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Il suicidio verde della civiltà

 

Giulio Meotti – Il Foglio, 8 Gennaio 2020

 

“Il progetto collettivo degli occidentali? Sparire senza lasciare traccia”. Intervista a Olivier Babeau.

“L’estremismo ecologista è figlio di Rousseau e del suo odio per l’umanità”. Il cittadino ipocrita del

XXI secolo non vuole più conquistare nulla. Si sente in colpa per tutto quello che hanno fatto i suoi

predecessori e vorrebbe, quasi letteralmente, scomparire sottoterra. La cremazione non basta più:

l’idea più recente è quella di trasformare il nostro corpo in compost. Che cosa può diventare una

civiltà che vede come obiettivo l’abolizione di se stessa? Quale forza può essere lasciata a una

società che sogna l’estinzione silenziosa

 

Roma. “L’ecologismo contemporaneo, almeno nella forma estrema che avanza attraverso i media, non è

tanto un desiderio di preservare la natura, quanto una forma di misantropia”. Saggista (il suo ultimo libro è

“Éloge de l’hypocrisie”), presidente dell’Institut Sapiens e docente all’Università di Bordeaux, Olivier

Babeau ritiene che l’ambientalismo di cui siamo testimoni non sia altro che un nuovo progetto collettivo

degli occidentali: “Sparire senza lasciare traccia. La preoccupazione per l’ambiente oggi assume la forma

di una costante per ridurre al minimo la nostra ‘impronta’”, dice Babeau al Foglio. “Al di là del biossido di

carbonio, sono più in generale tutte le tracce del passaggio degli esseri umani sulla Terra che sono

destinate a scomparire, comprese quelle che non costituiscono una minaccia per l’ecosistema. Questa è

una sorprendente novità del nostro tempo. Nell’antichità, si credeva che il morto conservasse una qualche

forma di esistenza finché qualcuno se ne ricordava. Tutti i grandi governanti, dai faraoni ai presidenti della

Repubblica ai re, si preoccupavano di lasciare le tracce più brillanti possibili del loro regno o mandato. Lo

stesso cittadino comune, in passato, sognava di essere un costruttore. Desiderava, come aveva scritto

Berlioz, ‘lasciare sulla Terra alcune tracce della sua esistenza’. Non c’era niente di più bello e invidiabile

che segnare il proprio tempo e la Terra con il proprio passaggio”.

“Il catechismo progressista funziona esattamente come tutte le forme di fondamentalismo, è una visione

manichea del mondo”

Il nuovo grande progetto – dall’ecologismo alla demografia – è quello di non avere tracce. “Si sostiene

l’insignificanza. ‘Progettiamo’ il nulla. Organizziamo il vuoto. E’ un’epoca che da tempo ha perso la fede in

una delle religioni rivelate e che recentemente ha perso la fede anche nel benessere materiale. Ignora il

fatto che tante cose nel nostro ambiente sono già state plasmate da migliaia di anni di sforzi umani. Il

cittadino ipocrita del XXI secolo non vuole più conquistare nulla. Si sente in colpa per tutto quello che

hanno fatto i suoi predecessori e vorrebbe, quasi letteralmente, scomparire sottoterra. La cremazione non

basta più: l’idea più recente è quella di trasformare il nostro corpo in compost. Che cosa può diventare una

civiltà che vede come obiettivo l’abolizione di se stessa? Quale forza può essere lasciata a una società che

sogna l’estinzione silenziosa? Siamo entrati nell’èra della fluidità, che sostiene che tutto è scelto.

All’individuo senza radici o legami corrisponde un’esistenza che non vuole lasciare tracce. Questa

concezione, tuttavia, sembra essere confinata in un occidente stanco di troppa pace e prosperità.

Rallegriamoci: altri popoli meno depressi e determinati a mettere il loro marchio sulla Terra saranno felici di

aiutarci a realizzare il nostro desiderio”.

In che senso l’ambientalismo si basa sull’impulso di una tabula rasa? “La lotta contro il carbonio sembra

essere solo un pretesto, in quanto le soluzioni più efficaci e pragmatiche per ridurre le emissioni, come

l’energia nucleare, sono condannate. La lotta contro il cambiamento climatico è utilizzata da alcune

minoranze per riportare all’ordine del giorno l’agenda collettivista. Coloro che odiano ogni forma di eredità,

trasmissione e continuità, che sognano l’individuo isolato e senza radici, hanno visto nell’ecologia una

dottrina provvidenziale per far progredire il loro progetto. Il comunismo non è più una ricetta, quindi le sfide

ecologiste arrivano al momento giusto per giustificare, questa volta attraverso la paura, il sacrificio delle

nostre libertà. Quello che si deve capire è che l’attuale lotta ecologista non è principalmente contro il

carbonio, ma contro la nostra civiltà, che è considerata fondamentalmente perversa. E’ della nostra

esistenza che dovremmo sentirci in colpa”.

“Siamo entrati nell’èra della fluidità. All’individuo senza radici o legami corrisponde un’esistenza che non

vuole lasciare tracce”

Il maltusianesimo demografico è una delle conseguenze logiche. “Oggi vediamo giovani che vengono

sterilizzati per evitare di ingombrare il pianeta con una persona in più. L’ecologia trasforma gli esseri umani

in parassiti”. Non illudiamoci, il progetto ecologico è prima di tutto politico, continua Babeau al Foglio. “Esso

postula che l’unica soluzione agli effetti della presenza dell’uomo sulla Terra sia da un lato la decrescita –rinunciando così al comfort e alla salute moderne portati dalle più recenti tecniche mediche – e dall’altro

l’abolizione della libertà e dei diritti di proprietà, a favore di uno stato iper-centralizzato che distribuisce

permessi di emissione di carbonio. Ma il carbonio è vita: razionare il carbonio significa controllare la nostra

vita. Lo vediamo, ad esempio, nei progetti già citati da alcuni per limitare con vincoli il numero di viaggi

aerei che un cittadino può fare ogni anno”.

Fra le radici culturali di questa misantropia, Babeau dice che in testa c’è Jean-Jacques Rousseau. “Ha

influenzato profondamente le nostre idee politiche. Va ricordato che Maximilien de Robespierre,

responsabile tra il 1793 e il 1794 di 16 mila esecuzioni a colpi di ghigliottina e di altre 25 mila persone

massacrate, portava sempre con sé una copia del ‘Contratto sociale’. In questo libro, pubblicato nel 1762,

Rousseau sviluppa il famoso tema che sarà anche quello del suo ‘Emilio o dell’Educazione’, pubblicato

nello stesso anno: l’uomo è naturalmente buono ma corrotto dalla società. Mentre lo stato della natura è

caratterizzato dall’altruismo e da un senso di comunità, la civiltà, accusa Rousseau, ha fatto crescere

l’individualismo. Lo stato è lì per rimediare a questo. Non si tratta più, come per Hobbes e Locke, di

garantire la base della libertà affinché l’individuo possa sviluppare la propria volontà, ma al contrario di

eutanasizzare questa libertà individuale, in quanto non corrisponde all’interesse generale. Il desiderio

dell’uomo civile – e come tale corrotto dalla società – è per definizione deviante. Il ritorno a questo stato di

natura in gran parte fantasioso diventa l’orizzonte politico impraticabile agli occhi dell’ecologia. La società

non perverte solo l’uomo, che è naturalmente buono, ma è l’uomo stesso che perverte la natura con la sua

stessa esistenza. L’uomo sarebbe una specie di virus sulla Terra. Anche le impronte di piedi sulla neve di

una montagna vengono così vissute come una forma di aggressione. Si tratta ora di salvare questo mondo

che gli esseri umani hanno trovato così difficile da civilizzare”.

“La velocità con cui abbiamo dimenticato quanto fosse difficile la vita dei nostri antenati è stupefacente”

La civiltà occidentale avrà qualche futuro se questo ambientalismo radicale avrà successo? “No, perché la

civiltà occidentale è proprio il nemico da sconfiggere agli occhi di questa corrente ideologica. Le mentalità

oggi sono particolarmente preparate all’accettazione di questo programma nichilista. Il paradosso è che

l’ingiunzione alla sovversione di tutte le regole che ha trionfato nel maggio del ’68 si sta ora trasformando

nell’ascesa di una nuova forma di puritanesimo. Non si tratta di un’oscillazione a pendolo: il secondo è

un’estensione e non un contrappeso al primo. Abbiamo ingenuamente pensato di emanciparci abolendo le

regole di un’epoca, ma in realtà abbiamo aperto la strada a forme di ingiunzioni che si traducono in divieti,

anatemi e punizioni non meno severe di quelle di ieri. I falò progressisti non hanno nulla da invidiare a

quelli della società tardo-borghese. Il catechismo progressista funziona esattamente come tutte le forme di

fondamentalismo: la convinzione di essere l’unica vera fede e l’ultima tappa della storia morale, l’assoluta

intolleranza a qualsiasi domanda, la violenza esercitata in nome del bene, la promozione di una visione

binaria e manichea del mondo”.

“Il comunismo non va più, così l’ecologismo serve a giustificare, questa volta attraverso la paura, il

sacrificio delle nostre libertà”

Troppa pace e prosperità ci hanno sfibrato? “Le critiche alla società e la richiesta di un passo indietro non

avrebbero altrettanto successo se non soffrissimo di una terribile amnesia. La velocità con cui abbiamo

dimenticato quanto fosse difficile la vita dei nostri antenati è stupefacente. E’ difficile immaginare la

precarietà e la durezza dell’esistenza umana nel passato. Fino ai fantastici progressi della medicina degli

ultimi duecento anni, la saggezza popolare ripeteva con rassegnazione che ‘ci vogliono due bambini per

fare un uomo’. La storia è stata segnata da massicce epidemie in cui una parte significativa della

popolazione è morta in atroci sofferenze. Ad Atene, nel V secolo a.C., la metà degli ateniesi, compreso lo

stesso Pericle, morì in uno di questi focolai di peste. Durante l’assedio di Costantinopoli nel VI secolo, ogni

giorno morivano 10 mila persone. L’imperatore Giustiniano non sopravvisse all’assedio. La peste nera nel

XIV secolo ha ucciso 25 milioni di persone in Europa, una persona su tre. E’ l’equivalente di due miliardi di

morti di oggi. Nel 1849, nel cuore della rivoluzione industriale, un’epidemia di colera uccise 14 mila persone

a Londra. L’incredibile fragilità dell’esistenza non ha impedito in alcun modo la gioia, la creazione e l’amore.

Non siamo mai stati così ricchi, sicuri e sani come lo siamo oggi. Ma il progresso è diventato spaventoso.

Non crediamo più che i nostri figli vivranno una vita migliore. Soddisfatti dei vantaggi della tecnologia, ora

ne vediamo solo i pericoli. Eppure è la tecnologia che ha permesso alla nostra specie di arrivare a questo

punto. E’ anche l’unica chiave per le sfide demografiche e climatiche che dobbiamo affrontare”.

Se la preoccupazione ambientale è universale, la malattia della fine del mondo è esclusivamente

occidentale. In questo senso, non è mai la fine del mondo, è sempre la fine di un mondo. Il nostro.

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