Ortodossia di G.K. Chesterton #9 ultimo
Gilbert K. Chesterton
ORTODOSSIA
IX
L’autorità e l’avventuriero
Il capitolo precedente ha trattato la tesi secondo cui l’ortodossia è non solo (come spesso viene messo in evidenza) l’unico guardiano sicuro della morale e dell’ordine, ma è anche l’unico guardiano logico della libertà, dell’innovazione e del progresso. Se vogliamo far cadere il ricco oppressore, non possiamo farlo con la nuova dottrina della perfettibilità umana, ma con la vecchia dottrina del peccato originale. Se vogliamo sradicare crudeltà innate o risollevare popolazioni disperate, non possiamo farlo con la teoria scientifica secondo cui la materia precede lo spirito, ma con la teoria sovrannaturale secondo cui lo spirito precede la materia. Se desideriamo in special modo risvegliare il discernimento sociale degli uomini e la ricerca instancabile della sua messa in pratica, avremmo un bell’insistere sul Dio immanente e sulla Luce interiore – questi potranno essere al massimo dei motivi di soddisfazione –, in realtà potremo raggiungere il nostro scopo solo ribadendo la trascendenza di Dio e i bagliori fugaci e sfuggenti che rappresentano l’insoddisfazione divina. Se desideriamo in special modo affermare l’idea di un generoso equilibrio contro quella di una terribile aristocrazia, dovremmo istintivamente essere trinitari invece che unitari. Se desideriamo che la civiltà europea vada in soccorso delle anime così come ne va all’assalto, dovremmo insistere fermamente sul fatto che esse sono davvero in pericolo, piuttosto che affermare che il pericolo al quale sono esposte sia in fin dei conti irreale. Se desideriamo esaltare i reietti e i crocifissi, dovremmo piuttosto augurarci di pensare che a essere crocifisso fu un vero Dio, invece che un semplice saggio o un eroe. Soprattutto se desideriamo proteggere i poveri dovremmo essere a favore di regole fisse e di dogmi chiari. Le regole di un club di tanto in tanto sono a favore dei membri più poveri. La tendenza di un club è sempre a favore di quelli ricchi.
E ora veniamo alla domanda cruciale che davvero conclude l’intera questione. Un agnostico ragionevole, che si sia per caso trovato d’accordo con me finora, potrebbe giustamente voltarsi e dire:
Se nella dottrina della Caduta hai scoperto una filosofia concreta, molto bene. Se hai scoperto un lato della democrazia, ora pericolosamente trascurato, [che è] saggiamente asserito nel Peccato originale, va bene. Se hai scoperto una verità nella dottrina dell’Inferno, mi congratulo con te. Sei convinto che gli adoratori di un Dio individuale guardino al di fuori e siano progressisti, mi congratulo con loro. Ma anche supponendo che quelle dottrine includano quelle verità, perché non puoi prendere le verità e fare a meno delle dottrine? Ammesso che tutta la società moderna si fidi troppo dei ricchi perché non ammette la debolezza umana; ammesso che le epoche ortodosse abbiano avuto un grande vantaggio perché (credendo nella Caduta) ammettevano la debolezza umana, perché non puoi semplicemente ammettere la debolezza umana senza credere nella Caduta? Se hai scoperto che l’idea della dannazione rappresenta un’idea sana di pericolo, perché non puoi semplicemente prendere l’idea del pericolo e fare a meno dell’idea di dannazione? Riesci a vedere chiaramente il gheriglio del senso comune dentro la noce dell’ortodossia cristiana, perché non puoi semplicemente tenerti il gheriglio e fare a meno della noce? Perché non puoi (per usare la frase banale dei giornali che io, da agnostico estremamente dotto, mi vergogno un po’ a usare), perché non puoi semplicemente tenere quello che di buono c’è nel cristianesimo, quello che puoi definire di valore, quello che riesci a comprendere e fare a meno di tutto il resto, di tutti quei dogmi assoluti che sono per loro natura incomprensibili?
Questa è la vera domanda, questa è l’ultima domanda, ed è un piacere cercare di dare una risposta.
La prima risposta è dire semplicemente che io sono un razionalista. Mi piace fornire qualche giustificazione intellettuale delle mie intuizioni. Se tratto l’uomo come un essere caduto, intellettualmente mi conviene credere che sia caduto; e trovo che, per qualche strana ragione psicologica, riesco ad affrontare meglio il tema di come l’uomo esercita il libero arbitrio se credo che egli lo possieda. Ma in questo argomento sono sicuramente ancora più razionalista. Non propongo di trasformare questo libro nel solito trattato di apologetica cristiana; sarei lieto di incontrare i nemici del cristianesimo in qualsiasi altro momento in un’arena più consona. Qui sto solo fornendo un resoconto della crescita della mia certezza spirituale. Ma potrei fermarmi per osservare che più vedevo delle argomentazioni puramente astratte contro la cosmologia cristiana, meno le prendevo in considerazione. Voglio dire che, avendo scoperto che l’atmosfera morale dell’Incarnazione era sensata, ho cercato le argomentazioni intellettuali contro l’Incarnazione e le ho trovate assurde. Nel caso in cui si dovesse pensare che l’argomentazione soffra dell’assenza dell’apologetica consueta, fornirò qui un breve riassunto dei miei pensieri e delle mie conclusioni sulla verità puramente oggettiva o scientifica in merito alla questione.
Se mi si chiede, come domanda meramente intellettuale, perché credo nel cristianesimo, posso rispondere solo: «Per la stessa ragione per cui un agnostico intelligente non crede nel cristianesimo». Ci credo in maniera del tutto razionale basandomi sulle prove. Ma le prove nel mio caso, come in quello dell’agnostico intelligente, non sono davvero in questa o in quella presunta dimostrazione: è nell’enorme accumulo di fatti piccoli ma univoci. Non va biasimato il laicista perché le sue obiezioni al cristianesimo sono variegate e perfino frammentarie: sono proprio queste prove frammentarie che convincono le menti. Voglio dire che un uomo potrebbe tranquillamente essere meno convinto da una filosofia fondata su quattro libri, che da un libro, una battaglia, un paesaggio e un vecchio amico. Proprio il fatto che le cose sono di vari tipi aumenta l’importanza del fatto che puntino alla stessa conclusione. Ebbene, il non essere cristiano dell’uomo medio istruito di oggi è quasi sempre, per rendergli giustizia, fatto di quelle esperienze vaghe ma vive. Posso dire solo che le prove che possiedo a sostegno del cristianesimo sono dello stesso tipo vivido ma vario delle prove che testimoniano contro. Perché quando guardo queste diverse verità anticristiane, scopro semplicemente che nessuna di esse è vera. Scopro che la reale tendenza e forza di tutti i fatti scorre in direzione opposta. Facciamo degli esempi. Molti uomini moderni hanno abbandonato il cristianesimo sotto la pressione di queste tre convinzioni convergenti. In primo luogo, gli uomini, nella loro forma, struttura e sessualità sono molto simili alle bestie, nient’altro che una varietà del regno animale. In secondo luogo, la religione primitiva è nata nell’ignoranza e nella paura. In terzo luogo, i preti hanno rovinato le società con l’amarezza e la tristezza. Questi tre argomenti anticristiani sono molto diversi, ma sono tutti assolutamente logici e legittimi e convergono tutti. La sola obiezione (scopro) è che sono tutti falsi. Se smettete di guardare i libri sulle bestie e sugli uomini, se cominciate a guardare le bestie e gli uomini, allora (se avete un po’ di senso dell’umorismo e di immaginazione, il gusto della stravaganza o del farsesco) osserverete che la cosa sorprendente non è la loro somiglianza, ma la loro diversità. È la dimensione mostruosa di tale diversità che richiede una spiegazione. Che l’uomo e la bestia siano simili è, in un certo senso, una verità; ma che essendo tanto simili, siano poi così assurdamente dissimili, è un enigma sconvolgente. Il fatto che una scimmia abbia le mani è molto meno interessante per il filosofo del fatto che, pur avendo le mani, non le usi come l’uomo: non gioca con gli astragali né suona il violino; non scolpisce il marmo né taglia il montone. La gente parla di architettura barbarica e di arte svilita. Ma gli elefanti non costruiscono templi colossali d’avorio, addirittura in stile rococò; i cammelli non dipingono nemmeno dei brutti quadri, anche se sono dotati del materiale di molti pennelli di setola di cammello. Certi sognatori moderni dicono che le formiche e le api hanno una società superiore alla nostra. In effetti hanno una civiltà, ma proprio questa verità ci rammenta che è una civiltà inferiore. Chi mai ha scoperto un formicaio decorato con statue di formiche famose? Chi ha mai visto un alveare scolpito con le immagini di splendide regine del passato? No, l’abisso tra l’uomo e le altre creature potrebbe avere una spiegazione naturale, ma rimane un abisso. Parliamo di animali selvaggi, ma l’unico animale selvaggio è l’uomo. È l’uomo che ha trasgredito alla legge naturale. Tutti gli altri animali sono animali addomesticati, assoggettati alla rispettabilità naturale della tribù o della specie. Tutti gli altri animali sono animali domestici: solo l’uomo è sempre non addomesticato, sia da depravato sia da monaco. Perciò questa prima ragione superficiale a favore del materialismo è, se non altro, una ragione a favore del suo contrario: è esattamente dove la biologia si ferma che iniziano tutte le religioni.
Sarebbe la stessa cosa se esaminassi la seconda delle tre obiezioni razionalistiche prese a caso: l’obiezione che tutto quello che possiamo chiamare divino ha avuto inizio nell’oscurità e nel terrore. Quando ho cercato di analizzare le basi di questa idea moderna, ho scoperto che semplicemente non ce n’erano. La scienza non sa niente sull’uomo preistorico, per l’ottima ragione che è preistorico. Alcuni professori hanno deciso di ipotizzare che fatti come i sacrifici umani una volta erano innocenti e consueti, e che gradualmente sono andati scomparendo; ma non ci sono prove dirette di questo, e la piccola quantità di prove indirette vanno piuttosto nella direzione opposta. Nelle prime leggende di cui disponiamo, come i racconti di Isacco e di Ifigenia, il sacrificio umano non è introdotto come qualcosa di antico, ma piuttosto come qualcosa di nuovo: come un’eccezione strana e spaventosa, oscuramente pretesa dagli dei. La storia non dice niente, e le leggende dicono tutte che la terra era più gentile nelle sue ere primordiali. Non c’è una tradizione del progresso, ma l’intera razza umana ha una tradizione della Caduta. È alquanto divertente, in effetti, che proprio la diffusione di questo concetto venga usata contro la sua autenticità. Gli uomini colti dicono testualmente che tale calamità della preistoria non può essere vera perché ogni razza umana la ricorda. Non riesco a stare al passo con tali paradossi.
E se prendessimo il terzo esempio – l’opinione secondo cui i preti oscurano e amareggiano il mondo – sarebbe lo stesso. Guardo il mondo e semplicemente scopro che non è così. Quei paesi in Europa che sono ancora influenzati dai preti sono proprio i paesi dove persistono i canti, i balli, gli abiti colorati e l’arte all’aria aperta. La dottrina e la disciplina cattoliche potrebbero essere dei muri, ma sono i muri del parco giochi. Il cristianesimo è la sola struttura che ha conservato il piacere del paganesimo. Potremmo immaginare dei bambini che giocano su un’altura piatta ed erbosa di un’alta isola in mezzo al mare. Finché c’era un muro che circondava il bordo della rupe, potevano lanciarsi in giochi frenetici, rendendo quel posto la più chiassosa delle stanze dei bambini. Ma i muri vennero abbattuti, lasciando scoperto il pericolo del precipizio. Non caddero, ma quando i loro amici tornarono, erano tutti ammassati al centro dell’isola, terrorizzati, e il loro canto era cessato.
Perciò questi tre fatti dell’esperienza, fatti come quelli che formano un agnostico, sono, da questo punto di vista, totalmente rovesciati. Mi rimane da dire: «Datemi una spiegazione, per prima cosa, della predominante eccentricità dell’uomo fra le bestie; secondo, della vasta tradizione umana di una felicità antica; terzo, di una parziale perpetuazione di questa gioia pagana nei paesi di obbedienza cattolica». Una spiegazione, in ogni caso, risponde a tutti e tre i quesiti: la teoria che l’ordine naturale sia stato interrotto in due occasioni da una di quelle esplosioni o rivelazioni che la gente ora chiama «paranormale». In passato venne il Cielo sulla terra con un potere o sigillo detto l’immagine di Dio, grazie al quale l’uomo ottenne il dominio sulla natura; e un’altra volta (quando, impero dopo impero, gli uomini si sono ritrovati a vivere come dannati) il Cielo venne per salvare l’umanità prendendo la forma terribile di un uomo. Questo spiegherebbe perché la massa degli uomini guarda sempre indietro; e perché l’unico angolo in cui essi guardano volentieri avanti è il piccolo continente dove Cristo ha la Sua Chiesa. So che si dirà che il Giappone è diventato progressista. Ma questo fatto come può essere una risposta, quando perfino nella frase «il Giappone è diventato progressista» vogliamo solo dire, in realtà, «il Giappone è diventato europeo»? Ma qui non desidero tanto insistere sulla mia spiegazione, quanto piuttosto insistere sulla mia osservazione originaria. Concordo che il non credente comune sia guidato da tre o quatto fatti strani che indicano tutti qualcosa; solo che, quando ho osservato i fatti, ho sempre scoperto che indicavano qualcos’altro.
Ho proposto un’immaginaria triade di tali consuete argomentazioni anticristiane; se questa è una base troppo limitata, né fornirò un’altra, così sul momento. Questo è il genere di pensieri che, combinati insieme, creano l’impressione che il cristianesimo sia qualcosa di debole e di malato. Innanzitutto che, per esempio, Gesù fosse una creatura gentile, mite e spirituale, in poche parole un richiamo non allettante per il mondo; in secondo luogo, che il cristianesimo fosse nato e fiorito nei secoli bui dell’ignoranza, e che la Chiesa ci ricondurrebbe a essi; in terzo luogo, che la gente ancora fortemente religiosa o (se volete) superstiziosa – gente come gli irlandesi – sia debole, priva di senso pratico e non al passo coi tempi. Cito queste idee solo per affermare la stessa cosa: che quando le ho considerate in maniera indipendente ho trovato non che le conclusioni fossero non filosofiche, ma semplicemente che i fatti non erano fatti. Invece di guardare dei libri e dei quadri sul Nuovo Testamento, guardai il Nuovo Testamento. Vi trovai un resoconto che nulla aveva a che fare con una persona con i capelli divisi da una scriminatura centrale o con le mani strette in supplica, ma che riguardava un essere straordinario dalle labbra tonanti e dalle azioni terribilmente decise, che rovesciava tavoli, cacciava i demoni, che passava con la selvaggia segretezza del vento dall’isolamento della montagna a una sorta di demagogia paurosa; un essere che spesso si comportava come un dio arrabbiato, e sempre come un dio. Cristo aveva addirittura un suo stile personale, che non si ritrova, credo, da nessun’altra parte: esso consiste in un uso quasi furioso della a fortiori . I suoi «quanto più» sono accatastati uno sopra l’altro come dei castelli sulle nuvole. Le parole usate su Cristo sono state, e forse saggiamente, dolci e remissive. Ma le parole usate da Cristo sono curiosamente smisurate: sono piene di cammelli che saltano attraverso le crune degli aghi e di montagne scagliate in mare. Dal punto di vista morale sono ugualmente terribili; Egli ha definito se stesso una spada di carneficina, e ha detto agli uomini di vendere le tuniche e comprare le spade. Il fatto che usasse altre parole perfino più sfrenate per la resistenza passiva aumenta notevolmente il mistero, ma anche in certa misura la violenza. Non possiamo nemmeno spiegarlo definendo pazza una tale creatura, perché la pazzia di solito segue un percorso logico. Il pazzo generalmente è monomaniaco. Qui dobbiamo ricordare la difficile definizione del cristianesimo fornita in precedenza: il cristianesimo è un paradosso sovrumano per cui due passioni opposte potrebbero risplendere una accanto all’altra. La sola spiegazione del linguaggio evangelico in grado di chiarire tutto questo è che lo sguardo di colui che si trova a un’altezza sovrannaturale scorge una sintesi più sorprendente.
Prendo in esame, seguendo l’ordine, l’esempio successivo: l’idea che il cristianesimo appartenga ai secoli bui. Qui non mi è bastato leggere le generalizzazioni moderne; ho letto un po’ di storia. E nella storia ho trovato che il cristianesimo, ben lontano dall’appartenere ai secoli bui, è stato un sentiero non buio attraverso i secoli bui. È stato un ponte splendente che ha collegato due civiltà. Se qualcuno dice che la fede è nata nell’ignoranza e nell’inciviltà, la risposta è semplice: non è così. È sorta nella civiltà mediterranea, nell’estate piena dell’Impero romano. Il mondo pullulava di scettici, e il panteismo era chiaro come il sole, quando Costantino inchiodò la croce all’albero della nave. È assolutamente vero che dopo la nave affondò, ma è di gran lunga più straordinario che la nave tornò a galla, ridipinta e rilucente, ancora con la croce in cima. Questo è il fatto straordinario compiuto dalla religione: ha trasformato una nave affondata in un sottomarino. L’arca si è conservata sotto il peso delle acque; dopo essere stati sepolti sotto le macerie di dinastie e clan, ci siamo risollevati e ricordati di Roma. Se la nostra fede fosse stata solo una moda passeggera dell’Impero in dissoluzione, a essa sarebbe seguita un’altra moda passeggera nel crepuscolo, e se la civiltà fosse mai riemersa (e molte non sono mai più riemerse) sarebbe stato sotto qualche nuova bandiera barbara. Ma la Chiesa cristiana è stata l’ultimo soffio vitale di un’antica società e anche il primo soffio vitale di una società nuova. Ha preso le persone che stavano dimenticando come costruire un arco e ha insegnato loro a inventare l’arco gotico. In una parola, la cosa più assurda che si potrebbe dire della Chiesa è la cosa che tutti abbiamo sentito dire. Come facciamo a sostenere che la Chiesa desidera riportarci nei secoli bui? La Chiesa è la sola cosa che ce ne ha tirato fuori.
In questa seconda triade di obiezioni ho aggiunto un esempio infondato riferibile a coloro secondo cui gente come gli irlandesi è indebolita o bloccata dalla superstizione. L’ho aggiunto solo perché è un caso caratteristico di affermazione di un fatto che risulta essere un’affermazione falsa. Si dice continuamente che gli irlandesi non abbiano senso pratico. Ma se per un attimo ci asteniamo dal considerare che cosa si dice di loro e osserviamo quello che si fa intorno a loro, vedremo che gli irlandesi non solo hanno senso pratico, ma hanno avuto incredibilmente successo. La povertà del paese e la posizione di minoranza dei suoi rappresentanti sono semplicemente condizioni in cui è stato loro chiesto di lavorare; ma nessun altro gruppo dell’Impero britannico ha realizzato così tanto in condizioni simili. I nazionalisti sono stati l’unica minoranza che sia mai riuscita a far cambiare drasticamente la rotta dell’intero Parlamento inglese. I contadini irlandesi sono gli unici poveri in queste isole che abbiano costretto i loro padroni a liberarli. Questi cittadini britannici che riteniamo oppressi dai preti sono gli unici che non si lasceranno opprimere dai proprietari terrieri. E quando ho analizzato il reale carattere irlandese, ho riscontrato lo stessa predisposizione. Gli irlandesi sono i migliori nelle professioni veramente dure: il commercio del ferro, l’avvocato e il soldato.
In tutti questi casi, quindi, sono giunto alla stessa conclusione: lo scettico ha completamente ragione a seguire i fatti, solo che non li ha considerati. Lo scettico è troppo credulone: crede ai giornali o perfino alle enciclopedie. Le tre domande mi hanno lasciato ancora una volta con tre domande antitetiche. Lo scettico medio voleva sapere come spiegavo la nota sdolcinata del Vangelo, il collegamento tra il credo e l’oscurità medievale, e l’assenza di spirito pratico dei cristiani celtici. Ma io desidero chiedere, e chiedere con una serietà insistente: che cos’è questa energia incomparabile apparsa per la prima volta in un essere che ha percorso la terra come un giudizio vivente; questa energia che può morire con una civiltà morente e tuttavia costringerla a risorgere; questa energia che riesce a infiammare i contadini finiti in miseria con la fede nel fatto che otterranno ciò che vogliono, mentre gli altri se ne andranno a mani vuote; questa energia che fa sì che l’isola più inerme dell’Impero riesca veramente ad aiutare se stessa?
Esiste una risposta: è una risposta per dire che l’energia proviene davvero da fuori del mondo; che è paranormale, o perlomeno è uno dei risultati di un reale disturbo psichico. La massima gratitudine e il rispetto sono attribuiti alle grandi civiltà umane come l’antico Egitto o la Cina attuale. Tuttavia, non è ingiusto nei loro confronti dire che solo l’Europa moderna ha mostrato incessantemente un potere di autorinnovamento, che si ripresenta spesso a brevissimi intervalli e scendendo fin nei dettagli dell’edilizia o dell’abbigliamento. Tutte le altre società alla fine muoiono, e con dignità. Noi moriamo ogni giorno. E ogni giorno rinasciamo con una frequenza di parti quasi indecente. È a malapena un’esagerazione dire che c’è, nel cristianesimo storico, una sorta di vita innaturale: si potrebbe spiegare come vita sovrannaturale. Potrebbe essere spiegata come una orribile vita galvanica che lavora in quello che avrebbe dovuto essere un cadavere. Perché la nostra civiltà avrebbe dovuto morire, secondo tutti i raffronti, secondo tutte le probabilità sociologiche, nel Ragnarök 1 della fine di Roma. Questo è lo strano prodigio della nostra condizione: voi e io non abbiamo motivo di essere qui. Siamo tutti revenants : tutti i cristiani viventi sono pagani morti che vagano. Proprio quando l’Europa stava per essere incorporata in silenzio all’Assiria e a Babilonia, qualcosa entrò nel suo corpo. E l’Europa ha avuto da allora una vita strana: non è esagerato dire che ha avuto dei sussulti .
Mi sono dilungato su questa tipica triade del dubbio per poter comunicare l’assunto principale: che la mia difesa del cristianesimo è razionale, ma non è semplice. È un coacervo di fatti diversi, come l’atteggiamento dell’agnostico comune. Ma l’agnostico comune ha male interpretato i suoi fatti. È un non credente per tutta una serie di ragioni, ma sono ragioni false. Ha dei dubbi perché il Medioevo è stato barbaro, ma non lo era; perché il darwinismo è stato dimostrato, ma non lo è stato; perché i miracoli non avvengono, invece sì; perché i monaci erano pigri, mentre erano molto laboriosi; perché le suore erano infelici, mentre erano particolarmente allegre; perché l’arte cristiana era triste e pallida, mentre era ravvivata da colori particolarmente brillanti e festosi grazie al color oro; perché la scienza moderna si sta allontanando dal soprannaturale, ma non è così, si sta muovendo verso il soprannaturale con la rapidità di un treno.
Tuttavia, in questa infinità di fatti che tendono tutti verso una direzione c’è, naturalmente, una domanda sufficientemente concreta e distinta che va brevemente trattata, ma da sola: intendo dire l’oggettivo avverarsi del sovrannaturale. In un altro capitolo ho indicato l’illusorietà della classica supposizione che il mondo debba essere impersonale perché è ordinato. Una persona può verosimilmente desiderare una cosa ordinata, così come una disordinata. Ma la mia convinzione esplicita che la creazione personale sia più facile da concepire del fato materialistico è, lo ammetto, in un certo senso indiscutibile. Non la chiamerò una fede o un’intuizione, perché queste parole vengono scambiate con la semplice emozione: è una convinzione strettamente intellettuale, ma è una convinzione intellettuale fondamentale, come la certezza dell’io che vivere è una cosa buona. Chi lo voglia, dunque, può definire puramente mistica la mia fede in Dio, non vale la pena di contestare questa affermazione. Ma la mia fede nei miracoli che sono avvenuti nella storia umana non è affatto una credenza mistica; io ci credo in base a prove del tutto umane, come credo nella scoperta dell’America. Su questo punto esiste un semplice fatto logico che richiede soltanto di essere dichiarato e chiarito. In un modo o in un altro, si è concretizzata l’idea straordinaria che chi non crede nei miracoli li considera con distacco e con imparzialità, mentre chi vi crede li accetta soltanto in relazione a un dogma. Il fatto sta in tutt’altro modo. Chi crede nei miracoli li accetta (a torto o a ragione) perché ne ha delle prove. Chi non crede nei miracoli non li accetta (a torto o a ragione) perché ha una dottrina contro di essi. È tanto corretto, imparziale e democratico credere a una vecchia fruttivendola quando rende la testimonianza di un miracolo, quanto credere a una vecchia fruttivendola quando rende la testimonianza di un assassinio. È tanto semplice e popolare prestare fede a un contadino sull’esistenza dei fantasmi quanto prestare fede a un contadino sull’esistenza del padrone. Essendo un contadino nutrirà, probabilmente, una buona dose di sano agnosticismo nei confronti di entrambi. Eppure, potreste riempire il British Museum con le prove fornite dai contadini in favore dei fantasmi. Se è per questo, esiste una sconcertante cascata di testimonianze in favore del soprannaturale. Se la rifiutate, i casi sono due: o rifiutate la storia del contadino sul fantasma perché il testimone è un contadino, oppure perché è una storia sui fantasmi. Vale a dire che, o negate il principio basilare della democrazia o affermate il principio basilare del materialismo: l’impossibilità astratta del miracolo. Avete tutto il diritto di farlo, ma in tal caso siete voi i dogmatici. Siamo noi cristiani ad accettare tutte le prove reali, mentre siete voi razionalisti che rifiutate le prove reali perché costretti a farlo dal vostro credo. Ma su questo punto io non sono costretto da alcun credo, e osservando con imparzialità certi miracoli del Medioevo e del nostro tempo, sono giunto alla conclusione che sono accaduti. Ogni discussione contro questi semplici fatti finisce sempre in un circolo vizioso. Se dico: «I documenti medievali attestano certi miracoli come attestano certe battaglie», mi si risponde: «Ma gli uomini del Medioevo erano superstiziosi»; se volete sapere in che cosa erano superstiziosi, l’unica risposta definitiva è che credevano nei miracoli. Se dico: «Un contadino ha visto un fantasma», mi si ribatte: «Ma i contadini credono a qualsiasi cosa». Se chiedo: «Perché credono a qualsiasi cosa?», l’unica risposta è che vedono i fantasmi. L’Islanda non esiste perché l’hanno vista solo degli stupidi marinai, e i marinai sono stupidi soltanto perché dicono di avere visto l’Islanda.
È giusto aggiungere un altro argomento che chi non ci crede può razionalmente usare contro i miracoli, anche se generalmente si dimentica di farlo. Potrebbe dire che in molte storie di miracoli c’è stato un elemento di preparazione e accettazione spirituale: in breve, che quel miracolo potrebbe accadere soltanto a chi ci crede. Può essere così, e se è così, come riusciremo a provarlo? Se vogliamo dimostrare il fatto che certi effetti sono determinati dalla fede, è inutile ripetere stancamente che (se accadono) sono determinati dalla fede. Se la fede è una delle condizioni, coloro che non la possiedono hanno tutto il diritto di ridere. Ma non hanno il diritto di giudicare. Essere credente può essere, se volete, come essere ubriaco; eppure, se vogliamo trarre delle conclusioni di carattere psicologico dagli ubriachi, sarebbe assurdo continuare a schernirli perché si sono ubriacati. Supponiamo di voler scoprire se è vero che le persone in collera vedono davvero una nebbia rossa davanti agli occhi. Supponiamo che sessanta eccellenti capifamiglia abbiano giurato di avere visto questa nube rossastra quando erano in collera, di sicuro sarebbe assurdo rispondere: «Allora ammettete di essere stati in collera quella volta». Essi potrebbero ragionevolmente replicare (in coro e ad alta voce): «Come diavolo potremmo scoprire, senza essere in collera, se le persone in collera vedono rosso?». Così i santi e gli asceti potrebbero rispondere razionalmente: «Supponiamo che il problema sia di sapere se i credenti hanno delle visioni – anche in questo caso, se le visioni vi interessano, a che cosa serve scagliarsi contro coloro che vi credono?». State sempre discutendo dentro un circolo vizioso – il solito vecchio circolo di pazzia con cui è iniziato questo libro.
L’esistenza dei miracoli è una questione di buonsenso e di comune immaginazione storica, non di un esperimento fisico. Sicuramente qui si può liquidare quella pedanteria assolutamente scriteriata che parla della necessità di «condizioni scientifiche» in relazione ai presunti fenomeni spirituali. Se ci chiediamo come l’anima di un defunto possa comunicare con un vivo, è assurdo insistere che accadrà solo a condizione che due anime di vivi perfettamente sani di mente non vogliano seriamente comunicare a vicenda. Dire che i fantasmi preferiscono l’oscurità non smentisce la loro esistenza più di quanto non smentisca l’esistenza dell’amore dire che gli amanti preferiscono l’oscurità. Se ritenete opportuno affermare: «Crederò che la signorina Brown abbia chiamato il suo fidanzato pervinca, o con un qualsiasi altro nomignolo affettuoso, se lo ripeterà davanti a diciassette psicologi», io replicherò: «Molto bene, se queste sono le vostre condizioni, non saprete mai la verità, perché lei di sicuro non lo dirà». È antiscientifico quanto antifilosofico sorprendersi del fatto che, in un’atmosfera poco propizia, certe straordinarie corrispondenze non si verifichino. È come se affermassi di non poter dire se c’era la nebbia perché l’aria non era pulita abbastanza, o se volessi a tutti i costi che fosse sereno per riuscire a vedere un’eclissi di sole.
La conclusione dettata dal buonsenso, come quelle a cui giungiamo sul sesso o sulla mezzanotte (ben sapendo che molti dettagli, per la loro natura, devono essere tenuti nascosti), è che i miracoli accadono davvero. Sono costretto ad affermarlo da un concorso di fatti: il fatto che gli uomini che incontrano gli elfi o gli angeli non sono dei mistici né dei sognatori morbosi, ma pescatori, agricoltori e tutti uomini concreti e al tempo stesso prudenti; il fatto di conoscere degli uomini che testimoniano eventi spirituali e che non sono degli spiritisti; il fatto che la scienza stessa ammette queste cose ogni giorno di più. La scienza ammetterà l’Ascensione se la chiamate Levitazione, e molto probabilmente ammetterà la Risurrezione quando conierà una parola diversa per definirla. Suggerisco Rigalvanizzazione. Ma il fatto più importante è il dilemma di cui parlavo, cioè che queste cose soprannaturali non sono mai state negate se non in base al dogmatismo sia antidemocratico sia materialista: un misticismo materialista oserei dire. Lo scettico assume sempre una delle due posizioni: non bisogna credere a un uomo comune o non si deve credere a un evento straordinario. Spero che potremo ignorare la discussione contro truffatori, medium fasulli e finti artefici di miracoli che fanno passare per prodigi cose che non lo sono affatto. Questo non è un argomento di discussione, buono o cattivo che sia. Un falso spettro non smentisce la realtà degli spiriti esattamente come una banconota falsa non smentisce l’esistenza della Banca d’Inghilterra: se dimostra qualcosa, è giusto la sua esistenza.
Accettato che i fenomeni spirituali accadono realmente (il castello di prove che ho fornito è complesso ma razionale), ci scontriamo poi con uno dei mali mentali peggiori del nostro tempo. Il maggiore disastro del XIX secolo è stato questo: gli uomini hanno cominciato a usare la parola «spirituale» con la stessa accezione della parola «buono». Credevano che diventare più raffinati e incorporei equivalesse a diventare più virtuosi. Quando è stata annunciata l’evoluzione scientifica, alcuni hanno temuto che essa incoraggiasse la pura animalità. Ha fatto di peggio: ha incoraggiato la pura spiritualità. Ha insegnato agli uomini a credere che più si allontanavano dalla scimmia più si avvicinavano all ’angelo. Ma ci si può allontanare dalla scimmia per andare verso il diavolo. Un uomo di genio, tipico di quell’epoca di disorientamento, ha espresso questo concetto perfettamente. Benjamin Disraeli 2 aveva ragione quando diceva di essere dalla parte degli angeli. Infatti, lo era: stava dalla parte degli angeli caduti. Non era dalla parte del puro istinto o della brutalità animale, ma dalla parte dell’imperialismo dei prìncipi dell’abisso, dell’arroganza e del mistero, del disprezzo di ogni bene innegabile. Tra questo orgoglio dell’abisso e la sovrastante umiltà del Cielo, ci sono, si deve supporre, spiriti di varie forme e dimensioni. Nell’incontrarli, l’uomo deve compiere di gran lunga gli stessi errori che commette nell’incontrare i diversi tipi umani che vengono dai continenti lontani. All’inizio deve essere difficile capire chi appartiene alla dimensione superiore e chi a quella inferiore. Se sorgesse un’ombra dal modo sotterraneo e si fermasse a guardare Piccadilly, l’ombra non riuscirebbe affatto a comprendere l’idea di una comune carrozza chiusa. Riterrebbe il cocchiere a cassetta un trionfante conquistatore, che trascina dietro di sé un recalcitrante prigioniero. Così, se assistiamo a fenomeni spirituali per la prima volta, potremmo non comprenderne la gerarchia. Non basta trovare gli dei – essi sono evidenti –, dobbiamo trovare Dio, il vero capo degli dei. Dobbiamo avere una lunga esperienza storica dei fenomeni soprannaturali per scoprire che sono realmente naturali. In questa luce, scopro che la storia del cristianesimo e anche delle sue origini ebraiche è assolutamente pratica e chiara. Non mi turba il fatto che mi dicano che il Dio degli ebrei fosse uno dei tanti dei. So che lo era, senza bisogno di alcuna ricerca che me lo spieghi. Jeovah e Baal sembravano ugualmente importanti, come se il sole e la luna fossero delle stesse dimensioni. Abbiamo impiegato molto tempo per capire che il sole è il nostro signore assoluto e che la luna è solo il nostro satellite. Credendo nell’esistenza del mondo degli spiriti, mi addentrerò in esso così come cammino nel modo degli uomini, cercando ciò che mi piace e che ritengo sia un bene. Proprio come cercherei acqua limpida in un deserto, o mi darei da fare per accendere un fuoco confortevole al Polo Nord, così esplorerò la terra del vuoto e della visione fino a trovare qualcosa di fresco come l’acqua e di confortevole come il fuoco; fino a trovare qualche luogo, nell’eternità, dove sarò letteralmente a casa mia. E c’è un solo posto da trovare.
Ora ho detto abbastanza da mostrare (a tutti coloro per cui tale spiegazione è determinante) che possiedo, nell’ordinaria arena dell’apologetica, delle buone ragioni per avere fede. I semplici resoconti delle esperienze vissute (per quanto possano essere considerati democraticamente senza favore o disprezzo) sono la prova che i miracoli succedono e che quelli più nobili appartengono alla nostra tradizione. Ma non pretenderò che questa breve discussione sia la vera ragione per cui accetto il cristianesimo, invece di trarne solo il bene morale come lo trarrei dal confucianesimo.
Ho un altro terreno molto più solido ed essenziale a cui sottomettermi come a una fede, invece di prendere semplicemente degli spunti come in uno schema. Ed è questo: che la Chiesa cristiana, nella sua relazione pratica con la mia anima, è una maestra viva, non morta. Non solo mi ha impartito i suoi insegnamenti ieri, ma lo farà quasi sicuramente domani. Una volta ho capito improvvisamente il significato della forma della croce; un giorno forse capirò improvvisamente il significato della forma della mitra. Un bel mattino ho capito perché le finestre erano a punta, qualche altro bel mattino forse capirò perché i preti hanno la chierica. Platone vi ha detto una verità, ma Platone è morto. Shakespeare vi ha emozionato con una rappresentazione, ma Shakespeare non può più crearne altre. Ma immaginate che cosa sarebbe vivere insieme a questi uomini se fossero ancora tra noi, sapere che Platone domani potrebbe impartire una nuova lezione o che in qualunque momento Shakespeare potrebbe far vibrare la terra con una nuova canzone. L’uomo che vive in contatto con quella che crede essere una Chiesa viva è un uomo che si aspetta sempre di incontrare Platone e Shakespeare domani a colazione. Si aspetta sempre di vedere qualche verità che non ha mai visto prima. C’è soltanto un’altra situazione paragonabile a questa ed è il modo in cui tutti iniziamo la vita. Quando vostro padre vi ha detto, passeggiando in giardino, che le api pungono o che le rose profumano, voi non parlavate di prendere il meglio della sua filosofia. Quando le api vi hanno punto, non l’avete chiamata una divertente coincidenza. Quando avete sentito il profumo delle rose non avete detto: «Mio padre è un simbolo rozzo e barbarico che racchiude (forse inconsciamente) le profonde e delicate verità che i fiori emanano». No, voi avete creduto a vostro padre, perché l’avete considerato una viva sorgente di fatti, qualcuno che ne sapeva davvero più di voi, qualcuno che vi avrebbe detto la verità domani, come fa oggi. E se questo era vero di vostro padre, lo era anche di più di vostra madre, almeno era vero della mia, a cui è dedicato questo libro. Ora che la società si sta dibattendo in una futile discussione sulla sottomissione delle donne, nessuno dirà quanto ogni uomo deve alla tirannia e al privilegio delle donne, al fatto che sono solo loro a governare l’istruzione fino a quando l’istruzione diventa inutile: perché un bambino viene mandato a scuola quando è ormai troppo tardi per insegnargli qualcosa. L’essenziale è già stato fatto e, grazie a Dio, è quasi sempre stato fatto dalle donne. Ogni uomo è femminizzato, per il semplice fatto di essere nato. Parlano di donna mascolina, ma ogni uomo è un uomo femminizzato. E se mai gli uomini andassero a Westminster per protestare contro questo privilegio femminile, io non mi unirò di sicuro al corteo.
Ricordo con certezza, infatti, questo dato di fatto psicologico. Ogni volta che mi trovavo sotto l’autorità di una donna, era il momento in cui ero più pieno di fuoco e di spirito d’avventura. Esattamente perché, quando mia madre diceva che le formiche mordono, mordevano davvero, e perché la neve cadeva in inverno (come diceva lei): il mondo intero per me era un paese delle fate pieno di meraviglie ed era come vivere al tempo degli antichi ebrei, quando le profezie si avveravano, una dopo l’altra. Da piccolo uscivo in giardino, e per me era un luogo terribile, perché avevo una chiara idea di che cosa ci fosse: se non l’avessi avuta non mi sarebbe apparso come un posto tanto terribile, ma innocuo. Un semplice deserto insignificante non fa impressione. Ma il giardino dell’infanzia era affascinante, proprio perché ogni cosa aveva un significato preciso che poteva essere scoperto ogni volta. Potevo scoprire, un centimetro dopo l’altro, che cos’era l’oggetto dalla brutta forma chiamato rastrello, o fare confuse congetture sul perché i miei genitori avevano un gatto.
Così, dal momento in cui ho accettato il cristianesimo come una madre e non semplicemente come un esempio casuale, ho scoperto che l’Europa e il mondo sono una volta di più come il piccolo giardino dove fissavo le forme simboliche del gatto e del rastrello: osservo ogni cosa con l’antica ignoranza elfica e la speranza. Questo o quel rito o quella dottrina potrebbero sembrare brutti e insoliti come un rastrello, ma ho scoperto per esperienza che simili cose in qualche modo finiscono tra l’erba e i fiori. Un ecclesiastico potrebbe apparentemente essere inutile come un gatto, ma come il gatto è anche affascinante, perché deve esserci qualche strana ragione che giustifichi la sua esistenza. Faccio un esempio tra centinaia d’altri: io non possiedo un’istintiva affinità con l’entusiasmo per la verginità fisica, che sicuramente è stata un elemento di rilievo nel cristianesimo storico. Tuttavia, quando non considero me stesso, ma il mondo, mi accorgo che questo entusiasmo non è soltanto un elemento del cristianesimo, ma anche del paganesimo, ed è un indice di alta natura umana in molti ambiti. I greci pensavano alla verginità quando scolpivano Artemide, e i romani quando facevano indossare alle vestali gli abiti per le cerimonie; il peggiore e più bizzarro dei drammaturghi elisabettiani si aggrappava letteralmente alla purezza di una donna come a una delle colonne portanti del mondo. Ma è soprattutto il mondo moderno (persino quando deride l’innocenza sessuale) che si è gettato in una generosa idolatria dell’innocenza sessuale: la moderna adorazione dei bambini. Perché un uomo che ama i bambini sarà d’accordo nel dire che la loro peculiare bellezza è ferita da un’allusione alla sessualità fisica. In base a tale esperienza umana, alleata all’autorità cristiana, concludo semplicemente che ho torto e che la Chiesa ha ragione, o piuttosto che io sono limitato, mentre la Chiesa è universale. La Chiesa accoglie tutti nella loro diversità, non pretende da me il celibato. Ma il fatto di non apprezzare il celibato, lo accetto come quello di non avere orecchio per la musica. La migliore delle esperienze umane è contro di me, come, del resto, lo è la musica di Bach. Il celibato è uno dei fiori del giardino di mio padre, del quale non mi è stato detto il dolce o terribile nome. Ma potrebbero dirmelo in qualsiasi momento.
Questa, in conclusione, è la ragione per cui accetto la religione e non semplicemente le verità dispersive e laiche fuori di essa. Lo faccio perché la religione non ha soltanto detto questa o quella verità, ma si è rivelata come l’incarnazione della verità stessa. Tutte le altre filosofie affermano le cose che semplicemente sembrano essere vere: soltanto questa filosofia ha detto e ribadito una cosa che non sembra essere vera, ma che è vera. Unica tra tutte le altre fedi, essa è convincente se non addirittura attraente: dimostra di avere ragione, come mio padre in giardino. I teosofi, per esempio, predicheranno un’idea di sicuro attraente come la reincarnazione, ma se aspettiamo i suoi risultati logici vedremo che sono presunzioni spirituali e crudeltà di casta. Perché se un uomo sarà un mendicante a causa dei peccati commessi nella vita precedente, la gente tenderà a disprezzarlo. Il cristianesimo, invece, predica un’idea del peccato originale che di certo è meno attraente, ma se attendiamo i suoi risultati scopriremo che sono la compassione e la fratellanza, uno scroscio di risa e la pietà, perché soltanto con il peccato originale possiamo provare pietà per il mendicante e al tempo stesso non fidarci del re. Gli uomini di scienza ci offrono la salute, un chiaro vantaggio; solo più tardi scopriamo che per salute essi intendono schiavitù del corpo e noia spirituale. L’ortodossia ci fa compiere un balzo improvviso sul bordo dell’inferno, più tardi però ci rendiamo conto che saltare era un esercizio atletico di grande beneficio per la nostra salute. È soltanto in seguito che ci accorgiamo che questo pericolo è alla radice di tutte le tragedie e di tutte le storie a lieto fine. L’argomento più forte a favore della grazia divina è semplicemente che essa appare sgraziata. I lati impopolari del cristianesimo si rivelano, quando li esaminiamo, i veri guadagni della gente. La cinta esterna del cristianesimo è un rigido baluardo di abnegazioni morali e di preti professionisti, ma all’interno di quel baluardo inumano scoprirete la vecchia vita umana danzare come i bambini e bere vino come gli uomini, perché il cristianesimo è l’unica cornice adatta per la libertà pagana. Ma nella filosofia moderna accade il contrario: è la cinta esterna a essere visibilmente artistica ed emancipata, mentre la disperazione risiede al suo interno.
E la disperazione di tale filosofia è di non credere veramente che ci sia un significato nell’universo, perciò non può sperare di trovarvi alcuna storia a lieto fine: le sue storie non avranno una trama. Un uomo non può aspettarsi avventure nella terra dell’anarchia. Ma un uomo può aspettarsi innumerevoli avventure se intraprende un viaggio nella terra dell’autorità. Non si possono trovare significati in una giungla di scetticismo, ma chi camminerà nella foresta della dottrina e del progetto divino scoprirà innumerevoli significati. Qui tutto ha una storia correlata ai suoi scopi come gli attrezzi o i quadri in casa di mio padre, perché si tratta della casa di mio padre. Io termino dove ho cominciato: alla logica conclusione. Almeno ho varcato il cancello di ogni buona filosofia. E sono entrato nella mia seconda infanzia.
Ma questo universo cristiano più ampio e più avventuroso ha un ultimo punto difficile da esprimere; cercherò tuttavia di spiegarlo nel concludere questo saggio. Ogni reale dibattito sulla religione verte sul seguente problema: se l’uomo, che nasce a testa in giù, può dire quando sarà in grado di raddrizzarsi. Il paradosso fondamentale del cristianesimo è che la condizione comune dell’uomo non è una condizione assennata o ragionevole; la normalità stessa è un’anormalità. Questo è il nucleo della filosofia della Caduta. Nell’interessante nuovo catechismo di Sir Oliver Lodge 3, le prime due domande sono: «Che cosa sei tu?», e «Qual è il significato della Caduta dell’Uomo?». Ricordo di essermi divertito a formulare le mie personali risposte, ma presto ho scoperto che erano risposte molto stentate e agnostiche. Alla domanda: «Che cosa sei tu?», riuscivo solo a rispondere: «Dio solo lo sa». E alla domanda: «Che cosa significa la Caduta?», potevo rispondere in tutta sincerità: «Che qualsiasi cosa io sia, non sono io». Questo è il paradosso basilare della nostra religione: qualcosa di cui non abbiamo mai conosciuto pienamente il senso non solo è meglio di noi stessi, ma è per noi anche più naturale di noi stessi. E davvero non esiste una prova di questo, a parte quella puramente sperimentale con cui sono iniziate queste pagine, la prova della cella imbottita 4 e della porta aperta. È solo da quando conosco l’ortodossia che conosco l’emancipazione mentale. Ma, per concludere, essa ha una speciale applicazione all’idea finale della gioia.
Si dice che il paganesimo sia una religione di gioia e il cristianesimo di dolore; sarebbe assai facile dimostrare che il paganesimo è puro dolore e il cristianesimo è pura gioia. Tali conflitti non significano niente e non portano da nessuna parte. Tutto ciò che è umano deve possedere sia gioia sia dolore; l’unica questione interessante riguarda il modo in cui le due cose sono equilibrate o divise. E ciò che è realmente interessante è che il pagano era (nel complesso) sempre più felice nel rapportarsi alla terra, ma sempre più infelice nel relazionarsi al cielo. L’allegria del migliore paganesimo, come nella giocosità di Catullo o di Teocrito, è, infatti, un’eterna allegria che l’umanità piena di gratitudine non deve mai dimenticare. Ma è un’allegria legata alle vicende della vita, e non ha a che vedere con la sua origine. Per il pagano, le piccole cose sono dolci come i ruscelli che scaturiscono dalla montagna, ma le cose più grandi sono amare come il mare. Quando il pagano guarda all’essenza del cosmo rimane pietrificato. Dietro gli dei, che sono semplicemente dispotici, sta il fato, che è mortale. No, questo fato è peggio che mortale: è morto. E quando i razionalisti dicono che il mondo antico era più illuminato di quello cristiano, dal loro punto di vista hanno ragione. Perché quando dicono «illuminato» intendono sprofondato nel buio di una incurabile disperazione. È profondamente vero che il mondo antico era più moderno di quello cristiano. Il legame comune sta nel fatto che antichi e moderni sono stati entrambi scontenti della loro esistenza, mentre gli uomini del Medioevo ne erano felici. Ammetto tranquillamente che i pagani, come i moderni, fossero scontenti di tutto, e fossero felici per tutto il resto. Ammetto che i cristiani del Medioevo fossero in pace con tutto, e fossero in guerra con tutto il resto. Ma se la questione verte sul fondamento primario del mondo, allora dico che esisteva una maggiore felicità cosmica nelle strade strette e fetide di Firenze che nei teatri di Atene o nei giardini di Epicuro. Giotto viveva in una città più cupa di Euripide, ma viveva in un universo più felice.
La maggior parte degli uomini è stata costretta a essere allegra per le piccole cose, ma triste per quelle grandi. Tuttavia (offro il mio ultimo dogma come una sfida), non è insito nell’uomo essere così. L’uomo è più se stesso, è più simile all’uomo quando in lui la gioia è un elemento essenziale e il dolore è superficiale. La malinconia dovrebbe essere un innocente interludio, una disposizione dello spirito tenera e fuggitiva, e la lode dovrebbe essere il palpito perenne dell’anima. Il pessimismo può essere nel migliore dei casi un’emozionante vacanza di mezza giornata; la gioia è il fragoroso lavoro per il quale ogni cosa vive. Eppure, secondo l’apparente condizione dell’uomo così com’è vista dal pagano o dall’agnostico, tale bisogno primario della natura umana non può essere mai soddisfatto. La gioia dovrebbe essere espansiva, ma per l’agnostico deve essere contratta, deve aggrapparsi a un angolo del mondo. Il dolore dovrebbe essere qualcosa di concentrato, ma per l’agnostico la sua desolazione è sparsa attraverso un’impensabile eternità. Questo è ciò che chiamo essere nati alla rovescia. Lo scettico può veramente essere definito sottosopra, perché i suoi piedi ballano verso l’alto in vane estasi mentre il suo cervello sta nell’abisso. Per l’uomo moderno i cieli sono davvero sotto la terra. La spiegazione è semplice: egli sta a testa in giù, un piedistallo molto debole su cui stare. Ma quando si rimette in piedi, egli si rende conto. Il cristianesimo soddisfa improvvisamente e perfettamente l’istinto ancestrale dell’uomo a stare nel verso giusto, e lo soddisfa a tal punto in questo che, attraverso la sua fede, la gioia diventa qualcosa di gigantesco e la tristezza qualcosa di piccolo e speciale. La volta celeste sopra di noi non è sorda perché l’universo è stupido, il silenzio non è il silenzio indifferente di un mondo senza fine e senza scopo. Al contrario, il silenzio intorno a noi è una piccola e pietosa calma come la calma piena di sollecitudine nella stanza di un ammalato. A noi forse è concessa una tragedia in veste di pietosa commedia: perché l’energia frenetica delle cose divine ci abbatterebbe come in una farsa ubriaca. Per noi è più facile considerare con leggerezza le nostre lacrime rispetto alle tremende frivolezze degli angeli. Così potremmo forse stare seduti in una camera stellata e silenziosa, mentre le risate dei cieli risuonano così forti che noi non le possiamo sentire.
La gioia, che era la piccola esternazione del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano. E mentre sono sul punto di chiudere questo caotico volume riapro lo strano libretto da cui deriva tutto il cristianesimo, e sono di nuovo tormentato da una specie di conferma. La tremenda figura che riempie i Vangeli sovrasta in questo aspetto, come in ogni altro, tutti i pensatori che hanno sempre creduto di essere più grandi. Il Suo pathos era naturale, quasi casuale. Gli stoici antichi e moderni erano orgogliosi di nascondere le proprie lacrime. Egli non nascondeva le proprie lacrime: le ha mostrate apertamente sul Suo viso aperto a qualunque visione quotidiana, come quella lontana della Sua città natale. Tuttavia, ha nascosto qualcosa. Solenni superuomini e diplomatici imperiali sono orgogliosi di reprimere la loro collera. Egli non ha mai trattenuto la Sua collera. Ha rovesciato le mercanzie dai gradini davanti al tempio e ha chiesto agli uomini come pensavano di poter evitare la dannazione dell’Inferno. Tuttavia, Egli ha represso qualcosa. Lo dico con rispetto: c’era in quella personalità dirompente un tratto quasi invisibile che potrebbe essere definito timidezza. C’era qualcosa che Egli nascondeva a tutti gli uomini quando saliva sul monte a pregare. C’era qualcosa che Egli occultava con un improvviso silenzio o con un impetuoso isolamento. C’era una cosa troppo grande perché Dio potesse mostrarcela quando è venuto sulla terra, e io qualche volta ho immaginato che fosse la Sua gioia.
1 Il Ragnarök indica, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l’intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato.
2 Benjamin Disraeli (1804-1881). Politico e scrittore britannico, fu membro del Partito conservatore e venne eletto primo ministro del Regno Unito due volte: dal 27 febbraio al 3 dicembre 1868 e dal 20 febbraio 1874 al 23 aprile 1880. In politica interna attuò delle misure economiche favorevoli ai ceti più disagiati e allargò la base censuaria dei cittadini con diritto di voto. Nel 1876 fece proclamare la regina Vittoria imperatrice delle Indie.
3 Sir Oliver Joseph Lodge (1851-1940). Fisico britannico fra i maggiori pionieri nelle ricerche sulla propagazione delle onde elettromagnetiche e delle onde radio, fu anche studioso di filosofia e teosofia, pubblicando libri su questo argomento, tra cui L’essenza della fede in accordo con la scienza, raccolta di conferenze tenute in tutta Europa.
4 Cella imbottita dell’ospedale psichiatrico (padded cell ), in cui è rinchiuso il pazzo di cui parla l’autore nel capitolo 2.
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