LA GIOIA CRISTIANA

MOTIVI CHE HA IL CRISTIANO DI GIOIRE. – Gesù Cristo è la nostra gioia… «Colui che si rallegra in Gesù Cristo, dice S. Agostino, non può patire inganno nelle sue consolazioni (Sent. XC) ». Il santo abate Apollonio, inculcava che, non si pensasse con tristezza alla propria salute, essendo noi gli eredi del regno celeste. Che i pagani siano tristi, che i giudei piangano, che i cuori impenitenti siano infelici, bene sta, ma i cristiani devono vivere nella gioia (Vit. Patr. ).

La gioia cristiana ha per principio e motivo,

1° la misericordia di Dio, secondo l’esortazione dell’Ecclesiastico: «Gioisca l’anima vostra nella sua misericordia» (Eccli. LI, 37). 

2° La speranza in Dio… «Io ho posto la mia speranza in colui che è la salute eterna, diceva Baruch, e la gioia mi è venuta da colui che è santo» (BAR. IV, 22).

3° La promessa di Dio… «Sono io che consolerò», dice il Signore (ISAI. LI, 12); e annunzia che, venuto il Messia, le vergini avrebbero danzato di gioia, e i giovani e i vecchi tripudiato di allegrezza; che il lutto sarebbe da lui cangiato in giubilo, che li avrebbe consolati e riempiti di gaudio per ristorarli del loro dolore; che avrebbe inebriato l’anima dei sacerdoti e colmato dei suoi beni il popolo suo (IEREM. XXXI, 13-14).

4° La gioia cristiana è fondata sui meriti e sulla bontà di Gesù Cristo.

5° Sui mezzi che abbiamo di salvarci quali sono i sacramenti e la preghiera… .

6° Sui meriti che possiamo acquistarci in ogni cosa, col riferirla a Dio.

7° Sull’obbligo che Dio ci ha imposto di stare allegri. «Figlia di Sion, egli ci dice, canta inni di lode; Israele, rallegrati ed esulta» (SOPH. III, 14). E perché tanta festa? Perché il Signore vostro Dio. è in mezzo di voi; egli è il Dio forte, il vostro Salvatore; egli si rallegrerà in voi, riposerà nel vostro amore, ed esulterà di gioia con voi (Ib. 17). «Gioisci e loda il Signore, o figlia di Sionne, dice ancora Iddio, perché ecco che io vengo e abiterò in mezzo di te» (ZACH. II, 10). «Servite al Signore nell’allegrezza», – cantava il Salmista (Psalm. XCIX, 1). 

8° Finalmente questa gioia cristiana è fondata su le grazie e sui favori che Dio sparge sui fedeli suoi servi. «Fate festa, dice S. Bernardo, perché già avete ricevuto i doni della mano sinistra di Dio: gioite, perché aspettate i regali della sua mano destra. La sua sinistra vi alza e vi sorregge, la sua destra vi accoglie e vi stringe al seno. La sua sinistra guarisce e giustifica, la destra abbraccia e beatifica. Nella sinistra tiene i meriti, nella destra le ricompense; con la sinistra ci dà le medicine, con la destra porge le consolazioni (Serm. IV in vig. Nativ.)».

DOVE SI TROVA LA VERA GIOIA? – La vera gioia si trova in primo luogo nel Signore, secondo quello che diceva S. Paolo ai Filippesi: «State allegri nel Signore; ve lo ripeto, state allegri» (Philpp. IV, 4). Rallegratevi, commenta S. Anselmo, non nel secolo, ma nel Signore; poiché come nessuno può servire a un tempo due padroni, così nessuno può stare allegro e nel Signore e nel secolo: queste due gioie sono opposte tra di loro come la notte e il giorno (In Ep. ad Philipp. IV, 4).

Quindi il real profeta attestava di sé, che «il corpo e l’anima sua si erano rallegrati nel Dio vivente» (Psalm. LXXXIII, 2); ed eccita i giusti a fare festa nel Signore, a gioire ed esultare in lui, che darà loro quanto desiderano (Psalm. XCVI, 15?).  (Psalm. XXXVI, 4); e Tobia esclamava: «Per me starò allegro nel Signore» (TOB. XIII, 9); e Anna, la madre di Samuele, si rallegrava nel pensiero del Messia (1 Reg. II, 1).

Dice Isaia: «Farò festa nel Signore, e l’anima mia esulterà di gaudio nel mio Dio; perché mi ha vestito con le vesti di salute, mi ha ornato dei gioielli della giustizia, come uno sposo inghirlandato della sua corona, e come una sposa adorna dei suoi monili» (ISAI. LXI, 10). «Quanto a me, esclama il profeta Abacuc, mi rallegrerò nel Signore, ed esulterò in Dio mio Gesù» (III, 18). Questo profeta, seicento anni prima della venuta di Gesù Cristo, l’annunzia per nome ed in lui si rallegra; poiché prevedeva che da lui sarebbe liberato, come siamo noi, dal peccato, dal demonio, dalla concupiscenza, dalla carne, dal mondo, e colmato di grazia e di favori.  A ragione pertanto il profeta Baruch animava Gerusalemme a guardare verso l’oriente e a considerare la gioia che a lei veniva dal Signore (BAR. IV, 36). A ragione il Salmista esortava all’allegrezza quelli che cercano il Signore (Psalm, CIV, 3) ed esclamava: «Voi siete venuto in mio soccorso, o Dio, ed io me ne sono consolato» (Psalm. LXXXV, 16).  Questa gioia che deve avere il cristiano non è già la gioia secondo il senso della natura; ma è gioia secondo la ragione illuminata e fortificata dalla fede e dalla grazia… La gioia spirituale è un saggio, un’anticipazione della gioia celeste. Di qui quella sentenza di S. Agostino: «Chi cerca Dio, cerca la gioia; perché quanto si avvicina a Dio, tanto resta illuminato, fortificato, amato da Dio il quale solo è la vera gioia dell’uomo; egli solo ne appaga le brame, e non solo dell’uomo, ma anche dell’angelo (Sent. IX)… E altrove il medesimo santo così pregava: «Lungi da me, lungi dal vostro servo tenete l’idea di stimarmi felice, qualunque gioia io provi all’infuori di voi; ma fate che io gusti quella gioia che l’empio non conosce, e che voi date a coloro che vi servono. Questa gioia siete voi medesimo; è la vita beata di godere con voi, di voi e per voi: ecco la vera gioia, non ve n’è altra fuori di questa (Confess. l. X, c. XXII); perché ci avete creati per voi solo, e il nostro cuore non trova pace, fino a tanto che in voi non riposi (Ib.. 1. I, c. I)».  «L’unica schietta gioia, dice S. Bernardo, è quella che viene dal Creatore, non dalla creatura, e che nessuno può rapirti quando la possiedi; a paragone di questa, ogni altra allegrezza è pianto, ogni dolcezza è amarezza, ogni diletto è noia, ogni bellezza è sporcizia; insomma ogni piacere è molestia». La gioia perfetta non viene dalla terra, ma dal cielo; non scaturisce da questa valle di lagrime, ma dal giardino della città celeste (Epistola CXIV).  La gioia in Dio, notava già il Crisostomo, è la sola che non ci può essere tolta, tutte le altre gioie sono mutabili e transitorie; ma la gioia in Dio è stabile, immutabile, e così grande che riempie tutto il cuore. Le altre gioie non ci rallegrano in modo da dissipare la tristezza e la noia, anzi ne sono la sorgente; ma chi si rallegra e gioisce in Dio, beve alla fonte della vera gioia. A quella guisa che non appena una scintilla è caduta nel mare, vi resta spenta, così avviene a colui che ripone in Dio la sua felicità e la sua gioia; resta tutto affogato in quest’oceano senza sponde e la sua gioia invece di diminuire, si aumenta (Homil. Ad  pop. XVIII).

Il vero cristiano in Dio solo trova il riposo e la pace; in esso solo sono le vere gioie. Le allegrezze del mondo, le gioie prodotte dalle passioni non dànno il riposo e la pace, ma in esse si trova il turbamento e il rimorso… «Colui che vuole godere in se stesso e di sé sarà triste, dice ancora S. Agostino, ma chi cerca in Dio la propria gioia sarà in continuo gaudio (Tract. XXIV, in Joann)».  La vera gioia si trova in secondo luogo in una vita santa. «Volete sapere il modo di non vivere mai in tristezza? domanda S. Bernardo: vivete santamente. Una vita santa ha per indivisibile compagna la gioia; la coscienza del reo è sempre tra vagliata da foschi pensieri (De inter. Domo, c. XLV)… «Qual cosa più preziosa e più dolce a un cuore, osserva ancora il medesimo santo, qual cosa più sicura e tranquilla in questa terra, che una coscienza retta? Essa non teme né la perdita degli averi, né i patimenti, né i rimproveri; la morte invece di spaventarla, le si presenta come messaggera di gioia» (De Considerat. lib. I).

La stessa cosa avevano già osservato due pagani, Cicerone e Seneca. Il primo scriveva a Torquato, che la coscienza di una volontà diritta è la massima delle consolazioni in mezzo alle pene della vita; l’altro pretendeva da Lucinio che vivesse contento; e interrogato da questo onde poteva attingere quella continua contentezza gli rispondeva: In una buona coscienza, in buoni consigli, in buone azioni, nel disprezzo delle cose fugaci, in una condotta irreprensibile.  La vera gioia si trova in terzo luogo nell’umiltà; secondo l’esortazione di Giuditta: «Aspettiamo umilmente la consolazione del Signore» (IUD. VIII, 20).

Si trova in quarto luogo nell’amore e nel timore di Dio. Il timore del Signore è, come dice l’Ecclesiastico, gloria, trionfo, sorgente di gioia, corona di allegrezza. Il timor di Dio rallegrerà il cuore, gli porterà la gioia, l’esultanza, la lunghezza dei giorni. Chi teme il Signore avrà gioia in fine di vita e benedizione nel giorno della sua morte (Eccli. I, 11-13).  Si trova in quinto luogo nei pensieri consolanti del cielo, di Gesù Cristo, dei benefizi di Dio, della sua presenza, della sua dimora e cooperazione in noi, della Beata Vergine, dei santi, ecc.  Si trova in sesto luogo nella mortificazione della carne e dei sensi. Se noi rinunziamo ai diletti dei sensi, Dio ci darà delizie assai più dolci; in vece di piaceri carnali ce ne fornisce di spirituali, sostituisce gioie eterne alle temporali, le divine alle umane. Davide che ne aveva fatto la prova, diceva: «L’anima mia ricusò le consolazioni terrestri; mi ricordai del Signore e mi sentii giubilare il cuore» (Psalm. LXXXVI, 3). Infatti le gioie spirituali gustate una volta rendono insipido ogni piacere del senso.

Si trova in settimo luogo nella preghiera e nella meditazione. «Io, dice il Signore, l’attirerò a me, lo condurrò nella solitudine e gli parlerò al cuore» (OSE. II, 14). Io gli parlerò interiormente alla sua mente, alla sua volontà riempirò il suo cuore di consolazione; gli terrò un linguaggio tutto miele; ne appagherò le brame; me lo stringerò al seno ben vicino, al cuore. Gli comunicherò il mio spirito consolatore.

Si trova in ottavo luogo nella virtù; lo sentì anche Seneca che scrive: «Solo la virtù produce una gioia perpetua e sicura (Epistola XXVII)»; perché la virtù, è la pratica della legge di Dio. Ora, dice S. Basilio, «rallegrarsi in ciò che è secondo la legge del Signore, questo è un rallegrarsi nel Signore, ed è vera gioia (In reg. brevior., reg. CXCIV)».  Si trova finalmente nelle lagrime del pentimento; Una sola lagrima versata sui peccati passati, contiene più soavità e dolcezza, e quindi gaudio, che non tutti i piaceri del mondo e della carne insieme uniti.
LA GIOIA CRISTIANA RENDE INVINCIBILE. – «Credete che avete motivo di rallegrarvi quando siete fatti bersaglio a varie tentazioni», scrive S. Giacomo (IACOB. I, 2). «Vedendo S. Paolo, dice il Crisostomo, che le tentazioni gli si accumulavano addosso come la neve, godeva e si rallegrava come se fosse vissuto in mezzo al paradiso… Infatti nessuna arma è così poderosa, quanto il gioire secondo il Signore (De S. Paulo)».

Ai suoi religiosi che vivevano nella mortificazione e nell’austerità, San Antonio non sapeva inculcare nulla di meglio che la gioia spirituale nella quale egli vedeva il più forte scudo ed il più potente rimedio contro ogni maniera di tentazioni e di prove. «Vi è, soleva dire, un mezzo efficacissimo a conquidere il nemico, ed è la gioia spirituale; scioglie i tranelli del demonio e ne dilegua le insidie come fumo; non soltanto le teme, ma le affronta, le insegue, le sgomina. No, credetemi, non vi è nulla che più sicuramente superi e atterri i nostri nemici, quanto la gioia e la contentezza spirituale». (Ap. Sanct. Athanas.).

I demoni tripudiano quando riescono a spegnere e anche solo a illanguidire la gioia spirituale in un’anima. «Ma ricordatevi, dice S. Agostino, che il demonio è come cane legato alla catena da Gesù Cristo; può abbaiare e lacerare le vesti, ma non può mordere se non chi vuol essere morso; può assaltare, ma non gettare a terra, e perde la speranza anche solo di persuadere, quando vede l’uomo stare fermo, generoso, lieto ed allegro (Civit. Dei, L II, c. 8)». Perciò afferma Origene, che quanti atti di gioia noi facciamo in Dio, tanti colpi di verga scarichiamo sul diavolo (De Elcana).  Con questa gioia spirituale noi ci attiriamo la grazia e i lumi divini; vediamo i pericoli e li scansiamo; i nostri nemici, vedutisi scoperti e conosciuti, se ne fuggono.

LA GIOIA CRISTIANA SOPPORTA TUTTO. – Attestano gli Atti Apostolici che avendo il sinedrio ordinato che gli Apostoli fossero flagellati perché annunziavano Gesù Cristo, questi uscirono dal concilio allegri ed esultanti, perché erano stati stimati degni di patire contumelie per il nome di Gesù (Act. V, 40-41); ed il grande Apostolo diceva di essere inondato di gioia in mezzo. ad ogni tribolazione (II Cor VII, 4); e ai Colossesi scriveva: «Io mi rallegro nei miei patimenti per voi» (Coloss. I, 24). Per voi, cioè per ottenere merito a voi con i miei travagli e per lasciare a voi esempio del come mantenervi d’animo tra le croci e le persecuzioni. E questo esempio vediamo riprodotto al vivo in quel detto di S. Francesco d’Assisi: «Tanto è il bene ch’io m’aspetto, che ogni pena m’è diletto » (In Vita).  «Gesù Cristo godeva, come dice il Crisostomo, in mezzo ai suoi supplizi. Chiamava giorno suo il giorno della crocifissione. Così devono fare i cristiani. I patimenti sono pene rispetto al corpo, ma sono gioie rispetto allo spirito. Non è nell’indole delle croci considerate in se stesse, il dare la gioia, ma solo di quelle croci che si portano per Gesù Cristo, e con l’aiuto dello Spirito Santo. Queste danno la gioia e il riposo, principalmente per l’eternità» (Homil. ad pop.). Ah! solo dalla croce del Salvatore stilla gioia perfetta!  La gioia cristiana mitiga, addolcisce e rende meritorie le afflizioni e le prove; e talora arriva a far sì che chi le patisce non se ne accorga, come accadde a molti martiri ed anche ad altri santi, per virtù dell’Onnipotente. Quante anime non conta il Cristianesimo, le quali ben lungi dal temere patimenti, li desiderano, li invocano, li accolgono a braccia aperte: anime che imitano colui che scriveva: «Il Signore ha posto nella mia carne un pungolo, licenziò l’angelo di Satana a schiaffeggiarmi. Perciò io mi volsi a Dio supplicandolo che me ne liberasse; ma egli mi rispose: Ti basta la grazia mia, perché la virtù nella debolezza si perfeziona. Volentieri adunque io giubilerò e mi glorierò delle mie infermità, affinché in me abiti la forza di Cristo. Perciò mi rallegro nelle mie debolezze, negli obbrobri, nelle strettezze, nelle persecuzioni, negli stenti che sopporto per Cristo; perché allora sono forte, quando mi conosco debole e fiacco» (II Cor. XII, 10). S. Paolo attingeva la gioia nelle sue prove, dal merito medesimo inerente alle prove; e questa gioia rendeva le prove non solo tollerabili, ma desiderate…  Chi patisce con tristezza e senza rassegnazione, patisce di più e patisce senza merito. Chi soffre con gioia, soffre meno e acquista di grandi meriti. Il Signor nostro Gesù Cristo che conosceva il pregio delle afflizioni, diceva: «Beati quelli che soffrono, felici quelli che piangono» (MATTH. V, 10). Se è felicità soffrire, ne segue che si deve soffrire con gioia; perché è la gioia nei patimenti che procura la felicità.

LE ANIME ILLUMINATE E PIE HANNO PER LORO EREDITà LA GIOIA. – «Essi, cioè i giusti, si rallegreranno al vostro cospetto, o Signore, diceva già Isaia, come mietitori ricchi del loro raccolto, come vincitori nel dividersi le spoglie» (ISAI. IX, 3). Il Signore dice: «I miei servi mieteranno nell’abbondanza e voi patirete la miseria; i miei servi saranno dissetati, e voi morrete di sete; essi gioiranno, e voi sarete confusi; intoneranno, nel giubilo dei loro cuori, cantici di allegrezza e di lode, e voi manderete strida col cuore spezzato, gemerete nella tristezza del vostro spirito» (ISAI. LXV, 13-14).  A conferma del detto del Salmista: «Starà il giusto in festa e in gioia» (Psalm. L VII, 10), noi abbiamo la vita degli anacoreti del deserto, dei quali narra Palladio, che mettevano stupore in chi li vedeva raggiare di tanta gioia in mezzo agli orrori della solitudine; così dolce e grande era il gaudio loro, che non si era visto mai l’uguale su la terra, anche per riguardo all’allegrezza corporale, perché non si vedeva nessuno di loro di volto oscuro e triste (In Lausiac. C. LII). E ad elogio di ogni santo può ripetersi quello che dell’apostolo Andrea diceva S. Bernardo: «Andò alla croce non solo rassegnato e paziente, ma volenteroso, lieto e giubilante, quasi che s’incamminasse ad un banchetto, ad incomparabili diletti».

LA GIOIA CRISTIANA E’ TESTIMONIO DI UNA BUONA COSCIENZA. – «La più sicura prova che si ha di essere in grazia di Dio è la gioia spirituale», sentenzia S. Bonaventura (Speculum c. III); facendo eco a S. Paolo che aveva notato come frutto dello Spirito Santo la gioia (Galat. V, 22).

«La buona coscienza, scrive S. Agostino, è tutta nella speranza; e la speranza è il fondamento della gioia» (Soliloq.); S. Ambrogio, spiegando quel testo dei Proverbi (XV, 15): «Una coscienza tranquilla è un festino continuo, esclama: Che nutrimento più appetitoso di quello di cui si ciba un’anima pura ed innocente? » (Offic.). «Non già le grandezze, dice il Crisostomo, non le ricchezze, non la potenza, non la forza, non qualunque altra cosa di questo mondo danno la gioia all’anima e al cuore, ma solo la buona coscienza ha il segreto di procurarla» (Homil. ad pop.).

SOAVITA’ DELLA GIOIA CRISTIANA. – «Dove trovare cosa più dolce; scriveva Tertulliano, che essere amato da Dio, conoscere Dio, detestare l’errore, ottenere il perdono dei propri peccati? Qual piacere più soave che disprezzare la voluttà e il mondo, essere libero della libertà dei figli di Dio, avere una coscienza monda, non temere la morte, calpestare le false divinità, cacciare i demoni, vivere di Dio e per Iddio? Questi diletti, questi spettacoli dei cristiani, sono santi, perpetui, gratuiti (De Spectac., c. XXVIII)».

Le gioie cristiane sono prodotte dall’intima unione del Verbo con l’anima. Ora dove trovare una felicità uguale? In quest’unione casta, immacolata, vi è un festino continuo, e sovente vi si mangia l’agnello pingue, dice S. Lorenzo Giustiniani. Vi si gusta la pace interiore, la tranquillità sicura, la felicità tranquilla, una grande dolcezza, una fede calma, una società amabile, i baci dell’unità, le delizie della contemplazione, la soavità nello Spirito Santo. Là è la porta del cielo, l’ingresso al paradiso, dal talamo nuziale la sposa scende bene spesso al cielo, e sovente lo Sposo divino discende dal cielo verso la sposa. Ella vive senza timore, senza inquietudine intorno alla sua salvezza; penetra nelle sublimi dimore dello Sposo, come nella casa del suo diletto, nella sua propria possessione; poiché per riscattarla, lo Sposo si è venduto egli medesimo e a lei si è dato. Per redimerla ha lottato con le tentazioni, ha combattuto contro gli spiriti malvagi, e contro di loro combatte tuttora. Non da temeraria, ma da confidente, ella entra negli appartamenti dello Sposo; poiché se vi fu un tempo in cui era come straniera alla città santa, al presente essa ne è divenuta la concittadina insieme coi santi; è divenuta la sposa del Verbo e, per un privilegio d’amore, tutto ciò che è dello sposo a lei appartiene. Infatti il vero amore niente serba esclusivamente ad uso suo, ma dà a larga mano e quello che ha e se stesso; ed in forza della medesima legge, della medesima carità, che lo spinge a dare quello che possiede, si serve egli anche di quello che hanno gli altri. E per questa esuberanza di mutuo amore, vi corre tra l’anima e il Verbo una perfetta famigliarità in parole, in confidenza, in sicurezza della grazia e della gloria, senza distinzione di condizione (De inter, Conflictu).  «La gioia dei giusti è, dice il Crisostomo, una vera nuova creazione dell’anima e del corpo, il presagio e il fiore dell’eterno frutto. Perciò l’Apostolo esorta i fedeli a gioire del continuo nel Signore» (Homil. ad pop.),

«La tranquillità della coscienza, scrive S. Ambrogio, e la sicurezza dell’innocenza formano la vita felice (Offic.)». A ragione pertanto Clemente di Alessandria chiama la vita dei giusti un giorno di continua santità, festa e letizia (Lib. Stromat); poiché qual cosa può temere dal secolo, dice S. Cipriano, chi ha nel secolo per suo tutore Iddio? (Epistola ad Martyr).  «Non vi è gioia che uguagli la gioia del cuore, dice Rabano; nessuna gioia terrena si può paragonare con la gioia della vera sapienza che consiste nella verità, nella contemplazione della verità, nella conoscenza di Dio» (De adep. virtut.).  Nell’anima che gioisce nel Signore, si verificano alla lettera e nel loro vero senso le parole del Signore: «Io verserò su di voi la pace a guisa di un fiume, e la gloria delle nazioni come un torrente; sarete portati tra le braccia, e i popoli vi carezzeranno su le ginocchia come bimbi lattanti. Io vi consolerò come la madre consola il bambino, e Voi ne gioirete. Vedrete, e ne andrà in giubilo il vostro cuore, le vostre ossa si rianimeranno come l’erba; i servi del Signore conosceranno il suo braccio» (ISAI. LXVI, 12-14); quel braccio che avrebbe attirato secondo la profezia di Osea, gli uomini con catene di amore (OSE. XI. 4).  Ecco come parla chi poté confrontare questa gioia con quella del secolo: «Oh! quanto mi fu dolore a un tratto essere privo delle gioie insipide e leggere del mondo di modo che mi pareva una gioia indicibile il perdere quello che poco prima parevami il colmo della sventura perdere! Poiché tu le cacciavi da me, tu, o somma e vera dolcezza; sì, tu le snidavi e in vece loro, entravi tu, più soave di ogni piacere e di ogni gioia (Confess., 1. VIII, c. XI) ».  La gioia cristiana è il segno di una buona e pia volontà; è l’ornamento e il fiore delle virtù. Per il possesso di Gesù Cristo la gioia del cuore non ha misura, l’anima si rinnova e si sente sopraffatta da una dolcezza ineffabile; ottiene l’intelligenza spirituale, i lumi della fede l’aumento della speranza, il fuoco della carità, l’affetto della compassione, lo zelo della giustizia, il diletto delle virtù. L’anima in braccio alle gioie spirituali ha nell’orazione famigliari colloqui con Dio, si accorge che è ascoltata e sovente esaudita; parla con lui a faccia a faccia ed ascolta quello ch’egli le dice, guadagna a sé il suo Dio, gli fa dolce ma forte violenza, lo incatena con la sua preghiera tutta spirante consolazioni e gioie celesti…

Beata e felice le mille volte dunque l’anima fedele che corrisponde alle grazie di Gesù Cristo! Essa trova e riceve fin da questa vita il centuplo di quello che ha sacrificato per Cristo; è contenta, ricca e in pace; si assicura con la buone opere il conseguimento dell’eterno gaudio degli eletti nella celeste Gerusalemme, di maniera che passa dalla gioia della grazia alla gioia della gloria, dal fiume delle delizie che gusta in Dio quaggiù in terra all’oceano infinito dell’eterno possesso di Dio…

Padre Cornelio A Lapide

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1 commento su “La gioia cristiana”
  1. Cosa vi suggerisce questo brano? Che riflessioni vi suscita? Come è presente la gioia nella vostra vita?

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