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Ven. Lug 4th, 2025
gesù parole vita eterna 1
gesù parole vita eterna 1

PRIMA LETTURA (Gal 3,22-29)
Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché la promessa venisse data ai credenti mediante la fede in Gesù Cristo.
Ma prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo. 
Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

VANGELO (Lc 11,27-28) 
Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio. 

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». 
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

da. “L’Evangelo come mi è stato rivelato”, di M. Valtorta, ed. CEV

La fede e l’anima spiegate ai pagani con la parabola
dei templi.
Poema: III, 65
29 giugno 1945.
 
Nella pace del sabato Gesù si riposa presso un campo di lino tutto in fiore appartenente a
Lazzaro. Più che presso, direi che si è immerso nell’alto lino e, seduto sull’orlo di un solco, si
assorbe nei suoi pensieri. Non c’è vicino a Lui che qualche silenziosa farfalla o qualche fru-
sciante lucertola, che lo guarda con gli occhietti di giaietto, alzando il capino triangolare dalla
gola chiara e palpitante. E null’altro. Nell’ora tarda del meriggio tace anche il minimo soffio di
vento fra gli alti steli.
Da lontano, forse dal giardino di Lazzaro, viene la canzone di una donna, e con essa i gridi
festosi del bambino che giuoca con qualcuno. Poi una, due, tre voci che chiamano: «Maestro!»,
«Gesù!».
Gesù si scuote e si alza. Per quanto il lino, al suo completo sviluppo, sia molto alto, Gesù
emerge per un bel pezzo da questo mare verde e azzurro.
«Eccolo là, Giovanni!» grida lo Zelote.
E Giovanni a sua volta chiama: «Madre! Il Maestro è qui, nel lino».
E, mentre Gesù si avvicina al sentiero che porta verso le case, ecco giungere Maria.
«Che vuoi, Madre?».
«Figlio mio, sono arrivati dei gentili con delle donne. Dicono di avere saputo da Giovanna
che Tu sei qui. Dicono anche che ti hanno atteso per tutti questi giorni presso l’Antonia…».
«Ah! ho capito! Vengo subito. Dove sono?».
«In casa di Lazzaro, nel suo giardino. Egli è amato dai romani e non ne ha il ribrezzo che
ne abbiamo noi. Li ha fatti entrare, coi loro carri, nell’ampio giardino per non dare scandalo a
nessuno».
«Va bene, Madre. 2 Sono soldati e dame romane. Lo so».
«E che vogliono da Te?»
«Quello che molti in Israele non vogliono: Luce».
«Ma come e cosa ti credono? Dio, forse?».
«A modo loro sì. Per loro è facile accogliere l’idea di una incarnazione di un dio in carne
mortale, più che fra di noi».
«Allora sono giunti a credere nella tua fede…»
«Non ancora, Mamma. Prima devo distruggere la loro. Per adesso Io sono per loro un sa-
piente, un filosofo, come loro dicono. Ma, sia questa brama di conoscere dottrine filosofiche,
sia la loro tendenza a credere possibile la incarnazione di un dio, mi aiutano molto nel portarli
alla vera fede. Credilo, sono più ingenui, nel loro pensiero, di molti d’Israele»
«Ma saranno sinceri?».
«Si dice che il Battista…»
«No. Fosse stato per loro, Giovanni sarebbe libero e sicuro. Chi non è ribelle è lasciato sta-
re. Anzi, ti dico, presso di loro l’essere profeti – loro dicono filosofi, perché l’elevatezza della
sapienza soprannaturale per loro è sempre filosofia – è una garanzia per essere rispettati. Non
essere preoccupata, Mamma. Non mi verrà da lì il male…».
«Ma i farisei… se sanno, che diranno anche di Lazzaro? Tu… sei Tu e devi portare la Parola
al mondo. Ma Lazzaro!.. E’ già tanto offeso da loro…»
«Ma è intoccabile. Lo sanno protetto da Roma».
«Ti lascio, Figlio mio. Ecco Massimino per condurti ai gentili» e Maria, che aveva cammina-
to al fianco di Gesù per tutto questo tempo, si ritira svelta, andando verso la casa dello Zelote,
mentre Gesù entra da una porticina di ferro, aperta nella cinta del giardino, in una parte remo-
ta di esso, là dove il giardino si muta in frutteto, presso cioè al luogo dove, in futuro, sarebbe
stato sepolto Lazzaro.
Là è anche Lazzaro e nessun altro: «Maestro, mi sono permesso di ospitarli…»
«Hai fatto bene. Dove sono?»
«Là in quell’ombra di bossi e lauri. Come vedi, sono lontani almeno cinquecento passi dalla
casa».
«Va bene, va bene… 3 La Luce venga a voi tutti».
«Salve, Maestro!» saluta Quintilliano, vestito da cittadino.170
Le dame si alzano per salutare. Sono Plautina, Valeria e Lidia, più un’altra, anziana, che
non so chi sia né che sia, se dello stesso grado o di grado inferiore. Sono tutte vestite molto
semplicemente e nulla le distingue.
«Abbiamo voluto sentirti. Tu non sei mai venuto. Ero di… guardia al tuo arrivo. Ma non ti
ho mai visto».
«Io pure non ho mai visto un milite, che mi era amico, alla porta dei Pesci. Aveva nome
Alessandro…»
«Alessandro? Non so di preciso se è quello. Ma so che tempo fa dovemmo levare, per cal-
mare i giudei, un milite colpevole di… avere parlato con Te. Ora è ad Antiochia. Ma forse tor-
nerà. Auf! come sono seccanti i… quelli che vogliono comandare anche ora che sono soggetti!
E bisogna barcamenare per non andare a cose grosse… Ci fanno la vita difficile, credilo… Ma
Tu sei buono e sapiente. Ci parli? Forse presto lascerò la Palestina. Vorrei avere qualcosa di Te
da ricordare».
«Vi parlerò. Sì. Non deludo mai. Che volete sapere?».
Quintilliano guarda le dame interrogativamente…
Quello che vuoi, Maestro» dice Valeria.

Plautina si alza di nuovo e dice: «Ho molto pensato… avrei tanto da conoscere… tutto,
per giudicare. Ma, se è lecito chiedere, vorrei sapere come si costruisce una fede, la tua, per
esempio, su un terreno che Tu hai detto privo di fede vera. Hai detto che le nostre credenze
sono vane. Allora rimaniamo senza nulla. Come giungere ad avere?».
«Prenderò l’esempio da una cosa che voi avete. I templi. I vostri edifici sacri, veramente
belli, la cui unica imperfezione è di essere dedicati al Nulla, vi possono insegnare come si può
giungere ad avere una fede e dove collocare la fede. Osservate. Dove vengono costruiti? Quale
luogo è possibilmente scelto per essi? Come sono costruiti? Il luogo generalmente è spazioso,
libero ed elevato. E, se spazioso e libero non è, lo si fa tale demolendo quanto lo ingombra e
stringe. Se non è elevato lo si sopraeleva su uno stereobate più elevato di quello usuale di tre
gradini, usato per i templi posti già su una naturale elevazione. Chiusi in una cinta sacra, per lo
più, e formata da colonnati e portici entro cui sono chiusi gli alberi sacri agli dèi, fontane e al-
tari, statue e stele, sono preceduti solitamente dal propileo, oltre il quale è l’altare dove ven-
gono fatte le preci al nume. Di fronte a questo vi è il luogo del sacrificio, perché il sacrificio
precede la preghiera. Molte volte, e specie nei più grandiosi, il peristilio li cinge di una ghirlan-
da di marmi preziosi. Nell’interno vi è il vestibolo anteriore, esterno o interno al peristilio, la
cella del nume, il vestibolo posteriore. Marmi, statue, frontoni, acrotèri e timpani, tutti politi,
preziosi, decorati, fanno del tempio un edificio nobilissimo anche alla vista più rozza. Non è co-
sì?».
«Così è, Maestro. Li hai visti e studiati molto bene» conferma e loda Plautina.
«Ma se ci consta che non è mai uscito dalla Palestina!?» esclama Quintilliano.
«Non sono mai uscito per andare a Roma o ad Atene. Ma non ignoro l’architettura di Grecia
e di Roma, e nel genio dell’uomo che ha decorato il Partenone Io ero presente, perché Io sono
dovunque è vita e manifestazione di vita. Là dove un saggio pensa, uno scultore scolpisce, un
poeta compone, una madre canta su una cuna, un uomo fatica sui solchi, un medico lotta con i
morbi, un vivente respira, un animale vive, un albero vegeta, là Io sono insieme a Colui da cui
vengo. Nel boato del terremoto o nel fragore dei fulmini, nella luce delle stelle o nel flusso delle
maree, nel volo dell’aquila o nel sibilo della zanzara, Io sono col Creatore altissimo».
«Sicché… Tu… Tu sai tutto? E il pensiero e le opere umane?» chiede ancora Quintilliano.
«Io so».
I romani si guardano stupiti.

Un silenzio lungo e poi, timidamente, prega Valeria: «Svolgi il tuo pensiero, Maestro, per-
ché noi si sappia cosa fare».
«Sì. La fede si costruisce come si costruiscono i templi di cui siete tanto orgogliosi. Si fa
spazio al tempio, si fa libertà intorno ad esso, si fa elevazione ad esso».
«Ma il tempio dove mettere la fede, questa deità vera, dove è?» chiede Plautina.
«Non è deità, Plautina, la fede. È una virtù. Non vi sono deità nella fede vera. Ma vi è un
unico e vero Dio».
«Allora… Egli è lassù, solo, nel suo Olimpo? E che fa se è solo?».
«Basta a Se stesso e si occupa di ogni cosa che è nel creato. Ti ho detto prima: anche al
sibilo della zanzara è presente Dio. Non si annoia, non dubitare. Non è un povero uomo, pa-
drone di un immenso impero in cui si sente odiato e in cui vive tremando. È l’Amore, e vive
amando. La sua Vita è Amore continuo. Basta a Se stesso perché è infinito e potentissimo, è la171
Perfezione. Ma tante sono le cose create, che vivono per il suo continuo volere, che Egli non ha
tempo di annoiarsi. La noia è frutto dell’ozio e del vizio. Nel Cielo del vero Dio non vi è ozio e
non vi è vizio. Ma presto Egli avrà, oltre agli angeli che ora lo servono, un popolo di giusti giu-
bilanti in Lui, e sempre più questo popolo si accrescerà per i credenti futuri nel vero Dio».
«Gli angeli sarebbero i geni?» chiede Lidia.
«No. Sono esseri spirituali, come lo è Dio che li ha creati».
«E i geni che sono allora?».
«Quali voi li immaginate sono menzogna. Non esistono, così come voi li immaginate. Ma
per quell’istintivo bisogno dell’uomo di cercare la verità – e questo per pungolo dell’anima che è
viva e presente anche nei pagani, e sofferente in essi, perché è delusa nel suo desiderio, per-
ché è affamata nella sua nostalgia del Dio vero che essa sola ricorda, in quel corpo in cui ella
abita e che è retto da una mente pagana – anche voi avete sentito che l’uomo non è solo car-
ne, e che al suo peribile corpo è unito un che di immortale. E così lo hanno le città e le nazioni.
Ecco allora che credete, che sentite il bisogno di credere ai “geni”. E vi date il genio individua-
le, quello della famiglia, della città, delle nazioni. Voi avete il “genio di Roma”. Avete il “genio
dell’imperatore” E li adorate come divinità minori. Entrate nella vera fede. Avrete conoscenza
ed amicizia dell’angelo vostro, al quale darete venerazione, non adorazione. Solo Dio va adora-
to».

«Hai detto: “Pungolo dell’anima che è viva e presente anche nei pagani, e sofferente in
essi perché delusa. Ma l’anima da chi viene?» Domanda Publio Quintilliano.
«Da Dio. Egli è il Creatore».
«Ma non nasciamo da donna per connubio con uomo? Anche i nostri dèi sono generati co-
sì».
«I vostri dèi non sono. Sono i fantasmi del vostro pensiero che ha bisogno di credere. Per-
ché questo bisogno è più imperioso di quello del respirare. Anche chi dice di non credere crede.
A qualcosa crede. Il fatto solo di dire: “Io non credo in Dio” presuppone un’altra fede. In se
stesso, magari, nella propria mente superba. Ma credere si crede sempre. E’ come il pensiero.
Se voi dite: “Io non voglio pensare” oppure: “Io non credo a Dio”, solo per queste due frasi che
dite mostrate di pensare che non volete credere a Quello che sapete esistere e che non volete
pensare. Circa l’uomo, per essere esatti nell’esprimere il concetto, dovete dire: «L’uomo è ge-
nerato come tutti gli animali da un connubio fra maschio e femmina. Ma l’anima, ossia quella
cosa che differenzia l’animale-uomo dall’animale bruto, viene da Dio. Egli la crea di volta in
volta che un uomo è generato, meglio, è concepito in un seno, e la innesta in questa carne che
altrimenti sarebbe solamente animale”.»
«E noi l’abbiamo? Noi pagani? A sentire i tuoi connazionali non parrebbe…» dice ironico
Quintilliano.
«Ogni nato da donna l’ha».
«Tu hai detto però che il peccato la uccide. Come allora in noi peccatori è viva?» chiede
Plautina.
«Voi non peccate nella fede, credendo di essere nel Vero. Quando conoscerete la Verità e
persisterete nell’errore, allora peccherete. Ugualmente molte cose, che per gli israeliti sono
peccato, per voi non lo sono. Perché nessuna legge divina ve le proibisce. Il peccato è quando
uno scientemente si ribella all’ordine dato da Dio e dice: “So che ciò che faccio è male. Ma lo
voglio fare ugualmente”. Dio è giusto. Non può punire uno che fa il male credendo di fare il
bene. Punisce chi, avendo avuto modo di conoscere Bene e Male, sceglie quest’ultimo e vi per-
siste».
«Allora in noi l’anima è, e viva e presente?».
«Sì».
«E’ sofferente? Credi proprio che essa si ricordi di Dio? Noi non ci ricordiamo del seno che
ci ha portati. Non potremmo dire come era fatto nel suo interno. L’anima, se ho ben capito,
viene spiritualmente generata da Dio. Può mai ricordarsi di questo se il corpo non ricorda la
lunga sosta nel seno?».
«L’anima non è bruta, Plautina. Il feto sì. L’anima è, a somiglianza di Dio, eterna e spiritua-
le. Eterna dal momento che viene creata, mentre Dio è il perfettissimo Eterno e perciò non ha
principio nel tempo come non avrà fine. L’anima, lucida, intelligente, spirituale, opera di Dio, si
ricorda. E soffre perché desidera Dio, il vero Dio da cui viene, e ha fame di Dio. Ecco perché
pungola il corpo torpido a cercare di accostarsi a Dio».

«Allora noi abbiamo un’anima come l’hanno quelli che voi dite “giusti” del vostro popolo?
Proprio uguale?».172
«No, Plautina. A seconda di quello che intendi dire, cambia. Se vuoi dire per l’origine e la
natura, è in tutto uguale a quella dei nostri santi. Se dici per formazione, allora ti dico che è
già diversa. Se poi vuoi dire per perfezione raggiunta avanti la morte, allora la diversità può
essere assoluta. Ma questo non solo in voi pagani. Anche un figlio di questo popolo può essere
assolutamente diverso, nella vita futura, da un santo.
L’anima subisce tre fasi. La prima è di creazione. La seconda di ricreazione. La terza di per-
fezione. La prima è comune a tutti gli uomini. La seconda è propria dei giusti che con la loro
volontà portano l’anima ad una rinascita ancora più completa, unendo le loro buone azioni alla
bontà dell’opera di Dio, e fanno perciò un’anima già spiritualmente più perfetta della prima;
per cui fanno, fra la prima e la terza, da anello di congiunzione. La terza è propria dei beati, o
santi se così vi piace, i quali hanno superato di mille e mille gradi l’iniziale anima loro, adatta
all’uomo, e ne hanno fatto un che di adatto a riposare in Dio».

«Come possiamo fare spazio, libertà, elevazione all’anima?».
«Con l’abbattere le inutili cose che avete nel vostro io. Liberarlo da tutte le idee sbagliate,
e coi detriti di queste demolizioni fare l’elevazione per il tempio sovrano. L’anima va portata
sempre più in alto, sui tre gradini.
Oh! voi romani amate i simboli. Guardate i tre gradini alla luce del simbolo. Possono dirvi i
loro nomi: penitenza, pazienza, costanza. Oppure: umiltà, purezza, giustizia. Oppure: sapien-
za, generosità, misericordia. O infine il trinomio splendido: fede, speranza, carità. Guardate
ancora il simbolo della cinta che, ornata e robusta, cinge l’area del tempio. Occorre saper cir-
condare l’anima, regina del corpo, tempio allo Spirito eterno, di una barriera che la difenda
senza però impedirle la luce né opprimerla con la vista di brutture. Una cinta sicura, e scalpel-
lata dal desiderio di amore, da ciò che è inferiore: la carne e il sangue, verso ciò che è superio-
re: lo spirito. Scalpellare con la volontà. Levare angoli, scheggiature, macchie, vene di debo-
lezza dal marmo del nostro io perché sia perfetto intorno all’anima. E nello stesso tempo, della
cinta messa a riparo del tempio, fare misericordioso rifugio ai più infelici che non conoscono ciò
che è Carità.
I portici: l’effondersi dell’amore, della pietà, del desiderio che altri vengano a Dio, simili ad
amorose braccia che si stendono a far velo sulla cuna di un orfano. E oltre la cinta le piante più
belle e più profumate, omaggio al Creatore. Seminate sul terreno prima nudo e poi coltivate le
piante: le virtù d’ogni nome, la seconda cinta viva e fiorita intorno al sacrario; e fra le piante,
fra le virtù, le fontane, altro amore, altra purificazione prima di accostarsi al propileo vicino al
quale, e prima di salire all’altare, si deve compiere il sacrificio della carnalità, svenarsi delle
lussurie. E poi passare oltre, all’altare, per deporvi l’offerta, e poi ancora accostarsi alla cella
dove è Dio, superando il vestibolo. E la cella che sarà? Una dovizia di spirituali ricchezze per-
ché nulla è mai troppo per fare cornice a Dio.
Avete inteso? Mi avete chiesto come si costruisce la fede. Vi ho detto: “secondo il metodo
con cui si alzano i templi”. Vedete che è vero. 9 Avete altro da dirmi?».
«No, Maestro. Credo che Flavia abbia scritto le cose che hai detto. Claudia le vuole sapere.
Hai scritto?».
«Esattamente» dice la donna passando le tavolette cerate.
«Ci rimarrà per poterle rileggere» dice Plautina.
«E’ cera. Si cancella. Scrivetevele nei cuori. Non si cancellerà più».
«Maestro, sono ingombri di templi vani. Vi gettiamo contro la tua Parola per atterrarli. Ma
è lavoro lungo» dice Plautina con un sospiro. E termina: «Ricordati di noi presso il tuo Cie-
lo…».
«Andate sicure che lo farò. Vi lascio. Sappiate che la vostra venuta mi è stata cara. Addio,
Publio Quintilliano. Ricordati di Gesù di Nazaret».
Le dame salutano e se ne vanno per prime. Poi, pensieroso, se ne va Quintilliano. Gesù li
guarda andare in compagnia di Massimino, che li riconduce ai loro carri.

«Che pensi, Maestro?» chiede Lazzaro.
«Che vi sono molti infelici al mondo».
«E io sono uno di quelli».
«Perché, amico mio?».
«Perché tutti vengono a Te, e Maria no. È dunque la rovina più grande?».
Gesù lo guarda e sorride. «Tu sorridi? Ma non ti duole che Maria sia inconvertibile? Non ti
duole che io soffra? Marta non fa che piangere dalla sera del lunedì. Chi era quella donna? Non
sai che per una intera giornata abbiamo sperato fosse lei?».173
«Sorrido perché sei un bambino impaziente… E sorrido perché penso che sprecate male
energia e lacrime. Fosse stata lei, Io sarei corso a dirvelo».
«Allora non era proprio?».
«Oh! Lazzaro!…».
«Hai ragione. Pazienza! Ancora pazienza!… Ecco, Maestro, i gioielli che mi hai dato per la
vendita. Sono divenuti denaro per i poveri. Erano molto belli. Di donna».
«Erano di “quella” donna».
«Me lo sono immaginato. Ah! fossero stati di Maria… Ma lei, ma lei!… Perdo la speranza,
mio Signore!…».
Gesù lo abbraccia senza parlare per un poco. Poi dice: «Ti prego tacere di questi gioielli
con chicchessia. Ella deve scomparire dalle ammirazioni e dagli appetiti, come una nuvola che
il vento porta altrove senza che ne resti traccia sull’azzurro».
«Sta’ sicuro, Maestro… e, in cambio, portami Maria, la nostra infelice Maria…».
«La pace sia con te, Lazzaro. Quel che ho promesso farò».

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