson, che ha studiato in modo approfondito la psicologia evolutiva della persona, che la “principale antitesi e l’ultima sfida dell’età senile” è il dilemma “integrità oppure disperazione”3 . In altre parole chi invecchia è chiamato all’ integrità, ossia a completare lo sviluppo della sua personalità in modo coerente con il suo passato integrando il tutto nell’esperienza della terza età. Se questa operazione riesce, egli acquisisce la saggezza, ossia una conoscenza esperienziale della realtà e della vita. Questo è il dono caratteristico dell’anziano, il meglio di sé che pu lasciare come eredità agli altri. Se invece questa operazione non riesce, egli finisce per vivere faticosamente la sua vecchiaia e rischia di cadere nella disperazione.
Diciamo subito che è del tutto normale sentire la paura d’invecchiare: questa paura viene alimentata dalla nostra società e consolidata dalla pubblicità che privilegia “il giovane e il bello”. Così vediamo molti anziani che si chiudono su di sé e finiscono per mettere sotto il moggio la lampada della saggezza acquisita nel corso della vita.
Altrettanto normale e necessario è “fare il lutto” (in inglese to grieve), sentire cioè e accettare in modo cosciente e libero la sofferenza provocata dal distacco e dalle molte perdite che caratterizzano questa tappa della vita: l’uscita dalla vita attiva, la fine della giovinezza e della prestanza fisica e l’inizio della fase “inferma”, la conclusione di molte relazioni interpersonali compromesse dalla morte di familiari e colleghi, la fine della fase produttiva (del lavoro) con il pensionamento e la conseguente perdita
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della propria autonomia sociale. Sono queste alcune delle perdite che devono essere assunte coscientemente e liberamente accettate dall’anziano.
Oggi siamo consapevoli, più che in passato, della necessità di crescere durante e verso la terza età, e non solo di caderci dentro. Bisogna dunque prepararsi e preparare questa tappa. L’invecchiamento comporta dei problemi biologici e fisiologici, psicologici e spirituali che producono delle crisi esistenziali. L’anziano arrivando alla terza età sente sorgere in sé di nuovo (o forse per la prima volta?) delle domande ineludibili: Chi sono io? Che senso ha la mia vita? Come ho passato gli anni che ho vissuto? Come posso vivere bene i prossimi, ultimi anni?
Come ogni crisi esistenziale, anche questa non si pu superare in modo valido se non attraverso un rinnovamento dell’interiorità. Questo vale per tutti, perché a nessuno è stato dato il permesso di vivere la vecchiaia in tono minore, quasi fosse data il permesso di esser mediocri. Sul tavolo di un anziano, un santo prete, ho trovato una scritta: “Qualcuno da amare e qualcosa da fare”. Questo potrebbe essere un programma per invecchiare bene e passare fruttuosamente la vecchiaia.
Ma i religiosi dovrebbero avere anche altre ragioni, di tipo spirituale e ascetico, per vivere con generosità e entusiasmo l’ultima tappa della vita, che completa il cammino spirituale della loro consacrazione e li introduce alla visione di Dio nella comunione eterna con Lui. Scrive il Papa Giovanni Paolo II ai religiosi: “L’età avanzata pone problemi nuovi, che vanno preventivamente affrontati con un oculato programma di sostegno spirituale”. La terza età nel contesto della vita consacrata offre all’anziano “l’opportunità di lasciarsi plasmare dall’esperienza pasquale, configurandosi a Cristo crocifisso che s’abbandona nelle mani di Dio fino a rendergli lo spirito … in un atto supremo d’amore e di consegna di sé” 4 .
2.Il processo di invecchiamento
2.1.Tre modi di invecchiare 5
Per iniziare la descrizione del processo di invecchiamento possiamo notare che esistono varie maniere di invecchiare che variano per il loro risultato finale.
C’è un primo modo ideale che tutti sognano sia il loro. Sono le persone che invecchiano bene, quelle con le quali tutti sono disposti a vivere. La loro maniera di essere anziane è dichiarata da tutti “invidiabile”: Sono degli anziani che vivono sereni, riconoscenti, pieni di fiducia e di sentimento, lucidi e responsabili, senza eccessivi timori della morte. Sono persone che soffrono, ma che non pretendono che tutti pensino a loro, che non fanno pesare la loro sofferenza, anzi, sono esse a preoccuparsi degli altri. Purtroppo non si deve credere che questa sia la norma, anzi! E’ il sogno di molti, ma non è la norma per molti 6
C’è un secondo modo, il più comune, di invecchiare che consiste nel subire l’invecchiamento. Molti anziani non riescono ad accettare la realtà di una vita segnata dalla malattia o addirittura dall’handicap o dalla diminuzione delle proprie capacità di lavoro, di relazioni, di sopravvivenza. Sono stati traumatizzati dall’arrivo della pensione e sentono come una minaccia terribile l’idea della fine. Hanno passato una vita nel lavoro e non hanno mai trovato il tempo per se stessi, per riflettere, per riposare in pace. Ora sono obbligati a passare dal lavoro turbinoso al riposo e non riescono ad accettarlo. Per loro la pensione è stata una sofferenza, non sanno che fare, è un riposo forzato e doloroso. Vivono in una ribellione costante, anche se non lo dicono a nessuno, oppure in una crescente depressione. I tentativi autolesionisti non sono rari, soprattutto se l’inattività è combinata con la solitudine; si chiudono nella loro sofferenza, si aggrappano a piccole cose che funzionano da droga o da evasione, diventano duri, acidi, ostili a tutto, e tutti cercano di sfuggirli. Questo viene ad aggravare la loro solitudine, mettendo in moto un pericoloso circolo vizioso.
C’è anche una terza maniera di invecchiare che è propria di chi nega oppure rifiuta il processo di invecchiamento, facendo finta – se fosse possibile – di non essere arrivati alla vecchiaia. Essa è propria di coloro che non vogliono credere all’invecchiamento e perci nascondono a sé e agli altri il loro decadere truccandosi, vestendosi e vivendo come fossero ancora giovani. Godono dei complimenti, e non fanno la tara alle espressioni di convenienza: “Non si direbbe che Lei ha ottant’anni! Come li porta bene! Non li dimostra proprio!”. Ci credono e per un po’ sono su di giri, fino a quando rimettono i piedi a terra. Ma allora stanno ancora più male e in questo modo accumulano ferite e frustrazioni sempre più dolorose e profonde. Sono delle persone che – senza volerlo – si coprono di ridicolo. Evidentemente è un errore (che viene commesso, pur senza volerlo, sia da chi induce in queste illusioni come da chi si lascia indurre in esse!) consolidare questa maniera di fare, che pretende di ignorare o rifiutare la propria condizione. E’ molto meglio accettare la propria realtà e cercare di lasciarsi interpellare nella verità e dalla verità, per darsi delle nuove ragioni per vivere e continuare a crescere, per accettare la vecchiaia come qualcosa di nuovo e di valido.
2.2.L’invecchiamento psicologico-spirituale e i suoi sintomi
Non entriamo qui nel campo, che è specifico dei medici e che è abbastanza facile trovare nei libri sulla terza età. Diamo anche per conosciute le riduzioni e limitazioni che avvengono sul piano biologico nel corso del processo di invecchiamento. Da sole richiedono una serie di attenzioni che costituiscono già un’esigente forma di ascesi (alimentazione, movimento, cura di sé)7 . Intendiamo invece esplorare il processo di invecchiamento proprio della terza età (che inizia intorno ai 60-65 anni) che comporta un processo d’invecchiamento a livello psicologico e spirituale il quale pu concludersi bene o meno bene a seconda dei casi.
Una vecchiaia felice è segnata dai valori della serenità e dell’accettazione di sé e degli altri, dell’interiorità e della pace, della tenerezza e della compassione e infine della saggezza. Quando questi valori non riescono ad affermarsi troviamo invece il prevalere di altri sentimenti che è bene conoscere e analizzare.
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Il primo di essi è la depressione senile: conclusa la fase attiva, l’anziano tende a sentirsi inutile, diventa quindi apatico, con la conseguenza di perdere la propria autostima e finisce spesso per lasciarsi andare a qualsiasi espressione senza più controllarsi e senza sentirsi responsabile delle sue azioni e reazioni.
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La solitudine accompagna spesso l’anziano. Non si tratta di quella solitudine che è costitutiva dell’uomo per cui uno si trova inevitabilmente solo davanti alle decisioni più importanti, ma di quella solitudine che isola la persona e la fa sentire sola e abbandonata proprio da coloro da cui s’attenderebbe di essere invece amata. E’ la solitudine di chi non sa più dialogare con il proprio mondo “che non è più quello di una volta”. Questo isolamento viene dalla mancanza di attività, dal trovarsi soli per lunghe ore della giornata, dall’essere spesso in compagnia esclusivamente di altri anziani. Allora nel cuore dell’anziano fa capolino una domanda seria e pericolosa per le sue conseguenze: “Servo ancora a qualcosa a qualcuno?” oppure: “C’è ancora qualcuno cui io interesso?”.
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La paura e la sensazione di non essere più autosufficiente e neppure padrone di sé e dei propri atti, sono un terzo sintomo che viene consolidato dalla solitudine e dal silenzio. Paura della malattia, dell’abbandono, della dipendenza, e soprattutto della morte. Spesso la paura genera l’aggressività nei confronti di chi sta attorno, frutto di impotenza, umiliazione e bassa stima di sé. Altre volte, inconsciamente spinto dalla paura e dall’aggressività, l’anziano diventa improvvisamente capriccioso e testardo. Guardando bene da vicino queste reazioni “strane”, si noterà che esse sono un modo, maldestro, ma reale, di far notare la propria presenza e la volontà di essere se stesso.
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La rabbia e il rancore accumulati nel corso della vita e finora assorbiti grazie alla normalità della vita, possono venire a galla nella terza età. La rabbia si pu riferire alle occasioni perdute, agli sbagli e ai fallimenti, ai torti subiti e ai peccati commessi nel corso della vita; la rabbia pu essere rivolta a sé, alla propria storia, ai propri vicini e perfino a Dio. E’ necessario trovare il modo di verbalizzare questa rabbia e di esprimerla in qualche modo cercando il contesto migliore, perché altrimenti essa si trasforma in un processo distruttivo che peggiora la condizione dell’anziano e non gli consente di liberarsi e trovare quella pace che è necessaria per passare bene gli ultimi anni.
2.3.Le strategie per superare gli aspetti negativi dell’invecchiamento
Per reagire a questi aspetti negativi dell’invecchiamento che abbiamo appena descritto, l’anziano deve darsi delle nuove motivazioni valide per la propria esistenza. Si tratta di un cammino che dovrebbe essere stato avviato già nelle fasi precedenti della vita, ma che in ogni modo deve essere sviluppato all’arrivo della terza età.
Va detto che spesso non è possibile attendersi molto, ma qualche passo è sperabile e, quanto meno, l’anziano dovrebbe essere consapevole delle strategie da mettere in atto durante questo processo. Esse sono le seguenti.
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Mettere le radici della propria esistenza in valori duraturi e non effimeri (successo negli affari,
carriera, bellezza, prestanza fisica, capacità di lavoro ecc.) non legati solo al fare, avere, potere e godere, ma all’ essere della persona, perché solo questo permane quando il resto viene meno. Non sarà il caso di ricordare che Colui che possiamo amare e che ci toglie dall’isolamento è una persona reale e vicina?
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Trovare pur dentro i propri limiti oggettivi e soggettivi un ruolo o un impegno significativoper sé e, possibilmente, utile gli altri. In caso contrario l’anziano perde ogni ragione per la propria esistenza, si chiude sempre più su si sé e si isola. Pur tenendo conto dei suoi bisogni, deve cercare di togliersi dal centro per rivolgersi agli altri mettendo al loro servizio la maturità e la saggezza in cui pu crescere fino alla fine.
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Mantenere quanto possibile la propria autosufficienza, ossia la capacità di autoregolarsi, di essere autonomo nelle decisioni e nei bisogni e di organizzare il proprio tempo libero. L’anziano non dovrà farsi servire che quando è strettamente necessario, né cercare chi lo sostituisce in tutto, neppure per motivi di migliore organizzazione, pulizia e ordine. Sarà necessario cercare per l’anziano l’ambiente adatto a lui e alla sua situazione, un ambiente che lo stimoli costantemente e non gli permetta di cadere nell’insensibilità e nell’apatia.
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Ripercorrere la propria vita in rendimento di grazie e con senso critico, ma riconciliato. Non servirebbe a nulla fare questo esercizio con un atteggiamento rattristato o aggressivo, come uno che voglia a tutti i costi redimere o cambiare il passato per mettervi ordine, per ricercare una giustizia autogiustificatoria. L’atteggiamento corretto è invece quello di chi riconosce e abbraccia tutto ci che è avvenuto come parte della propria storia e della sua verità. Norberto Bobbio suggerisce all’anziano: “Concéntrati. Non dissipare il poco tempo che ti rimane. Ripercorri il tuo cammino …E’ un’attività salutare” 8 .
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Accettare l’idea della morte come una realtà che è stata sempre presente nella vita, fin dal giorno della nascita. L’anziano non deve permettere alla morte di arrivargli addosso all’improvviso, ma deve sapere viverla in prima persona, non come un nemico, ma qualcosa che fa parte della sua vita. Solo così i giorni che gli restano da vivere possono essere vissuti nell’ umiltà, nella tenerezza e nella gratitudine invece che nella paura, nella rabbia, nell’aggressività e quasi come una condanna.
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Elaborare una spiritualità, ossia un cammino di valori atteggiamenti e soprattutto motivazionispirituali per percorrere la terza età. Non sembri eccessiva quest’affermazione. Ciascuno di noi si prepara un cammino di valori o di disvalori secondo i quali poi vive la sua vita. Ma su questo ritorneremo più avanti, perché è un aspetto qualificante del processo di invecchiamento, specialmente nel caso di persone consacrate a Dio.
3.Il cammino psicologico per raggiungere la saggezza
Per invecchiare bene bisogna attivare e coltivare una serie di certi atteggiamenti di tipo psicologico. Seguiamo quelli suggeriti da uno psicologo americano, Robert Peck 9 , che sembrano rispondere adeguatamente alle sfide poste dalla crescita e dallo sviluppo dell’io anziano:
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Ricercare la duttilità emotiva evitando l’impoverimento emotivo.
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Promuovere la duttilità mentale evitando la rigidità mentale.
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Rinnovare le relazioni superando la sola dimensione sessuale.
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Valorizzare la saggezza invece di valorizzare la forza fisica.
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Giungere alla saggezza, all’attenzione, alla compassione. 10
3.1.Cercare e promuovere la duttilità emotiva
Il primo atteggiamento da acquisire è la duttilità emotiva, la capacità di mantenersi flessibili nelle proprie emozioni per accettare i necessari distacchi nel corso dell’età media e della terza età senza essere ogni volta schiacciati e, in qualche modo, frantumati dagli avvenimenti. L’età adulta infatti è segnata dal verbo “lasciare” e “abbandonare”. Perci bisogna abituarsi ad abbandonare certi legami affettivi forti, propri dell’età adulta e dell’età di mezzo (legami affettivi profondi che non possono più essere mantenuti, impegni personali assunti e onorati fino ad ora in modo molto esigente), ma che non sono più viabili, e prepararsi invece a stabilire nuovi legami più sciolti, meno esigenti.
Non si tratta certamente di cancellare dal proprio cuore gli affetti, ma di togliere loro quella
carica emotiva che potrebbe essere troppo pesante ed esigente. Neppure si tratta di allentare gli impegni della propria vita, ma di viverli più pacificamente e con maggior serenità.
Se l’anziano non acquisisce questa duttilità, corre il rischio di irrigidirsi e di diventare conseguentemente molto fragile, di fare un crollo psicologico ogni volta che viene meno qualcuno o qualcosa che è oggetto del suo amore, sia esso un parente, una persona cara, il lavoro, oppure ogni volta che accade “qualcosa di nuovo” nella vita. L’anziano deve decentrarsi11 , non permettere che tutto ricada su di lui. La novità deve coinvolgere senza travolgere.
In positivo l’anziano deve sviluppare nuovi legami, una nuova maniera di interessarsi agli altri e al loro bene senza impegni troppo rigidi, ma in modo costruttivo e vario. Il bisogno di continuare ad essere una persona attenta e sensibile, è uno dei punti centrali elaborati da Eric e Joan Erikson in Vital Involvement in Old Age (Coinvolgimento vitale nel corso della vecchiaia), un libro che hanno scritto insieme per spiegare come vivere fruttuosamente la terza età. Essi sottolineano il bisogno di sviluppare una “seconda generatività” (grand-generativity, in relazione con la parola inglese grand-parents, i nonni), ossia una “seconda” paternità/maternità, cioè una nuova forma di attenzione che sostituisce l’impegno della paternità/maternità fisica. Da anziani si diventa un “genitore che invecchia” per figli ormai adulti, e quindi un nonno/a che sarà il babysitter dei nipotini, un vecchio amico fidato, il compagno di conversazione (quando si è capaci di ascolto …) e il consigliere di chi sta vicino.
Per quanto diversi dai ruoli sociali e dagli impegni interpersonali precedenti, questi nuovi ruoli permettono di stabilire altre relazioni che impediscono di diventare quelle zitelle o quegli scapoloni acidi e incalliti, vittime dell’egoismo e dell’impoverimento emozionale, che tutti detestano. Questa è la finalità della duttilità emotiva: mantenere un cuore di carne che batte e che si lascia emozionare ancora, anche se non pu e non vuole più essere travolto dai sentimenti.
3.2.Promuovere la duttilità mentale
Il secondo atteggiamenti che l’anziano si deve proporre di acquisire è la duttilità mentale, un nuovo modo di usare e offrire le proprie conoscenze e l’esperienza accumulata nel corso della vita precedente mantenendo nello stesso tempo su di esse una prospettiva distaccata. Questa distanza, voluta e coltivata, porta alla flessibilità mentale, ad accettare il diverso, a relativizzare le idee e le sensibilità personali, a non assolutizzare i propri desideri, il proprio punto di vista, i sogni e le speranze, le paure e le ansie liberandosi da un modo di pensare prefabbricato che alla fine impedisce di accettare e ascoltare gli altri.
L’anziano, per vivere sereno e non cadere nelle trappole della vecchiaia, dovrebbe cercare di non attaccarsi testardamente alle sue idee e ai suoi giudizi. Gli gioverà molto ricordare che, ad eccezione dei valori immutabili della sua vita, molte convinzioni e valutazioni cambiano, e che ciascuno (soprattutto chi è più giovane di lui) ama fare la propria esperienza prima di credere o cercare quella degli altri. Dovrà anche ricordare che le opinioni mutano nel tempo e che nella vita il vero e il falso, il bello e il brutto, il bene e il male non si trovano distinti in modo così chiaro da escludere del tutto il loro contrario. La realtà di ogni giorno non si divide in “bianco o nero”, chiaramente distinti, ma presenta piuttosto delle ampie zone di “grigio” che lasciano sconcertato chi vuole chiarire tutto sulla base di una rigida logica matematica e cartesiana. Questo sconcerto è sentito soprattutto da chi è stato formato dai suoi studi teologici alle affermazioni dogmatiche dei principi.
Nelle loro ricerche i coniugi Erikson hanno constatato che degli anziani, richiesti di confrontare il loro nuovo io e il suo modo di fare, con quello di quando erano giovani, l’hanno descritto come “più tollerante, più paziente, più aperto, più comprensivo, più compassionevole, e meno critico”; hanno affermato di non essere più eccessivamente impressionati dagli avvenimenti, di essere ora capaci di “vedere entrambi i versanti” di un problema, di sentirsi coinvolti da problemi che in passato avevano ignorato, e di avere punti di vista diversi dal passato.
Questa è la duttilità mentale che gli anziani devono cercare e sviluppare. Essa è una delle componenti della sapienza dell’anziano invecchiato bene, che sa mettere a servizio degli altri la propria esperienza. Ovviamente non tutti gli anziani raggiungono una tale duttilità, anzi certi mostrano una notevole tendenza al dogmatismo e all’unilateralità, ad una rigidità mentale che urta e irrita coloro che li avvicinano o che devono convivere con loro. Ma questo è appunto il rischio di chi non invecchia bene.
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3.3.Rinnovare le relazioni personali per sfuggire al rischio dell’isolamento
Il terzo atteggiamento che caratterizza un cammino di invecchiamento regolare e fruttuoso consiste nella capacità di riequilibrare le tensioni e le dinamiche della energia sociale/sessuale in modo da poter continuare a godere i piaceri dell’intimità interpersonale di cui tutti, in armonia con i diversi stati di vita, hanno bisogno.
Con ci affermiamo che, invecchiando, l’anziano non finisce per diventare asessuale o non dovrebbe cancellare le sue pulsioni sessuali, il suo bisogno cioè di relazione e di comunione. L’anziano invece continua a sentire il bisogno dell’amicizia e dell’intimità interpersonale, continua a sentire il piacere sensuale e la tendenza all’attività sessuale, e fa bene a mantenere un livello di attività sessuale compatibile con gli impegni assunti.
Come è necessario che un anziano sposato si renda conto che la qualità sessuale di una relazione di intimità prolungata subisce con l’età dei cambiamenti, così chi si è impegnato nel celibatario per il Regno di Dio deve ricordarsi che il cammino di crescita del suo celibato continua anche arrivando alla terza età. E i frutti, che normalmente saranno proporzionali all’impegno posto nella prima parte della propria vita, possono essere dei frutti di inattesa intimità con le persone e con Dio.
Sarà bene ricordare ai celibatari come agli sposati che l’obiettivo della terza età non sarà quindi di cercare a tutti i costi una vita di relazioni come quella della età di mezzo ed ancora meno come quella della prima età adulta, ma di elaborare e potenziare altre forze psico-sociali di comunicazione e comunione, compatibili con la nuova situazione, per compensare i cambiamenti prodotti dall’età.
Per certi anziani abbandonarsi all’onda dei ricordi li aiuta a ritrovare una nuova tenerezza 12 . Come per le persone coniugate l’intimità coniugale è sostituita da un crescente livello d’intimità con i figli adulti o altri membri della famiglia, così gli anziani celibatari dovranno ricercare nuove forme di reciprocità, che permettono di sviluppare una rete di amicizie attraverso le quali esprimono la loro naturale preoccupazione per il bene degli altri, ai quali si avvicinano con fiducia e sincera attenzione.
Per tutti, sposati e celibatari, dovrebbe nascere un nuovo tipo di relazione interpersonale segnato dalla tenerezza, dall’accoglienza e dalla compagnia (> cum-panis, il compagno di pellegrinaggio) e, in una parola, dalla gratuità.
3.4.Valorizzare la saggezza più che le forze fisiche contro il rischio dell’inerzia
Nel processo di invecchiamento il quarto atteggiamento da acquisire consiste nel fare spazio all’ interiorità e nel dare preferenza all’uso delle forze interiori (virtutes in latino) del cuore (tenerezza e saggezza) piuttosto che all’uso della forza fisica 13 . Si tratta di passare dalla rapidità e tempestività d’intervento proprie della giovinezza alla ponderatezza dell’età matura senza scadere nell’inerzia o nella passività. In realtà l’anziano si trova ad essere progressivamente costretto (ma lo deve accettare volonterosamente) ad attenuare e ridurre i propri ideali (i sogni) circa il lavoro e i suoi risultati fino a sapersene astenere. “Ci che distingue la vecchiaia dall’età giovanile e anche da quella matura, è il rallentamento dei moti del corpo e della mente” 14 . O egli accetta tale rallentamento o diventa ansioso e ridicolo. Egli deve imparare ad andare adagio e a riposare. Ma questa disposizione d’animo non è facile acquisirla all’ultimo minuti. E tuttavia se non ci riesce a fare questo adattamento alla nuova situazione, ma resiste caparbiamente alla sua sorte, ne ricava solo frustrazione e vergogna: gli sarà infatti impossibile continuare a mantenere gli standard delle tappe precedenti.
L’anziano va incoraggiato ad vincere tentazioni e a superare atteggiamenti giovanilistici e fuori tempo per proporsi dei nuovi ideali e degli obiettivi possibili e in armonia con la nuova situazione. Dovrebbe essere aiutato a mirare ad altri obiettivi: a diventare, per esempio, consigliere di una persona più giovane invece di voler essere ancora responsabile di tutto; ad accettare volentieri un ruolo subordinato invece di pretendere di essere sempre in primo piano, davanti agli altri. Non è facile accontentarsi di fare il secondo specialmente per chi è stato in posizione di autorità. Ma solo se l’anziano accetta questi ruoli secondari, permetterà agli altri di emergere e di affermarsi. Tirarsi da parte è quindi un atto di amore verso gli altri.
Questo coincide con le conclusioni di Erikson: l’anziano permette agli altri di prendere cura di se stessi e lo deve sentire e volere come un atto di sollecitudine e di amore per gli altri. Questo è il tempo in cui l’anziano pu offrire accoglienza e guida ai più giovani (per i religiosi è il tempo di fare il “padre spirituale”) a condizione di aver sviluppato il senso dell’accoglienza e della paternità di cui abbiamo parlato a proposito della flessibilità emotiva. Mentre invecchia, l’anziano pu allargare, grazie ai sentimenti di compassione e di solidarietà, il suo mondo interiore, e raggiungere una più ampia “capacità” spirituale nella quale pu far crescere la saggezza che ha accumulato.
3.5.La sintesi della terza età: attenzione, compassione e saggezza
Nella proposta di Peck, ci sono altri atteggiamenti o passi che devono essere tenuti presenti: essi portano a superare l’eccessiva preoccupazione per se stessi per giungere all’attenzione, alla compassione e alla saggezza che dovrebbero caratterizzare l’anziano che invecchia bene.
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Anzitutto l’anziano deve superare l’esagerata preoccupazione per sé e per il proprio benesseree l’eccessiva importanza che la nostra cultura attribuisce al corpo e all’apparenza giovanile per valorizzare invece l’interiorità e quegli elementi essenziali che fanno di lui una persona di carattere e di bellezza interiore. Non è questa la grazia che Dio gli concede nel corso della terza età? In vista di questo obbiettivo l’anziano dovrà fare uno sforzo cosciente non per negare, ma per andare al di là dei problemi legati al decadimento delle forze fisiche, alla perdita di bellezza del corpo. Dovrà invece interessarsi di ci che gli sta attorno, del mondo e delle persone che vivono oltre i limiti della propria sofferenza fisica. Questo impegna l’anziano a prendere una giusta cura del suo corpo, senza pretendere miracoli impossibili o cure palliative, pronto a riconoscere ed accettare l’inevitabilità della morte fisica e di quello che viene dopo.
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In secondo luogo l’anziano dovrebbe cercare di allargare i confini di se stesso che, a causadell’esperienza passata, spesso coincidono solo con il lavoro. E’ il momento di espandere i propri interessi. Si capisce che lasciare il proprio lavoro e abbandonare quello status sociale, per raggiungere il quale ha lavorato duramente per tutta una vita, pu essere causa di sofferenza. Tuttavia l’anziano deve ricordare che ha ora davanti a sé altri compiti e ambiti possibili. Egli pu trovare una diversa (e forse più ampia) realizzazione di sé come consigliere dei più giovani, oppure sentirsi ed essere nonno/a dei più giovani, o assumere servizi di volontariato nel campo della cultura, del servizio civile, della politica, della religione o del sociale. La terza età pu essere infine la stagione opportuna per sviluppare aspetti della propria personalità non sviluppati nel corso degli anni attivi: ci sono degli anziani che hanno scoperto una vena pittorica, poetica, artistica, letteraria, collezionistica, ecc. che mai avrebbero immaginato e che viene provvidenzialmente a riempire il loro tempo libero. E il numero di questi possibili hobbies è limitato solo dalla volontà di mettersi alla ricerca di alternative e dalla volontà di crescere.
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L’ultima sfida proposta da Peck, il superamento dell’io, è la più impegnativa, ma nello stesso tempo anche la più stimolante. Essa invita l’anziano ad allargare gli spazi interiori della sua persona per includervi la morte e il mondo di là. L’anziano deve essere aiutato a considerare e accettare la realtà della morte, come la “perdita” del suo io individuale e separato per entrare in una vita senza confini né di tempo né di spazio e in una comunione con l’umanità intera. Non è certo un passaggio facile ed ancor meno spontaneo. esso richiede di passare per una vera “notte oscura” andando al di là della preoccupazione narcisistica per la propria sopravvivenza. Ma questo – e solo questo – consente all’anziano di accettare la morte con quella serenità che nasce dalla certezza che, grazie ai figli, alle amicizie, all’aiuto e ai consigli che ha dato, l’anziano si è costruito un ambito e uno spazio di vita più vasto di quanto potrebbe comprendere qualsiasi io personale.
Questa triplice sfida è stata ripresa ed ampliata nell’opera di Erik e Joan Erikson, che abbiamo citato sopra. Essi, che continuarono la loro ricerca fino oltre gli ottant’anni, testimoniano ed affermano che il processo di formazione e di crescita dell’identità prosegue fin nell’ultima fase della vita ed è segnato dai valori dell’attenzione e della saggezza che non si limitano alla cerchia stretta del proprio prossimo, ma che si allarga fino ad estendersi all’universo.
Fino all’ultimo giorno della sua vita, la persona è chiamata ad allargare l’ambito della “seconda paternità” di cui abbiamo accennato sopra (2.1), fino a far emergere quella che oggi si chiama la personalità ecumenica o anche la “personalità ecologica” (“ecological selfhood”). Questa, allargando e approfondendo gli interessi della persona, le consente di superare ogni separatezza e frammentazione15 . In realtà una delle questioni centrali del nostro tempo è proprio come superare il nostro io personale andando al di là della propria cultura, religione e specie per raggiungere gli orizzonti sempre più vasti del mondo e del cosmo.
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Se l’anziano accetta di arrivare alla vecchiaia e di considerarla una tappa in cui pu crescere fino a trascendere il suo io, pu estendere il suo essere molto al di là dell’io individuale fino ad includere l’intera famiglia umana. In tale prospettiva comprendiamo che la terza età non è affatto la conclusione dell’impegno per il mondo, ma la sua massima estensione nella linea della cattolicità e dell’universalità.
Nasce a questo punto un’autentica spiritualità ecumenica e universale, che è come la fioritura della seconda generatività e della trascendenza dell’io. Essa potrebbe essere chiamata la spiritualità dell’attenzione all’altro (to care), della compassione e della saggezza. Di questi valori, tipici della vecchiaia, il nostro mondo ha disperatamente bisogno in questo tempo.
4.Per una spiritualità della terza età
In questa terza parte ci proponiamo di individuare una spiritualità, ossia una serie di valori e di atteggiamenti umani e cristiani che vengono dalla Parola di Dio e dalla tradizione della chiesa, necessari per vivere costruttivamente la terza età. 16
4.1.“Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi …”(Sal 92,15)
Per quanto il processo d’invecchiamento e l’anziano non siano dei temi centrali nella Scrittura, è tuttavia possibile trovare nella Bibbia alcuni elementi per costruire una spiritualità della terza età 17 .
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L’Antico Testamento presenta la terza età come tempo di fecondità e di attiva partecipazione
al progetto divino: Abramo e Sara sono molto avanzati negli anni quando ricevono il figlio Isacco, il figlio della promessa e della benedizione (Gen 21,5). Una lunga vecchiaia è il segno della fedeltà di Dio alle sue promesse: “Poi Abramo spir e morì dopo una felice vecchiaia, vecchio e sazio di giorni e fu riunito ai suoi antenati” (Gen 25,8). Così anche Isacco (Gen 35,29) e Giuseppe che morì all’età di centodieci anni (Gen 50,26). E’ nel corso della vecchiaia che Dio si rivela. Mosè riceve la rivelazione del Nome di Dio e la missione di liberare il suo popolo quando è già vecchio, forse proprio perché vecchio. Di lui è detto che era intimo di Dio con il quale parlava come con un amico (Es 33,11) e che era “molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra” (Nm 12,3). E nel Nuovo Testamento Simeone e Anna, proprio nella loro vecchiaia, ricevono il dono di vedere e riconoscere il Salvatore (Lc 2,25-26.36-38). Si riafferma il principio che Dio per realizzare i suoi piani di salvezza si serve non delle persone forti e prestigiose, ma degli anawin, di quel popolo umile e povero che lo cerca con fiducia (Sof. 2,2; 1Co 1,26-31).
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I libri sapienziali dell’Antico Testamento ci offrono un quadro realistico e inquietante dellavecchiaia, presentata come il tempo dei “giorni tristi … gli anni in cui dovrai dire: “Non ci provo alcun gusto”” (Qo 12,1-8). Ma più spesso ci offrono il ritratto dell’anziano invecchiato bene, segnato cioè dalla saggezza e dal timore del Signore (Sir 25,3-6). Nel secondo libro dei Maccabei è stata consegnata la vicenda indimenticabile del martirio dello scriba Eleazaro, “uomo già avanti negli anni” (2 Mac 6,18-31) che rifiuta le ingiuste imposizioni di Antioco IV e anche le pietose finzioni dei suoi concittadini che vorrebbero salvarlo dalle torture del tiranno e muore offrendo una memorabile testimonianza di fede e coraggio. La saggezza dell’anziano è il cammino preferenziale per comprendere il mistero della sofferenza. Giobbe, al massimo del suo splendore e ormai anziano, viene messo alla prova ed entra così nella fase delle diminuzioni, se ne lamenta con Dio, si vanta dei suoi meriti, ma Dio lo riporta alla saggezza e Giobbe alla fine saggiamente si rimette alla sapienza provvidente di Dio.
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Nel libro dei Salmi troviamo alcune preghiere proprie dell’anziano : il salmo 37(36) in cui la
riflessione sulla retribuzione del giusto e la scandalosa fortuna dell’empio si fa preghiera in colui che è “stato fanciullo ed ora è vecchio” e pu affermare di non aver mai visto il giusto abbandonato da Dio (v. 25); il salmo 71(70) che esprime la supplica fiduciosa dell’anziano che s’affida a Dio “rupe di difesa, baluardo inaccessibile, rifugio e fortezza” invocato “quando declinano le forze”, oggetto della lode dell’anziano (vv. 3.9.17-18); e il salmo 92(91) un inno di ringraziamento in cui l’anziano contempla stupito l’opera di Dio e canta la certezza piena di ottimismo e speranza di “continuare a dar frutti” e di “essere vegeto e rigoglioso” fino alla fine della vecchiaia (vv. 13-16).
Tutto il libro dei Salmi è adatto alla preghiera dell’anziano, ma questi tre salmi specificamente posti sulle labbra di un anziano ci ricordano che l’anziano ha un suo cammino preferenziale di preghiera fatto di memoria riconoscente, di fiducia e abbandono in Dio e soprattutto di lode riconoscente e ammirata per il suo amore gratuito.
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Nel Nuovo Testamento, e in particolare nel Vangelo di Luca, ritroviamo un tema già vistonell’Antico Testamento: Dio sceglie degli anziani per essere testimoni degli albori dell’incarnazione e della redenzione. Zaccaria e Elisabetta sono scelti per essere i genitori del Precursore del Signore quando ormai sono vecchi, e Simeone e Anna ricevono la rivelazione della venuta del Salvatore (Lc 2,25-26. 3638). E come nell’Antico Testamento gli anziani sono delle colonne della verità e della giustizia, così nel Nuovo Testamento è ancora __agli anziani (presbyteroi_) che la Chiesa fa ricorso per la sua stabilità (Cfr. 1Tm 4,14; 5 17; 5,19) Tt 1,5).
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Gesù, Maestro di sapienza, insegna all’anziano come trattare le paure che sono tipiche dellaterza età: la paura del futuro che, insieme con il pericolo della cupidigia, si cura solo con l’abbandono fiducioso nella Provvidenza (Lc 12, 12-21.22-31; Mt 6,25-34). E Paolo offre delle preziose prospettive sul valore della sofferenza e della morte: presenta la vita cristiana come condivisione delle sofferenze e della morte di Cristo (Rom 6,4; Col 1,5; 4,10; Fil 3,10), insegna a completare la passione del Messia (Col 1,24); considera la debolezza umana come epifania della potenza di Dio (2 Cor 12,9), e parla della vita nuova che comincia con il battesimo (Rom 6,1-11) prolungandosi in un’esistenza condivisa con il Signore nella vita e nella morte (Rom 14,7-9; Fil 1,21.23; 2 Cor 5,1-10).
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In conclusione la Parola di Dio ci mostra che la terza età è un tempo per crescere spiritualmen-te a condizione che noi guardiamo alla vita nella sua pienezza, senza escluderne la sofferenza e la morte. Consapevoli dei nostri limiti, della nostra povertà e debolezza noi ci abbandoniamo come Gesù “nelle mani del Padre” che è Colui che non ci lascia cadere nelle tenebre degli inferi, ma che ci conosce e ci considera preziosi (Is 43,4).
4.2.“Cristo Gesù spogli se stesso assumendo la condizione di servo…” (Fil 2,7)
Dopo aver conferito a Pietro il mandato pastorale, Gesù gli annuncia che, quando sarà vecchio, sarà condotto ad una morte violenta per il suo Nome: “In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). Gesù traccia così i cammino di crescita di Pietro: egli passerà dal tempo della decisione in prima persona alla stagione in cui dovrà cedere l’iniziativa e “lasciarsi fare”.
Anche l’anziano deve lasciar andare tante cose e deve lasciarsi fare dagli altri. Arrendersi accettare – lasciar perdere – abbandonare – distaccarsi sono i verbi che l’anziano deve imparare a declinare nel corso della vecchiaia. Sono i verbi della kenosis cristiana, il cammino di spoliazione che caratterizza l’incarnazione del Figlio di Dio, il Signore Gesù Cristo che “pur essendo di natura divina non consider un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogli se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2, 6-7). Il cammino dell’incarnazione è anche il cammino della salvezza: “Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che “Gesù Cristo è il Signore” a gloria di Dio Padre” (Fil 2,9-11).
La vecchiaia non è un cammino né facile né piacevole, ma impegnativo. Infatti è un momento particolarmente kenotico in cui le perdite si moltiplicano e si coniugano con umiliazioni di vario genere (sociali, fisiche, psichiche, intellettuali e morali) fino al punto massimo che è la morte la quale è come “un oceano [in cui] vengono a confluire tutti i nostri bruschi e graduali indebolimenti” 18 .
Ciononostante, anzi, proprio per questo, la vecchiaia è una parte del disegno provvidenziale di Dio che porta ad assumere la volontà di Dio per giungere alla gloria, ad “essere esaltati” come Gesù.
La nostra esistenza dalla nascita alla morte è un cammino pasquale nel quale siamo chiamati a superare noi stessi in un incessante esodo verso la terra promessa della nostra vera pienezza. Il punto d’arrivo e la motivazione di questo cammino pasquale è l’ amore (agape)_: “Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui che è il capo, Cristo” (Ef 4,15). La kenosis non è un fine in se stessa, ma un cammino di trasfigurazione e di rinnovamento per giungere allo stato di uomo perfetto “nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13). Tale maturità umanocristiana consiste nella conoscenza di Dio e del suo Cristo (Gv 17,3), nella comunione amorosa con Colui che è il volto umano di Dio: “La gloria di Dio è l’uomo vivente, ma la vita dell’uomo è la visione di Dio” (S. Ireneo di Lione).
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Nella conoscenza amorosa di Dio l’anziano viene spogliato progressivamente di tutto, ma giunge ad una progressiva identificazione con Gesù crocifisso “mite ed umile di cuore” (Mt 11,29). In questo modo per egli parteciperà alla tenerezza, alla bontà, alla compassione di Gesù alle virtù che sono tipiche dell’anziano invecchiato bene.
4.3.“Egli deve crescere, io diminuire …” (Gv 3,30)
Questo cammino pasquale di kenosis fatto di progressiva riduzione dell’attività, di handicap fisici, di crescente solitudine, di paura e di rabbie soffocate, ci ripugna profondamente. Esso ci fa accostare al mistero della sofferenza, il più arduo della nostra esistenza, che nessuno riesce a comprendere e accettare, se non nella fede e nella contemplazione del mistero di Dio. Nella Scrittura le riflessioni del libro di Giobbe (personificazione del popolo eletto che soffre) offrono delle piste di comprensione della disgrazia che colpisce il giusto, ma sono piste che si fermano alla soglia del mistero di Dio. Vorrei suggerire di leggere qualche testimonianza autobiografica sulla sofferenza o sulla morte. In questi ultimi anni sono state pubblicate le testimonianze di Padre David Maria Turoldo19 e quella del Card. Joseph Bernardin20 , arcivescovo di Chicago. Sono dei testi straordinariamente umani che mostrano come tutti, ma soprattutto chi si dice religioso, confrontati con la sofferenza e la morte, possiamo mostrare ai nostri fratelli e sorelle che la morte è la somma identificazione con Cristo. Certamente anche la nostra mente rimane bloccata davanti alla sofferenza e si chiede come è possibile che Dio accetti il male, soprattutto quando esso non sembra produrre alcun bene.
P. Pierre Teilhard de Chardin S.J.(1881-1955), che non era solo uno studioso di paleontologia, ma anche un uomo spirituale e mistico, nel suo libro Le milieu divin, ha cercato di dare una risposta a questi interrogativi. Egli spiega che Dio riesce a cambiare il male in bene secondo tre modalità21 . La prima funziona, come nel caso di Giobbe, quando “la sconfitta da noi subita avvierà la nostra attività verso oggetti o ambienti più favorevoli, sempre impostati per su piano della riuscita umana da noi ricercata”. La seconda modalità funziona quando “la stessa perdita che ci affligge ci costringerà a cercare in un campo meno materiale …(In questo caso) vediamo l’uomo uscire migliorato, temprato, rinnovato da una prova o da una caduta che sembrava doverlo diminuire o addirittura abbattere per sempre”: è la storia di tanti Santi e “in genere di tutte le persone notevoli per la loro intelligenza o la loro bontà”.
La terza maniera di agire della Provvidenza riguarda i casi più difficili (e sono “precisamente i più comuni”, commenta Teilhard de Chardin) in cui “la nostra saggezza rimane totalmente sconcertata”. Ci sono certe “riduzioni” o “diminuzioni”che non riusciamo ad accettare: esse infatti non presentano alcun vantaggio, anzi in esse la persona “scompare o rimane dolorosamente minorata”. Ecco allora la domanda: “Come possono queste riduzioni, che sono la Morte in ci che essa ha di più prettamente mortale, diventare un bene per noi?”.
Questo terzo modo che è “il più efficace e più santificante” usato dalla Provvidenza è proprio quello che agisce nella vecchiaia e sarà importante entrare in questa “strana” dinamica di crescita che si propone di portarci all’unione con Dio. Attraverso queste diminuzioni Dio ci prepara ad essere le pietre vive per la Gerusalemme celeste, pronte per entrare nella nostra vera condizione, nella “tanto desiderata unione con Lui”. L’agente più efficace di questa progressiva trasformazione sarà la Morte.
La fede cristiana davanti alla croce non consente di chiamare subito in campo la “rassegnazione cristiana (che) è sinceramente considerata e biasimata da molte persone oneste come uno degli elementi più pericolosi dell’“oppio religioso” insieme con il disprezzo della Terra 22 . Ma se dopo aver lottato contro la sofferenza, essa resta ancora reale, al cristiano resta un altro cammino di redenzione: quello di unirsi alla sofferenza di Gesù e di “completare nella sua carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la chiesa” (Col 1,24).
Così la sofferenza, anche quella dell’anziano, diventa forza di redenzione per il mondo e, “se egli accoglie con fede, pur senza cessare di combatterla, quella forza nemica che lo abbatte e lo dissolve, essa pu diventare per lui un principio amorevole di rinnovamento (…) Abbandonando la zona dei successi e delle sconfitte umane, il cristiano accede, con uno sforzo di fiducia nel Più Grande di lui, alla regione delle trasformazioni e degli accrescimenti soprasensibili” 23 .
Solo quando il Figlio di Dio nella contemplazione ci mostra il suo vero volto di Servo sofferente e glorificato, possiamo credere che la nostra sofferenza esce dall’assurdo per assumere un significato di
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redenzione: l’amore di Dio si serve anche del male, che Egli per altro non vuole, per produrre il bene per noi e un valore redentivo. Conclude allora P.Teilhard de Chardin: ““Diligentibus Deum omnia convertuntur in bonum”. Ecco il fatto che supera ogni spiegazione e ogni discussione” 24 .
Se nella sofferenza della vecchiaia arriviamo a unirci al Crocifisso, noi formiamo il suo corpo e partecipiamo alla capacità redentiva e benefica della sua Croce. Non solo riceviamo dal Crocifisso una partecipazione alla sua tenerezza, compassione e attenzione, ma veniamo associati alla sua opera di redenzione. Lungi dal sentirci inutili, forse mai come nella terza età, possiamo sentirci ed essere strumenti efficaci per la missione della chiesa e per la vitalità missionaria dell’istituto cui apparteniamo.
4.4.“Per me vivere è Cristo e il morire è un guadagno …” (Fil 1,21)
E’ ben comprensibile che siano pochi coloro che sentono, come Paolo, il desiderio di “essere sciolti dal corpo per essere con Cristo” (Fil 1,24). Molto più spontaneo è che l’uomo rifiuti la previsione della morte, s’arrabbi contro di essa e cerchi di fuggirla. Ma davanti all’ineluttabile, egli finisce nella depressione. Il Card. Bernardin ha scritto delle pagine toccanti sulla malattia e la morte ormai imminente nel suo libro autobiografico Il dono della pace. In sostanza dice che per accogliere il mistero della morte la dobbiamo considerare “come un amico piuttosto che come un nemico” 25 . Con altre parole Padre Teilhard de Chardin ci dice la stessa cosa, che cioè la morte è la strada attraverso cui Dio ci porta alla unione con Lui, e che la sofferenza è lo strumento con cui Dio “pratica il varco necessario” per poter entrare e “crearsi un vuoto che diventerà il suo posto” 26 . Ma resta il fatto che non è spontaneo “risuonare” con le chiare e ottimistiche argomentazioni di P.Teilhard!
Noi sentiamo invece che la morte distrugge ogni volta un’esperienza unica e irrepetibile, una persona che pensava, sentiva, creava e amava se ne va verso un destino mai esperimentato fino al giorno in cui essa porterà via anche noi! E questa previsione ci sgomenta, è la notte oscura contro la quale anche Gesù ha cercato di reagire nell’agonia del Getsemani.
L’anziano avvicinandosi alla morte, deve affrontare questa oscurità. Per questo deve alimentare la sua fede nella risurrezione, ma ancora più la sua unione con il Signore risorto. A lui rivolge la sua professione di fede: “Aspetto la risurrezione dei morti” , ripetendosi insieme a Paolo che “se Cristo non è risuscitato, è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede (…) e voi siete ancora nei vostri peccati (…) e noi siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1 Cor 15, 14.17.19).
Grazie alla fede nella risurrezione di Gesù Cristo, noi siamo capaci di fare quel salto nel buio che è l’atto di fede. Grazie ad esso “superiamo la morte, scoprendovi Dio. E il Divino si troverà, per il fatto stesso, insediato nel cuore del nostro essere, nell’ultimo recesso che pareva potergli sfuggire” 27 . E se la nostra fede è debole, possiamo sempre pregare: “Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24).
Ci consola e ci rallegra la promessa di Gesù: “Io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19), perché egli, quando verrà l’ora della nostra morte, ci farà sopravvivere per mezzo del suo Spirito che già vive in noi, per una vita nuova e piena: “Chiunque vive e crede in me non morrà in eterno” (Gv 11,26). La sua promessa è legata al Mistero pasquale della sua morte e risurrezione consegnato alla chiesa nel Sacramento dell’Eucaristia. Diventa perci particolarmente importante nel corso della terza età celebrare e vivere il Mistero eucaristico: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciter nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).
Al momento della nostra morte, in un modo per ora incomprensibile e inspiegabile, entreremo in una nuova relazione di amore e comunione con noi stessi, con gli altri e con Dio, una relazione che non ha simili su questa terra, che sazierà ogni nostro desiderio di gioia e di felicità, di pienezza e di comunione. Saremo liberati da ogni schiavitù, del peccato, della morte, della legge e del nostro io e finalmente giungeremo a considerare “la morte un guadagno” (Fil 1,21).
4.5.“Riflettendo come in un specchio la gloria del Signore …” (2Co 3,18)
Come si arriva all’ identificazione con Cristo, a quella fede forte che ci fa portare la croce e ci conduce alla comunione amorosa con Dio e a quella tenerezza, compassione e attenzione per gli altri che caratterizzano l’anziano invecchiato bene? Il cammino è quello della contemplazione 28 .
La contemplazione, nel senso immediato, anche se non tecnico, ma vero, consiste in uno “sguardo di fede fissato su Gesù … [che è fatto di] ascolto della Parola di Dio e silenzioso amore” il quale tende
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alla comunione con Dio 29 . Essa è un dono di Dio che risponde alla nostra fedeltà nella ricerca di Lui.
Senza il nostro impegno nel rispondere al dono di Dio per entrare nell’orazione “non è possibile collegarci o rimanere uniti al Signore: essa [l’orazione] è assolutamente essenziale” 30 . Dobbiamo anche ricordare che esiste un cammino che dispone al dono della contemplazione: esso consiste nell’abituarsi a “guardare” con “un lungo amoroso sguardo sulla realtà” (William McNamara OCD).
La preghiera segue la dinamica della nostra crescita personale e dell’amicizia. Parte dalla preghiera vocale, passa per la preghiera discorsiva, arriva a quella affettiva per approdare alla preghiera propria della terza età, e cioè la preghiera contemplativa che viene chiamata anche preghiera del cuore. Essa è come una sosta silenziosa ai piedi del Maestro, nella quale ci esponiamo semplicemente ai raggi del Sole divino, e ci riposiamo nel seno del Padre unendoci alla preghiera dello Spirito che in noi grida: “Abbà, Padre” (Rom 8,15). A volte pu costare rimanere fedeli alla preghiera. Ma dobbiamo perseverare nel dedicare al Signore il tempo destinato alla preghiera, anche se è giocoforza ammettere che, specialmente quando si è ammalati, non è facile pregare 31 .
La contemplazione, non è solo un’attività, è anche uno stile di vita, una dimensione di essa, che determina la qualità della vita. Essa introduce nella nostra esistenza una dimensione contemplativa che produce (e, in una certa misura, suppone) un cambiamento profondo del nostro rapporto con la realtà. Ci fa passare dal possesso alla contemplazione e all’ascolto, da un approccio aggressivo alla gratuità nei confronti della realtà. Cambia la qualità della vita e ci dà la possibilità di vivere il presente e nel presente. Produce in noi la capacità di stupirci e di godere delle creature di Dio. La terza età è, in questo senso, il tempo favorevole (kairós) che permette di verificare la presenza di questa dimensione contemplativa.
La contemplazione ci fa raggiungere soprattutto una sempre più profonda interiorità portandoci sulla soglia del nostro cuore, là dove vive lo Spirito del Padre e del Figlio e dove noi possiamo essere ammessi alla sua orazione. La preghiera infatti consiste nello stare in ascolto silenzioso davanti al Signore: “Fa silenzio e ascolta, Israele” (Dt 27,9).
Infine la dimensione contemplativa porta l’anziano che la pratica ad un nuovo impegno per l’azione, caratteristico della terza età, frutto della compassione contemplativa (Cfr. Mc 6,34: “Gesù vive ed ebbe compassione”) e ci aiuta a perseverare nell’attesa vigilante del ritorno del Signore.
La preghiera del cuore sembra essere la preghiera più consona alla situazione dell’anziano. Ricordiamo il vecchietto di Ars che descriveva la sua preghiera come un incontro silenzioso con Dio: “Io lo guardo e egli mi guarda” 32 . Nella contemplazione l’anziano incontra il Dio fedele e scopre di essere prezioso ai suoi occhi: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Io non ti dimenticher mai: ecco ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is49,15-16). Mi è stato raccontato di un nostro Confratello, ormai deceduto, che affermava di restare in chiesa a scaldarsi davanti al Sole …Così l’anziano riesce a vincere la solitudine e la paura della morte.
Per concludere vorrei affermare che non dobbiamo lasciarci intimorire dalla parola “contemplazione”. Essa non è riservata ai mistici o ai santi canonizzati, ma è un obiettivo accessibile a ogni cristiano 33 . Purtroppo essa non è favorita dalla odierna cultura dell’efficienza e della distrazione e, nel caso dell’anziano, si pu scontrare con la preoccupazione per sé e i propri limiti fisici e morali. Neppure è facilitata dalla formazione scolastica ricevuta in passato che preparava alla contemplazione delle idee, che sono gli astratti universali, quando invece la contemplazione ha riferimento al particolare concreto: un fiore, una musica, un sapore, una persona ecc., delle realtà ben concrete e presenti attraverso cui possiamo avere un indizio o un segno della “Realtà”, di Dio.
Progredire nella preghiera contemplativa non è sempre facile, ma dobbiamo ricordare ci che Santa Teresa d’Avila ha insegnato, che cioè la preghiera “non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia per cui ci si intrattiene di frequente, da solo a solo, con Colui che sappiamo ci ama” 34 e che nell’orazione “l’essenziale non è già nel molto pensare, ma nel molto amare” 35 .
5.Alcune conclusione che riportano alla formazione permanente
Un postulato della geragogia (= pedagogia dell’anziano) è che alla vecchiaia ci si prepara prima di arrivarci, ancora da giovani. “Nella vecchiaia – dice un proverbio africano – ci si riscalda con la legna che si è raccolta durante la giovinezza”. Molte di queste riflessioni dovrebbero essere offerte nel tempo della prima formazione.
5.1.Formazione umana
“La prima e decisiva cosa da dire riguarda il fondamento della saggezza: invecchia nella giusta maniera chi accetta interiormente di diventare vecchio” 36 .
Chi al momento dell’invecchiamento non riesce ad accettare la sua condizione e si ribella all’idea di diventare vecchio e di dover morire, forse non è mai stato avvertito nella sua giovinezza di quello che sarebbe successo alla fine, addirittura forse non è mai stato preparato nella sua stessa formazione umana a riconoscere ed accogliere i propri limiti, a sentire che non tutto è possibile, che non ha senso coltivare dei complessi (o dei deliri?) di onnipotenza.
Forse in gioventù non è stato educato a vivere secondo il principio: “age quod agis”, che ci porta a procedere ad un’andatura misurata secondo le possibilità, a spendere del tempo gratuitamente, a contemplare la bellezza senza volerla possedere, a voler bene a sé e agli altri.
Forse ha sempre vissuto con l’acceleratore schiacciato per quella tendenza ad aggredire le cose che, in fondo, è volontà di potenza e possesso che pretende di sottomettere tutto a sé.
Gli atteggiamenti che portano l’anziano ad accettare e aver fiducia, a credere in sé e negli altri sono iscritti nel carattere della persona, ma possono essere il frutto, certamente non spontaneo, ma voluto e cercato; di una formazione iniziale e, sicuramente, di una formazione permanente che faccia leva sulla gratuità e sulla dimensione contemplativa dell’esistenza, grazie alle quali la persona continua a crescere.
5.2.Formazione intellettuale
L’anziano dovrebbe avere, ed eventualmente sviluppare, una buona dose di curiosità intellettuale insieme con una continua cura della propria preparazione professionale. Chi arriva alla vecchiaia senza avere l’abitudine alla lettura e allo studio e senza interessi culturali e senza un hobby costruttivo, farà molta fatica a far passare il tempo e a riempire le lunghe giornate della terza età. Finirà per parcheggiarsi – come una macchina d’epoca che si usa solo in certe occasioni – davanti al televisore in atteggiamento passivo e rassegnato con il rischio di assorbire tutto senza senso alcun critico e senza creatività. Non sapendo come far passare il tempo, si annoierà a morte, oppure si attaccherà a piccole cose, rischiando di lasciarsi andare ad evasioni che, se saranno innocenti, non potranno tuttavia non essere alienanti.
Se, come è sperabile, l’anziano è richiesto di essere consigliere o guida spirituale, sentirà il dovere di tenersi aggiornato. La lettura di qualche libro di teologia biblica, dogmatica o morale, di qualche buon romanzo, di qualche buona rivista di aggiornamento, potrà non solo renderlo umanamente vivo e all’altezza dei suoi impegni professionali, ma anche tenere viva ed esercitata la sua mente in un momento in cui fermarsi significa non solo perdere irrimediabilmente i neuroni necessari per il buon funzionamento del cervello, ma anche spegnere la lampada della saggezza e dell’esperienza e della conoscenza di sé.
5.3.Formazione spirituale
Perché un anziano possa percorrere nel corso della vecchiaia un cammino di contemplazione, deve evidentemente essere abituato alla preghiera quotidiana, all’ascolto saporoso della Parola di Dio e all’atteggiamento contemplativo, ancora dalla sua giovinezza. C’è da sperare che chi non è stato formato alla preghiera o ne ha perduto l’abitudine, trovi qualcuno che l’aiuti a comprendere che solo nella fede, speranza e carità pu continuare a crescere e affrontare le croci della terza età. In questo periodo il tempo per la preghiera non manca. Spesso invece è carente il metodo e la costanza.
Potrà essere difficile per l’anziano sfuggire al rischio della mediocrità , se durante le tappe precedenti della sua vita non avrà coltivato la sua vita spirituale con la meditazione, la direzione spirituale e la ricezione fedele dei sacramenti, la riflessione e un’ascesi equilibrata. C’è sempre da sperare che “il ritiro progressivo dall’azione, in taluni casi la malattia e la forzata inattività, costituiscano un’esperienza che pu diventare altamente formativa” 37 . Purtroppo l’esperienza mostra che questa speranza non sempre si realizza.
Le prove della vecchiaia possono funzionare da provvidenziali campanelli d’allarme che ci richiamano alla necessità di crescere nel nostro abbandono in Lui. Ma per questo bisogna cominciare a prepararsi alla vecchiaia fin dalla gioventù con una vita ordinata. Questa è una responsabilità che riguarda gli interessati, ma anche coloro che hanno una responsabilità su di loro e sulla loro formazione che per
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natura sua deve considerarsi, fin dall’inizio, permanente.
5.4.Formazione ecclesiale e comunitaria
Credo che a questo punto, da tutto quello che abbiamo detto, risulti evidente che la terza età non si vive da soli, ma in comunione. Noi siamo pienamente noi stessi solo dentro un rapporto di comunione. Se questo vale per tutti i tempi della vita, vale anche – e forse soprattutto – nella terza età. La comunità è il luogo della crescita personale e della maturazione cristiana, il luogo dell’esperienza di Dio-comunione (cfr. 1Gv 4,19). La comunità cristiana è anche il luogo della missione, che ha la sua origine e il suo termine nella comunione trinitaria, dalla quale trae anche la sua energia.(LG 4).
L’anziano al passare degli anni esperimenta il rischio dell’isolamento e sente quindi più acutamente il bisogno della comunione e della comunità. Egli sa che la pu trovare in quel sacramento della comunione che è la chiesa, e nella sua concretizzazione nella comunità cristiana e religiosa. Questa non solo lo apre alla comunione con Dio e con i fratelli, ma lo fa partecipe anche delle ansie apostoliche di Cristo, lo fa essere pienamente umano e cattolico. Vivere al ritmo della missione della chiesa lo fa essere e sentire un membro attivo del Corpo di Cristo e responsabile del suo regno fino alla fine dei giorni.
Sarà forse bene ricordare che non basta chiamarsi missionari o essere entrati in un istituto missionario, aver vissuto magari lunghi anni in missione per essere membri attivi e responsabili della comunità e persone di comunione. La missione deve essere invece vissuta come una dimensione o tensione che attraversa e trasfigura l’intera esistenza, come nel caso di Gesù, e non solo aver vissuto la missione come la realizzazione di un progetto personale chiamato “vocazione”. E’ necessario essere, vivere come membro vivo e vitale del Corpo di Cristo, della Chiesa, sacramento universale di salvezza. Di questo noi siamo chiamati ad essere testimoni.
Per questo l’educazione alla comunione, come bisogno di connessione umana e ecclesiale, non pu mancare nella prima formazione e deve essere una dimensione della formazione permanente del religioso e del missionario. E la controprova si avrà nella terza età.
6.Conclusione
Al crepuscolo della nostra giornata terrena tutti vorremmo ripetere di noi stessi quello che alla sera della propria esistenza ha scritto un uomo di grande azione che ha vissuto intensamente la propria vita: “Il giorno cala. Si fa sera. La mia vista si affievolisce. Ora vedo tutto dal di dentro. Tutto è più calmo. Assaporo meglio il tempo che ancora mi è stato dato. Nonostante i capelli bianchi, sento con certezza la vita pulsante e la vera gioia nei miei ultimi anni” 38 . La vita anche nella sua stagione finale pu continuare ad essere feconda e l’anziano pu e deve sentirsi, come il salmista, un vecchio passato attraverso molte lotte e infinite contraddizioni, il cui corpo è diventato ormai resistente e duro come un tronco di cedro o di palma, ma che dentro si sente ancora “vegeto e rigoglioso”, capace ancora di “fiorire negli atri del nostro Dio”, sempre pronto ad “annunziare quanto è retto il Signore” (Salmo 92,14-16).
La terza età è una tappa, quella finale, della vita intesa come un progressivo ringiovanimento, una liberazione dai pesi interiori ereditati dai nostri antenati (Roger Garaudy 39 ). Le sofferenze e i distacchi che sono esigiti dalla terza età non sono affatto sterili, preparano e producono la Vita, quella con la maiuscola, aprono il varco e lo spazio per Dio. Scriveva Igino Giordani poco prima della sua morte 40 : “Cadono foglie e frutti: ma dallo strame fiorisce un’altra primavera. Nella solitudine che si dilata per l’imminente inverno, viene in rilievo Dio: avanza Dio; e con Lui il rapporto si fa più intimo e immediato. Di quanto perdo nell’economia umana di tanto acquisto nell’economia divina
Vista così l’esistenza è un albero che cresce verso il cielo, per fiorire nell’eternità. Stagioni e malanni, delusioni e sofferenze sono le potature. L’albero cresce sotto una pioggia amara (acqua e sale, il pianto) per mondarsi, sino a divenire puro stelo eretto da terra in cielo. La vita non è che un processo di maturazione, mediante la purificazione che ne fa il dolore: quando è maturo, il frutto lo coglie Dio che trapianta l’albero in paradiso”.
In questa prospettiva la vecchiaia non sarà una male da sopportare con coraggio e pazienza, ma una stagione ricca, feconda e anche gioiosa. Questa è la vera sfida della terza età.41
7.Note
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Ref.arch: t\terzaetà.doc. Questo articolo è debitore a due articoli di Mary Elizabeth Kenel, Ph.D., Birthing the Elderly Self apparso in Human Development, Volume Sixteen, Number Three, Fall 1995, pp. 11-15., e Developmental Stages in Mature Years, apparso sempre in: Human Development , Volume Fifteen, Number Three, Fall 1994, pp. 27-30.
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Romano Guardini, Le Età della Vita, Ed. Vita e Pensiero, Milano 19922, p. 97.
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Eric H. Erikson, I Cicli della Vita, Armando Editore, Roma 1992, p. 59.
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Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, Esortazione apostolica postsinodale del 25 marzo 1996 sulla vita consacrata, n. 70§5-6.
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Norberto Bobbio, De senectute e altri scritti autobiografici, Einaudi Torino 1996, p. 27.
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Marie-Jo Thiel, Vivere da Vivi, Ed. San Paolo Cinisello Balsamo 1995, p. 69. Marie-Jo Thiel è una teologa, consulente dell’episcopato belga.
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Un buon sussidio si trova nel libro di don Roberto Diana, Come invecchiare ed essere felici, Proposto tra medicina e psicologia, Messaggero Padova 1996.
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Norberto Bobbio, op.cit., p. 29. 9 Cfr. l’articolo di Kenel, Birthing the Elderly Self, p. 11.
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Questa parte riflette le idee degli articoli citati alla nota n. 1.
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Il verso decentrarsi traduce bene il verbo greco aparnéomai:”4 (Mc 8,34), che di solito viene tradotto con “rinnegarsi”.
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Norberto Bobbio, op.cit., pag. 29.
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Questo tema è sviluppato nel libro di Hyman L. Muslin The Psychotherapy of the Elderly Self (La psicoterapia dell’io anziano).
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Norberto Bobbio, op.cit., p. 42.
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Joanna Macy, Healing the Wounds, citata da Kenel, Birthing the Elderly Self, p. 14.
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Questi punti si possono trovare ulteriormente sviluppati nel libro di Walter J.Burghardt S.J., Seasons that Laugh or Weep, Musing on the human journey, Paulist Press New York/Ramsey 1983, pp. 93-121.
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Daniel J. Harrington S.J., Biblical Contributions to a Theology of Aging, in: Review for Religious, MarchApril 1996, pp. 159-170.
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Pierre Teilhard de Chardin S.J., Le Milieu divin, Seuil Paris 1957; trad. italiana : L’Ambiente Divino, Il Saggiatore, Milano 1968, p. 81 a cui si riferiscono le citazioni.
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David Maria Turoldo, Canti ultimi, Milano 1991. Sono le poesie che P.Turoldo ha scritto quando ormai sapeva di essere portatore di un cancro che l’avrebbe condotto alla tomba.
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Joseph Bernardin, Il dono della pace, Brescia 1997. E’ un libro autobiografico scritto dall’Arcivescovo di Chicago e concluso 13 giorni prima della sua morte (14 novembre 1996). In esso egli racconta con estrema semplicità la sua vicenda personale segnata negli ultimi anni da un’accusa infamante e falsa di abuso sessuale e dal cancro che l’ha portato alla tomba. Nella stessa linea vorrei raccomandare il libretto autobiografico di Don Tonino Bello, Cirenei della gioia, come pure Salvifici doloris, l’enciclica di Papa Giovanni Paolo II sulla sofferenza.
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Pierre Teilhard de Chardin, op. cit., pp. 87-89.
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Pierre Teilhard de Chardin, op. cit., p. 92.
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Pierre Teilhard de Chardin, op. cit., p. 94.
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Pierre Teilhard de Chardin, op. cit., p. 82. 25 Joseph Bernardin, op.cit. , p. 82.
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Pierre Teilhard de Chardin, op. cit., p. 90.
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Pierre Teilhard de Chardin, op. cit., p. 81.
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Arturo Paoli chiama la vecchiaia l’età contemplativa. Vedi l’articolo con questo stesso titolo in Il Regno Attualità 22/1995, pp. 658-660.
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Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2715-2719.
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Joseph Bernardin, op.cit., p. 123.
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“Come ho già detto, fui sorpreso quando mi resi conto che nel periodo della mia convalescenza, immediatamente dopo l’intervento, non avevo in realtà il desiderio o la forza di pregare. Ed è stato allora che dissi ad un amico: “Cerca di pregare quando stia bene, perché quando sarai ammalato, probabilmente non lo farai più”” (Joseph Bernardin, op.cit., p.122. Cfr anche pp.120-121).
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Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2715.
Inserto al Notiziario –
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Hans Urs von Balthazar, La prière contemplative, Desclée de Brouwer Bruges 1959. Si veda soprattutto il capitolo II : La possibilité de la contemplation, pp. 31-86. Il grande teologo dimostra che la preghiera contemplativa è il dovere di tutti ed è accessibile a tutti.
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Il Libro della Vita, cap. 8,5.
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Il Castello Interiore, IV Mansioni, 1,7; v. anche il libro delle Fondazioni , cap. 5,2.
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Romano Guardini, op. cit., p. 99.
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Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, n. 70.
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Mgr. Rodhain, fondatore del Secours Catholique di Francia, citato da Marie-Jo Thiel, op.cit., p. 23.
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Roger Garaudy, Parola d’uomo, Cittadella Assisi 1975 (?).
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Igino Giordani, Diario di fuoco, citato dalla rivista unità e Carismi, n. 2 Marzo –Aprile 1997, p. 18.
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Conversazione preparata per l’Incontro di Formazione permanente per la “Terza Età” organizzato dai Frati
Francescani Conventuali della Provincia Patavina a Torreglia (Padova), presso la “Casa Sacro Cuore” il 26 giugno 1996; riveduta e corretta in occasione del Corso: “Alla riscoperta di una giovinezza dello spirito che permane nel tempo”, tre settimane di convivenza fraterna per i Missionari Saveriani a Tavernerio (Como) dal 7 al 27 luglio 1996; nuovamente riveduta e ampliata in occasione di un successivo corso di formazione permanente dei Missionari Saveriani a Parma: “Con il dono dello Spirito, missionari sempre e ovunque” (8-28 febbraio 1998). Questa edizione è stata preparata per il corso di formazione permanente dei Missionari saveriani a Tavernerio del 2001.
Inserto del numoero 93 del Notiziario
della Provicnia Minoritica di Cristo Re dei frati Minori dell’Emilia-Romagna,
marzo 2004