OMELIA 27

di S. Agostino

Cristo dimora in noi, e noi in lui.

Ciò che il Signore si ripromette, dandoci a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, è che noi dimoriamo in lui, e lui in noi. Dimoriamo in lui come sue membra, dimora in noi come suo tempio. E’ l’unità che ci compagina come membra; ma chi crea l’unità è la carità.

1. Abbiamo ascoltato dal Vangelo le parole del Signore, che fanno seguito al discorso precedente. Ora, su questo tema del corpo del Signore, che egli diceva di voler offrire come cibo per la vita eterna, ci sembra doveroso da parte nostra, e oggi quanto mai opportuno, esporre alle vostre orecchie e alle vostre menti qualche riflessione. Ci ha spiegato come farà a distribuire questo suo dono, in che modo cioè ci darà la sua carne da mangiare, dicendo: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui (Gv 6, 57). La prova che si è veramente mangiato e bevuto il suo corpo e il suo sangue, è questa: che lui rimane in noi e noi in lui, che egli abita in noi e noi in lui, che noi siamo uniti a lui senza timore di essere abbandonati. Con linguaggio denso di mistero ci ha insegnato e ci ha esortati ad essere nel suo corpo, uniti alle sue membra sotto il medesimo capo, a nutrirci della sua carne senza mai separarci dalla sua comunione. Se non che molti dei presenti non compresero e si scandalizzarono: ascoltando tali parole non riuscivano ad avere se non pensieri secondo la carne, ciò che essi stessi erano. Ora, l’Apostolo con tutta verità dice che pensare secondo la carne conduce alla morte (Rm 8, 6). Il Signore ci dà la sua carne da mangiare; ma intendere questo secondo la carne è morte, mentre il Signore ci dice che nella sua carne si trova la vita eterna. Non dobbiamo quindi intendere secondo la carne neppure la carne, come si deduce dalle parole che seguono.

[Il segreto di Dio impegna la nostra attenzione.]

2. Molti, non dei suoi nemici, ma dei suoi discepoli, dopo averlo ascoltato, dissero: Questo linguaggio è duro; chi lo può intendere? (Gv 6, 61). Se questo linguaggio apparve duro ai discepoli, immaginate ai nemici. Era necessario tuttavia che così fosse espresso ciò che non era comprensibile a tutti. Anziché provocare avversione, i segreti di Dio devono impegnare la nostra attenzione. Quelli, invece, defezionarono non appena sentirono il Signore parlare così: non pensarono che annunciava qualcosa di arcano e che sotto il velo di queste parole nascondeva un grande dono. Le intesero arbitrariamente, in senso puramente umano, e pensarono che Gesù potesse e volesse distribuire ai credenti in lui la carne di cui il Verbo era rivestito, facendola a pezzi. Questo linguaggio è duro – essi dicono – e chi lo può intendere?

3. Ma Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano di questo … Essi avevano parlato tra loro in modo da non farsi sentire da lui; ma egli, che li conosceva nell’intimo, ascoltandoli dentro di sé, rispose e disse: Ciò vi scandalizza? Cioè, vi scandalizza il fatto che io abbia detto che vi do da mangiare la mia carne e da bere il mio sangue? E’ questo che vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima? (Gv 6, 62-63). Che significano queste parole? Risolvono la loro difficoltà? Sciolgono il dubbio che li ha scandalizzati? Queste parole certamente avrebbero chiarito, se essi le avessero comprese. Credevano che egli volesse dare loro in cibo il suo corpo; egli dice che salirà in cielo, e vi salirà tutto intero: Quando vedrete il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima, allora crederete che egli non distribuisce il suo corpo nel modo che voi credete: almeno allora capirete che la sua grazia non si consuma con dei morsi.

4. E aggiunge: E’ lo spirito che vivifica, la carne non giova nulla (Gv 6, 64). Prima di spiegare, con l’aiuto del Signore, queste parole, non dobbiamo trascurare ciò che ha detto prima: Se vedeste il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima. Cristo è il Figlio dell’uomo, nato dalla vergine Maria. Ha cominciato dunque ad essere figlio dell’uomo qui in terra, dove ha assunto la carne, che appunto proviene dalla terra. Perciò il profeta aveva detto: la verità è sorta dalla terra (Sal 84, 12). Cosa vuol dire dunque: Se vedeste il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima? Nessun problema se avesse detto: Se vedrete il Figlio di Dio ascendere dov’era prima. Egli invece ha parlato del Figlio dell’uomo che ascende dov’era prima. Come poteva il Figlio dell’uomo essere in cielo, dal momento che cominciò ad esistere qui in terra? Ha detto dov’era prima, come se, mentre diceva queste cose, non fosse in cielo. In un altro passo dice: Nessuno ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio dell’uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Non dice che “era”; dice: il Figlio dell’uomo che è in cielo. Parlava stando in terra, e affermava di essere in cielo. E non disse: Nessuno ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio di Dio che è in cielo. Che cosa si propone, con queste parole, se non farci intendere ciò che già nel precedente discorso noi abbiamo cercato d’inculcare alla vostra Carità, e cioè che Cristo, Dio e uomo, è una sola persona, non due, sicché non accada che per noi le persone della Trinità siano quattro invece di tre? Cristo è uno solo: il Verbo, l’anima e la carne sono un solo Cristo; il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo sono un solo Cristo. E’ Figlio di Dio da sempre, Figlio dell’uomo nel tempo, e tuttavia un solo Cristo nell’unità della persona. Era in cielo quando parlava in terra. Era Figlio dell’uomo in cielo così come era Figlio di Dio in terra: Figlio di Dio in terra nella carne assunta, Figlio dell’uomo in cielo nell’unità della persona.

5. Che significano le parole che seguono: Elo Spirito che vivifica, la carne non giova nulla? Egli ci consente di rivolgerci a lui, non per contraddirlo ma nel desiderio di apprendere: O Signore, maestro buono, come è possibile che la carne non giovi nulla, quando tu hai dichiarato: Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita (Gv 6, 54)? Forse che la vita non serve a nulla? E perché allora siamo ciò che siamo, se non per avere la vita eterna, che tu prometti di darci mediante la tua carne? In che senso allora la carne non giova nulla? Non giova nulla la carne nel senso in cui costoro la intesero: essi la intesero nel senso della carne morta fatta a pezzi, come si vende al macello, non nel senso della carne vivificata dallo Spirito. E’ detto che la carne non giova nulla, come è detto che la scienza gonfia. Dobbiamo allora odiare la scienza? Niente affatto! In che senso la scienza gonfia? Quando è sola, senza la carità. Infatti l’Apostolo aggiunge: mentre la carità edifica (1 Cor 8, 1). Alla scienza unisci la carità, e la scienza ti sarà utile, non da sé sola, ma a motivo della carità. Così anche in questo caso: la carne non giova nulla, cioè la carne da sola; se però, alla carne si unisce lo spirito, allo stesso modo che alla scienza si unisce la carità, allora gioverà moltissimo. Se, infatti, la carne non giovasse nulla, il Verbo non si sarebbe fatto carne, per abitare fra noi. Se tanto ci ha giovato il Cristo mediante la carne, come si può dire che la carne non giova nulla? Ma è lo Spirito che mediante la carne ha operato la nostra salvezza. La carne fu come il vaso: considera ciò che portava, non ciò che era. Sono stati mandati gli Apostoli: forse che la loro carne non ci ha giovato? E se ci ha giovato la carne degli Apostoli, poteva non giovarci la carne del Signore? Come è giunto a noi il suono della loro parola, se non mediante la voce della carne? E come ha potuto essere composta la Scrittura? Tutto ciò è opera della carne, guidata però, come suo strumento, dallo spirito. Elo Spirito – dunque – che vivifica, la carne non giova nulla, ma nel senso che quelli la intesero, non nel senso in cui io do da mangiare la mia carne.

[Amare l’unità.]

6. Perciò dice: Le parole che vi ho detto sono spirito e sono vita (Gv 6, 64). Abbiamo già detto, o fratelli, che cosa ci raccomanda il Signore nel darci a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue: che noi dimoriamo in lui e lui in noi. Ora, noi dimoriamo in lui, se siamo le sue membra; egli dimora in noi, se siamo il suo tempio. E’ l’unità che ci compagina facendoci diventare membra di Cristo Ma che cos’è che crea questa unità se non la carità? E la carità di Dio donde nasce? Domandalo all’Apostolo. La carità di Dio – egli risponde – è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5). E’ lo Spirito – dunque – che vivifica: lo Spirito, infatti, fa vivere le membra. Ma lo Spirito non fa vivere se non le membra che trova nel corpo che esso anima. Lo spirito che è in te, o uomo, lo spirito che ti fa essere uomo, fa vivere forse un membro che trova separato dal tuo corpo? Dico il tuo spirito per dire la tua anima: la tua anima fa vivere soltanto le membra che compongono il tuo corpo; se un membro viene amputato, non è più vivificato dalla tua anima, perché non appartiene più all’unità del tuo corpo. Queste considerazioni devono ispirarci amore per l’unità e orrore per la separazione. Niente deve temere un cristiano, quanto l’essere separato dal corpo di Cristo. Chi infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più suo membro; se non è suo membro, non può essere animato dal suo Spirito. Che se qualcuno – dice l’Apostolo – non possiede lo Spirito di Cristo, non gli appartiene (Rm 8, 9). E’ lo Spirito – dunque – che vivifica, la carne non giova nulla. Le parole che io vi ho dette sono spirito e vita. Che significa sono spirito e vita? Significa che devono essere intese in senso spirituale. Tu le hai intese in senso spirituale? Allora sono spirito e vita. Le hai intese in senso materiale? Esse sono sempre spirito e vita, ma non lo sono per te.

[La fede ci unisce a Dio, l’intelligenza ci fa vivere di lui.]

7. Ma vi sono tra voi alcuni che non credono (Gv 6, 65). Non dice: Vi sono tra voi alcuni che non capiscono; ma, spiegando il motivo per cui non capiscono, dice: Vi sono tra voi alcuni che non credono; ecco perché non capiscono: perché non credono. Il profeta disse: Se non crederete, non capirete (Is 7, 9 sec LXX). Per mezzo della fede ci uniamo a lui, per mezzo dell’intelligenza veniamo vivificati. Prima uniamoci a lui per mezzo della fede, per essere poi vivificati per mezzo dell’intelligenza. Chi non si unisce al Signore, gli oppone resistenza e chi gli oppone resistenza non crede. E come può essere vivificato colui che resiste al Signore? Egli volta le spalle al raggio della luce che dovrebbe illuminarlo: non distoglie lo sguardo, ma chiude la sua mente. Vi sono – dunque – alcuni che non credono. Credano e si aprano; si aprano e saranno illuminati. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che credevano, e chi lo avrebbe tradito (Gv 6, 65). Era presente anche Giuda. Alcuni si scandalizzarono; Giuda rimase, non col desiderio d’intendere le parole del Signore ma col proposito di tendergli insidie. E siccome era rimasto, il Signore fece un’allusione a lui. Non fece il suo nome, ma neppure tacque, affinché tutti fossero presi da timore, sebbene uno solo di essi sarebbe andato perduto. Dopo aver parlato così e aver fatto la distinzione tra i credenti e i non credenti, spiegò anche il motivo per cui uno non crede: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio (Gv 6, 66). Credere, dunque, è un dono; credere non è una cosa da poco. Se credere è una grande cosa, rallegrati se sei credente, ma non insuperbirti: che cosa hai infatti, che tu non abbia ricevuto? (1 Cor 4, 7).

8. Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero indietro, e non andavano più con lui (Gv 6, 67). Si ritrassero indietro, ma dietro a Satana, non dietro a Cristo. Una volta, infatti, Cristo Signore chiamò Pietro Satana, più che altro perché voleva precedere il suo Signore, e consigliare a non morire colui che era venuto per morire affinché noi fossimo liberati dalla morte eterna; e gli disse: Indietro, Satana! tu non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini (Mt 16, 23). Non lo respinse, mandandolo dietro a Satana; ma, dopo averlo chiamato “Satana”, lo fece venire dietro di sé affinché, camminando dietro al Signore, Pietro cessasse di essere Satana. Quelli invece si tirarono indietro nel senso che dice l’Apostolo di certe donne: Alcune si sono fuorviate dietro a Satana (1 Tim 5, 15). Non lo seguirono più. Essendosi staccati dal corpo, perdettero la vita, perché probabilmente non avevano mai fatto parte del corpo. Dobbiamo metterli nel numero di coloro che non credevano, sebbene si chiamassero discepoli. Quelli che si ritirarono non erano pochi, ma molti. Ciò avvenne forse a nostra consolazione: può accadere, infatti, che uno dica la verità e non sia capito, e che, anzi, quelli che lo ascoltano se ne vadano scandalizzati. Quest’uomo potrebbe pentirsi d’aver detto la verità: Non avrei dovuto parlare così, non avrei dovuto dire queste cose. Al Signore accadde questo: parlò e perdette molti discepoli, e rimase con pochi. Ma egli non si turbò perché fin da principio sapeva chi avrebbe creduto e chi no. Se a noi capita qualcosa di simile, rimaniamo turbati. Troviamo consolazione nel Signore, senza tuttavia dispensarci dalla prudenza nel parlare.

[Pietro è l’unità rispetto all’universalità.]

9. Il Signore si rivolge a quei pochi che erano rimasti: Disse allora Gesù ai dodici – cioè a quei dodici che erano rimasti -: Volete andarvene anche voi? Non se ne andò nessuno, neppure Giuda. Il motivo per cui Giuda rimase, era già chiaro al Signore, e più tardi lo fu anche per noi. Pietro rispose per tutti, uno per molti, l’unità per l’universalità: Gli rispose Simon Pietro: Signore, a chi andremo? Se ci scacci da te, dacci un altro simile a te. A chi andremo? Se ci allontaniamo da te, a chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo e il tuo sangue. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto e conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio (Gv 6, 68-70), cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei.

10. Disse allora il Signore Gesù: Non vi ho forse scelto io, voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo! (Gv 6, 71). Forse ci saremmo aspettati che dicesse: Ho scelto voi undici. Si può forse scegliere anche un diavolo? E tra gli eletti ci può essere un diavolo? Di solito si dice eletto in senso positivo: forse anche Giuda è stato eletto per essere utilizzato, senza che lo volesse e lo sapesse, per uno scopo buono? Questo è secondo lo stile di Dio, il quale agisce in maniera contraria ai malvagi: là dove infatti i malvagi utilizzano male i doni di Dio, Dio, al contrario, utilizza a fine di bene le cattive azioni dei malvagi. Quale armonia, il fatto che le membra siano disposte nel modo voluto dall’artefice divino! Tuttavia quale cattivo uso fa degli occhi l’insolente! Come usa male la lingua il bugiardo! Il falso testimone con la sua lingua non sopprime forse la sua anima, prima di attentare a quella degli altri? Si può usare male la lingua, ma non per questo la lingua è un male: la lingua è opera di Dio, è il malvagio che usa male l’opera di Dio che è buona. Che uso fanno dei piedi coloro che corrono a compiere delitti? Che uso fanno delle mani gli omicidi? Tutti gli empi fanno un cattivo uso delle creature buone con cui Dio si circonda. Si servono dell’oro per corrompere la giustizia e opprimere gli innocenti. I malvagi usano in modo perverso di questa luce; infatti essi, vivendo male, profanano la stessa luce per la quale possono vedere, mettendola al servizio delle loro scelleratezze. Il malvagio che va a compiere un delitto cerca la luce per non cadere, lui che di dentro è già inciampato e caduto: ciò che teme per il corpo è già accaduto nel cuore. Il malvagio dunque, per non dilungarci troppo nei particolari, può abusare di tutti i doni di Dio, mentre chi è buono, volge al bene anche le cattive azioni dei malvagi. E chi è più buono di Dio? A proposito una volta il Signore ha detto: Solo Dio è buono (Mc 10, 18). Nessuno meglio di lui, quindi, sa utilizzare anche i nostri mali. E chi è peggiore di Giuda? Tra tutti i seguaci del Maestro, tra i dodici Apostoli, a lui era stata affidata la borsa e l’incarico di provvedere ai poveri: ingrato per tanto privilegio e per tanto onore, accettò il denaro e perdette la giustizia, tradì la vita, egli che era già morto; perseguitò, da nemico, colui che aveva seguito come discepolo. Certo tutto questo è opera malvagia di Giuda; ma il Signore seppe utilizzare anche la sua malvagità. Sopportò il tradimento per redimerci. Ecco come il delitto di Giuda fu convertito in un bene. Quanti martiri Satana perseguitò! Se Satana avesse smesso di perseguitare, oggi non celebreremmo il glorioso martirio di san Lorenzo. Se dunque Dio sa utilizzare anche le azioni del diavolo, il male che un malvagio compie abusando dei doni di Dio, nuoce a lui, ma non pregiudica la bontà di Dio. Dio lo utilizza: che se, da quel sapiente artefice che è, non sapesse utilizzarlo, non lo permetterebbe. Dunque uno di voi è un diavolo, dice il Signore, pur essendo stato io a scegliere voi dodici. Si può anche scorgere nelle parole ho scelto voi dodici un riferimento al sacro significato di quel numero. Il numero dodici non fu disonorato dal fatto che uno si perdette, perché al posto di quello che si perdette, subentrò un altro (cf. At 1, 26). Il dodici, questo numero sacro, è rimasto intatto, perché in tutto il mondo, cioè ai quattro punti cardinali, gli Apostoli avrebbero annunziato la Trinità. Tre per quattro fanno dodici. Giuda si è perduto senza profanare il numero dodici: egli ha abbandonato il Maestro, ma Dio lo ha sostituito.

[Partecipazione spirituale.]

11. Questo è quanto il Signore ci ha detto del suo corpo e del suo sangue. Ci ha promesso la vita eterna attraverso la partecipazione a questo dono. Perciò ha voluto farci intendere che davvero mangiano la sua carne e bevono il suo sangue coloro che rimangono in lui e nei quali egli rimane. Questo non capirono coloro che non credettero in lui e che, intendendo in senso carnale le cose spirituali, si scandalizzarono. E mentre questi si scandalizzavano e si perdevano, il Signore incoraggiò i discepoli che erano rimasti con lui, ai quali, come per provarli, domandò: Volete andarvene anche voi? (Gv 6, 68). Egli fece questa domanda affinché noi potessimo conoscere, attraverso la risposta, la loro fedeltà. Egli infatti sapeva benissimo che sarebbero rimasti. Tutto ciò dunque, o dilettissimi, ci serva di lezione, affinché non abbiamo a mangiare la carne e a bere il sangue di Cristo solo sacramentalmente, come fanno anche tanti cattivi cristiani; ma affinché lo mangiamo e lo beviamo in modo da giungere alla partecipazione del suo Spirito e da rimanere nel corpo senza scandalizzarci se molti di coloro che con noi mangiano e bevono la carne e il sangue, ma solo esteriormente, saranno alla fine condannati ai tormenti eterni. Al presente il corpo di Cristo non è ancora purificato, come il grano sull’aia; ma il Signore sa chi sono i suoi (cf. 2 Tim 2, 19). Quando batti il grano, tu sai che la massa dei chicchi sta nascosta e che la battitura non distrugge ciò che il ventilabro deve purificare; così siamo sicuri, o fratelli, che quanti siamo nel corpo del Signore, e rimaniamo in lui in modo che anch’egli rimanga in noi, dovremo, in questo mondo e sino alla fine, vivere in mezzo agli iniqui. E non parlo degli iniqui che bestemmiano Cristo; poiché ormai non sono molti quelli che lo bestemmiano con la lingua, ma sono molti quelli che lo bestemmiano con la vita. E’ necessario dunque che viviamo in mezzo a loro sino alla fine.

12. Ma cosa voleva significare la frase: egli dimora in me e io in lui (Gv 6, 56; 15, 5), se non ciò di cui hanno tenuto conto i martiri: Chi avrà perseverato sino alla fine, questo sarà salvo (Mt 24, 13)? In che modo san Lorenzo, di cui oggi celebriamo la festa, rimase in lui? Vi rimase fino alla prova, fino all’interrogatorio del tiranno, fino alla crudelissima minaccia, vi rimase fino al martirio; di più, fino al terribile rogo. Infatti non fu ucciso subito, ma fu torturato col fuoco; gli fu concesso di vivere più a lungo; o meglio, non gli fu concesso di vivere più a lungo, ma fu condannato a morire più lentamente. Ora, in quella lenta morte, in quei tormenti, siccome aveva mangiato e bevuto al banchetto eucaristico, saziato di quel cibo e inebriato di quel calice, non sentì i tormenti. Era presente in lui chi ha detto: E’ lo Spirito che vivifica (Gv 6, 64). La carne ardeva, ma lo Spirito vivificava l’anima. Non venne meno, e così fece il suo ingresso nel Regno. Il santo martire Sisto, di cui abbiamo celebrato la festa cinque giorni fa, gli aveva detto: “Non affliggerti, figlio”. Sisto era vescovo e Lorenzo diacono. “Non affliggerti, mi seguirai fra tre giorni”. Tre giorni sono il tempo che intercorre tra il martirio di san Sisto e il martirio di san Lorenzo, che oggi celebriamo. Tre giorni separano i due martiri. O consolazione! Non gli disse Sisto: non affliggerti, figlio, finirà la persecuzione e tu sarai salvo. Gli disse: non affliggerti; tu mi seguirai dove io ti precedo; e mi seguirai senza dover attendere: ancora tre giorni e sarai con me. Lorenzo accolse la profezia, vinse il diavolo e pervenne al trionfo.

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