La Fede L’esistenza di Dio – Toth Tihamer #6

Toth Tihamer

La Fede

L’esistenza di Dio

 

VI. Come fortificare la mia fede: Bisogna avere il coraggio di credere

Per terminare le istruzioni preliminari, che ho creduto necessario fare prima di intraprendere la spiegazione dei dogmi della nostra fede, vorrei rispondere ad una domanda che è potuta sorgere nell’anima di qualcuno dei miei lettori: “Chi ha la fede é felice. Ma se non ho la fede, che devo fare? La fede, vorrei averla. Ci sono dei momenti, degli avvenimenti, dei giorni di festa nella mia vita, in cui la mia incredulità mi affligge come un dolore inesprimibile: ma che posso fare? Quando i miei bambini pregano, con gli occhi brillanti, sotto le piccole candele dell’albero di Natale… quando vedo degli uomini afflitti pregare con fede commovente dinanzi ad un’immagine della Addolorata, sento prepotente il bisogno di avere anch’io una fede. Ma Dio non mi concede questa fortuna”.

Dio non mi concede questa fortuna? È motivato questo lamento? Ma niente affatto. La fede è, sì, un dono di Dio, ma è, altresì, opera della volontà umana; ed in quanto la fede dipende da Dio, è Dio che fa il primo passo nella mia anima; se dunque il seme della fede deposto in me non nasce, posso concludere che la colpa è mia.

Volete avere la fede? Ebbene vi dir che cosa dovete fare per averla. Bisogna che adempiate due condizioni: avere il coraggio di credere e prendere cura della vostra fede.

Se voi adempite queste due condizioni, avrete la fede. Io devo avere il coraggio di credere dinanzi alla mia ragione e dinanzi al mio cuore.

A. Il coraggio dinanzi alla mia ragione

“Ah, perché non ho la fede! Come sarei felice se l’avessi! Ma se Dio non mi ha concesso questa felicità, che posso farci?”.

No, fratelli miei, voi vi lamentate senza motivo. Dio offre a tutti la grazia della fede: soltanto, non tutti osano afferrarla. La fede è un dono di Dio senza dubbio, ma necessario cooperare al suo acquisto. Cooperare con la mia volontà e con essa muovere la mia ragione ad accettare le verità divine.

  1. Le verità della nostra fede non possono essere scorte dalla nostra ragione al modo di 2+2=4, quando cioè nessun dubbio sia possibile al loro riguardo. È vero che delle prove e degli argomenti così forti parlano in favore della mia fede, che la sana ragione non mi permette di metterne in dubbio la verità, ma non posso toccare con le mie mani, non posso percepire con i miei sensi il contenuto della fede. Se la ragione vuol resistere, essa lo pu , e dice: “Non credo”.

Ma precisamente perché la volontà ha una parte nella fede, la mia fede è meritoria. Ditemi: dove sarebbe il mio merito, se io vedessi Dio, la vita eterna, l’anima ecc., così chiaramente come 2+2=4 e dicessi in seguito: Io credo? Qual merito c’è al credere che 2+2=4? Nessuno: giacché non potrebbe essere altrimenti. Ho invece del merito a credere in Dio, alla vita eterna, all’anima? Si, ho del merito: giacché potrei fare altrimenti. Io potrei resistere; potrei dire: Non vedo, dunque non credo.

Ci vuole dunque del coraggio per credere, giacché la fede non è solamente affare di ragione.

  1. La fede non è solamente un prodotto della ragione, ma altresì è più, della volontà. “Non comprendo” direte forse voi. “Potrebbe la mia volontà rigettare quello che la mia ragione accetta e riguarda come vero?”.

Disgraziatamente ci è possibile. La volontà umana ha questo triste e misterioso privilegio di poter agire anche contro la sua stessa ragione. Mi spingo ancor più lontano: essa pu anche indurre la ragione in errore. Quante la nostra volontà (a volte incosciente) ha diretto la nostra ragione in maniera tale che l’errore sia stato a nostro vantaggio?

Ecco come i sentimenti e la volontà agiscono sulla ragione. Ed ecco ancora un altro esempio.

Uno qualunque, pur conosciuto come scaltro e intelligente, commette una sciocchezza. Qual è il nostro primo commento appena lo sappiamo? “Non comprendo come mai un uomo svelto, che sa quel che fa, ha potuto far questo”. Ma che cosa proviamo con ci ? che nell’uomo la volontà ha, accanto alla ragione, una parte, una funzione di pari importanza. Cioè, la mia ragione si sforzerebbe invano se la mia volontà la contraddicesse. È necessario aver del coraggio: coraggio per fare l’ultimo passo che, dopo lo studio dei migliori libri d’apologetica ed i più brillanti ragionamenti intellettuali, resta ancora da fare. Invano la mia ragione mi dice che senza Dio il mondo non si spiega ed il mistero della vita non ha risposta alle domande più angosciose: invano la mia ragione mi dice che senza Dio non c’è morale, né vita veramente umana, né pace dell’anima, se essa si irrigidisce, o non vuol credere, o non osa credere. Essa non ha il coraggio di pronunciare le parole salvatrici: “Dio eterno, io non Vi vedo, ma credo in Voi!”. Perché la mia fede sia solida e senza dubbi, la volontà entra in gioco per una parte importante, giacché, lasciata a sé stessa, la ragione dice come l’apostolo incredulo San Tommaso: Se non vedo… non credo (Gv 20,25).

È a questo punto che la volontà deve intervenire, e drizzarsi risolutamente contro il dubbio.

c) I dubbi contro la fede! Tocco con il dito una piaga bruciante. Ah, se potessi credere! ma ho tanti dubbi! Come sono felici quelli che hanno la fede! Così si lamentano tante persone, e non vogliono persuadersi che del loro stato d’animo, essi stessi sono responsabili.

Colpa loro se non fanno tacere la critica, questa vecchia chiacchierona assisa sui gradini del regno della fede. Con la sua cattiva lingua entra in conversazione con tutti: “Se le cose non fossero così? se questo e quello non e vero?”, ecc. Disgraziato colui che ascolta: colui che non passa avanti diritto con sicura risoluzione, ripetendo con calma superiore le parole di San Paolo: Io so infatti a chi ho creduto (2 Tim 1,12). Naturalmente io devo qui ricordare che i dubbi di cui qui si tratta sono quelli sollevati per leggerezza e trattenuti per orgoglio, che si alimentano ciecamente, e non quelli che sorgono talvolta pur nelle anime seriamente religiose, procurando loro dei momenti d’angoscia ben grande. Invero, è curioso constatare che perfino i santi sono stati tormentati da dubbi contro la fede, e che talvolta questi dubbi turbano i nostri momenti più raccolti e migliori, le nostre preghiere, le nostre azioni di grazia. Oggi io non parlo di questa specie di dubbi. Questi ultimi non sono idee coscienti, dipendenti dalla nostra volontà: essi trovano la loro spiegazione nella debolezza del nostro sistema nervoso, nell’eccitazione o nella stanchezza del nostro spirito, e il meglio che si possa fare è il non preoccuparcene. Oppure, se ci accasciano troppo, bisogna recitare con tutta calma il Simbolo degli Apostoli. E come la neve fonde ai raggi del sole, ugualmente spariranno i dubbi che ci tormentano.

Ma ora intendo parlare dei dubbi volontari, ricercati e attizzati ciecamente.

E se non dovessi temere di essere eventualmente mal compreso, presentirei uno speciale argomento per questo genere di dubbi contro la fede. Vi prego di capirmi bene: se devo vigilare a fortificare la mia fede con l’aiuto della volontà, devo ben utilizzare tutti gli argomenti che mi si presentano. E uno di questi è: Io devo essere più credente che incredulo, perché la fede è argomento, più ragionevole, più saggio, più utile, più vantaggioso dell’incredulità.

Che sia più ragionevole e saggio credere che non credere, si pu dimostrare in poche parole: perché la grandezza e la bellezza della fede cristiana stanno a prova di una logica superiore che sorpassa tutti gli altri sistemi filosofici, come la sua forza vitale sorpassa, a testimonianza di due millenni, tutte le altre concezioni del mondo.

Sì, io voglio dire ai miei fratelli che sono alle prese con i dubbi contro la religione: la fede è più vantaggiosa dell’incredulità perché, più di quest’ultima, offre garanzie e promesse. E anche se l’incredulità potesse presentare altrettanti argomenti in suo favore, il che non è, pure in tal caso, noi dovremmo fare questa riflessione: l’una e l’altra possono avere ragione o torto. Mi metto dunque dal lato dove ho più da guadagnare e meno da perdere.

È vero che questo calcolo ha un sapore commerciale ed interessato, ma forse non mancano le anime suscettibili d’essere impressionate da tale considerazione.

Che cosa perdo e che cosa guadagno se mi schiero dal lato della fede? Se veramente c’è Dio ed un’eternità, e se regolo la mia vita in conseguenza, se mi conduco secondo la moralità e l’onestà, allora io posso tranquillamente attendere la seconda vita. Ho tutto da guadagnare. Me se la religione ha torto e dopo la morte non c’è nulla che cosa ho perduto? Allora, ci è esatto, ho perso sulla terra molte gioie sospette, disoneste, fangose, ma almeno ho goduto la dolcezza segreta, nascosta nel bene, nella pratica dell’onestà, che trova già in sé stessa la sua ricompensa.

E vediamo ora ci che perdo e ci che guadagno se io mi schiero dal lato dell’incredulità e se passo la mia esistenza terrestre come se non ci fossero né Dio né vita eterna, né anima immortale. Se la ragione è dalla parte dell’incredulità, allora quaggiù io mi sono concesso qualche godimento, qualche istante di piacere, seguito per dall’oscurità, dal nulla. Sarebbe il caso migliore.

Ma che cosa arriverebbe se l’incredulità non avesse ragione? Se, realmente, c’è un Dio, contro la volontà del quale io ho passato tutta la mia vita? Se c’è realmente una vita eterna, della quale io non mi sono mai preoccupato e per la quale io non ho mai mosso un dito?

Da quale parte ci schiereremo noi? Se mi schiero dalla parte della fede, ed ha ragione, il mio guadagno è infinito: se ho torto, la mia perdita e minima. Se mi schiero dalla parte dell’incredulità e che essa abbia ragione, il mio guadagno e minimo, ma se ha torto, la mia perdita è infinita.

Dove c’è il maggior rischio? Dalla parte della fede o in quella dell’incredulità?

Voi dite che io mi sbaglio, e che la mia fede è senza fondamento. Pure allora devo riconoscere che non ho subito alcun danno. Essa non ha arrestato una sola nobile ambizione, né paralizzato una sola forza e valore in me. E, se voglio essere sincero, dir ch’essa ha favorito grandemente in me lo sviluppo morale, ha sostenuto vigorosamente le mie debolezze. La mia fede in Dio è stata per me un’amica devota, una vera guida ed il migliore dei consiglieri che mi ha accompagnato durante tutta la mia esistenza.

B. Il coraggio di fronte al mio cuore

Se occorre coraggio per piegare la mia ragione, ne occorre ancora più per vincere i1 cuore. La nostra ragione s’inchinerebbe dinanzi alla fede, se la fede non esigesse del pari la sommissione del cuore e di tutta la nostra vita morale.

  1. La fede interviene potentemente nella vita morale, ed in essa incontra degli ostacoli certamente più penosi di quelli che le attraversano il passo nel dominio della ragione. Come l’uomo crede con gioia ci che ama e desidera, e come gli è difficile credere a ci che contrasta i suoi sentimenti! Dio ha unito la luce e le tenebre, nel mondo, ad un tal punto che la luce, cioè la verità, sarà una via vittoriosa verso una meta felice per chi la vuole: ma colui che non la vuole pu incessantemente ricorrere all’oscurità e scusare con essa le sue passioni peccaminose.

Un esempio classico su questo punto ce lo fornisce San Paolo e il governatore romano Felice. L’ho già ricordato nel mio ultimo discorso: ma è così istruttivo che vale la pena di rileggerlo. San Paolo predica dinanzi a Felice, sulla fede in nostro Signore Gesù Cristo, ed il governatore lo ascolta con animo attento. Ma, essendo Paolo venuto a parlare di giustizia, di purezza e del giudizio finale, Felice spaventato gli dice: “Per il momento puoi andare; ti far chiamare quando ne avr il tempo” (At 24,25). Il quale mai in seguito si present . Invece, finché bastava credere con la ragione, tutto procedeva benissimo: ma dall’istante in cui la fede doveva intervenire nella vita, nella sua vita, allora le cose si guastavano, egli non poteva più credere. Perché aveva dei “dubbi d’intelligenza”, delle “difficoltà filosofiche”? Manco per sogno: egli aveva tre mogli, l’ultima delle quali, Drusilla, l’aveva sedotta e rapita al marito e, secondo Tacito, si credeva permessa qualunque scelleratezza. Ecco perché non poteva credere. Ed è così che noi possiamo spiegare, per esempio, un fatto a prima vista inesplicabile: quello di fratelli e sorelle educati alla stessa maniera, vissuti nello stesso ambiente, e tuttavia diventati totalmente opposti di credenze; gli uni accettando, gli altri respingendo la fede, per capire il fatto bisogna entrare nell’intimo della loro diversa vita morale.

Al momento della morte del Salvatore il sole si oscur , trem la terra, le tombe si aprirono ed il centurione pagano si convertì ai piedi della Croce (Cf. Mt 27,54), ma i farisei induriti non mutarono anima. Perché? Perché non ebbero il coraggio di forzare il loro cuore e la loro vita a credere.

  1. Dunque: che cosa dobbiamo noi fare per avere la fede? Ci che Gesù Cristo ha insegnato: Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3, 20-21).

Le parole di Nostro Signore sono formali; credere in Dio non significa avere incessantemente il nome suo sulle labbra, ma portare Dio in sé stesso. Dio offre la fede a ciascun uomo: ed uno l’accetta, l’altro no. Avrà la fede chi, secondo le parole di Nostro Signore, è pronto a fare la volontà di Dio (Cf. Gv 7, I7).

Voi non avete la fede? Vorreste averla, ma non sapete come fare? Guardate in voi, riconoscete che non siete l’uomo che dovreste essere: non così buono, non così giusto; voi non avete le mani e l’anima pure, non siete fedele al dovere, né indulgente, né onesto. Quindi non vi resta che piangere sulla vostra vita. Mettetevi a piangere ed alle prime vostre lacrime troverete subito Dio; giacché si pu trovar Dio con la ragione, ma si trova del pari con il cuore. E si dice che chi trova Dio e lo porta in sé, quegli ha la fede. Se uno mi ama, osserverà la mia parola (Gv 14,23) ha detto chiaramente Nostro Signore.

Rousseau stesso ha scritto molto giustamente “Serbate la vostra anima nello stato nel quale voi desiderereste che essa fosse, se Dio c’è, e non dubiterete mai della verità”.

E le parole della Santa Scrittura non dicono diversamente sugli increduli: essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa (Rm 1, 21). Essi sono stati increduli nella loro ragione, perché non hanno voluto divenire credenti nella loro vita.

Vale per la vita ci che un filosofo francese (Claudio Piat) ha detto del popolo: “il popolo cessa di credere in Dio quando comincia a perdere lilla moralità”. San Paolo ugualmente proclama che la fede e la morale sono inseparabili. Egli esorta a Timoteo a combattere la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede (1 Tim, 1,19).

Chi vuol credere deve, prima di tutto, voler essere buono. Avete osservato, fratelli miei, l’espressione che io ho usato? “deve, prima di tutto, volere esser buono?” Non oso dunque dire: solo pu credere chi è già buono, già senza peccato. Chi potrebbe, invero, dir ci di sé stesso? Ma che per lo meno la nostra volontà sia diretta verso il bene, che la legge morale stia dinanzi ai nostri occhi sul mare delle tentazioni, perché possiamo guardarla come il marinaio guarda la bussola quando la tempesta infuria. E se tuttavia soccombiamo, ci resti almeno la seria volontà di risollevarci e tornare verso Dio.

Giacché chi ha abbastanza coraggio per forzare la sua ragione a credere, vorrà ancor più tenacemente forzare il suo cuore e costringerlo in una via conforme alla fede: e non perderà il prezioso tesoro neppure in mezzo ai flutti minacciosi della vita.

* * *

Fratelli miei, tempo fa un gran transatlantico lasciava un giorno altezzosamente il porto, e iniziava il suo viaggio sui mari. Tutto era in ordine sul ponte: le macchine funzionavano benissimo, la bussola indicava esattamente la direzione; tuttavia andava fuori strada. Il capitano, accortosi, fece fermare la nave. Si calcolò , si ispezionò , si discusse, si esaminò la bussola, inutilmente. Tutto appariva in ordine perfetto, e tuttavia il continente cui si voleva approdare era in tutta altra direzione. Presto si scoprì la causa della deviazione. Nella stiva della nave si trov una gran quantità di ferro, la cui massa aveva completamente deviato la bussola. Si gettò il ferro in mare e subito l’ago tornò verso il nord: il naviglio riprese la sua strada con sicurezza. Per fortuna, non era ancora troppo tardi…

Io vorrei dire, ai miei fratelli che lottano senza bussola sul mare tempestoso dei dubbi contro la fede: “Per voi ugualmente non é troppo tardi, per gettare via il carico che pesa sulla vostra anima e vi allontana da Dio”. Qual carico? Quello delle comodità del corpo, la cieca potenza degli istinti non domati, le resistenze della ragione, i sofismi del cuore, tutto ci insomma che di falso e d’impuro vi trascina all’incredulità.

Dio fa verso ciascun uomo il primo passo, ma dipende da me camminare verso di Lui con il passo fermo della fede. Dio dà alla mia anima il primo impulso, ma dipende da me il seguirlo e rafforzarlo con la mia buona volontà. Dio pronuncia il primo invito, ma dipende da me rispondere all’appello.

Non dite “Ah, se potessi credere!”. Dite: “lo credo, Signore, credo”. E se la mia ragione volesse soltanto vedere, ma non credere, possano allora risuonare alle mie orecchie le vostre sante parole Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv 20, 29).

Io credo, Signore, io credo! E se il mio cuore non volesse credere, possano, o Dio, risuonare alle mie orecchie le vostre sante parole: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mt 7, 21). Signore, io voglio credere.

Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24).