Volume terzo del PerCorso. Milano: Rizzoli, 2014.
Il libro affronta il problema del rapporto con Cristo nel presente. Dopo duemila anni Cristo raggiunge l’uomo attraverso una realtà che si può vedere e toccare, l’unità di coloro che sono stati afferrati da Lui e che Lo riconoscono: la Chiesa.
Sezione prima. La pretesa permane
Parte prima: al cuore del problema Chiesa
Nella
prima parte si risponde alla domanda: «Io, che vengo il giorno dopo
quello in cui Cristo se n’è andato, come faccio a sapere con ragionevole
sicurezza se si tratta di qualcosa che mi interessa?». Storicamente
sono state date tre diverse risposte, che descrivono altrettanti
capitoli della storia culturale dell’Occidente e, al tempo stesso,
indicano tre atteggiamenti con cui l’uomo di oggi può guardare la
proposta cristiana. Il primo approccio, quello storico-razionalistico,
considera il cristianesimo come un fatto del passato e raccoglie i dati
provenienti dal passato per ricostruire la vita di Gesù. Il secondo
metodo, che si può definire “protestante”, si affida ad una
illuminazione interiore, considerando impossibile che il divino si renda
presente attraverso l’umano. Entrambi i metodi, apparentemente opposti
tra loro, hanno un denominatore comune: riducono il fatto cristiano ad
un fenomeno soggettivistico. Il terzo possibile approccio, quello
ortodosso-cattolico, è fedele alla dinamica verificatasi duemila anni
fa: per conoscere Cristo, Dio fatto carne, è necessario un incontro
umano. Esso inoltre valorizza gli aspetti salienti dei primi due metodi,
favorendo l’indagine storica, che si comprende fino in fondo solo
dall’interno di un’esperienza nel presente, ed esaltando la possibilità
del rapporto personale con Cristo, che si realizza al massimo grado di
fronte alla presenza carnale del Mistero.
Oggi
una mancanza di sintonia con le parole cristiane le rende estranee
all’uomo; si tratta di una possibilità permanente dell’animo umano,
caratterizzata dalla mancanza di impegno autentico, di interesse e di
curiosità verso la realtà, ma è anche l’esito di un lungo percorso
storico di dimenticanza dell’aspetto religioso. Mentre l’epoca medievale
era sostanzialmente caratterizzata dalla facilità nel concepire Dio
come fattore presente e decisivo di ogni aspetto dell’esistenza, nei
secoli successivi si è sviluppato un processo di disarticolazione di
tale mentalità religiosa unitaria. Denominatore comune delle diverse
tappe storiche e culturali (Umanesimo, Rinascimento, razionalismo) è
l’esaltazione ad oltranza dell’uomo e delle sue capacità; non dell’uomo
nella sua concretezza personale, ma dell’umanità astrattamente intesa.
Intensificandosi, tale esaltazione sfocia nello scientismo, una fiducia
senza limiti nel progresso scientifico considerato come risolutivo del
problema umano. Oggi è facile che si ammetta Dio purché non si pretenda
che c’entri con la realtà umana: è la cultura laicista, per la quale la
vita è concepita e vissuta come se Dio non ci fosse.
Parte seconda: i fattori costitutivi del fenomeno cristiano nella storia
La
Chiesa si è posta e si pone nella storia come luogo del rapporto con
Cristo vivo. Dopo la resurrezione di Cristo, il gruppo di coloro che
l’avevano seguito si rinsalda, non in forza di un ricordo, ma perché
Cristo risorto si rende presente in mezzo a loro. C’è perciò una
continuità fisiologica tra Cristo e questo primo nucleo della Chiesa:
essa inizia il suo cammino nel mondo come continuità della vita
dell’uomo Cristo. Tre sono i fattori costitutivi di tale fenomeno.
Si tratta di una realtà sociologicamente identificabile, un gruppo visibile, chiamato con il termine Ecclesia Dei,
i radunati da Dio in quanto scelti da Lui. L’idea cristiana di
appartenenza non ha più, come per il popolo ebraico, un carattere
etnico: è il gruppo di tutti coloro che Dio mette insieme nella fede in
Gesù Cristo.
In secondo luogo i
primi cristiani sono consapevoli che tutto ciò che accade in loro di
eccezionale non è frutto della loro adesione, intelligenza o volontà, ma
dono misterioso dello Spirito, di una «Forza dall’Alto» che li ha
investiti.
Infine il fatto cristiano dà inizio a un nuovo tipo di vita, descritta nel Nuovo Testamento con il termine koinonia
(comunione), che indica un gruppo di persone che ha qualcosa in comune.
I primi cristiani hanno in comune la ragione della vita, Cristo. La
comunione si esprime in un ideale etico, la tendenza a mettere in comune
tutte le risorse materiali e spirituali, indicando così un fenomeno
istituzionale nuovo dentro la società; essa reca con sé un’espressione
rituale, il gesto eucaristico, segno distintivo supremo della fede in
Gesù Cristo ed è contraddistinta da un «fattore gerarchico», poiché in
base ad un preciso insegnamento di Gesù la Chiesa è stata fondata sugli
apostoli e sul particolare primato di Pietro. Infine la comunità dei
primi cristiani si definisce come comunità di santi, uomini che
appartengono all’Alleanza con Dio e si protendono in un cammino secondo
il Suo volere.
Sezione seconda. Il segno efficace del divino nella storia
Parte terza: come la Chiesa ha definito se stessa
La
pretesa della Chiesa di essere veicolo del divino attraverso l’umano è
la stessa pretesa di Cristo: il fatto che un uomo la cui identità non
presentava a prima vista nulla di misterioso si dicesse Dio, fu fin da
subito fonte di scandalo. L’apostolo Paolo è consapevole della
sproporzione connaturata al fenomeno «Chiesa»: un’umanità fragilissima
destinata a rendere evidente l’invincibilità di una Presenza che usa
dell’uomo ma non viene dall’uomo. Ciò implica che Dio utilizzi i diversi
temperamenti e mentalità per comunicare differenti aspetti della verità
e che giochi tutto sulla libertà dell’uomo, senza scandalo per le
ristrettezze e i limiti. Inoltre Dio si comunica attraverso l’ambiente e
il momento storico-culturale: così la struttura della Chiesa mostra
sempre sensibilmente il tipo mentale e culturale dell’epoca in cui
opera, ma, a differenza di altre strutture, l’accentuazione di un
fattore non può mai eludere la presenza della verità nella sua
integrità.
Lo scopo della Chiesa
nel mondo e nella storia è lo stesso di Gesù: educare l’uomo ad una
chiara coscienza e ad un corretto atteggiamento di fronte al destino. Da
una parte la Chiesa ha la pretesa di poter dire l’ultima parola
sull’uomo e sulla storia, rilevando l’irriducibilità della persona, di
cui nessuno può disporre a proprio piacere, e indica il regno di Dio
come il significato a cui ogni frammento della vita tende. Dall’altra
essa non ha mai dimenticato la propria vocazione educativa, la
preoccupazione che l’uomo viva con la coscienza di dipendere totalmente
dal Mistero. Di fronte ai problemi, che costituiscono la stoffa
dell’esistenza, la Chiesa non si propone di risolverli, di sottrarli
alla libertà e alla creatività dell’uomo, ma indica la posizione
ottimale per poterli affrontare.
Il
divino si comunica nella Chiesa come comunicazione di verità: Dio,
tramite la Chiesa, aiuta l’uomo a raggiungere un’obiettiva chiarezza e
sicurezza nel percepire i significati ultimi della propria esistenza. Da
solo l’uomo può arrivare semplicemente alle soglie del significato del
vivere e chiedere, anche in modo implicito e inconsapevole, un soccorso
divino alla propria ricerca; oppure, più chiaramente, che il divino si
riveli. L’annuncio cristiano realizza quello che nella coscienza
dell’uomo emerge talora come presentimento o profezia: che tutto nella
storia è redimibile. Questa comunicazione di verità si realizza nella
Chiesa attraverso una via ordinaria, la vita della comunità legata al
magistero ordinario del papa e dei vescovi in comunione con lui, o
attraverso il magistero straordinario, che ha luogo quando il papa
afferma qualcosa nella totalità della propria autorità (con la
convocazione di un Concilio ecumenico o con una definizione ex cathedra).
L’espressione
del Vangelo di Giovanni «il Verbo si è fatto carne» mostra che non ci
troviamo solo di fronte a una comunicazione di verità, ma a un
comunicarsi della realtà divina stessa. Ciò avviene attraverso
un’“esaltazione” ontologica dell’io, (l’“uomo nuovo” evangelico), un
salto di qualità nella sua partecipazione all’Essere. Si tratta
dell’azione della grazia santificante, un dono gratuito che fa sì che
l’uomo aderisca a Dio. Questa grazia soprannaturale si comunica
attraverso gesti concreti, i sacramenti, che prolungano nella storia i
segni con cui Cristo comunicava se stesso.
Parte quarta: la verifica della presenza del divino nella vita della Chiesa
Come
è possibile raggiungere la certezza che la Chiesa è veramente il
prolungarsi di Cristo nel tempo e nello spazio? Sono quattro i frutti
che mostrano il valore divino della Chiesa e la sua continua efficacia
nella storia.
L’unità, vale a dire
una semplicità unificante nel sentire e giudicare l’esistenza. Ciò è
possibile perché il principio da cui si giudica se stessi e il mondo è
un’unica Presenza inequivocabile.
La
santità, non intesa come separazione dal quotidiano normale, ma come
prerogativa dell’uomo realizzato, che vive e agisce con la
consapevolezza del motivo ultimo della propria azione.
La cattolicità (dal greco katholikós,
universale), dimensione della Chiesa che esprime la capacità di
pertinenza all’umano in tutte le variabili delle sue espressioni.
Infine
l’apostolicità, secondo cui la Chiesa afferma di essere l’unica
depositaria di una tradizione di valori e di realtà che deriva dagli
apostoli. Come Cristo ha voluto legare la propria opera e la propria
presenza nel mondo agli apostoli, indicando uno di essi come punto di
riferimento autorevole, così la Chiesa è legata ai successori di Pietro e
degli apostoli, il papa e i vescovi.
Ma
non si può parlare della Chiesa senza guardare alla donna da cui essa è
nata e continuamente nasce, Maria, madre di Cristo. Per questo Maria è
la madre dei viventi e la felicità per tutti gli uomini passa e passerà
attraverso la sua carne e, prima ancora, il suo fiat. Perciò la
formula più sintetica e suggestiva che esprime l’autocoscienza della
Chiesa come permanenza di Cristo nella storia è: Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam.
da: https://www.scritti.luigigiussani.org