Lectio del giorno all’Oasi di Engaddi Novembre-2023
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LECTIO DIVINA NOVEMBRE 2023
Lectio Divina: mercoledì, 1 novembre, 2023
Tutti i Santi – Solennità
Le Beatitudini
1. Lectio
a) Preghiera iniziale
O Signore, cercare la tua Parola, che ci è venuta incontro in Cristo, è tutto il senso della nostra vita. Rendici capace di accogliere la novità del vangelo delle Beatitudini, così la mia vita può cambiare. Di te, Signore, non potrei sapere nulla, se non ci fosse la luce delle parole del tuo Figlio Gesù, venuto per ‘raccontarci’ le tue meraviglie. Quando sono debole, appoggiandomi a Lui, Verbo di Dio, divento forte. Quando mi comporto da stolto, la sapienza del suo vangelo mi restituisce il gusto di Dio, la soavità del suo amore. E mi guida per i sentieri della vita. Quando appare in me qualche deformità, riflettendomi nella sua Parola l’immagine della mia personalità diventa bella. Quando la solitudine tenta di inaridirmi, unendomi a lui nel matrimonio spirituale la mia vita diventa feconda. E quando mi scopro in qualche tristezza o infelicità, il pensiero di Lui, quale unico mio bene, mi schiude il sentiero della gioia. Un testo che riassume in modo forte il desiderio della santità, quale ricerca intensa di Dio e ascolto dei fratelli è quello di Teresa di Gesù Bambino: «Se tu sei niente, non dimenticare che Gesù è tutto. Devi dunque perdere il tuo piccolo nulla nel suo infinito tutto e non pensare più che a questo tutto unicamente amabile…» (Lettere, 87, a Maria Guérin).
Lettura: Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Momenti di silenzio orante
Per essere raggiunti dalla parola di Cristo e perché la Parola fatta carne, che è Cristo, possa abitare i nostri cuori e noi vi possiamo aderire, è necessario che ci sia ascolto e silenzio profondo. Solo in cuori silenziosi la Parola di Dio può nascere anche in questa solennità dei Santi e, anche oggi, prendere carne.
2. Meditatio
La Parola s’illumina – Contesto
La parola di Gesù sulle beatitudini che Matteo ha attinto dalle sue fonti era condensata in brevi e isolate frasi e l’evangelista l’ha inserita in un discorso di più ampio respiro; è quello che gli studiosi della Bibbia chiamano “discorso della montagna” (capitoli 5-7). Tale discorso viene considerato come lo statuto o la magna charta che Gesù ha affidato alla sua comunità come parola normativa e vincolante per definirsi cristiana. I vari temi della parola di Gesù contenuti in questo lungo discorso non sono una somma o agglomerato di esortazioni, ma piuttosto indicano con chiarezza e radicalità quale deve essere il nuovo atteggiamento da tenere verso Dio, verso se stessi e verso il fratello. Alcune espressioni di tale insegnamento di Gesù possono apparire esagerate, ma sono utilizzate per dare un’immagine più viva della realtà e quindi realistiche nel contenuto, anche se non nella forma letteraria: per esempio ai vv.29-30: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella
Geenna». Tale modo di esprimersi sta a indicare l’effetto che si vuole creare sul lettore, il quale deve intendere rettamente le parole di Gesù per non travisarne il senso. La nostra attenzione per esigenze liturgiche si sofferma sulla prima parte del “discorso della montagna”, quella appunto che s’apre con la proclamazione delle beatitudini (Mt 5,1-
12).
Alcuni particolari
Matteo introduce il lettore ad ascoltare le beatitudini pronunciate da Gesù con una ricca concentrazione di particolari. Innanzitutto viene indicato il luogo nel quale Gesù pronuncia il suo discorso: “Gesù salì sulla montagna” (5,1). Per tale motivo gli esegeti lo definiscono “discorso della montagna” a differenza di Luca che lo inserisce nel contesto di un luogo pianeggiante (Lc 6,20-26). L’indicazione geografica della “montagna” potrebbe alludere velatamente a un episodio dell’AT molto simile al nostro: è quando Mosè promulga il decalogo sulla montagna del Sinai. Non si esclude che Matteo intenda presentare al lettore la figura di Gesù, nuovo Mosè, che promulga la legge nuova.
Un altro particolare che ci colpisce è la posizione fisica in cui Gesù pronunzia le sue parole: “e, messosi a sedere”. Tale atteggiamento conferisce alla sua persona una nota di autorità mentre legifera. Lo circondano i discepoli e le “folle”: tale particolare intende mostrare che Gesù nel pronunziare tali parole le ha rivolte a tutti e che sono da considerarsi attuabili per ogni ascoltatore. Va notato che il discorso di Gesù non presenta degli atteggiamenti di vita impossibili, né che essi siano diretti a un gruppo di persone speciali o particolari, né mirano a fondare un’etica esclusivamente dall’indirizzo interiore. Le esigenze propositive di Gesù sono concrete, impegnative e decisamente radicali.
C’è qualcuno che ha cosi stigmatizzato il discorso di Gesù: «Per me, è il testo più importante della storia umana. S’indirizza a tutti, credenti e non, e rimane dopo venti secoli, l’unica luce che brilla ancora nelle tenebre di violenza, di paura, di solitudine in cui è stato gettato l’Occidente dal proprio orgoglio ed egoismo» (Gilbert Cesbron). Il termine “beati” (in greco makarioi) nel nostro contesto non esprime un linguaggio “piano”, ma un vero e proprio grido di felicità, diffusissimo nel mondo della bibbia. Nell’AT, per esempio, vengono definite persone “felici” coloro che vivono le indicazioni della Sapienza (Sir 25,7-10). L’orante dei Salmi definisce “felice” chi “teme”, più precisamente chi ama, il Signore, esprimendolo nell’osservanza delle indicazioni contenute nella parola di Dio (Sal 1,1; 128,1).
L’originalità di Matteo consiste nell’aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine: ad esempio, l’affermazione principale “beati i poveri in spirito” è illustrata da una frase aggiunta “perché di essi è il regno dei cieli”. Un’altra differenza rispetto all’AT: Gesù annuncia una felicità che salva nel presente e senza limitazioni. Inoltre, per Gesù, tutti possono accedere alla felicità, a condizione che si stia uniti a Lui. c) Le prime tre beatitudini
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”.
Il primo grido riguarda i poveri. Il lettore ne resta scioccato: come è possibile che i poveri possano essere felici? Il povero nella Bibbia è colui che si svuota di sé e soprattutto rinuncia alla presunzione di costruire il suo presente e futuro in modo autonomo per lasciare, invece, più spazio e attenzione al progetto di Dio e alla sua Parola. Il povero, sempre in senso biblico, non è un uomo chiuso in se stesso, miserabile, rinunciatario, ma nutre apertura a Dio e agli altri. Dio rappresenta tutta la sua ricchezza. Potremmo dire con s.Teresa d’Avila: felici sono coloro che fanno esperienza del “Dio solo basta!”, nel senso che sono ricchi di Dio. Un grande autore spirituale del nostro tempo ha così descritto il senso vero di povertà: «Finché l’uomo non svuota il suo cuore, Dio non può riempirlo di sé. Non appena e nella misura che di tutto vuoti il tuo cuore, il Signore lo riempie. La povertà è il vuoto non solo per quanto riguarda il futuro, ma anche per quanto riguarda il passato. Nessun rimpianto o ricordo, nessuna ansia o desiderio. Dio non è nel passato, Dio non è nel futuro: Egli è la presenza! Lascia a Dio il tuo passato, lascia a Dio il tuo futuro. La tua povertà è vivere nell’atto che vivi, la Presenza pura di Dio che è l’Eternità» (Divo Barsotti). È la prima beatitudine, non solo perché dà inizio alla serie, ma perché sembra condensarle nella varie specificità.
“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”.
Si può essere nel pianto per un grande dolore o sofferenza. Tale stato d’animo sottolinea che si tratta di una situazione grave anche se non vengono indicati i motivi per identificarne la causa. Volendo identificare nell’oggi l’identità di questi “nel pianto” si potrebbe pensare a tutti quei cristiani che hanno a cuore le istanze del regno e soffrono per tante negatività presenti nella Chiesa; invece di attendere alla santità, la chiesa presenta divisioni e lacerazioni. Ma possono essere anche coloro che sono afflitti per i loro peccati e inconsistenze e che, in qualche modo, rallentano il cammino della conversione. A queste persone solo Dio può portare la novità della “consolazione”.
“Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”.
La terza beatitudine riguarda la mitezza. Un atteggiamento, oggi, poco popolare. Anzi per molti ha una connotazione negativa e viene scambiata per debolezza o per quella imperturbabilità di chi sa controllare per calcolo la propria emotività. Qual è il significato del termine “miti” nella Bibbia? I miti vengono ricordati come persone che godono di una grande pace (Sal 37,10), ritenute felici, benedette, amate da Dio. E nello stesso tempo vengono contrapposte ai malvagi, agli empi, ai peccatori. Quindi l’AT presenta una ricchezza di significati che non ci permettono una definizione univoca. Nel NT il primo testo che ci viene incontro è Mt 11,29: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Un secondo è in Mt 21,5, Matteo nel riportare l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, cita la profezia di Zaccaria 2,9: “Ecco il tuo servo viene a te mite”.
Davvero, quello di Matteo, potrebbe essere definito il vangelo della mitezza. Anche
Paolo ricorda la mitezza come un atteggiamento specifico dell’essere cristiano. In 2Corinti 10,1 esorta i credenti “per la benignità e la mitezza di Cristo”. In Galati 5,22 la mitezza è considerata un frutto dello Spirito Santo nel cuore dei credenti e consiste nell’essere mansueti, moderati, lenti nel punire, dolci, pazienti verso gli altri. E ancora in Efesini 4,32 e Colossesi 3,12 la mitezza è un comportamento che deriva dall’essere cristiani ed è un segno che caratterizza l’uomo nuovo in Cristo. E infine, un’indicazione eloquente ci viene dalla 1ª lettera di Pietro (3,3-4): “Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati in collane d’oro, sfoggio di vestiti -, cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace, ecco ciò che è prezioso davanti a Dio”. Nel discorso di Gesù che significato ha il termine “miti”? Davvero illuminante è la definizione dell’uomo mite offerta dal Cardinale Carlo Maria Martini: “L’uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l’ardore dei suoi sentimenti, rimane duttile e sciolto, non possessivo, internamente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l’uomo, e muove l’uomo all’obbedienza e all’amore senza mai usargli violenza. La mitezza si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale, è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione”. A questa sapiente interpretazione aggiungiamo quella di un altro illustre esegeta: “La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell’aspetto dell’umiltà che si manifesta nell’affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello nella persona di Gesù, mite ed umile di cuore. In fondo tale mitezza ci appare come una forma di carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui” (Jacques Dupont).
d) Alcune domande per meditare
So accettare quei piccoli segni di povertà che possono riguardarmi? Ad esempio la povertà della salute, piccole indisposizioni? Ho pretese esorbitanti?
So accettare qualche aspetto della mia povertà e fragilità?
So pregare come un povero, come uno che chiede con umiltà la grazia di Dio, il suo perdono, la sua misericordia?
Ispirato dal messaggio di Gesù sulla mitezza, so rinunciare alla violenza, alla rivalsa, allo spirito vendicativo?
So coltivare, in famiglia e sul posto di lavoro, uno spirito di dolcezza, di mitezza e di pace?
Rispondo con il male alle piccole malignità, alle insinuazioni, alle allusioni offensive?
So essere attento ai più deboli, che sono incapaci di difendersi? Sono paziente con gli anziani? Accogliente verso gli stranieri soli, i quali spesso sono sfruttati sul lavoro?
3. Oratio
a) Salmo 23
Il salmo pare ruotare attorno a un titolo: “Il Signore è il mio pastore”. I santi sono l’immagine del gregge in cammino: essi sono accompagnati dalla bontà e lealtà di Dio, finché giungono definitivamente alla casa del Padre. (L. Alonso Schökel, I salmi della fiducia, Dehoniana libri, Bologna 2006, 54). Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.
b) Preghiera finale
Signore Gesù, tu ci indichi il sentiero delle beatitudini per giungere a quella felicità che è pienezza di vita e quindi santità. Tutti siamo chiamati alla santità, ma il tesoro per i santi è solo Dio. La tua Parola, o Signore, chiama santi tutti coloro che nel battesimo sono stati scelti dal tuo amore di Padre, per essere conformati a Cristo. Fa’, o Signore, che per tua grazia sappiamo realizzare questa conformità a Cristo Gesù. Ti ringraziamo, Signore, per i tuoi santi che hai posto nel nostro cammino come manifestazione del tuo amore. Ti chiediamo perdono se abbiamo sfigurato in noi il tuo volto e rinnegato la nostra chiamata ad essere santi.
4. Contemplatio
In silenzio lasciamo la Parola di Dio nascere e prendere carne nel nostro cuore.
Lectio Divina: giovedì, 2 novembre, 2023
Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Giornata di preghiera per le vocazioni
Il pane della vita
1. Lectio
Orazione iniziale
Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano (Ez 37, 9); vieni Spirito Santo, soffia nella nostra mente, nel nostro cuore, nella nostra anima, affinché diventiamo in Cristo una creazione nuova, primizia della vita eterna. Amen.
Lettura del vangelo: Giovanni 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Momenti di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.
2. Meditatio
a) Chiave di lettura
Nel vangelo di Giovanni, il punto di vista fondamentale su Gesù e la sua missione è che il Verbo fatto carne viene mandato dal Padre nel mondo a darci la vita e a salvare ciò che era perduto. Il mondo da parte sua rifiuta il Verbo incarnato. Il Prologo del vangelo ci presenta questo pensiero (Gv 1,1-18), che successivamente l’evangelista continuerà ad elaborare nel racconto evangelico. Anche i vangeli sinottici, a loro modo, annunciano questa novella. Si pensi alle parabole della pecora smarrita e della dramma perduta (Lc 15,1-10); oppure alla dichiarazione: non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori (Mc 2,17).
Tale linea di pensiero la troviamo anche in questo brano: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6,38). Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna (Gv 6,40). Parole chiavi del vangelo di Giovanni sono: vedere e credere. Vedere, implica e significa automaticamente credere nel Figlio mandato dal Padre. Con questo atteggiamento di fede il credente possiede già la vita eterna. Nel vangelo di Giovanni, la salvezza del mondo si compie già nella prima venuta di Cristo tramite l’incarnazione e con la risurrezione di colui che si lascia elevare sulla croce. Il secondo ritorno di Cristo nell’ultimo giorno sarà un completamento di questo mistero della salvezza.
Il brano del vangelo di oggi è tratto dalla sessione che parla del ministero di Gesù (Gv 112). Il testo ci porta nella Galilea, al tempo di Pasqua, la seconda del testo giovanneo: Dopo questi fatti, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea… Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei (Gv 6,1,4). Una grande folla lo seguiva (Gv 6,2) e Gesù, vedendo le folle dietro a lui, moltiplica i pani. La folla lo vuole proclamare re, ma Gesù fugge e si ritira sulla montagna tutto solo (Gv 6,15). Dopo una breve pausa che ci fa contemplare il Signore che cammina sulle acque (Gv 6,16-21), il racconto prosegue il giorno dopo (Gv 6,22), con la folla che continua ad aspettare e a cercare Gesù. Segue poi il discorso sul pane della vita e l’ammonimento di Gesù a procurare il cibo che rimane per sempre (Gv 6,27). Gesù definisce se stesso come il pane della vita, facendo riferimento alla manna data al popolo da Dio tramite Mosè, come una figura del vero pane che scende dal cielo e dà la vita al mondo (Gv 6,30-36). Ecco l’ambito in cui risuonano le parole di Gesù che stiamo ascoltando nella nostra Lectio (Gv 6,37-40). In questo contesto troviamo poi una nuova opposizione e un nuovo rifiuto della rivelazione di Cristo come pane della vita (Gv 6,41-66).
Le parole di Gesù su colui che va a lui, fanno eco all’invito di Dio perché si partecipi ai beni del banchetto dell’alleanza (Is 55,1-3). Gesù non respinge quelli che vanno a lui ma dà loro la vita eterna. La sua missione è infatti di cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19,27). Questo ci ricorda il racconto dell’incontro di Gesù con la Samaritana vicino al pozzo di Giacobbe (Gv 4,1-42). Gesù non respinge la Samaritana, ma incomincia un dialogo ‘pastorale’ con la donna che viene al pozzo per l’acqua materiale e lì trova l’uomo, il profeta e il Messia che le promette l’acqua della vita eterna (Gv 4,13-15). Abbiamo nel racconto la stessa struttura: da una parte la gente cerca il pane materiale e d’altra parte, invece, si fa, da parte di Gesù, tutto un discorso spirituale sul pane della vita. Anche la testimonianza di Gesù che mangia il pane della volontà di Dio (Gv 4,34) riecheggia ciò che il Maestro insegna in questo brano evangelico (Gv 6,38).
Nell’ultima cena Gesù riprende ancora tutto questo discorso nel capitolo 17. È lui che dà la vita eterna (Gv 17,2), conserva e custodisce tutti coloro che il Padre gli ha dato. Di questi nessuno è andato perduto tranne il figlio della perdizione (Gv 17,12-13).
b) Alcune domande
per orientare la meditazione e l’attualizzazione.
Il Verbo fatto carne viene mandato dal Padre nel mondo a darci la vita, ma il mondo rifiuta il Verbo incarnato. Accetto nella mia vita il Verbo divino che dà la vita eterna? Come?
“Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38). In Gesù si vede l’obbedienza alla volontà del Padre. Interiorizzo questa virtù nella mia vita per viverla quotidianamente?
Chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna (Gv 6,40). Chi è Gesù per me? Cerco di vederlo con gli occhi della fede, ascoltando le sue parole, contemplando il suo modo di essere? Che cosa significa per me la vita eterna?
3. Oratio
Salmo 23
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.
Preghiera finale
O Dio, che alla mensa della tua parola e del pane della vita ci nutri per farci crescere nell’amore. Donaci di accogliere il tuo messaggio nel nostro cuore per divenire nel mondo lievito e strumento di salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
4. Contemplatio
La contemplazione è il saper aderire col cuore e la mente al Signore che con la sua Parola ci trasforma in persone nuove che compiono sempre il suo volere. “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica” (Gv 13,17).
Lectio Divina: venerdì, 3 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 14,1-6
Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Davanti a lui stava un idropico. Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: “È lecito o no curare di sabato?” Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse: “Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?” E non potevano rispondere nulla a queste parole.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi ci narra un episodio della discussione tra Gesù ed i farisei, avvenuto nel lungo viaggio dalla Galilea fino a Gerusalemme. E’ molto difficile collocare questo fatto nel contesto della vita di Gesù. Ci sono somiglianze con un fatto narrato nel vangelo di Marco (Mc 3,1-6). Probabilmente, si tratta di una delle molte storie trasmesse oralmente e che, nella trasmissione orale, sono state adattate alla situazione, alle necessità e alle speranze della gente delle comunità.
Luca 14,1: L’invito il giorno di sabato. “Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo”. Questa informazione iniziale sul ricevimento in casa di un fariseo dà a Luca la possibilità di raccontare diversi episodi che parlano di accoglienza a pranzo: la guarigione dell’uomo malato (Lc 14,2-6), la scelta dei luoghi per mangiare (Lc 14,7-11), la scelta degli invitati (Lc 14,1214), gli invitati che non accettano l’invito (Lc 14,15-24). Molte volte Gesù è invitato dai farisei a partecipare a pranzi. Forse nell’invito ci deve essere stato un motivo di curiosità ed un poco di malizia. Vogliono osservare Gesù per vedere come lui osserva le prescrizioni della legge.
Luca 14,2: La situazione che provoca l’azione di Gesù. “C’era un uomo idropico”. Non si dice come un idropico possa entrare in casa del capo dei farisei. Ma se sta davanti a Gesù è perché vuole essere curato. I farisei osservano Gesù. Era un giorno di sabato, e nel giorno di sabato è proibito curare. Cosa fare? Si può o non si può?
Luca 14,3: La domanda di Gesù agli scribi ed ai farisei. “Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: “È lecito o no curare di sabato?” Con la sua domanda Gesù spiega il problema che stava nell’aria: si può o no curare il giorno di sabato? La legge lo permette sì o no? Nel vangelo di Marco la domanda è ancora più provocatrice: “Il giorno di sabato è lecito fare il bene o il male, salvare o uccidere?” (Mc 3,4).
Luca 14,4-6: La guarigione. I farisei non rispondono e rimangono in silenzio. Dinanzi al silenzio di colui che né approva né disapprova, Gesù prende l’uomo per mano, lo guarisce e lo congeda. Dopo, per rispondere ad una possibile critica, spiega il motivo che lo ha spinto a curare: “Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori nel giorno di sabato?” Con questa domanda Gesù mostra l’incoerenza dei dottori e dei farisei. Se uno di loro, nel giorno di sabato, non ha problemi nel soccorrere un figlio o perfino un animale, anche Gesù ha diritto di aiutare l’idropico. La domanda di Gesù evoca il salmo, dove si dice che Dio stesso soccorre uomini ed animali (Sal 36,8). I farisei “non potevano rispondere nulla a queste parole” . Perché dinanzi all’evidenza, non ci sono argomenti che la neghino.
4) Per un confronto personale
La libertà di Gesù dinanzi ad una situazione. Anche se osservato da chi non lo approva, non perde la libertà. Qual è la libertà che c’è in me?
Ci sono momenti difficili nella vita, in cui siamo obbligati a scegliere tra il bisogno immediato del prossimo e la parola della legge. Come agire?
5) Preghiera finale
Renderò grazie al Signore con tutto il cuore, nel consesso dei giusti e nell’assemblea. Grandi sono le opere del Signore, le contemplino coloro che le amano. (Sal 110)
Lectio Divina: sabato, 4 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 14,1.7-11
Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare, e la gente stava ad osservarlo. Gesù, vedendo come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.
3) Riflessione
Contesto. La Parola di grazia che Gesù rendeva visibile con il suo insegnamento e le sue guarigioni rischia di essere soppressa; per Gesù si avvicina sempre di più l’evento della morte, come tutti i profeti che l’hanno preceduto.. Tale realtà a cui Gesù va incontro mostra con chiarezza il rifiuto dell’uomo e la pazienza di Dio. Rifiutando Gesù come il primo inviato, l’unica Parola di grazia del Padre l’uomo si procura la propria condanna e chiude quella possibilità che il Padre gli aveva aperto per accedere alla salvezza. Tuttavia la speranza non è ancora spenta: è possibile che un giorno l’uomo riconosca Gesù come «colui» che viene dal Signore e ciò sarà motivo di gioia.. La conclusione, quindi, del cap.13 di Luca ci fa comprendere che la salvezza non è un’impresa umana, la si può solo accogliere come un dono assolutamente gratuito. Vediamo, dunque, come si avvera questo dono della salvezza, tenendo sempre presente questo rifiuto di Gesù come l’unico inviato di Dio.
L’invito a pranzo. Di fronte al pericolo di essere ridotto al silenzio era stato suggerito a Gesù di fuggire e, invece, accetta un invito a pranzo. Tale atteggiamento di Gesù fa capire che egli non teme i tentativi di aggressione alla sua persona, anzi non lo rendono pauroso. A invitarlo è «un capo dei farisei», una persona autorevole. Tale invito cade di sabato, un giorno ideale per pranzi di festa che di solito venivano consumati verso mezzogiorno dopo che tutti avevano partecipato alla liturgia sinagogale. Durante il pranzo i farisei «stavano ad osservarlo» (v.1): un azione di controllo e vigilanza che allude al sospetto circa il suo comportamento. In altri termini lo osservavano aspettando da lui qualche azione inammissibile con la loro idea della legge. Ma in fin dei conti lo controllano non per salvaguardare l’osservanza della legge quanto per incastrarlo su qualche suo gesto. Intanto di sabato, dopo aver guarito dinanzi ai farisei e dottori della legge un idropico, esprime due riflessioni risolutive su come bisogna accogliere l’invito a tavola e con quale animo si deve invitare (vv.12-14). La prima è chiamata da Luca «una parabola», vale a dire, un esempio, un modello o un insegnamento da seguire. Innanzitutto bisogna invitare con gratuità e con libertà d’animo. Spesso gli uomini si fanno avanti, si propongono per essere invitati, invece, di ricevere l’invito. Per Luca il punto di vista di Dio è il contrario, è quello dell’umiltà: «Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili». La chiamata a partecipare alla «grande cena» del Regno ha come esito una maggiorazione del livello di vita per chi è capace di accogliere con gratuità l’invito della salvezza.
L’ultimo posto. É vero che cedere il proprio posto agli altri non è gratificante, ma può essere umiliante; è una limitazione del proprio orgoglio. Ma ancor più umiliante e motivo di vergogna quando si deve compiere il movimento verso l’ultimo posto; è un disonore agli occhi di tutti. Luca, da un parte, pensa a tutte quelle situazioni umilianti e dolorose in cui il credente si può trovare, dall’altra al posto riservato per chi vive questi eventi davanti agli occhi di Dio e al suo regno. Gli orgogliosi, coloro che cercano i primi posti, i notabili, si gratificano della loro posizione sociale. Al contrario, quando Gesù è venuto ad abitare in mezzo a noi, «non c’era posto per lui» (2,7) e ha deciso di rimanervi scegliendo il posto tra la gente umile e povera. Per questo Dio lo ha elevato, lo ha esaltato. Da qui il prezioso suggerimento a scegliere il suo atteggiamento, privilegiando l’ultimo posto. Il lettore può rimanere disturbato da queste parole di Gesù che minano il senso utilitaristico ed egoistico della vita; ma a lungo andare il suo insegnamento si rivela determinante per l’ascesa in alto; il cammino dell’umiltà conduce alla gloria.
4) Per un confronto personale
Nel tuo rapporto di amicizia con gli altri prevale il calcolo dell’interesse, l’attesa di ricevere un contraccambio?
Nel relazionarti con gli altri al centro dell’attenzione c’è sempre e comunque il tuo io, anche quando fai qualcosa per i fratelli? Sei disposto a donare ciò che sei?
5) Preghiera finale
Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? (Sal 41)
Lectio Divina: domenica, 5 novembre, 2023
Contro l’ipocrisia
Matteo 23,1-12
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, mandaci il tuo Spirito perché possiamo leggere la tua Parola liberi dai pregiudizi, perché possiamo meditare il tuo annuncio nella sua integrità e non selettivamente, perché possiamo pregare per crescere nella comunione con te, con i fratelli e le sorelle. Perché possiamo, alla fine, agire, contemplando la realtà che viviamo ogni giorno con i tuoi stessi sentimenti e la tua stessa misericordia. Tu che vivi con il Padre e ci doni l’Amore, amen.
2. Lettura
Introduzione:
Questo brano evangelico è l’ultimo degli insegnamenti pubblici di Gesù iniziati con il discorso della montagna (cc.5-7). Gesù si trova a Gerusalemme, si avvicina il momento dell’arresto, sta avendo un duro confronto con le diverse categorie di persone: sommi sacerdoti, anziani, erodiani, scribi, farisei, ecc. Gesù non sta contestando la religiosità giudaica in quanto tale, ma pronuncia parole dure sul tentativo di alcuni, i capi in particolare, di stravolgerne i valori autentici con atteggiamenti incoerenti. L’evangelista Matteo, in questa prima parte del capitolo 23, riportando queste parole di Gesù, mette in guardia la comunità dei primi cristiani dal riprodurre uno stile di vita incompatibile con la fede in Lui. Sullo sfondo si percepisce il conflitto tra la chiesa nascente e la sinagoga.
Una possibile divisione del testo:
Matteo 23, 1-7: Messa in guardia degli ascoltatori e denuncia del comportamento degli scribi e farisei.
Matteo 23, 8-12: Raccomandazioni alla comunità dei discepoli.
Testo:
1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe 7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10 E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11 Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.
3. Momento di silenzio
Per ascoltare lo Spirito, far entrare la Parola di Dio nel cuore e illuminare la nostra vita
4. Alcune domande
A chi sono rivolte le parole di Gesù?
Chi sono gli interlocutori dell’evangelista Matteo?
Osservanza e ipocrisia possono convivere?
Qual è la novità del messaggio di Gesù?
Quali atteggiamenti caratterizzano la comunità dei discepoli di Gesù?
5. Meditazione
Queste parole di Gesù appaiono dure e polemiche. Proviamo a meditarle in rapporto al primo discorso di Gesù, quello sul monte, secondo la redazione di Matteo. Esse diventano allora come un paragone tra l’ideale di vita del discepolo di Cristo e i comportamenti non corrispondenti a questo ideale, evidenti in coloro che sono ancora “sotto la Legge”, direbbe Paolo. Il discorso è rivolto alle folle e in particolare ai discepoli, non agli scribi e ai farisei, almeno in questa prima parte del capitolo. Ci sono comunque anche scribi “non lontano dal regno di Dio” (Mc 12,34). Sono ovunque quelli che “dicono
e non fanno”.
Il riferimento all’insegnamento degli scribi, stando “seduti sulla cattedra di Mosè”, era reale nelle sinagoghe, ma ha anche un riferimento simbolico, perché è divenuto un segno di potere, così Gesù ammaestrava stando seduto per terra (Mt 5,1). Il rapporto di Gesù con la Legge è chiarito nel discorso della montagna, egli non è venuto per abolirla, ma per portarla a compimento (Mt 5, 17-19) quindi i comandamenti autentici sono da mettere in pratica: “quanto vi dicono fatelo e osservatelo”. Aggiungeva però Gesù nel precedente discorso: “Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei celi” (Mt 5,20). Seguiva l’interpretazione autentica della Legge: “avete inteso che fu detto… ma io vi dico”. Gesù supera l’osservanza formale della Legge (Mc 7,15) perché è giunto il Regno di Dio (Mt 4,17), col suo avvento l’Amore è al di sopra della Legge. Non basta più ricorrere alla Legge per giustificare la validità delle disposizioni cultuali (il sabato, lavarsi le mani) né per imporre “pesanti fardelli”, ora ci si deve riferire all’amore di Dio che solo conferisce all’agire dell’uomo il suo significato ultimo. Per il discepolo di Cristo sono valide le motivazioni interiori, le intenzioni autentiche (Mt 6, 22-23). Annunciando che il regno di Dio è qui, Gesù offre un nuovo criterio di azione che non sopprime la Legge, ma ne rivela il senso autentico. Il comandamento dell’amore è il metro di misura nella critica della Legge. “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi… Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,28-30). I “pesanti fardelli” sono prescrizioni elaborati dalla tradizione orale. Queste possono aiutare l’osservanza della Torah, ma la possono anche aggirare e soppiantare con usanze umane. Ecco allora che riguardano gli altri piuttosto che i capi: “loro non vogliono muoverli neppure con un dito”.
La religiosità può essere pure motivo di esibizionismo (vv.5-7) contrario a quanto insegnato nel discorso della montagna. “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini” (Mt 6,1): l’elemosina (Mt 6,3), la preghiera (Mt 6,5), il digiuno (Mt 6,16) che erano le opere buone più frequenti per un giudeo, devono essere fatte “in segreto” dal discepolo di Cristo, perché hanno come unica motivazione l’adorazione di Dio. Più importante per il discepolo non è il consenso sociale e il rispetto degli uomini, né i titoli di onore, “rabbi”, ma essere “poveri in spirito” (Mt 5,3) perché tutto si è posto nelle mani di Dio e non si ha nulla per sé, là è il proprio tesoro (Mt 6,21), in cielo. Questo porta persecuzione (Mt 5,10-11) più che applausi e consenso (Mt 23,6-7). Dio è “Padre nostro” (Mt 6,9), nessuno si può interporre a Lui. Per questo il discepolo di Cristo si deve guardare dal conferire ad alcuni titoli: rabbi, padre, maestro un’importanza e un potere che oscuri il fatto che uno solo è rabbi, padre, maestro e voi siete tutti fratelli. Giovanni che battezzava, quando vide passare il vero Maestro, mandò i suoi discepoli da lui (Gv 1,35), l’unico Maestro e non li trattenne per sé. La comunità di Gesù è quella delineata nel discorso delle “Beatitudini” con le sue esigenze radicali. Una comunità di fratelli e sorelle capace di accogliere Dio che viene a salvare gratuitamente. Questa comunità ha il suo ideale nel “servizio” (Mt 20,28) del Figlio dell’uomo, modello della Chiesa.
L’autorità del capo perde la sua attrazione, non è più un ideale, “Il più grande tra voi sia vostro servo” (conf. Mc 10,41-44; Gv 13), non si parla più di modello gerarchico, ma di
servire e di abbassarsi, “chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà
innalzato”. Nelle parole di Gesù c’è molto di più di una polemica con gli scribi e i farisei, molto di più di una esortazione a essere coerenti, è un richiamo all’identità stessa dei suoi discepoli, alla novità che loro son chiamati a testimoniare.
6. Orazione
Preghiamo con il salmo 131
Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sempre.
7. Contemplazione
Mi hai messo in guardia, Signore, da un comportamento ipocrita che non riflette la novità di vita che anima la comunità dei tuoi discepoli. Come è facile tornare a mettere al centro se stessi, attaccarsi alle usanze, a rimanere immobili, ascoltando la tua Parola. Sì, anch’io sono tra coloro che “dicono e non fanno”, la tua Parola mi mette in imbarazzo. La ricerca di segni esteriori, di consenso, di titoli e onorificenze turba i miei pensieri e indebolisce la fraternità. Come era pura di cuore tua madre, Maria, così siano le mie intenzioni e i miei atteggiamenti in modo da poter costruire una comunità secondo i tuoi stessi sentimenti con la tua stessa compassione verso tutti. Amen.
Lectio Divina: lunedì, 6 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 14,12-14
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai, infatti, la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi continua a presentare gli insegnamenti che Gesù stava dando su diversi temi, tutti legati alla guarigione nel corso di un banchetto: una guarigione durante un pasto (Lc 14,1-6); un consiglio per non occupare i primi posti (Lc 14,7-12); un consiglio per invitare gli esclusi (Lc 14,12-14). Questa rappresentazione delle parole di Gesù attorno ad una determinata parola, quale per esempio tavola o banchetto, aiuta a percepire il metodo usato dai primi cristiani per conservare nella memoria le parole di Gesù.
Luca 14,12: Invito interessato. Gesù sta mangiando a casa di un fariseo che lo ha invitato (Lc 14,1). L’ invito a tavola è il tema dell’insegnamento del vangelo di oggi. Ci sono diversi tipi di invito: inviti interessati a beneficio di sé stessi ed inviti disinteressati a beneficio di altri. Gesù dice: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio”. L’usanza comune della gente era questa: invitavano a mangiare amici, fratelli e parenti. E nessuno si sedeva a tavola con persone sconosciute. Ci si siede attorno al tavolo solo con persone amiche! Ecco l’usanza tra i giudei. E ancora oggi noi agiamo cosi. Gesù pensa in modo diverso ed ordina di invitare gente sconosciuta, inviti che nessuno soleva fare.
Luca 14,13-14: Invito disinteressato. Gesù dice: “Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai, infatti, la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”. Gesù ordina di rompere il circolo chiuso e chiede di invitare gli esclusi: poveri, storpi, zoppi e ciechi. Non era questa l’usanza, e non lo è tuttora. Ma Gesù insiste: “Invita queste persone!” Perché? Perché nell’invito disinteressato, diretto a persone escluse ed emarginate, c’è una sorgente di felicità: “E sarei beato perché non hanno da ricambiarti”. Strana felicità, felicità diversa! Tu sarai felice perché non hanno da ricambiarti. E’ la felicità che nasce dal fatto che tu hai compiuto un gesto di totale gratuità. Un gesto di amore che vuole il bene dell’altro e per l’altro, senza aspettarsi nulla in cambio. E’ la felicità di chi fa le cose gratuitamente, senza chiedere nessuna ricompensa. Gesù dice che è questa la felicità che Dio ci darà nella risurrezione. Risurrezione, non solo alla fine della storia, ma fin d’ora. Agire cosi è già una risurrezione!
É il Regno che si avvera. Il consiglio che Gesù ci dà nel vangelo di oggi evoca l’invio dei settantadue discepoli per la missione di annunciare il Regno (Lc 10,1-9). Tra le varie raccomandazioni date in quella occasione, quali segni di presenza del Regno, c’è (a) l’invito a tavola e (b) l’accoglienza agli esclusi: “Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano e dite loro: Si è avvicinato a voi il Regno di Dio!” (Lc 10,8-9) Qui, in queste raccomandazioni, Gesù ordina di trasgredire a quelle norme di purezza formale che impediscono la convivenza fraterna.
4) Per un confronto personale
Invito interessato o disinteressato: quale dei due avviene nella mia vita?
Se tu invitassi in modo disinteressato, questo ti causerebbe qualche difficoltà? Quali?
5) Preghiera finale
Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia. (Sal 130)
martedì, 7 novembre,
1) Preghiera
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 14,15-24
In quel tempo, uno dei commensali disse a Gesù: “Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!” Gesù rispose: “Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi continua la riflessione attorno a temi legati alla tavola ed all’invito. Gesù racconta la parabola del banchetto. Molta gente era stata invitata, ma la maggior parte non andò. Il padrone della festa rimase indignato per l’assenza degli invitati e mandò a chiamare poveri, storpi, ciechi e zoppi. E nonostante questo c’era ancora posto. Allora ordinò di invitare tutti, fino a che la casa fosse piena. Questa parabola era una luce per le comunità del tempo di Luca.
Nelle comunità del tempo di Luca c’erano cristiani, venuti dal giudaismo e cristiani venuti dai gentili, chiamati pagani. Nonostante le differenze di razza, classe e genere, loro vivevano a fondo l’ideale della condivisione e della comunione (At 2,42; 4,32; 5,12). Ma c’erano molte difficoltà perché alcune norme di purezza formale impedivano ai giudei di mangiare con i pagani. E pur dopo essere entrati nella comunità cristiana, alcuni di loro conservavano questa vecchia usanza di non sedersi a tavolo con un pagano. Per questo Pietro entro in conflitto con la comunità di Gerusalemme per essere entrato a casa di Cornelio, un pagano, e per aver mangiato con lui (At 11,3). Dinanzi a questa problematica delle comunità, Luca conservò una serie di parole di Gesù nei riguardi del banchetto (Lc 14,1-24). La parabola che qui meditiamo è un ritratto di ciò che stava avvenendo nelle comunità.
Luca 14,15: Beato chi mangerà il pane nel Regno di Dio. Gesù aveva finito di raccontare due parabole: una, sulla scelta dei luoghi (Lc 14,7-11), e l’altra sulla scelta degli invitati (Lc 14,12-14). Mentre ascoltava queste parabole qualcuno che era a tavola con Gesù deve aver colto la portata dell’insegnamento di Gesù e deve aver detto: “Beato chi mangerà il pane nel Regno di Dio!”. I giudei paragonavano il tempo futuro del Messia ad un banchetto, caratterizzato dalla gratitudine e dalla comunione (Is 25,6; 55,1-2; Sal 22,27). La fame, la povertà e la carestia facevano sperare al popolo di ottenere nel futuro ciò che non aveva nel presente. La speranza dei beni messianici, comunemente sperimentati nei banchetti, era una prospettiva della fine dei tempi.
Luca 14,16-20: Il grande banchetto è pronto. Gesù risponde con una parabola. “Un uomo diede una gran cena e fece molti inviti”. Ma gli impegni di ciascuno impediscono agli invitati di accettare l’invito. Il primo dice: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo!” Il secondo: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli!” Il terzo: “Ho preso moglie, e perciò non posso venire!” Nell’ambito delle norme e delle usanze dell’epoca, quelle persone avevano il diritto di non accettare l’invito (cf. Dt 20,5-7).
Luca 14,21-22: L’invito rimane aperto. Il padrone della festa rimane indignato constatando che il suo invito non è accolto. Nel fondo, chi è indignato è proprio Gesù poiché le norme della stretta osservanza della legge, limitavano la gente rispetto alla possibilità di vivere la gratuità di un invito a casa di amici, invito caratterizzato dalla fraternità e dalla condivisione. Così il padrone della festa ordina ai servi di invitare i poveri, i ciechi, gli storpi, gli zoppi. Coloro che normalmente erano esclusi perché considerati impuri, ora sono invitati a sedersi attorno al tavolo del banchetto.
Luca 14,23-24: C’è ancora posto. La sala non si riempie. C’è ancora posto. Allora, il padrone della casa ordina ai servi di invitare coloro che sono per la strada. Sono i pagani. Anche loro sono invitati a sedersi attorno alla tavola. Così, nel banchetto della parabola di Gesù, si siedono tutti attorno allo stesso tavolo, giudei e pagani. Al tempo di Luca, c’erano molti problemi che impedivano la realizzazione di questo ideale del banchetto comune. Mediante la parabola, Luca mostra che la pratica del banchetto veniva proprio da Gesù. Dopo la distruzione di Gerusalemme, nell’anno 70, i farisei assunsero il governo nelle sinagoghe, esigendo il compimento rigido delle norme che li identificavano come popolo giudeo. I giudei che si convertivano al cristianesimo erano considerati una minaccia, poiché distruggevano i muri che separavano Israele dagli altri popoli. I farisei cercavano di obbligarli ad abbandonare la fede in Gesù. Poiché non ci riuscivano, li cacciavano dalle sinagoghe. Tutto questo provocava una lenta e progressiva separazione tra giudei e cristiani ed era fonte di molta sofferenza, soprattutto per i giudei convertiti (Rom 9,1-5). Nella parabola, Luca afferma chiaramente che questi giudei convertiti non erano infedeli al loro popolo. Anzi! Loro sono gli invitati che accettarono l’invito. Loro sono i veri eredi di Israele. Infedeli sono stati coloro che non hanno accettato l’invito e non hanno voluto riconoscere in Gesù il Messia (Lc 22,66; At 13,27).
4) Per un confronto personale
Quali sono le persone che in generale sono invitate e quali sono le persone che in generale non sono invitate alle nostre feste?
Quali sono i motivi che oggi limitano la partecipazione delle persone nella società e nella chiesa? E quali sono i motivi che alcuni adducono per escludersi dalla comunità? Sono motivi giusti?
5) Preghiera finale
Le opere del Signore sono splendore di bellezza, la sua giustizia dura per sempre. Ha lasciato un ricordo dei suoi prodigi: pietà e tenerezza è il Signore. (Sal 110)
mercoledì, 8 novembre,
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 14,25-33
In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi parla del discepolato e presenta le condizioni per essere discepolo o discepola di Gesù. Gesù è in cammino verso Gerusalemme, dove morirà presto in Croce. Questo è il contesto in cui Gesù colloca le parole di Gesù sul discepolato.
Luca 14,25: Esempio di catechesi. Il vangelo di oggi è un bell’esempio di come Luca trasforma le parole di Gesù in catechesi per la gente delle comunità. Lui dice: “Molta gente andava con lui. Gesù si voltò e disse”. Gesù parla a grandi folle, cioè parla a tutti, anche alle persone delle comunità del tempo di Luca e parla oggi per noi. Nell’insegnamento che segue Gesù pone le condizioni per colui che vuole essere suo discepolo.
Luca 14,25-26: Prima condizione: odiare il padre e la madre. Alcuni attenuano la forza della parola odiare e traducono “preferire Gesù ai propri genitori”. Il testo originale usa l’espressione “odiare i genitori”. In un altro posto Gesù ordina di amare e di rispettare i genitori (Lc 18,20). Come spiegare questa contraddizione? Ma è una contraddizione? Al tempo di Gesù la situazione sociale e economica portava le famiglie a rinchiudersi in sé e impediva loro di compiere la legge del riscatto (goel), cioè di soccorrere i fratelli e le sorelle della comunità (clan) che erano minacciati di perdere la loro terra o di cadere nella schiavitù (cf. Dt 15,1-18; Lv 25,23-43). Chiuse in sé stesse, le famiglie indebolivano la vita in comunità. Gesù vuole ricostruire la vita in comunità. Per questo chiede di superare la visione ristretta della piccola famiglia che si chiude in se stessa e chiede alle famiglie di aprirsi e di unirsi tra loro in una grande famiglia, in comunità. Questo è il senso di odiare il padre e la madre, la moglie, i figli, le sorelle ed i fratelli. Gesù stesso, quando i genitori della sua piccola famiglia vogliono riportarlo a Nazaret, non risponde alla loro richiesta. Ignora o odia la loro richiesta ed allarga la famiglia dicendo: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,20-21.31-35). I vincoli familiari non possono impedire la formazione della Comunità. Questa è la prima condizione.
Luca 14,27: Seconda condizione: portare la croce. “Chi non porta la croce e non viene dietro a me, non può essere discepolo mio”. Per capire bene la portata di questa seconda esigenza dobbiamo guardare il contesto in cui Luca colloca questa parola di Gesù. Gesù sta andando verso Gerusalemme per essere crocifisso e morire. Seguire Gesù e portare la croce dietro di lui significa andare con lui fino a Gerusalemme per essere crocifisso con lui. Ciò evoca l’atteggiamento delle donne che “lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (Mc 15,41). Evoca anche la frase di Paolo nella lettera ai Galati: “Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14).
Luca 14,28-32: Due parabole. Le due hanno lo stesso obiettivo: fare in modo che le persone pensino bene prima di prendere una decisione. Nella prima parabola dice: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro!” Questa parabola non ha bisogno di spiegazione. Parla da sé: che ognuno rifletta bene sul suo modo di seguire Gesù e si chiede se valuta bene le condizioni prima di prendere la decisione di essere discepolo di Gesù. La seconda parabola: “Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace”. Questa parabola ha lo stesso scopo della precedente. Alcuni chiedono: “Come mai Gesù si serve di un esempio di guerra?” La domanda è pertinente per noi che oggi conosciamo le guerre. La seconda guerra mondiale (1939 – 1945) causò la morte di ben 54 milioni di persone!
Luca 14,33: Conclusione per il discepolato. La conclusione è una sola: essere cristiano, seguire Gesù, è una cosa seria. Per molta gente, oggi, essere cristiano non è una scelta personale, e nemmeno una decisione di vita, ma un semplice fenomeno culturale. Non viene loro in mente di fare una scelta. Chi nasce brasiliano è brasiliano. Chi nasce giapponese è giapponese. Non deve scegliere. E’ nato e morirà così. Molta gente è cristiana perché nacque così e così è morta, senza aver mai avuto l’idea di scegliere e di assumere ciò che già è per nascita.
4) Per un confronto personale
Essere cristiano è una cosa seria. Devo calcolare bene il mio modo di seguire Gesù. Come avviene questo nella mia vita?
“Odiare i genitori”, comunità o famiglia! Come combino le due cose? Sono capace di armonizzarle?
5) Preghiera finale
Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? (Sal 26)
giovedì, 9 novembre,
Dedicazione della basilica lateranense
1) Preghiera
O Padre, che prepari il tempio della tua gloria, con pietre vive e scelte,
effondi sulla Chiesa il tuo Santo Spirito, perché edifichi il popolo dei credenti che formerà la Gerusalemme del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Giovanni 2,13-22
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
3) Riflessione
Contesto. Il nostro brano contiene un insegnamento chiaro ed inequivocabile di Gesù nel tempio. Precedentemente Giovanni battista aveva reso testimonianza a Gesù dicendo che era il messia (1,29); i primi discepoli, su indicazione del Battista, lo hanno riconosciuto come l’Agnello di Dio, una qualità del messia: inaugurare una nuova pasqua e alleanza, realizzare la liberazione definitiva dell’uomo (Gv 1,35-51); a Cana, Gesù compie un primo segno per manifestare la sua gloria (Gv 2,1-12): la gloria diventa visibile, può essere contemplata, quindi si manifesta. È la gloria del Padre presente nella persona di Gesù e che si manifesta agli inizi della sua attività, anticipando così la sua «ora» (17,1). In che maniera si manifesta la sua gloria? Dio instaura gratuitamente con l’uomo una nuova relazione; lo unisce intimamente a lui dandogli la capacità di amare come Lui, per mezzo dello Spirito che purifica il cuore dell’uomo e lo rende figlio di Dio. È necessario, però, riconoscere l’amore immutabile di Dio, resosi manifesto in Gesù, rispondendo con fede, con un adesione personale.
Gesù e il tempio. Ora Gesù è a Gerusalemme, nel tempio e dando compimento alla profezia di Malachia (Ml 3,1-3), si proclama messia. Tale presenza di Gesù e soprattutto il suo insegnamento produce una tensione. Il lettore comprende, ora, come le grandi dispute con in giudei avvengono sempre nel tempio; in questo luogo Gesù pronuncia le sue denunce sostanziali; il suo compito è di condurre il popolo fuori dal tempio (2,15; 10,4). In fondo Gesù viene condannato perché rappresenta un pericolo per il tempio e per il popolo. Gesù va a Gerusalemme in occasione della Pasqua dei Giudei: è un’occasione clamorosa per manifestarsi in pubblico e per rivelare a tutti che egli è il messia. In quella festa Gerusalemme è piena di pellegrini venuti da ogni parte e quindi il suo operato avrebbe avuto un effetto risonante in tutta la Palestina. Arrivato a Gerusalemme viene subito collocato nel tempio dove sono all’azione diversi tipi di venditori e cambiavalute.. L’incontro nel Tempio non è con persone che cercano Dio ma commercianti del sacro: l’importo per aprire delle bancherelle di vendita veniva versato al sommo sacerdote. Gesù sceglie questa occasione (la pasqua), questo luogo (il tempio) per dare un segno. Prende un flagello, uno strumento che simboleggiava il messia nel mentre punisce vizi e pratiche malvage, e caccia tutti dal tempio, insieme a pecore e buoi. Degna di nota è la sua invettiva contro i venditori di colombe (v.12). La colomba era un animale utilizzato per gli olocausti propiziatori (Lv 1,14-17), nei sacrifici di espiazione e di purificazione (Lv 12,8; 15,14.29), soprattutto se coloro che le offrivano erano poveri (Lv 5,7; 14,22.30ss). I venditori qui coloro che vendono le colombe, vale a dire, la riconciliazione con Dio per denaro.
La casa di mio Padre. L’espressione sta a indicare che Gesù nel suo agire si comporta da Figlio, Lui rappresenta il Padre nel mondo. Hanno trasformato il culto di Dio in commercio. Il tempio non è più il luogo dell’incontro con Dio, ma un mercato dove vige la presenza del denaro. Il culto è diventato il pretesto per fare lucro. Gesù attacca l’istituzione centrale di Israele, il tempio: simbolo del popolo e della elezione. Denuncia che al Tempio è stata sottratta la sua funzione storica: essere segno dell’abitazione di Dio in mezzo al suo popolo. La prima reazione al gesto di Gesù viene dai discepoli che lo associano al salmo 69,10: «la passione per la tua casa mi consumerà». La seconda reazione viene dai sommi sacerdoti che rispondono al posto dei venditori del tempio: «che segno mostri per poter compiere queste cose?» (v.18). Gli hanno domandato un segno; egli dà loro quello della sua morte: «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (v.19). Gesù è il tempio che assicura la presenza di Dio nel mondo, la presenza del suo amore; la morte in croce farà di Lui il tempio unico e definitivo di Dio. Il tempio costruito da mani d’uomo è decaduto; sarà Gesù a sostituirlo, perché Lui è ora la presenza di Dio nel mondo; in Lui è presente il Padre.
4) Per un confronto personale
Hai compreso che il segno dell’amore di Dio per te non è più il tempio ma una Persona: Gesù crocifisso?
Non sai che questo segno viene rivolto a te personalmente per realizzare la tua liberazione definitiva?
5) Preghiera finale
Dio è per noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce. Perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i monti nel fondo del mare. (Sal 45)
Lectio Divina: venerdì, 10 novembre, 2023
S. Leone Magno, papa e dottore della Chiesa
1) Preghiera
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 16,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato
dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi presenta una parabola che riguarda l’amministrazione dei beni e che troviamo solamente nel vangelo di Luca. E’ chiamata La parabola dell’amministratore disonesto. Parabola sconcertante. Luca dice: “Il padrone lodò l’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”. Il padrone è Gesù stesso e non l’amministratore. Come mai Gesù loda un impiegato corrotto?
Luca 16,1-2: L’amministratore è minacciato di rimanere senza lavoro. “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore”. L’esempio tratto dal mondo del commercio e del lavoro parala da sé. Allude alla corruzione esistente. Il padrone scopre la corruzione e decide di mandar via l’amministratore disonesto. Costui si trova, improvvisamente, in una situazione di emergenza, obbligato dalle circostanze impreviste a trovare un’uscita per poter sopravvivere. Quando Dio si rende presente nella vita di una persona, lì, improvvisamente tutto cambia e la persona si trova in una situazione di emergenza. Dovrà prendere una decisione e trovare un’uscita.
Luca 16,3-4: Cosa fare? Qual è l’uscita? “L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno”. Lui comincia a riflettere per scoprire una soluzione. Analizza, una ad una, le alternative possibili: zappare o lavorare la terra per sopravvivere, pensa che per questo non ha forza e per mendicare si vergogna. Analizza le cose. Calcola bene
le alternative possibili. “So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.” Si tratta di garantire il suo futuro. L’amministratore è coerente con il suo modo di pensare e di vivere.
Luca 16,5-7: Esecuzione della soluzione trovata. “Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Nella sua totale mancanza di etica l’amministratore fu coerente. Il criterio della sua azione non è l’onestà e la giustizia, né il bene del padrone da cui dipende per vivere e per sopravvivere, ma il suo proprio interesse. Lui vuole la garanzia di avere qualcuno che lo riceva a casa sua.
Luca 16,8: Il Signore loda l’amministratore disonesto. Ed ecco la conclusione sconcertante: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. La parola Signore indica Gesù e non l’uomo ricco. Costui non elogerebbe mai un impiegato disonesto con lui nel servizio e che ora ruba più di 50 barili di olio e 20 sacchi di grano! Nella parabola chi tesse l’elogio è Gesù. Elogia non certo il furto, ma la presenza di spirito dell’amministratore. Seppe calcolare bene le cose e trovare una via di uscita, quando improvvisamente si vide senza lavoro. Come i figli di questo mondo sanno essere esperti nelle loro cose, così anche i figli della luce devono imparare da sé ad essere esperti nella soluzione dei loro problemi, usando i criteri del Regno e non i criteri di questo mondo. “Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10,16).
4) Per un confronto personale
Sono coerente?
Quale criterio uso nella soluzione dei miei problemi?
5) Preghiera finale
Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario.
(Sal 26)
Lectio Divina: sabato, 11 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 16,9-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Procuratevi amici con l’iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona”. I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi riporta alcune parole di Gesù attorno all’uso dei beni. Sono parole e frasi isolate, di cui non conosciamo l’esatto contesto in cui furono pronunciate. Sono state messe qui da Luca per formare una piccola comunità attorno all’uso corretto dei beni di questa vita e per aiutare a capire meglio il senso della parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-8).
Luca 16,9: Usare bene il denaro ingiusto. “Procuratevi amici con la iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne“. Nell’Antico Testamento, la parola più antica per indicare il povero è “ani” che significa impoverito. Viene dal verbo “ana”, cioé opprimere, ribassare. Questa affermazione evoca la parabola dell’amministratore disonesto, la cui ricchezza era iniqua, ingiusta. Qui appare il contesto delle comunità del tempo di Luca, cioè, degli anni 80 dopo Cristo. All’inizio le comunità cristiane sorsero tra i poveri (cf. 1Cor 1,26; Gal 2,10). Poco a poco ne entrarono a far parte persone più ricche. L’entrata dei ricchi portò con sé problemi che appaiono nei consigli dati nella lettera di Giacomo (Gi 2,1-6;5,1-6), nelle lettera di Paolo ai Corinzi (1Cor 11,20-21) e nel vangelo di Luca (Lc 6,24). Questi problemi si aggravarono verso la fine del primo secolo, come attesta l’Apocalisse nella sua lettera alla comunità di Laodiceia (Ap 3,17-18). Le frasi di Gesù che Luca conserva sono un aiuto per chiarire e risolvere questo problema.
Luca 16,10-12: Essere fedele nel piccolo e nel grande. “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?” Questa frase chiarisce la parabola dell’amministratore disonesto. Lui non fu fedele. Per questo, fu tolto dall’amministrazione. Questa parola di Gesù suggerisce anche come dar vita al consiglio di farsi amici con il denaro ingiusto. Oggi avviene qualcosa di simile. Ci sono persone che parlano bene della liberazione, ma in casa opprimono la moglie e i figli. Sono infedeli nelle cose piccole. La liberazione comincia nel piccolo mondo della famiglia, della relazione giornaliera tra le persone.
Luca 16,13: Voi non potete servire Dio e il denaro. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona”. Ognuno di noi dovrà fare una scelta. Dovrà chiedersi: “Chi metto al primo posto nella mia vita: Dio o il denaro?” Al posto della parola denaro ognuno può mettere un’altra parola: macchina, impiego, prestigio, beni, casa, immagine, etc. Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, ma di una scelta ben concreta di vita che comprende gli atteggiamenti.
Luca 16,14-15: Critica dei farisei cui piace il denaro. “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”. In un’altra occasione Gesù menziona l’amore di alcuni farisei verso il denaro: “Voi sfruttate le vedove, e rubate nelle loro case e, in apparenza, fate lunghe preghiere” (Mt 23,14: Lc 20,47; Mc 12,40). Loro si lasciavano trascinare dalla saggezza del mondo, di cui Paolo dice: “Considerate, infatti, la vostra chiamata, fratelli; non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,26-28). Ad alcuni farisei piaceva il denaro, come oggi a alcuni sacerdoti piace il denaro. Vale per loro l’avvertimento di Gesù e di Paolo.
4) Per un confronto personale
Tu e il denaro? Che scelta fai?
Fedele nel piccolo. Come parli del vangelo e come vivi il vangelo?
5) Preghiera finale
Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta. (Sal 111)
Lectio Divina: domenica, 12 novembre, 2023
La parabola delle dieci vergini
Prepararsi per l’arrivo improvviso di Dio nella vita
Matteo 25,1-13
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, sopratutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato lo Spirito. Amen.
2. Lettura
Una chiave di lettura:
Meditiamo la parabola delle dieci vergini, o delle dieci giovani ragazze. Nelle parabole Gesù ama usare fatti ben conosciuti della vita del popolo come mezzo di paragone per chiarire un aspetto sconosciuto del Regno di Dio. Nel caso della parabola delle dieci vergini, egli costruisce una storia attorno al comportamento differente delle ragazze che accompagnano lo sposo nel giorno di festa del matrimonio. Questo fatto ben noto a tutti è usato da Gesù per chiarire l’avvenimento dell’arrivo improvviso del Regno di Dio nella vita delle persone. Generalmente Gesù non spiega le parabole, ma dice: “Chi ha orecchi per intendere intenda!” Ossia: “E’ così. Avete udito! Ora cercate di capire.” Egli provoca le persone, perché i fatti conosciuti nella vita quotidiana li aiutino a scoprire gli appelli di Dio nella loro vita. Egli coinvolge gli uditori nella scoperta del significato della parabola. L’esperienza che ciascuno ha del fatto di vita narrato nella parabola, contribuisce a scoprire il senso delle parole di Gesù. Segno che Gesù aveva fiducia nella capacità di comprensione delle persone. Essi diventano co-produttrici del significato. Alla fine della Parabola delle dieci vergini, Gesù dice: “Vigilate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.” Questo avvertimento finale serve come chiave di lettura. Essa indica la direzione del pensiero di Gesù. Durante la lettura cercare di scoprire quale sia il punto centrale di questa parabola che serve a Gesù come similitudine con il Regno di Dio.
Una divisione del testo per aiutare nella lettura:
Mt 25,1-4: L’atteggiamento differente delle ragazze che accompagnano lo sposo:
cinque prudenti e cinque stolte
Mt 25,5-6: Il ritardo dello sposo e il suo arrivo improvviso nella notte
Mt 25,7-9: L’atteggiamento differente della prudenti e delle stolte Mt 25,10-12: La sorte differente delle prudenti e delle stolte Mt 25,13: Conclusione della parabola.
Il testo:
1-4: Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. 5-6: Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! 7-9: Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. 10-12: Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. 13: Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.
3. Un momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
Qual’ è il punto della parabola che più vi è piaciuto o che ha richiamato di più l’attenzione? Perché?
Qual’ è il contesto della vita normale del popolo, sul quale Gesù insiste in questa parabola?
Dall’inizio, fare una distinzione fra “prudenti” e “stolte”. In che cosa consiste la prudenza e la stoltizia?
Come giudicare la risposta così dura dello sposo: “In verità vi dico: non vi conosco?”
Di quale giorno e di quale ora parla Gesù alla fine della parabola?
5. Una chiave di lettura
per coloro che volessero approfondire di più il tema.
Il contesto nel quale Matteo conserva le parole di Gesù
Il Vangelo di Matteo ha due tipi di parabole. Quelle che aiutano a percepire il Regno di Dio presente nell’attività di Gesù, e quelle che aiutano a prepararsi per la venuta futura del Regno. Quelle appaiono soprattutto nella prima parte della vita apostolica di Gesù. Queste sono più frequenti nella seconda metà, quando appare evidente che Gesù sarà perseguitato, arrestato e ucciso per mano delle autorità civili e religiose. In altre parole, nelle parabole si mescolano le due dimensioni del Regno: (1) il Regno già presente, qui e ora, nascosto nel quotidiano della nostra vita e che va scoperto e approfondito da parte nostra; (2) il Regno futuro che ancora deve venire e per il quale ciascuno deve prepararsi fin da ora. La tensione fra già e non ancora pervade la vita cristiana. Il Natale è allo stesso tempo, una celebrazione del Regno già presente e un anticipo del Regno che ancora deve venire.
Commento delle parole di Gesù, conservate da Matteo
Matteo 25,1-4: L’atteggiamento differente delle ragazze che accompagnano lo sposo: cinque sagge e cinque stolte. Gesù inizia la parabola con le parole: “Il Regno dei cieli sarà simile…” Significa che la parabola delle dieci vergini si riferisce alla venuta futura del Regno, per la quale dobbiamo prepararci fin da ora. Per chiarire questa dimensione del Regno, Gesù ricorre all’uso ben noto di invitare alcune giovani del paese ad accompagnare lo sposo al suo arrivo per la festa delle nozze. Esse dovevano accompagnare lo sposo con le lampade accese. Però le lampade erano piccole e l’olio che contenevano bastava solo per un tempo limitato. Per questo era prudente che ciascuna portasse con sé un po’ d’olio di riserva. Perché il percorso con lo sposo poteva durare più del tempo limitato dell’olio nella lampada. Questo è ciò che si sottintende in questa storia delle dieci vergini: chi accetta un determinato compito deve prepararsi in base alle esigenze del compito stesso. La giovane che accetta di essere dama di onore nello sposalizio deve comportarsi in modo adeguato a questa funzione. Deve essere previdente e portare l’olio necessario per la sua lampada. Chi deve far un viaggio di 100 chilometri su una strada senza posti di rifornimento e, sapendo questo, parte con benzina per appena 50 chilometri, non è previdente né prudente. La gente dice: “Stupido, non ha cervello.”
Matteo 25,5-6: Il ritardo dello sposo e il suo arrivo improvviso nella notte La sequenza dei fatti narrati da Gesù è molto normale. E’ notte, lo sposo ritarda. Anche senza volerlo, per quanto sia grande la buona volontà delle giovani, cominciano ad addormentarsi. E allo stesso tempo si sforzano di stare attente, perché lo sposo può arrivare da un momento all’altro. All’improvviso il grido: “Lo sposo sta arrivando!” E’ il segnale che tutti stavano aspettando. E’ in questo momento di crisi che si rivela il valore della persona. I fatti che accadono all’improvviso, indipendenti dalla nostra volontà, dimostrano se siamo previdenti o stolti.
Matteo 25,7-9: Attitudine differente delle sagge e delle stolte Svegliatesi, le giovani cominciano a preparare le lampade che devono servire per far luce sul cammino. Era giunta l’ora di mettere più olio, perché le lampade si stavano spegnendo. Le giovani che non avevano con sé olio di riserva, chiedono dell’olio in prestito alle altre. Queste rispondono che non possono dargliene, perché alla fine mancherebbe ad entrambe. Se fosse stato solo per far luce al cammino, le sagge avrebbero potuto dire: camminate vicino a noi e vedrete dove mettere i piedi. Ma non si tratta solo di far luce sulla strada. Le lampade servivano anche per festeggiare e illuminare l’arrivo dello sposo. Era questo il compito delle dame d’onore: che ciascuna tenesse una lampada accesa in mano. Nel momento della crisi le giovani stolte chiedono condivisione. Chiedono che le sagge dividano con loro l’olio che avevano portato. La condivisione era una pratica molto importante e fondamentale nella vita del popolo di Dio. Ma qui non si trattava tanto di condividere: perché se le sagge avessero condiviso l’olio avrebbero provocato danno allo sposo, intralciando la festa delle nozze; e avrebbero finito per non adempiere il compito che si erano assunte né loro né le altre. Per questo le sagge, di fronte alla richiesta delle stolte, rispondono che non possono condividere, e danno un consiglio realista: “Andate a comprarlo!” Essendo già mezzanotte, sarebbe stato difficile trovare un negozio aperto.
Matteo 25, 10-12: Destino differente delle sagge e delle stolte Mentre le stolte andavano a comprare, giunse lo sposo e quelle che erano pronte entrarono con lui alla festa di nozze, e la porta fu chiusa. Nella storia della parabola, le stolte trovarono un negozio aperto, comprarono dell’olio. Seppur in ritardo, arrivano e gridano: “Apriteci la porta!” Lo sposo (almeno sembra sia lui) risponde con durezza: “In verità vi dico: non vi conosco.”
Matteo 25,13: Conclusione: vigilanza La conclusione dello stesso Gesù, alla fine della storia, è una frase che può servire come chiave per tutta la parabola: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora!” Dio può venire in qualunque ora nella nostra vita. Tutti devono star preparati. Come le giovani delle nozze, tutti devono essere prudenti e previdenti, portando olio sufficiente con sé. Cioè devono fare attenzione di non essere causa per altri di deviazione, anche se insistono su cose buone come la condivisione. Devono imparare a star sempre attenti nel servizio che devono dare a Dio e al prossimo.
A completamento
• Come spiegare la frase tanto severa: “Non vi conosco!”? Mettiamo qui due suggerimenti per la risposta: — Molte parabole hanno qualcosa di strano: il padre che non rimprovera il figlio prodigo, il pastore che lasciò le novantanove pecore per preoccuparsi solo di una, il samaritano che agisce meglio del sacerdote e del levita, ecc. Generalmente questi aspetti strani o sorprendenti nascondono una chiave importante per scoprire il punto centrale della parabola. Così, nella parabola delle dieci vergini ci sono varie cose strane, che di solito non succedono: (1) Di notte non ci sono negozi aperti. (2) Nella festa di matrimonio non si usa chiudere la porta. (3) In situazioni normali, lo sposo mai direbbe: non vi conosco. E’ per questi aspetti strani di sorpresa che passa il filo centrale dell’insegnamento della parabola. Quale sarebbe? “Chi ha orecchi per intendere, intenda.” — Lo sposo della parabola è (anche) lo stesso Gesù, che arriva repentinamente di notte. E’ quello che il contesto di altri testi dei vangeli e dell’AT suggeriscono. Nella conversazione con la samaritana Gesù dice che aveva cinque mariti e che quello che ha ora, cioè il sesto, non è vero marito. Il settimo è Gesù, lo sposo vero (Gv 4, 16-18). Finché lo sposo sta con i suoi discepoli essi non hanno bisogno di digiunare (Mt 2, 19-20). Fin dai tempi del profeta Osea, VIII secolo avanti Cristo, cresceva nel popolo la speranza di poter giungere un giorno a una intimità tale con Dio simile all’intimità dello sposo con la sposa (Os 2, 19-20). Isaia dice chiaramente: è desiderio di Dio essere il marito del popolo (Is 54, 5; Ger 3,14), gioire con il popolo come uno sposo gioisce alla presenza della sua sposa (Is 62, 5). Questa speranza si realizza con l’arrivo di Gesù. Quando Gesù fa la sua entrata nella vita delle persone, tutto deve ritirarsi, perché lui è lo sposo. Questa visione di fondo della storia e della speranza secolare del popolo aiuta a comprendere meglio il senso della frase così severa dello sposo: “Non vi conosco!” Per la mancanza di impegno e di serietà, le cinque giovani stolte mostrarono chiaramente che ancora non erano pronte per l’impegno definitivo del matrimonio con Dio. Avevano bisogno di altro tempo per prepararsi: “Vigilate, perché non sapete né il giorno né l’ora.”
6. Salmo 63, 2-9
Il desiderio di Dio
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua. Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria. Poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva, nel tuo nome alzerò le mie mani. Mi sazierò come a lauto convito, e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia e la forza della tua destra mi sostiene.
7. Orazione Finale
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto capire meglio la volontà del Padre. Fa che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Lectio Divina: lunedì, 13 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 17,1-6
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi! Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai”. Gli apostoli dissero al Signore: “Aumenta la nostra fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi riporta tre parole diverse di Gesù: una su come evitare di scandalizzare i piccoli, l’altra sull’importanza del perdono ed una terza sulla fede in Dio che dobbiamo avere.
Luca 17,1-2: Prima parola: evitare lo scandalo. “Gesù disse ai suoi discepoli: “È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli”. Lo scandalo è ciò che fa inciampare e cadere la persona. A livello di fede significa ciò che allontana la persona dal buon cammino. Scandalizzare i piccoli, essere per loro motivo di allontanarli da Dio e far loro perdere la fede in Lui. Chi fa questo riceve la seguente sentenza: “Una pietra da mulino al collo e gettato nel più profondo del mare!” Perché tanta severità? Perché Gesù si identifica con i piccoli, i poveri. (Mt 25,40.45). Sono i suoi preferiti, i primi destinatari della Buona Novella (cf. Lc 4,18). Chi tocca loro, tocca Gesù! Lungo i secoli, molte volte, noi cristiani per il nostro modo di vivere la fede siamo stati il motivo per cui i piccoli si sono allontanati dalla Chiesa e sono andati verso altre religioni. Non sono riusciti più a credere, come diceva l’apostolo nella lettera ai romani, citando il profeta Isaia:
“Infatti, il come di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani.” (Rom 2,24; Is 52,5; Ez 36,22). Fino a dove abbiamo colpa? Meritiamo anche noi la macina di mulino al collo?
Luca 17,3-4: Seconda parola: Perdonare il fratello. “Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai”. Sette volte al giorno! Non è poco! Gesù chiede molto! Nel vangelo di Matteo, lui dice che dobbiamo perdonare settanta volte sette! (Mt 18,22). Il perdono e la riconciliazione sono uno dei temi su cui Gesù insiste maggiormente. La grazia di poter perdonare le persone e riconciliarle tra loro e con Dio fu concessa a Pietro (Mt 16,19), agli apostoli (Gv 20,23) ed alla comunità (Mt 18,18). La parabola sulla necessità di perdonare il prossimo non lascia dubbi: se non perdoniamo i fratelli, non possiamo ricevere il perdono di Dio (Mt 18,22-35; 6,12.15; Mc 11,26). E non c’è proporzione tra il perdono che riceviamo da Dio e il perdono che dobbiamo offrire al prossimo. Il perdono con cui Dio ci perdona gratuitamente è come dieci mila talenti paragonati a cento denari (Mt 18,23-35). Dieci mila talenti sono 174 tonnellate d’oro; cento denari non superano 30 grammi d’oro.
Luca 17,5-6: Terza parola: Aumenta in noi la fede. “Gli apostoli dissero al Signore: “Aumenta la nostra fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”. In questo contesto di Luca, la domanda degli apostoli appare come motivata dall’ordine di Gesù di perdonare fino a settanta volte sette, in un giorno, il fratello o la sorella che pecca contro di noi. Non è facile perdonare. Solo con molta fede in Dio è possibile giungere al punto di avere un amore così grande che ci renda capaci di perdonare fino a settanta volte sette, in una giornata, il fratello che pecca contro di noi. Umanamente parlando, agli occhi del mondo, perdonare così è una pazzia e scandalo, ma per noi questo atteggiamento è espressione della saggezza divina che di perdona infinitamente di più. Paolo diceva: “Annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e follia per i pagani (1Cor 1,23).
4) Per un confronto personale
Nella vita, qualche volta, sono stato motivo di scandalo per il mio prossimo? O qualche volta, gli altri sono stati per me motivo di scandalo?
Sono capace di perdonare sette volte al giorno mio fratello o mia sorella che mi offende sette volte al giorno?
5) Preghiera finale
Cantate al Signore canti di gioia, meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo santo nome: gioisca il cuore di chi cerca il Signore. (Sal 104)
Lectio Divina: martedì, 14 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 17,7-10
In quel tempo, Gesù disse: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi narra la parabola che si trova solo nel vangelo di Luca, senza parallelo negli altri vangeli. La parabola vuole insegnare che la nostra vita deve essere caratterizzata dall’attitudine di servizio. Inizia con tre domande ed alla fine Gesù stesso dà la risposta.
Luca 17,7-9: Le tre domande di Gesù. Si tratta di tre domande tratte dalla vita di ogni giorno, per cui gli uditori sono spunti a pensare ciascuno alla loro esperienza e dare una risposta a partire da essa. La prima domanda: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola?” Tutti risponderanno: “No!” Seconda domanda: “Non gli dirà piuttosto:
Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?” Tutti risponderanno: “Sì! Chiaro!” Terza domanda: “Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?” Tutti risponderanno: “No!” Dal modo in cui Gesù porge le domande, la gente si rende conto verso quale direzione vuole orientare il nostro pensiero. Vuole fare di noi servi gli uni degli altri.
Luca 17,10: La risposta di Gesù. Alla fine, Gesù stesso trae una conclusione che era già implicita nelle domande: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Gesù stesso ci ha dato l’esempio quando ha detto: “Il Figlio dell’uomo non è venuto ad essere servito, ma a servire” (Mc 10,45). Il servizio è un tema che piace a Luca. Il servizio rappresenta il modo in cui i poveri nel tempo di Gesù, gli anawim, aspettavano il Messia: non come un re e messia glorioso, sommo sacerdote o giudice, bensì come il Servo di Yavè, annunciato da Isaia (Is 42,1-9). Maria, la madre di Gesù, disse all’angelo: “Ecco la serva del Signore. Si compia in me secondo la tua parola!” (Lc 1,38). A Nazaret, Gesù si presenta come il Servo, descritto da Isaia (Lc 4,18-19 e Is 61,1-2). Nel battesimo e nella trasfigurazione, fu confermato dal Padre che cita le parole rivolte da Dio al Servo (Lc 3,22; 9,35 e Is 42,1). Ai suoi seguaci Gesù chiede: “Chi vuole essere il primo sia il servo di tutti” (Mt 20,27). Servi inutili! E’ la definizione del cristiano. Paolo parla di ciò ai membri della comunità di Corinto quando scrive: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere” (1Cor 3,6-7). Paolo e Apollo non sono nulla; solo semplici strumenti, “servi”. Ciò che vale è Dio, solo Lui! (1Cor 3,7).
Servire ed essere servito. Qui, in questo testo, il servo serve il signore, e non il signore il servo. Ma nell’altro testo di Gesù si dice il contrario: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli. In verità vi dico: si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37). In questo testo, è il Signore che serve il servo, e non il servo il signore. Nel primo testo, Gesù parlava del presente. Nel secondo testo, Gesù sta parlando del futuro. Questo contrasto è un altro modo per dire: trova la vita colui che è disposto a perderla per amore a Gesù e al Vangelo (Mt 10,39; 16,25). Chi serve Dio in questa vita presente, sarà da Dio servito nella vita futura!
4) Per un confronto personale
Come definisco la mia vita?
Mi rivolgo le stesse tre domande di Gesù. Vivo forse come un servo inutile?
5) Preghiera finale
Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà per sempre. Il Signore fa sicuri i passi dell’uomo e segue con amore il suo cammino. (Sal 36)
Lectio Divina: mercoledì, 15 novembre, 2023
S. Alberto Magno, vescovo e dottore
1) Preghiera
Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 17,11-19
Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!” Appena li vide, Gesù disse: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?” E gli disse: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”
3) Riflessione
Nel vangelo di oggi, Luca racconta la guarigione dei dieci lebbrosi, di cui uno solo ringrazia Gesù. Ed era un samaritano! La gratitudine è un altro tema assai tipico di Luca: vivere in atteggiamento di gratitudine e lodare Dio per tutto ciò che da Lui riceviamo. Per questo Luca dice molte volte che la gente rimaneva ammirata e lodava Dio per le cose che Gesù compiva (Lc 2,28.38; 5,25.26; 7,16; 13,13; 17,15.18; 18,43; 19,37; ecc). Il vangelo di Luca ci riporta diversi cantici ed inni che esprimono questa esperienza di gratitudine e di riconoscenza (Lc 1,46-55; 1,68-79; 2,29-32).
Luca 17,11: Gesù in viaggio verso Gerusalemme. Luca ricorda che Gesù era in viaggio verso Gerusalemme, passando per la Samaria per recarsi in Galilea. Dall’inizio del suo viaggio (Lc 9,52) fino a qui (Lc 17,11), Gesù cammina per la Samaria. Solo ora sta uscendo dalla Samaria, passando per la Galilea per poter giungere a Gerusalemme. Ciò significa che gli insegnamenti importanti dati in questi ultimi capitoli dal 9 fino al 17 furono dati tutti su un territorio che non era giudeo. L’udire ciò deve essere stato motivo di molta gioia per le comunità di Luca, venute dal paganesimo. Gesù, il pellegrino, continua il suo viaggio verso Gerusalemme. Continua eliminando le disuguaglianze che gli uomini hanno creato. Continua il lungo e doloroso cammino dalla periferia verso la capitale, da una religione rinchiusa in se stessa verso una religione aperta che sa accogliere gli altri come fratelli e sorelle, figli e figlie dello stesso Padre. Questa apertura si manifesta anche nell’accoglienza data ai dieci lebbrosi.
Luca 17,12-13: Il grido dei lebbrosi. Dieci lebbrosi si avvicinano a Gesù, si fermano a distanza e gridano: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!” Il lebbroso era una persona esclusa. Era emarginato e disprezzato, non aveva diritto a convivere con la sua famiglia. Secondo la legge della purezza, i lebbrosi dovevano andare in giro con vesti lacerate e capelli sciolti, gridando: “Impuro! Impuro!” (Lv 13,45-46). Per i lebbrosi, la ricerca della guarigione significava lo stesso che cercare la purezza per poter essere reintegrati nella comunità. Non potevano avvicinarsi agli altri. (Lv 13,45-46). Se qualcuno era toccato da un lebbroso diventava impuro e ciò gli impediva di poter dirigersi a Dio. Mediante questo grido, essi esprimevano la fede in Gesù che poteva curarli e restituire loro la purezza. Ottenere la purezza significava sentirsi di nuovo accolti da Dio e poter dirigersi a Lui per ricevere la benedizione promessa ad Abramo.
Luca 17,14: La risposta di Gesù e la guarigione. Gesù risponde: “Andate a presentarvi ai sacerdoti!” (cf. Mc 1,44). Il sacerdote doveva verificare la guarigione ed attestare la purezza del guarito (Lv 14,1-32). La risposta di Gesù esigeva molta fede da parte dei lebbrosi. Dovevano andare dal sacerdote come se fossero già stati sanati, quando, in realtà, il loro corpo continuava ad essere coperto dalla lebbra. Ma loro credevano alla parola di Gesù e andarono dal sacerdote. Ed avvenne che, lungo il cammino, si manifestò la guarigione. Furono purificati. Questa guarigione evoca la storia della purificazione di Naaman di Siria (2Re 5,9-10). Il profeta Eliseo ordina all’uomo di lavarsi nel Giordano. Naaman doveva credere alla parola del profeta. Gesù ordina ai dieci di presentarsi ai sacerdoti. Loro dovevano credere alla parola di Gesù.
Luca 17,15-16: Reazione del samaritano. “Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano”. Perché gli altri non ritornarono? Perché solo il samaritano? Secondo l’opinione dei giudei di Gerusalemme, il samaritano non osservava la legge come doveva. Tra i giudei c’era la tendenza ad osservare la legge per poter meritare o conquistare la giustizia. Grazie all’osservanza, loro avevano già accumulato meriti e crediti davanti a Dio. Gratitudine e gratuità non fanno parte del vocabolario delle persone che vivono così il loro rapporto con Dio. Forse per questo non ringraziano per il beneficio ricevuto. Nella parabola del vangelo di ieri, Gesù aveva formulato la stessa domanda: “Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?” (Lc 17,9) E la risposta era: “No!” Il samaritano rappresenta le persone che hanno una chiara coscienza che noi, essere umani, non abbiamo meriti o diritto davanti a Dio. Tutto è grazia, cominciando dal dono della propria vita!
Luca 17,17-19: L’osservazione finale di Gesù. Gesù osserva: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?” Per Gesù, ringraziare gli altri per il beneficio ricevuto è un modo di rendere a Dio la lode che gli è dovuta. Su questo punto, i samaritani davano lezioni ai giudei. Oggi sono i poveri coloro che svolgono il ruolo del samaritano, e ci aiutano a riscoprire questa dimensione della gratuità della vita. Tutto ciò che riceviamo deve essere considerato come un dono di Dio che viene a noi mediante il fratello e la sorella.
L’accoglienza data ai samaritani nel vangelo di Luca. Per Luca, il posto che Gesù concedeva ai samaritani è lo stesso di quello che le comunità dovevano riservare ai pagani. Gesù presenta un samaritano come modello di gratitudine (Lc 17,17-19) e di amore verso il prossimo (Lc 10,30-33). Questo doveva essere assai scioccante, poiché per i giudei, samaritano o pagano era la stessa cosa. Non potevano avere accesso agli altri interni del Tempio di Gerusalemme, né partecipare al culto. Erano considerati portatori di impurezza, impuri fin dalla culla. Per Luca, invece, la Buona Notizia di Gesù si rivolge in primo luogo alle persone e ai gruppi considerati indegni di riceverla. La salvezza di Dio che ci giunge in Gesù è puro dono. Non dipende dai meriti di nessuno.
4) Per un confronto personale
E tu, ringrazi in genere le persone? Ringrazi per convinzione o per semplice usanza? E nella preghiera: ringrazi o dimentichi?
Vivere con gratitudine è segno della presenza del Regno in mezzo a noi. Come trasmettere agli altri l’importanza di vivere nella gratitudine e nella gratuità?
5) Preghiera finale
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. (Sal 22)
Lectio Divina: giovedì, 16 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 17,20-25
In quel tempo, interrogato dai farisei: “Quando verrà il regno di Dio?”, Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” Disse ancora ai discepoli: “Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e sia ripudiato da questa generazione”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi ci riporta la discussione tra Gesù e i farisei sul momento della venuta del Regno. I vangeli di oggi e dei prossimi giorni trattano la venuta della fine dei tempi.
Luca 17,20-21: Il Regno in mezzo a noi. “Quando verrà il regno di Dio?”, Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” I farisei pensavano che il Regno potesse venire solo dopo che la gente fosse giunta alla perfetta osservanza della Legge di Dio. Per loro, la venuta del Regno, sarebbe la ricompensa di Dio al buon comportamento della gente, e il messia sarebbe venuto in modo ben solenne come un re, ricevuto dal suo popolo. Gesù dice il contrario. La venuta del Regno non può essere osservata come si osserva la venuta dei re della terra. Per Gesù, il Regno di Dio è venuto già! E’ già in mezzo a noi, indipendentemente dal nostro sforzo o merito. Gesù ha un altro modo di vedere le cose. Ha un altro modo di leggere la vita. Preferisce il samaritano che vive con gratitudine ai nove che pensano di meritare il bene che ricevono da Dio (Lc 17,17-19).
Luca 17,22-24: Segni per riconoscere la venuta del Figlio dell’Uomo. “Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno”. In questa affermazione di Gesù ci sono elementi che vanno dalla visione apocalittica della storia, assai comune nei secoli prima e dopo Gesù. La visione apocalittica della storia ha la caratteristica seguente: in epoche di grandi persecuzioni e di oppressione, i poveri hanno l’impressione che Dio perda il controllo della storia. Loro si sentono persi, senza orizzonte e senza speranza di liberazione. In questi momenti di apparente assenza di Dio, la profezia assume la forma di apocalisse. Gli apocalittici, cercano di illuminare la situazione disperata con la luce della fede per aiutare la gente a non perdere la speranza e continuare ad avere coraggio nel cammino. Per mostrare che Dio non perde il controllo della storia, essi descrivono le diverse tappe della realizzazione del progetto di Dio attraverso la storia. Iniziato in un determinato momento significativo nel passato, questo progetto di Dio va avanti, tappa dopo tappa, attraverso le situazioni vissute dai poveri, fino alla vittoria finale alla fine della storia. In questo modo, gli apocalittici collocano il momento presente come una tappa già prevista nell’insieme ampio del progetto di Dio. Generalmente, l’ultima tappa prima dell’avvento del fine è rappresentata come un momento di sofferenza e di crisi, di cui molti hanno cercato di approfittarsi per illudere la gente dicendo: “Vi diranno: Eccolo là, o eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno”. Avendo lo sguardo di fede che Gesù comunica, i poveri possono percepire che il regno è già in mezzo a loro (Lc 17,21), come il lampo, senza ombra di dubbio. La venuta del Regno porta con se la propria evidenza e non dipende dai pronostici degli altri.
Luca 17,25: Per la Croce fino alla Gloria. “Ma prima è necessario che egli soffra molto e sia ripudiato da questa generazione”. Sempre la stessa avvertenza: la Croce, scandalo per i giudei e follia per i greci, ma per noi espressione della saggezza e del potere di Dio (1Cor 1,18.23). Il cammino verso la Gloria passa per la croce. La vita di Gesù è il nostro canone, è la norma canonica per tutti noi.
4) Per un confronto personale
Gesù dice: “Il regno è in mezzo a voi!” Hai trovato già qualche segno del Regno nella tua vita, nella vita della tua nazione o nella vita della tua comunità?
La croce nella vita. La sofferenza. Come vedi la sofferenza, cosa ne fai?
5) Preghiera finale
Il Signore è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri. (Sal 145)
Lectio Divina: venerdì, 17 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 17,26-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà.Vi dico: in quella notte due si troveranno in un solo letto; l’uno verrà preso e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo, l’una verrà presa e l’altra lasciata”. Allora i discepoli gli chiesero: “Dove, Signore?” Ed egli disse loro: “Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi continua la riflessione sulla venuta della fine dei tempi e ci presenta parole di Gesù su come prepararsi per la venuta del Regno. Era una faccenda che, in quel tempo, scatenava molte discussioni. Chi determina l’ora della venuta della fine, è Dio. Pero il tempo di Dio (kairós) non si misura secondo il tempo del nostro orologio (chronos). Per Dio, un giorno può essere uguale a mille anni, e mille anni uguali a un giorno (Sal 90,4; 2Pt 3,8). Il tempo di Dio corre invisibile nel nostro tempo, ma indipendentemente da noi e dal nostro tempo. Noi non possiamo interferire nel tempo, ma dobbiamo essere preparati per il momento in cui l’ora di Dio si fa presente nel nostro tempo. Può esser oggi, può essere da qui a mille anni. Ciò che dà sicurezza non è sapere l’ora della fine del mondo, ma sì la certezza della presenza della Parola di Gesù presente nella vita. Il mondo passerà, ma la parola di Dio non passerà mai (cf Is 40,7-8).
Luca 17,26-29: Come nei giorni di Noé e di Lot. La vita trascorre normalmente: mangiare, bere, sposarsi, comprare, vendere, piantare, raccogliere. La routine può avvolgerci tanto che non riusciamo a pensare a null’altro. Ed il consumismo del sistema neoliberale contribuisce ad aumentare in molti di noi questa totale disattenzione alla dimensione più profonda della vita. Lasciamo entrare le tarme nella trave della fede che regge la dimensione più profonda della vita. Quando la tormenta distrugge la casa, molti di noi danno la colpa al falegname: “Fatto male!” In realtà, il crollo è dovuto alla nostra disattenzione prolungata. L’allusione alla distruzione di Sodoma, quale figura di ciò che avverrà alla fine dei tempi, è un’allusione alla distruzione di Gerusalemme dai romani negli anni 70 dC (cf Mc
13,14).
Luca 17,30-32: Così sarà nei giorni del Figlio dell’Uomo. “Così sarà nei giorni in cui il Figlio dell’Uomo si rivelerà”. Difficile per noi immaginare la sofferenza ed il trauma che la distruzione di Gerusalemme causano nelle comunità, sia dei giudei sia dei cristiani. Per aiutarli a capire e ad affrontare la sofferenza, Gesù si serve di paragoni tratti dalla vita: “In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro”. La distruzione avverrà con una tale rapidità che non vale la pena scendere per andare a cercare qualcosa in casa (Mc 13,15-16). “Ricordatevi della moglie di Lot” (cf. Gen 19,26), cioè, non guardate indietro, non perdete tempo, prendete la decisione e andate avanti: è questione di vita o di morte.
Luca 17,33: Perdere la vita per salvarla. “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà”. Solo la persona che è stata capace di darsi completamente agli altri si sente realizzata nella vita. Perde la vita chi la conserva solo per sé. Questo consiglio di Gesù è la conferma della più profonda esperienza umana: la fonte della vita si trova nel dono della vita. Dando si riceve. “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Importante è la motivazione che aggiunge il vangelo di Marco: “per causa mia e del vangelo” (Mc 8,35). Dicendo che nessuno è capace di conservare la propria vita con il suo sforzo, Gesù evoca il salmo in cui si dice che nessuno è capace di pagare il prezzo del riscatto della vita: “Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine, e non vedere la tomba”. (Sal 49,8-
10).
Luca 17,34-36: Vigilanza. “Vi dico: in quella notte due si troveranno in un solo letto; l’uno verrà preso e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo, l’una verrà presa e l’altra lasciata”. Evoca la parabola delle dieci vergini. Cinque erano prudenti e cinque stolte (Mt 25,1-11). Ciò che importa è essere preparati. Le parole “L’uno verrà preso e l’altro lasciato” evocano le parole di Paolo ai Tessalonicesi (1Tes 4,13-17), quando dice che con la venuta del Figlio dell’uomo, saremo rapiti in cielo accanto a Gesù. Queste parole “lasciati dietro” fornirono il titolo ad un terribile e pericoloso romanzo dell’estrema destra fondamentalistica degli Stati Uniti: “Lefted behind!” Un romanzo che non ha nulla a che vedere con il senso reale delle parole di Gesù.
Luca 17,37: Dove e quando? “I discepoli chiesero: “Dove Signore?” E Gesù rispose: Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno anche gli avvoltoi”. Risposta enigmatica. Alcuni pensano che Gesù evochi la profezia di Ezechiele, ripresa nell’Apocalisse, in cui il profeta si riferisce alla battaglia vittoriosa finale contro le forze del male. Gli animali rapaci o gli avvoltoi saranno invitati a mangiare la carne dei cadaveri (Ez 39,4.17-20; Ap 19,17-18). Altri pensano che si tratti della valle di Giosafat, dove avverrà il giudizio finale secondo la profezia di Gioele (Gal 4,2.12). Altri pensano che si tratti semplicemente di un proverbio popolare che significava più o meno ciò che dice il nostro proverbio: “Dove c’è il fumo, c’è anche il fuoco!”
4) Per un confronto personale
Sono del tempo di Noè o del tempo di Lot?
Romanzo di estrema destra. Come mi pongo dinanzi a questa manipolazione politica della fede in Gesù?
5) Preghiera finale
Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. (Sal 118)
Lectio Divina: sabato, 18 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Guida e sostieni, Signore, la tua Chiesa, che dalla predicazione degli apostoli Pietro e Paolo ha ricevuto il primo annunzio del Vangelo, e fà che per il loro patrocinio progredisca nella fede e nell’amore, sino alla fine dei tempi. Per il nostro Signore…
2) Lettura del Vangelo secondo Matteo 14,22-33
In quei giorni, dopo che ebbe saziato la folla, Gesù ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.
Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, nel vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: “È un fantasma” e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: “Tu sei veramente il Figlio di Dio!”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi descrive la difficile e stancante traversata del mare di Galilea in una fragile barca, spinta da un vento contrario. Tra il Discorso delle Parabole (Mt 13) e della Comunità (Mt 18), c’è di nuovo, la parte narrativa (Mt 14 fino a 17). Il Discorso delle Parabole richiamava di nuovo la nostra attenzione sulla presenza del Regno. Ora, la parte narrativa mostra le reazioni a favore e contro Gesù provocate da questa presenza. A Nazaret lui non fu accettato (Mt 13,53-58) e il re Erode pensava che Gesù fosse una specie di reincarnazione di Giovanni Battista, da lui assassinato (Mt 14,1-12). La gente povera, però, riconosceva in Gesù l’inviato di Dio e lo seguiva nel deserto, dove avvenne la moltiplicazione dei pani (Mt 14,13-21). Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù si congeda dalla folla e ordina ai discepoli di attraversare il lago, come è descritto nel vangelo di oggi (Mt 14,22-36).
Matteo 14,22-24: Iniziare la traversata a richiesta di Gesù. Gesù forza i discepoli ad entrare nella barca e ad andare verso l’altro lato del mare, dove c’era la terra dei pagani. Lui sale sul monte a pregare. La barca simbolizza la comunità. Ha la missione di dirigersi verso i pagani e di annunciare anche tra loro la Buona Novella del Regno che era un nuovo modo di vivere in comunità. Ma la traversata è stancante e lunga. La barca è agitata dalle onde, poiché il vento è contrario. Malgrado aver remato tutta la notte, manca molto prima di giungere a terra. Mancava molto alle comunità per fare la traversata verso i pagani. Gesù non fu con i suoi discepoli. Loro dovevano imparare ad affrontare insieme le difficoltà, uniti e rafforzati dalla fede in Gesù che li ha mandati. Il contrasto è grande: Gesù in pace insieme a Dio, pregando sulla cima della montagna, e i discepoli quasi persi là in basso, nel mare in rivolta.
La traversata dall’altro lato del lago simbolizza anche la difficile traversata delle comunità della fine del primo secolo. Loro dovevano uscire dal mondo chiuso dell’antica osservanza della legge verso la nuova maniera di osservare la Legge dell’amore, insegnata da Gesù; uscire dalla consapevolezza di appartenere al popolo eletto, privilegiato da Dio tra tutti i popoli, per la certezza che in Cristo tutti i popoli si sarebbero uniti nell’unico Popolo dinanzi a Dio; uscire dall’isolamento dell’intolleranza verso il mondo aperto dell’accoglienza e della gratitudine. Anche noi oggi siamo in una traversata difficile verso un nuovo tempo ed un nuovo modo di essere Chiesa. Traversata difficile, però necessaria. Ci sono momenti nella vita in cui siamo assaliti dalla paura. La buona volontà non manca, ma non basta. Siamo come una barca che affronta il vento contrario.
Matteo 14,25-27: Gesù si avvicina ma loro non lo riconoscono. Verso la fine della notte, cioè fra le tre e le sei del mattino, Gesù va incontro ai discepoli. Camminando sulle acque, giunge vicino a loro, ma loro non lo riconoscono. Gridavano per la paura, pensando che si trattasse di un fantasma. Gesù li calma dicendo: “Coraggio! Sono io! Non abbiate paura!” L’espressione “Sono io!” è la stessa con cui Dio cercò di superare la paura di Mosè quando lo mandò a liberare il popolo d’Egitto (Esodo 3,14). Per le comunità, sia di ieri che di oggi, era ed è molto importante aprirsi sempre di nuovo: “Coraggio! Sono io! Non abbiate paura!”
Matteo 14,28-31: Entusiasmo e debolezza di Pietro. Sapendo che è Gesù, Pietro chiede di poter anche lui camminare sulle acque. Vuole sperimentare il potere che domina la furia del mare. Un potere che nella Bibbia appartiene solo a Dio (Gn 1,6; Sal 104,69). Gesù gli permette di essere partecipe di questo potere. Ma Pietro ha paura. Pensa che affonderà e grida: “Signore! Salvami!” Gesù lo assicura e lo riprende: “Uomo di poca fede! Perché hai dubitato?” Pietro ha più forza di quanto si immagina, ma ha paura dinanzi alle onde contrarie e non crede nel potere di Dio che lo abita. Le comunità non credono nella forza dello Spirito che c’è in loro e che agisce mediante la fede. E’ la forza della risurrezione (Ef 1,19-20).
Matteo 14,32-33: Gesù è il Figlio di Dio. Dinanzi all’onda che avanza su di loro, Pietro affonda nel mare per mancanza di fede. Dopo che è salvato, lui e Gesù, tutti e due, salgano sulla barca ed il vento si calma. Gli altri discepoli, che si trovano sulla barca, rimangono stupiti e si prostrano dinanzi a Gesù, riconoscendo in lui il Figlio di Dio: “Tu sei veramente il Figlio di Dio”. Più tardi, anche Pietro professa la stessa fede in Gesù: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivo” (Mt 16,16). Così Matteo suggerisce che non è solo Pietro che sostiene la fede dei discepoli, ma che anche la fede dei discepoli sostiene la fede di Pietro.
4) Per un confronto personale
Nella tua vita c’è stato un vento contrario così? Cosa hai fatto per vincerlo? E’ successo qualche volta in comunità? Come è stato superato?
Qual è la traversata che oggi stanno facendo le comunità? Da dove a dove? Come ci aiuta tutto questo a riconoscere oggi la presenza di Gesù nelle onde contrarie della vita?
5) Preghiera finale
Tieni lontana da me la via della menzogna, fammi dono della tua legge, Signore. Non togliere mai dalla mia bocca la parola vera, perché confido nei tuoi giudizi. (Sal 118)
Lectio Divina: domenica, 19 novembre, 2023
La Parabola dei Talenti
Vivere con responsabilità
Matteo 25,14-30
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.
2. Lettura
a) Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
Matteo 25,14-15: Il padrone distribuisce i suoi beni tra i suoi impiegati
Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ogni impiegato
Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo impiegato
Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo impiegato
Matteo 25,26-27: Risposta del padrone al terzo impiegato
Matteo 25,28-30: La parola finale del padrone che chiarisce la parabola b) Chiave di lettura:
In questa 33ª domenica del tempo ordinario mediteremo la Parabola dei Talenti che tratta due temi molto importanti e molto attuali: (i) I doni che ogni persona riceve da Dio ed il modo in cui li riceve. Ogni persona ha qualità, talenti con cui può e deve servire gli altri. Nessuno è solamente alunno, nessuno è solamente professore.
Impariamo gli uni dagli altri. (ii) L’atteggiamento con cui le persone si pongono davanti a Dio che ci hai dato i suoi doni. Nel corso della lettura, cercheremo di essere ben attenti a questi due punti: quale è l’atteggiamento dei tre impiegati rispetto ai doni ricevuti e quale è l’immagine di Dio che ci rivela questa parabola? c) Il Testo:
14Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. 16Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. 20Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 30E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
3. Momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
Quale è il punto di questo testo che mi è piaciuto di più o che mi ha maggiormente colpito? Perché?
Nella parabola, i tre impiegati ricevono secondo le loro capacità. Quale è l’atteggiamento di ognuno di loro rispetto al dono ricevuto?
Quale è la reazione del padrone? Cosa esige dai suoi impiegati?
Come capire la frase: “A chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”?
Quale immagine di Dio ci rivela questa parabola?
5. Per coloro che desiderano approfondire il tema
Contesto in cui appare il nostro testo nel Vangelo di Matteo:
La “Parabola dei Talenti” (Mt 25,14-30) fa parte del 5º Sermone della Nuova Legge (Mt 24,1 a 25,46) e si colloca tra la parabola delle Dieci vergini (Mt 25,1-13) e la parabola del Giudizio finale (Mt 25,31-46). Queste tre parabole chiariscono il concetto relativo al tempo dell’avvento del Regno. La parabola delle Dieci vergini insiste sulla vigilanza: il Regno di Dio può giungere da un momento all’altro. La parabola dei talenti orienta sulla crescita del Regno: il Regno cresce quando usiamo i doni ricevuti per servire. La parabola del Giudizio finale insegna come prendere possesso del Regno: il Regno è accolto, quando accogliamo i piccoli.
Una delle cose che più influiscono nella nostra vita è l’idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano Dio come un Giudice severo che trattava le persone secondo il merito conquistato seguendo le osservanze. Ciò causava paura ed impediva alle persone di crescere. Impediva che aprissero uno spazio dentro di loro per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava. Per aiutare queste persone, Matteo racconta la parabola dei talenti.
Commento del testo:
Matteo 25,14-15: Una porta per entrare nella storia della parabola
La parabola racconta la storia di un uomo che, prima di mettersi in viaggio, distribuisce i suoi beni agli impiegati, dando cinque, due ed un talento, secondo la capacità di ognuno di loro. Un talento corrisponde a 34 chili d’oro, il ché non è poco! In definitiva tutti ricevono la stessa cosa, perché ognuno di loro riceve “secondo la sua capacità”. Chi ha la tazza grande la riempie, chi ha la tazza piccola, la riempie anche lui. Ecco che il padrone va all’estero e vi rimane molto tempo. Il racconto ci lascia un po’ sospesi. Non sappiamo perché il padrone distribuisce il suo denaro agli impiegati, non sappiamo quale sarà la fine del racconto. Forse lo scopo è che tutti coloro che ascoltano la parabola devono cominciare a confrontare la loro vita con la storia descritta nella parabola.
Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ciascun impiegato
I due primi impiegati lavorano e raddoppiano i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento lo seppellisce, per conservarlo bene e non perderlo. Si tratta di beni del Regno che sono dati alle persone ed alle comunità secondo le loro capacità. Tutti e tutte ricevono qualche bene del Regno, ma non tutti rispondono allo stesso modo!
Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo impiegato
Dopo molto tempo, il proprietario ritorna per fare i conti con gli impiegati. I due primi dicono la stessa cosa: “Padrone mi ha dato cinque/due talenti. Ecco altri cinque/due che ho guadagnato!” Ed il padrone risponde allo stesso modo a tutti e due: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.”
Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo impiegato
Il terzo impiegato arriva e dice: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo!” In questa frase appare un’idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. L’impiegato vede in Dio un padrone severo. Davanti a un Dio così, l’essere umano ha paura e si nasconde dietro l’osservanza esatta e meschina della legge. Pensa che agendo in questo modo eviterà il giudizio e che la severità del legislatore non lo castigherà. Così pensavano alcuni farisei. In realtà, una persona così non ha fiducia in Dio, bensì ha fiducia in se stessa e nella sua osservanza della legge. E’ una persona rinchiusa in se stessa, lontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l’essere umano, uccide la comunità, non fa vivere la gioia ed impoverisce la vita.
Matteo 25,26-27: Risposta del padrone al terzo impiegato
La risposta del padrone è ironica. Lui dice: “Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse!” Il terzo impiegato non è stato coerente con l’immagine severa che aveva di Dio. Se avesse immaginato Dio così severo, avrebbe dovuto per lo meno depositare il denaro in banca. Per questo è stato condannato non da Dio, ma dall’idea sbagliata che aveva di Dio e che lo lascia più spaventato ed immaturo di quanto era. Non era possibile per lui essere coerente con l’immagine che aveva di Dio, poiché la paura paralizza la vita. Matteo 25,28-30: La parola finale del padrone che chiarisce la parabola
Il padrone chiede di togliergli il talento e darlo a chi già ne ha: “Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.” Ecco la chiave che chiarisce tutto. In realtà i talenti, “il denaro del padrone”, i beni del Regno, sono l’amore, il servizio, la condivisione, il dono gratuito. Talento è tutto ciò che fa crescere la comunità e che rivela la presenza di Dio. Quando ci si chiude in se stessi per paura di perdere il poco che si ha si perde perfino quel poco che si ha, perché l’amore muore, la giustizia si indebolisce, la condivisione sparisce. Invece la persona che non pensa a sé e si dona agli altri, cresce e riceve sorprendentemente tutto ciò che ha dato e molto di più. “Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,39).
c) Approfondimento:
La moneta diversa del Regno:
Non c’è differenza tra coloro che ricevono di più e coloro che ricevono di meno. Tutti ricevono secondo la loro capacità. Ciò che importa è che il dono sia posto al servizio del Regno e che faccia crescere i beni del Regno che sono l’amore, la fraternità, la condivisione. La chiave principale della parabola non consiste nel produrre talenti, ma indica il modo in cui bisogna vivere la nostra relazione con Dio. I primi due impiegati non chiedono nulla, non cercano il proprio benessere, non guardano i talenti per sé, non calcolano, non misurano. Con la più grande naturalità, quasi senza rendersene conto e senza cercare merito per loro, cominciano a lavorare, affinché il dono ricevuto frutti per Dio e per il Regno. Il terzo impiegato ha paura e, per questo, non fa nulla. Secondo le norme dell’antica legge, lui agisce in modo corretto. Si mantiene nelle esigenze stabilite. Non perde nulla, ma nemmeno guadagna nulla. Per questo perde perfino ciò che aveva. Il Regno è rischio. Chi non vuole correre rischi, perde il Regno!
6. Salmo 62
Solo in Dio riposa l’anima mia
Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia salvezza. Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare. Fino a quando vi scaglierete contro un uomo, per abbatterlo tutti insieme, come muro cadente, come recinto che crolla? Tramano solo di precipitarlo dall’alto, si compiacciono della menzogna. Con la bocca benedicono, e maledicono nel loro cuore.
Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia speranza. Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio. Confida sempre in lui, o popolo, davanti a lui effondi il tuo cuore, nostro rifugio è Dio. Sì, sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti gli uomini, insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio.
Non confidate nella violenza, non illudetevi della rapina; alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore. Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: il potere appartiene a Dio, tua, Signore, è la grazia; secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo.
7. Orazione Finale
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
Lectio Divina: lunedì, 20 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 18,35-43
Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada.
Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!” Allora incominciò a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: “Che vuoi che io faccia per te?” Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”. E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi descrive l’arrivo di Gesù a Gerico. E’ l’ultima fermata prima di salire a Gerusalemme, dove avverrà l’ “esodo” di Gesù secondo quanto ha annunciato nella sua Trasfigurazione (Lc 9,31) e lungo il cammino fino a Gerusalemme (Lc 9,44; 18,31-
33).
Luca 18,35-37: Il cieco seduto lungo la strada. “Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!” Nel vangelo di Marco, il cieco si chiama Bartimeo (Mc 10,46). Siccome era cieco, non poteva partecipare alla processione che accompagnava Gesù. In quel tempo, c’erano molti ciechi in Palestina, poiché il forte sole che batte sulla terra rocciosa imbiancata faceva male agli occhi non protetti.
Luca 18,38-39: Il grido del cieco e la reazione della gente. “Allora incominciò a gridare: Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Invoca Gesù con il titolo di “Figlio di Davide”. Il catechismo di quell’epoca insegnava che il messia apparteneva alla discendenza di Davide, “figlio di Davide”, messia glorioso. A Gesù questo titolo non piaceva. Nel citare il salmo messianico, lui giunse a chiedersi: “Come mai il messia può essere figlio di Davide se perfino Davide lo chiama “Mio Signore” (Lc 20,41-44)? Il grido del cieco scomoda la gente che accompagna Gesù. Per questo, “quelli che camminavano davanti lo sgridavano perché tacesse. Loro cercavano di soffocare il suo grido. Ma lui gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Ancora oggi, il grido dei poveri spiazza la società consolidata: migranti, mendicanti, rifugiati, malati di AIDS, tanti!
Luca 18,40-41: La reazione di Gesù davanti al grido del cieco. E Gesù, cosa fa? “Gesù allora si fermò e mandò che glielo conducessero”. Coloro che volevano soffocare il grido scomodo del povero, ora, a richiesta di Gesù, sono obbligati ad aiutare il povero ad arrivare fino a Gesù. Il vangelo di Marco aggiunge che il cieco lasciò tutto e si recò da Gesù. Non aveva molto. Solamente un manto. Era ciò che possedeva per coprire il suo corpo (cf. Es 22,25-26). Era la sua sicurezza, la sua terra! Anche oggi Gesù ascolta il grido del povero che noi, a volte, non vogliamo ascoltare. “Quando gli fu vicino gli domandò: Cosa vuoi che io faccia per te?” Non basta gridare, bisogna sapere perché gridare! Il cieco risponde: “Signore, che io riacquisti la vista.”
Luca 18,42-43: Vai! La tua fede ti ha salvato! Gesù disse: “E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio”. Il cieco aveva invocato Gesù con idee non del tutto corrette, poiché il titolo “Figlio di David” non era molto corretto. Ma lui ebbe più fede in Gesù che nelle sue idee su Gesù. Non presentò esigenze come fece Pietro (Mc 8,32-33). Seppe dare la sua vita accettando Gesù senza imporre condizioni. La guarigione è frutto della sua fede in Gesù. Curato, segue Gesù e si incammina con lui verso Gerusalemme. Così, diventa discepolo modello per tutti noi che vogliamo “seguire Gesù lungo il cammino” in direzione verso Gerusalemme: credere più in Gesù e non tanto nelle nostre idee su Gesù! In questa decisione di camminare con Gesù si trova la fonte di coraggio ed il seme della vittoria sulla croce. Poiché la croce non è una fatalità, né un’esigenza di Dio. E’ la conseguenza dell’impegno di Gesù, in obbedienza al Padre, di servire i fratelli e non accettare privilegi.
La fede è una forza che trasforma le persone. La Buona Novella del Regno annunciata da Gesù era una specie di fertilizzante. Faceva crescere il seme della vita nascosto nella gente, nascosto come un fuoco sotto le ceneri di ciò che osserviamo. Gesù soffiò sulle ceneri ed il fuoco si accese, il Regno apparve e la gente se ne rallegrò. La condizione era sempre la stessa: credere in Gesù. La guarigione del cieco chiarisce un aspetto molto importante della nostra fede. Pur invocando Gesù con idee non del tutto corrette, il cieco ebbe fede e fu guarito. Si convertì, lasciò tutto e seguì Gesù lungo il cammino verso il Calvario! La comprensione piena del seguire Gesù non si ottiene dall’istruzione teorica, bensì dall’impegno pratico, camminando con lui lungo il cammino del servizio, dalla Galilea fino a Gerusalemme. Chi insiste nel mantenere l’idea di Pietro, cioè, del Messia glorioso senza la croce, non capirà nulla di Gesù e non giungerà ad assumere l’atteggiamento del vero discepolo. Chi sa credere in Gesù e si dona (Lc 9,23-24), chi sa accettare di essere l’ultimo (Lc 22,26), chi sa bere il calice e caricare la propria croce (Mt 20,22; Mc 10,38), costui, come il cieco, pur non avendo idee completamente giuste, riuscirà a “seguire Gesù lungo il cammino” (Lc 18,43). In questa certezza di camminare con Gesù si trovano la sorgente del coraggio ed il seme della vittoria sulla croce.
4) Per un confronto personale
Come vedo e sento il grido dei poveri: migranti, malati di AIDS, mendicanti, rifugiati e tanti altre?
Com’è la mia fede: mi fisso più nelle mie idee su Gesù o in Gesù?
5) Preghiera finale
Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. (Sal 1)
Lectio Divina: martedì, 21 novembre, 2023
Presentazione della Beata Vergine Maria
1) Preghiera
Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 19,1-10
In quel tempo, Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!” Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.
3) Riflessione
Nel vangelo di oggi, stiamo giungendo alla fine del lungo viaggio che iniziò nel capitolo 9 (Lc 9,51). Durante il viaggio, non si sapeva bene dove andasse Gesù. Si sapeva solo che si dirigeva verso Gerusalemme! Ora, alla fine, la geografia era chiara e definita. Gesù giunse a Gerico, la città delle palme, nella valle del Giordano. Ultima fermata dei pellegrini, prima di salire verso Gerusalemme! Fu a Gerico dove terminò il lungo cammino dell’esodo di 40 anni lungo il deserto. Anche l’esodo di Gesù era terminato. All’entrata di Gerico, Gesù incontra un cieco che voleva vederlo (Lc 18,3543). Ora, all’uscita della città, si incontra con Zaccheo, un pubblicano: anche lui vuole vederlo. Un cieco ed un pubblicano. I due erano esclusi. I due scomodavano la gente: il cieco con le sue grida, il pubblicano con le sue imposte. I due sono accolti da Gesù, ognuno a modo suo.
Luca 19,1-2: La situazione. Gesù entra a Gerico ed attraversa la città. “Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco”. Pubblicano era la persona che riscuoteva le imposte pubbliche sulla circolazione della merce. Zaccheo era il capo dei pubblicani della città. Soggetto ricco e molto legato al sistema del dominio dei romani. I giudei più religiosi argomentavano così: “Il re del nostro popolo è Dio. Per questo, il dominio romano su di noi è contro Dio. Chi collabora con i romani, pecca contro Dio!” Così, i soldati che servivano nell’esercito romano e gli esattori, come Zaccheo, erano esclusi ed evitati, perché considerati peccatori e impuri.
Luca 19,3-4: L’atteggiamento di Zaccheo. Zaccheo vuole vedere Gesù. Essendo piccolo, corre davanti, sale su un albero e aspetta che Gesù passi. Ha proprio voglia di vedere Gesù! In precedenza, nella parabola del povero Lazzaro e del ricco senza nome (Lc 16,19-31), Gesù indicava che era veramente difficile per un ricco convertirsi
ed aprire la porta che lo separa dall’accogliere il povero Lazzaro. Ecco qui il caso di un ricco che non si chiude nella sua ricchezza. Zaccheo vuole qualcosa di più. Quando un adulto, persona di spicco nella città, sale su un albero, è perché non gli importa molto dell’opinione degli altri. Qualcosa di più importante lo muove dentro. Vuole aprire la porta per il povero Lazzaro.
Luca 19,5-7: Atteggiamento di Gesù, reazione della gente e di Zaccheo. Giungendo vicino e vedendo Zaccheo sull’albero, Gesù non chiede né esige nulla. Risponde solo al desiderio dell’uomo e dice: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua!” Zaccheo scese e ricevette Gesù a casa sua, con molta gioia. Tutti mormoravano: “E’ andato ad alloggiare da un peccatore!” Luca dice che tutti mormoravano! Ciò significa che Gesù stava rimanendo solo nel suo atteggiamento di accogliere gli esclusi, sopratutto i collaboratori del sistema. Ma a Gesù non importano le critiche. Va a casa di Zaccheo e lo difende dalle critiche. Invece di peccatore, lo chiama “figlio di Abramo” (Lc 19,9).
Luca 19,8: Decisione di Zaccheo. “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto!” Questa è la conversione, prodotta in Zaccheo per l’accoglienza che Gesù gli riserba. Restituire quattro volte era ciò che la legge ordinava di fare in alcuni casi (Es 21,37; 22,3). Dare la metà dei beni ai poveri era la novità che il contatto con Gesù produceva in lui. Avveniva, di fatto, la condivisione.
Luca 19,9-10: Parola finale di Gesù. “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo”. L’interpretazione della Legge per mezzo della Tradizione antica escludeva i pubblicani dalla razza di Abramo. Gesù dice che venne a cercare e salvare ciò che era perduto. Il Regno è per tutti. Nessuno ne può essere escluso. La scelta di Gesù è chiara, ed anche il suo richiamo: non è possibile essere amico di Gesù e continuare ad appoggiare un sistema che emargina ed esclude tanta gente. Denunciando le divisioni ingiuste, Gesù apre lo spazio ad una nuova convivenza, retta dai nuovi valori della verità, della giustizia e dell’amore.
Figlio di Abramo. “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo!” Mediante la discendenza di Abramo, tutte le nazioni della terra saranno benedette (Gen 12,3; 22,18). Per le comunità di Luca, formate dai cristiani sia di origine giudaica che di origine pagana, l’affermazione di Gesù che chiama Zaccheo “figlio di Abramo”, era molto importante. In essa troviamo la conferma del fatto che in Gesù, Dio stava compiendo le promesse fatte ad Abramo, dirette a tutte le nazioni, sia giudei e gentili. Anche loro sono figli di Abramo ed eredi delle promesse. Gesù accoglie coloro che non erano accolti. Offre uno spazio a coloro che non ne hanno. Riceve come fratello e sorella le persone che la religione ed il governo escludevano e consideravano:
immorali: prostitute e peccatori (Mt 21,31-32; Mc 2,15; Lc 7,37-50; Gv 8,2-11),
eretiche: pagani e samaritani (Lc 7,2-10; 17,16; Mc 7,24-30; Gv 4,7-42),
impure: lebbrosi e posseduti (Mt 8,2-4; Lc 17,12-14; Mc 1,25-26),
emarginate: donne, bambini e malati (Mc 1,32; Mt 8,16;19,13-15; Lc 8,2-3),
lottatori: pubblicani e soldati (Lc 18,9-14;19,1-10);
povere: la gente della terra e i poveri senza potere (Mt 5,3; Lc 6,20; Mt 11,25-26).
4) Per un confronto personale
Come accoglie la nostra comunità le persone disprezzate ed emarginate? Siamo capaci, come Gesù, di percepire i problemi delle persone e prestare loro attenzione?
Come percepiamo la salvezza entrando oggi nella nostra casa e nella nostra comunità? La tenerezza accogliente di Gesù produce un mutamento totale nella vita di Zaccheo. La tenerezza della nostra comunità sta producendo qualche mutamento nel quartiere? Quale?
5) Preghiera finale
Con tutto il cuore ti cerco, Signore: non farmi deviare dai tuoi precetti. Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato. (Sal 118)
Lectio Divina: mercoledì, 22 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 19,11-28
In quel tempo, Gesù disse una parabola perché era vicino a Gerusalemme e i discepoli credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. A questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città. Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuto riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”. Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi ci presenta la parabola dei talenti, in cui Gesù parla dei doni che le persone ricevono da Dio. Tutte le persone hanno qualche qualità, ricevono qualche dono o sanno qualche cosa che possono insegnare agli altri. Nessuno è solo alunno, nessuno è solo professore. Impariamo gli uni dagli altri.
Luca 19,11: La chiave per capire la storia della parabola. Per introdurre la parabola Luca dice quanto segue:“In quel tempo, Gesù disse una parabola perché era vicino a Gerusalemme e i discepoli credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro”. In questa informazione iniziale, Luca presenta tre motivi che portano Gesù a raccontare la parabola:
L’accoglienza da dare agli esclusi, riferendosi quindi all’episodio di Zaccheo, l’escluso, che Gesù accoglie.
L’avvicinarsi della passione, morte e risurrezione, poiché diceva che Gesù era vicino a Gerusalemme dove sarebbe stato a breve condannato a morte.
L’imminente avvento del Regno di Dio, poiché le persone che accompagnavano Gesù pensavano che il Regno di Dio sarebbe giunto dopo.
Luca 19,12-14: L’inizio della Parabola. “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno”. Alcuni studiosi pensano che in questa parabola, Gesù si riferisca ad Erode che settanta anni prima (40 aC), era andato a Roma per ricevere il titolo e il potere di Re della Palestina. Alla gente non piaceva Erode e non voleva che diventasse re, poiché l’esperienza che avevano di lui da comandante per reprimere le ribellioni nella Galilea contro Roma fu tragica e dolorosa. Per questo dicevano: “Non vogliamo che questo uomo regni su di noi.” A questo stesso Erode si applicherebbe la frase finale della parabola: “E quanto a questi nemici, che non vogliono che io regni su di loro, portateli qui, ed uccideteli dinanzi a me”. Infatti Erode uccise molta gente.
Luca 19,15-19: Rendiconto dei primi impiegati che ricevettero cento monete d’argento. La storia informa inoltre che Erode, dopo aver ottenuto il titolo di re, ritornò in Palestina per assumere il potere. Nella parabola, il re chiamò gli impiegati a cui aveva dato cento monete d’argento, per sapere quanto avevano guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. A questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città. D’accordo con la storia sia Erode Magno che suo figlio Erode Antipa, tutti e due sapevano trattare con il denaro e promuovere le persone che li aiutavano. Nella parabola, il re dette dieci città all’impiegato che moltiplicò per dieci le cento monete che aveva ricevuto, e cinque città a colui che le moltiplicò per cinque.
Luca 19,20-23: Rendiconto dell’impiegato che non guadagnò nulla. Il terzo impiegato giunse e disse: Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuto riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. In questa frase appare un’idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. L’impiegato considera Dio un padrone severo. Dinanzi a un Dio così, l’essere umano ha paura e si nasconde dietro l’osservanza esatta e meschina della legge. Pensa che, agendo in questo modo, non sarà castigato dalla severità del legislatore. In realtà, una persona cosi non crede in Dio, ma crede solo in se stessa, nella sua osservanza della legge. Si rinchiude in se stessa, si allontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l’essere umano, uccide la comunità, spegne la gioia ed impoverisce la vita. Il re risponde: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. L’impiegato non è coerente con l’immagine che aveva di Dio. Se immaginava Dio così severo, avrebbe dovuto mettere per lo meno il denaro nel banco. Non è condannato da Dio, ma dall’idea sbagliata che si era fatta di Dio e che lo rende più immaturo e più pauroso di quanto avrebbe dovuto essere. Una delle cose che influisce maggiormente sulla vita della gente è l’idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano Dio come un giudice severo che li trattava secondo il merito conquistato dalle osservanze. Ciò causava timore ed impediva alle persone di crescere. Sopratutto impediva che aprissero uno spazio dentro di sé per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava.
Luca 19,24-27: Conclusione per tutti. “Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”. Il signore ordina di togliergli le cento monete e darle a colui che ne aveva già mille, perché “A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. In questa frase finale si trova la chiave che chiarisce la parabola. Nel simbolismo della parabola, le monete d’argento del re sono i beni del Regno di Dio, cioè tutto quello che fa crescere la persona e rivela la presenza di Dio: amore, servizio, condivisione. Chi si chiude in sé, per paura di perdere il poco che ha, costui perderà anche il poco che ha. Quindi la persona che non pensa a sé, ma si dà agli altri, crescerà e riceverà, sorprendentemente, tutto ciò che ha dato e molto di più: “cento volte tanto” (Mc 10,30). “Perde la vita colui che vuole salvarla, la salva colui che ha il coraggio di perderla” (Lc 9,24; 17,33; Mt 10,39;16,25;Mc 8,35). Il terzo impiegato ha paura e non fa nulla. Non vuole perdere nulla e, per questo, non guadagna niente. Perde perfino il poco che ha. Il regno è un rischio. Chi non corre rischi, perde il Regno!
Luca 19,28: Ritorno alla triplice chiave iniziale. Alle fine, Luca chiude il tema con questa informazione: “Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme”. Questa informazione finale evoca la triplice chiave data all’inizio: accoglienza da dare agli esclusi, vicinanza della passione, morte e risurrezione di Gesù a Gerusalemme e l’idea della venuta imminente del Regno. A coloro che pensavano che il Regno di Dio stesse per giungere, la parabola ordina di cambiare lo sguardo. Il Regno di Dio, arriva sì, ma attraverso la morte e la risurrezione di Gesù che avverrà tra breve a Gerusalemme. E il motivo della morte è l’accoglienza che Gesù da agli esclusi, come per esempio a Zaccheo e a tanti altri. Scomoda i grandi e loro lo elimineranno condannandolo a morte, e ad una morte di croce.
4) Per un confronto personale
Nella nostra comunità, cerchiamo di conoscere e di valorizzare i doni di ogni persona? A volte, i doni di alcuni generano gelosie e competitività negli altri. Come reagiamo?
Nella nostra comunità c’è uno spazio dove le persone possono mostrare i loro doni?
5) Preghiera finale
Lodate il Signore nel suo santuario, lodatelo nel firmamento della sua potenza.
Lodatelo per i suoi prodigi, lodatelo per la sua immensa grandezza. (Sal 150)
Lectio Divina: giovedì, 23 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 19,41-44
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te
e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi ci dice che Gesù, nell’arrivare vicino a Gerusalemme, vedendo la città comincia a piangere e a pronunciare parole che facevano intravedere un futuro molto fosco per la città, capitale della sua gente.
Luca 19,41-42 Gesù piange su Gerusalemme. “In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi!”. Gesù piange, poiché ama la sua patria, la sua gente, la capitale della sua terra, il Tempio. Piange, perché sa che tutto sarà distrutto per colpa della sua gente che non sa rendersi conto della chiamata di Dio nei fatti della vita. La gente non si rende conto del cammino che la potrebbe portare alla Pace, Shalom. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi! Questa affermazione evoca la critica di Isaia alla persona che adorava gli idoli : “Si pasce di cenere, ha un cuore illuso che lo travia; egli non sa liberarsene e dire: Ciò che tengo in mano non è forse falso?” (Is 44,20). La menzogna stava nel loro sguardo e, per questo, divennero incapaci di percepire la verità. Come dice San Paolo: “Sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all’ingiustizia” (Rom 2,8). La verità che rimane prigioniera dell’ingiustizia. In un’altra occasione, Gesù lamenta che Gerusalemme non sa rendersi conto della visita di Dio, né accoglierla: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa vi viene lasciata deserta” (Lc 13,34-35).
Luca 19,43-44 Annuncio della distruzione di Gerusalemme. “Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra”. Gesù descrive ciò che succederà a Gerusalemme. Usa le immagini di guerra che erano comuni in quel tempo quando un esercito attaccava una città: trincee, uccisione della gente e distruzione totale delle mura e delle case. Così, nel passato, Gerusalemme fu distrutta da Nabucodonosor. Così, le legioni romane solevano fare
con le città ribelli e così sarà fatto di nuovo, quaranta anni dopo, con la città di Gerusalemme. Infatti, nell’anno 70, Gerusalemme fu accerchiata ed invasa dall’esercito romano. Fu distrutto tutto. Dinanzi a questo sfondo storico, il gesto di Gesù diventa un’avvertenza molto seria per tutti coloro che travisano il senso della Buona Novella di Gesù. Loro dovevano ascoltare l’avvertenza finale: “Perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. In questa avvertenza, tutto ciò che fa Gesù è definito come una “visita di Dio”.
4) Per un confronto personale
Tu piangi nell’osservare qualche situazione del mondo? Guardando la situazione del mondo attuale, Gesù piangerebbe? La previsione è lugubre. Dal punto di vista dell’ecologia, abbiamo già passato il limite. La previsione è tragica.
In Gesù Dio visita il suo popolo. Tu hai ricevuto qualche visita di Dio nella tua vita?
5) Preghiera finale
Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli. Gioisca Israele nel suo Creatore, esultino nel loro Re i figli di Sion. (Sal 149)
Lectio Divina: venerdì, 24 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 19,45-48
In quel tempo, Gesù entrato nel tempio, cominciò a scacciare i venditori, dicendo: “Sta scritto: ‘‘La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!’’”. Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.
3) Riflessione
Contesto. Luca dopo aver descritto la salita di Gesù a Gerusalemme (17,11-19,28) lo presenta ora mentre svolge la sua azione nel contesto del tempio. Dopo l’ingresso in Gerusalemme dell’inviato del Signore passando per la porta d’oriente (19,45), il tempio diventa il primo luogo dove Gesù svolge la sua azione: le controversie che vengono narrate avvengono all’interno di questo luogo e ad esso si riferiscono. L’andata di Gesù al tempio non è solo una fatto personale ma riguarda anche la
«moltitudine dei discepoli» (v.37) sul loro rapporto con Dio (vv.31-34). Luca, riporta, innanzitutto, un primo episodio in cui vengono presentati i preparativi per l’ingresso di Gesù nel tempio (vv.29-36) e la loro realizzazione (vv.37-40); segue poi una scena in cui viene mostrato Gesù che piange sulla città (vv.41-44); mentre nella scena che segue troviamo il brano della nostra liturgia odierna: il suo insediamento nel tempio e la cacciata dei venditori (vv. 45-48).
Il gesto di Gesù. Non ha un valore politico ma un significato profetico. Al lettore sembra che la meta del grande viaggio di Gesù a Gerusalemme il suo ingresso nel tempio. È evidente il richiamo alla profezia di Malachia e la compimento nell’ingresso di Gesù nel tempio: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate…» (3,1). Il gesto di cacciare dal tempio i venditori viene accompagnato da Gesù da due riferimenti alla Scrittura. Innanzitutto Is 56,7: «La mia casa sarà casa di preghiera». Il tempio è il luogo in cui Gesù si rivolge al Padre. L’attività commerciale e affaristica ha reso il tempio un covo di ladri e lo ha privato della sua unica ed esclusiva funzione: l’incontro con la presenza di Dio.
Il secondo riferimento scritturistico: è attinto da Ger 7,11: «Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome?». L’immagine del covo dei ladri serve a Gesù per condannare il traffico materiale in senso lato e non solo disonesti traffici del commercio che in modo nascosto e illegale si compivano nel tempio. Gesù esige un cambiamento di rotta: purificare il tempio da tutte quelle negatività umane e riportarlo alla sua funzione originaria: rendere un autentico servizio a Dio. E cacciandoli tali impostori del commercio si realizza la profezia di Zaccaria: «In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti» (14,21). Questo pronunciamento di Gesù sul tempio non è orientato a una restaurazione della purezza del culto, come era nell’intenzione dei zeloti. L’intenzione di Gesù và al di là della purità del culto, è più radica, intransigente: il tempio non un’opera realizzata dallo sforzo umano; la presenza di Dio non è legata al suo aspetto materiale; l’autentico servizio a Dio lo realizza Gesù nel suo insegnamento. A motivo di questa predicazione «i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di prenderlo, e anche i notabili del popolo» (v.47). All’interno di questo spazio temporale del tempio Gesù svolge un insegnamento altamente significativo, anzi è proprio in questo luogo così fondamentale per i giudei che il suo insegnamento raggiunge il vertice e sarà da qui che partirà la parola degli apostoli (Atti 5,12.20.25.42).
La diffusione della Parola di grazia di cui Gesù è l’unico portatore si distende come un arco che inizia con la sua opposizione, ancora dodicenne nel tempio fra i Dottori della legge; si prolunga con il suo insegnamento nell’attraversare la Galilea e durane il cammino verso Gerusalemme; fino all’entrata nel tempio dove prende possesso della casa di Dio. In questo luogo vengono poste le basi per la futura missione della chiesa: la diffusione della parola di Dio. I capi del popolo non intendono sopprimere Gesù per aver rovinato l’andamento degli affari economici del tempio ma i motivi risalgono a tutta la sua precedente attività di insegnamento e che ora si agiscono nel suo discorso contro il tempio. Gesù rivendica qualcosa e questo scatena la reazione dei sommi sacerdoti e degli scribi. In contrasto con questo atteggiamento ostile si profila quello positivo del popolo che «pende dalle sue labbra». Gesù è visto come il messia che raduna intorno a sé con la sua Parola di grazia il popolo di Dio.
4) Per un confronto personale
La tua preghiera al Signore consiste in un rapporto semplice da padre a figlio in cui trovare tutta la forza per comunicare con Dio oppure è accompagnata da usanze e pratiche per propiziarti la sua benevolenza?
Quando ascolti la parola di Gesù ti senti rapito dal suo insegnamento come le folle che pendevano dalle sue labbra? Ovvero presti la dovuta attenzione all’ascolto del Vangelo e aderisci a Cristo?
5) Preghiera finale
La legge della tua bocca mi è preziosa più di mille pezzi d’oro e d’argento. Quanto sono dolci al mio palato le tue parole: più del miele per la mia bocca. (Sal 118)
Lectio Divina: sabato, 25 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 20,27-40
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadduccei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”. Gesù rispose: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. Dissero allora alcuni scribi: “Maestro, hai parlato bene”. E non osavano più fargli alcuna domanda.
3) Riflessione
Il vangelo di oggi ci riporta la discussione dei sadduccei con Gesù sulla fede nella risurrezione.
Luca 20,27: L’ideologia dei sadduccei. Il vangelo di oggi comincia con questa affermazione: “I sadduccei affermano che non esiste resurrezione”. I sadduccei erano un’elite di latifondisti e di commercianti. Erano conservatori. Non accettavano la fede nella risurrezione. In quel tempo, questa fede cominciava ad essere valorizzata dai farisei e dalla pietà popolare. Spingeva il popolo a resistere contro il dominio sia dei romani sia dei sacerdoti, degli anziani e dei sadduccei. Per i sadduccei, il regno messianico era già presente nella situazione di benessere che loro stavano vivendo.
Loro seguivano la così detta “Teologia della Retribuzione” che distorceva la realtà. Secondo tale teologia, Dio retribuisce con ricchezza e benessere coloro che osservano la legge di Dio e castiga con sofferenza e povertà coloro che praticano il male. Così, si capisce perché i sadduccei non vogliono mutamenti. Volevano che la religione permanesse tale e come era, immutabile come Dio stesso. Per questo, per criticare e ridicolizzare la fede nella resurrezione, raccontavano casi fittizi per indicare che la fede nella risurrezione avrebbe portato le persone all’assurdo.
Luca 20,28-33: Il caso fittizio della donna che si sposò sette volte. Secondo la legge dell’epoca, se il marito fosse morto senza figli, suo fratello si doveva sposare con la vedova del defunto. Questo per evitare che, in caso che qualcuno morisse senza discendenza, la sua proprietà passasse ad un’altra famiglia (Dt 25,5-6). I sadduccei inventarono la storia di una donna che seppellì sette mariti, fratelli l’uno dell’altro, e lei stessa morì senza figli. E chiesero a Gesù: “Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”. Caso inventato per mostrare che la fede nella resurrezione crea situazioni assurde.
Luca 20,34-38: La risposta di Gesù che non lascia dubbi. Nella risposta di Gesù emerge l’irritazione di chi non sopporta la finzione. Gesù non sopporta l’ipocrisia dell’elite che manipola e ridicolizza la fede in Dio per legittimare e difendere i suoi propri interessi. La risposta contiene due parti: (a) voi non capite nulla della risurrezione: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (vv. 34-36). Gesù spiega che la condizione delle persone dopo la morte sarà totalmente diversa dalla condizione attuale. Dopo la morte non ci saranno più sposalizi, ma tutti saranno come angeli nel cielo. I sadduccei immaginavano la vita in cielo uguale alla vita sulla terra; (b) voi non capite nulla di Dio: “Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. I discepoli e le discepole, che stiano attenti ed imparino! Chi sta dalla parte di questi sadduccei si trova al lato opposto a Dio!
Luca 20,39-40: La reazione degli altri di fronte alla risposta di Gesù. “Dissero allora alcuni scribi: Maestro, hai parlato bene. E non osavano più fargli alcuna domanda”. Probabilmente questi dottori della legge erano farisei, poiché i farisei credevano nella risurrezione (cf Atti 23,6).
4) Per un confronto personale
Oggi i gruppi di potere, come imitano i sadduccei e preparano trabocchetti per impedire cambiamenti nel mondo e nella Chiesa?
Tu credi nella risurrezione? Quando dici che credi nella risurrezione, pensi a qualcosa del passato, del presente o del futuro? Hai mai avuto un’esperienza di resurrezione nella tua vita?
5) Preghiera finale
Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel
Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore. (Sal 26)
Lectio Divina: domenica, 26 novembre, 2023
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo
Gesù si identifica con i suoi fratelli più piccoli
Il criterio per entrare nel Regno
Matteo 25, 31-46
1. Orazione iniziale
Spirito di verità, inviatoci da Gesù per guidarci alla verità tutta intera, apri la nostra mente all’intelligenza delle Scritture. Tu che, scendendo su Maria di Nazaret, l’hai resa terra buona dove il Verbo di Dio ha potuto germinare, purifica i nostri cuori da tutto ciò che pone resistenza alla Parola. Fa’ che impariamo come lei ad ascoltare con cuore buono e perfetto la Parola che Dio ci rivolge nella vita e nella Scrittura, per custodirla e produrre frutto con la nostra perseveranza.
2. Lettura
Il contesto:
Il nostro testo fa parte di un lungo discorso escatologico (24, 1-25, 46) pronunciato da Gesù sul monte degli Ulivi ai suoi discepoli in disparte (24, 3). Il discorso parte dall’annunzio della distruzione di Gerusalemme per parlare della fine del mondo. I due eventi si confondono come se fossero uno solo. Questa parte del discorso finisce con la venuta del Figlio dell’uomo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli a radunare tutti i suoi eletti (24, 30-31). A questo punto il flusso cronologico dei fatti annunciati viene interrotto con l’inserzione di alcune parabole sulla necessità di vegliare per non essere sorpresi alla venuta del Figlio dell’uomo (24, 24 – 25, 30). Il discorso escatologico trova il suo culmine letterario e teologico nel nostro testo che, riallacciandosi a 24, 30-31, torna a parlare della venuta del Figlio dell’uomo accompagnato dagli angeli. Il raduno degli eletti prende qui la forma di un giudizio finale.
Il testo:
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
3. Un momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella riflessione personale.
Quale è il criterio della separazione che compie Gesù?
Chi sono i fratelli più piccoli con cui Gesù si identifica?
Nella sua vita, come ha dimostrato Gesù la sua predilezione per gli ultimi?
Chi sono i fratelli più piccoli di Gesù che incontro io?
Sono capace di vedere, amare e servire Gesù in loro?
5. Una chiave di lettura
per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento.
Il Figlio dell’uomo:
Figlio dell’uomo è una espressione semitica che significa semplicemente un essere umano (vedi ad esempio il parallelismo tra “uomo” e “figlio dell’uomo” in Sal 8, 5). Così la usa frequentemente il libro di Ezechiele dove Dio indirizza il profeta come “figlio dell’uomo” (2, 1.3.6.8; 3, 1.2.4.10.16+) per risaltare la distanza tra Dio che è trascendente e il profeta che è un semplice uomo. Però in Daniele 7, 13-14 l’espressione acquista un significato particolare. Il profeta vede “apparire sulle nubi del cielo uno simile ad un figlio di uomo” che riceve da Dio “potere, gloria e regno”. Si tratta pur sempre di un essere umano, che però viene introdotto nella sfera di Dio. Il testo è stato interpretato sia in senso personale che collettivo, ma sempre in senso messianico. Quindi, sia che si tratti di una sola persona sia che si tratti del Popolo di Dio nel suo insieme, il Figlio dell’uomo è il Messia che inaugura il Regno di Dio, un regno eterno e universale. L’applicazione del titolo “Figlio dell’uomo” a Gesù sullo sfondo di Daniele 7, 13-14 è diffusissima nei vangeli. Si trova anche in Atti 7, 56 e Apocalisse 1, 13 e 14,14. Gli studiosi pensano che è stato Gesù stesso a darsi questo titolo. Nel vangelo di Matteo viene messo in bocca a Gesù particolarmente quando egli parla della sua passione (17, 12. 22; 20, 18. 28), della sua resurrezione come evento escatologico (17, 19; 26, 64) e del suo ritorno glorioso (24, 30; e 25, 31, inizio del nostro testo).
Gesù re, giudice e pastore:
Matteo da’ anche il titolo di re a Gesù (1, 23; 13, 41; 16, 28; 20, 21). La regalità di Dio è un tema molto caro alla Bibbia. Perché è il Figlio di Dio, Gesù regna assieme al Padre. Nel nostro testo il re è Gesù ma egli esercita la sua regalità in stretta relazione con il Padre. Gli eletti sono i “benedetti del Padre mio” e il regno in cui sono invitati ad entrare è un regno preparato per loro da Dio come indica la forma passiva del verbo. Questa forma verbale, detta passivo divino, si trova spesso nella Bibbia e ha sempre Dio come soggetto implicito. In questo testo il regno sta a indicare la vita eterna. Come in Daniele 7 (vedi in particolare i versetti 22, 26 e 27), anche nel nostro testo la regalità del Figlio dell’uomo è legata al giudizio. Il re, specialmente nell’antichità, è stato sempre considerato giudice supremo. Il giudizio che fa Gesù è un giudizio universale, un giudizio che coinvolge tutte le genti (vedi v. 32). Eppure non è un giudizio collettivo. Non sono i popoli che vengono giudicati ma le persone singole. Ugualmente unito alla regalità è il simbolismo pastorale. Nell’antichità il re veniva spesso presentato come pastore del suo popolo. Anche l’Antico Testamento parla di Dio, re d’Israele, come pastore (vedi ad esempio Sal 23; Is 40, 11; Ez 34) e il Nuovo Testamento applica il titolo anche a Gesù (Mt 9, 36; 26, 31; Gv 10). I pastori della Terra Santa al tempo di Gesù pascolavano greggi misti, composti da pecore e capri. La sera però li separavano perché le pecore dormono all’aperto mentre i capri preferiscono mettersi al riparo. Nel nostro testo le pecore rappresentano gli eletti perché sono di valore economico maggiore dei capri e anche per il loro coloro bianco che nella Bibbia spesso indica la salvezza.
“I miei fratelli più piccoli”:
Tradizionalmente si interpretava questo brano evangelico come l’identificazione di Gesù con i poveri e gli emarginati. Gesù giudicherebbe tutti, e particolarmente quelli che non hanno avuto l’opportunità di conoscere il suo vangelo, sulla misericordia che hanno dimostrato per i bisognosi. Tutti hanno l’opportunità di accoglierlo o rifiutarlo se non personalmente, almeno nella persona dell’indigente con cui si identifica. L’esegesi contemporanea tende a leggere il testo in senso più ecclesiologico. Mettendolo in stretto rapporto con Matteo 10, 40-42, gli esegeti insistono che qui non si tratterebbe di filantropia ma della risposta al vangelo del Regno che viene portato dai fratelli di Gesù, non solo dai capi della Chiesa ma anche da ogni fratello, anche il più insignificante. Le nazioni, cioè i pagani, sono quindi invitati ad accogliere i discepoli di Gesù che predicano loro il vangelo e soffrono per esso, come se stessero accogliendo lo stesso Gesù in persona. I cristiani, da parte loro, sono invitati all’ospitalità generosa con i loro fratelli che si fanno predicatori itineranti per causa del vangelo, soffrendo persecuzioni (vedi 2 Gv 5-8). Così dimostrerebbero l’autenticità del proprio impegno di discepolato. Nel contesto del vangelo di Matteo questa seconda interpretazione è probabilmente più precisa. Eppure nel contesto della Bibbia tutta intera (vedi ad esempio Is 58, 7; Gc 2, 1-9; 1 Gv 3, 16-19) non si può scartare completamente la prima.
6. Salmo 72
Il Re-Messia promuove la giustizia e la pace
Dio, da’ al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia; regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine.
Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l’oppressore. Il suo regno durerà quanto il sole, quanto la luna, per tutti i secoli.
Scenderà come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra. Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna. E dominerà da mare a mare, dal fiume ai confini della terra.
A lui si piegheranno gli abitanti del deserto, lambiranno la polvere i suoi nemici. Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni.
Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
Vivrà e gli sarà dato oro di Arabia; si pregherà per lui ogni giorno, sarà benedetto per sempre. Abbonderà il frumento nel paese, ondeggerà sulle cime dei monti; il suo frutto fiorirà come il Libano, la sua messe come l’erba della terra. Il suo nome duri in eterno, davanti al sole persista il suo nome. In lui saranno benedette tutte le stirpi della terra e tutti i popoli lo diranno beato.
Benedetto il Signore, Dio di Israele, egli solo compie prodigi. e benedetto il suo nome glorioso per sempre, della sua gloria sia piena tutta la terra. Amen, amen.
7. Orazione Finale
Signore Dio, tu hai costituito tuo Figlio Gesù re e giudice universale. Egli verrà alla fine dei tempi per giudicare tutte le nazioni. Egli viene a noi ogni giorno in mille modi e ci chiede di accoglierlo. Lo incontriamo nella Parola e nel pane spezzato. Ma lo incontriamo anche nei fratelli spezzati e sfigurati per la fame, l’oppressione, l’ingiustizia, la malattia, lo stigma della società.….. Apri i nostri cuori a saperlo accogliere nell’oggi nella nostra vita per essere da lui accolti nell’eternità del suo regno. Te lo chiediamo per lo stesso Cristo nostro Signore. Amen.
Lectio Divina: lunedì, 27 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 21,1-4
In quel tempo, mentre era nel tempio, Gesù, alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una povera vedova che vi gettava due spiccioli e disse: “In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere”.
3) Riflessione
Nel vangelo di oggi Gesù tesse l’elogio di una vedova povera che sa condividere più che i ricchi. Molti poveri di oggi fanno lo stesso. La gente dice: “Il povero non lascia morire di fame il povero”. Ma a volte, nemmeno questo è possibile. Una signora che andò a vivere dalla campagna nella periferia di una città del Brasile, a Paraíba, diceva: “In campagna, la gente è povera, ma ha sempre qualcosa da condividere con il povero che bussa alla porta. Ora che mi trovo qui in città, quando vedo un povero che bussa alla porta, mi nascondo per la vergogna, perché non ho nulla in casa da condividere con lui!” Da un lato: gente ricca che ha tutto, ma che non sa condividere. Dall’altro: gente povera che non ha quasi nulla, ma che vuole condividere il poco che ha.
All’inizio della Chiesa, le prime comunità cristiane, nella stragrande maggioranza, erano formate da gente povera (1 Cor 1,26). Dopo poco tempo, entrarono anche persone più benestanti, e ciò recò vari problemi. Le tensioni sociali presenti nell’impero romano, iniziarono a presentarsi anche nella vita delle comunità. Ciò si manifestava, per esempio, quando si riunivano per celebrare la cena (1Cor 11,20-22), o quando facevano la riunione (Gia 2,1-4). Per questo, l’insegnamento del gesto della vedova era molto attuale, sia per loro sia oggi per noi.
Luca 21,1-2: L’elemosina della vedova. Gesù si trovava dinanzi al tesoro del tempio ed osservava la gente che dava la propria elemosina. I poveri mettevano pochi centesimi, i ricchi monete di grande valore. I tesori del tempio ricevevano molto denaro. Tutti davano qualcosa per la manutenzione del culto, per il sostentamento del clero e per la conservazione dell’edificio. Parte di questo denaro veniva usato per aiutare i poveri, poiché in quel tempo non c’era la previdenza sociale. I poveri vivevano alla mercé della carità pubblica. Le persone più bisognose erano gli orfani e le vedove. Dipendevano in tutto dalla carità degli altri, ma pur così, cercavano di condividere con gli altri il poco che avevano. Così, una vedova molto povera mise la sua elemosina nel tesoro del tempio. Appena due centesimi!
Luca 21,3-4: Il commento di Gesù. Cosa vale di più: i pochi centesimi della vedova o le molte monete dei ricchi? Secondo la maggioranza, le monete dei ricchi erano molto più utili dei pochi centesimi della vedova, per fare la carità. Per esempio, i discepoli pensavano che il problema della gente potesse essere risolto solo con molto denaro. In occasione della moltiplicazione dei pani, loro avevano suggerito di comprare pane per dare da mangiare alla gente (Lc 9,13; Mc 6,37). Filippo riuscì a dire: “Duecento denari di pane non sono sufficienti nemmeno perché ognuno possa riceverne un pezzo” (Gv 6,7). Infatti, per chi la pensa così, i due centesimi della vedova non servono proprio a nulla. Ma Gesù dice: “Questa vedova povera ha messo più di tutti”. Gesù ha criteri diversi. Richiamando l’attenzione dei discepoli sul gesto della vedova, insegna a loro ed a noi dove dobbiamo cercare la manifestazione della volontà di Dio: nei poveri e nella condivisione. E un criterio molto importante è questo: “Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere”.
Elemosina, condivisione, ricchezza. La pratica di dare l’elemosina era molto importante per i giudei. Era considerata una “buona opera”, poiché la legge dell’Antico Testamento diceva: “Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese”. (Dt 15,11). Le elemosine, poste nel tesoro del tempio, sia per il culto sia per i bisognosi, orfani o vedove, erano considerate un’azione grata a Dio (Eccle 35,2; cf. Eccle 17,17; 29,12; 40,24). Fare l’elemosina era un modo per riconoscere che tutti i beni della terra appartengono a Dio e che noi siamo solo amministratori di questi doni. Ma la tendenza all’accumulazione continua molto forte. Rinasce, sempre di nuovo, nel cuore umano. La conversione è sempre necessaria. Per questo Gesù diceva al giovane ricco: “Va, vendi tutto ciò che hai, dallo ai poveri” (Mc 10,21). Negli altri vangeli viene ripetuta la stessa esigenza: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma” (Lc 12,33-34;
Mt 6,9-20). La pratica della condivisione e della solidarietà è una delle caratteristiche
che lo Spirito di Gesù vuole realizzare nelle comunità. Il risultato dell’effusione dello Spirito il giorno di Pentecoste era questo: “Nessuno, infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli” (At 4,34-35ª; 2,44-45). Queste elemosine poste ai piedi degli apostoli non erano accumulate, ma “distribuite a ciascuno secondo il bisogno” (At 4,35b; 2,45). L’entrata dei ricchi nella comunità cristiana rende possibile, da un lato, l’espansione del cristianesimo, dando migliori condizioni per i viaggi missionari. Ma, d’altro lato, la tendenza all’accumulazione bloccava il movimento di solidarietà e di condivisione. Giacomo aiutava le persone a prendere coscienza del cammino sbagliato: “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano. Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme.” (Ger5,1-3). Per intraprendere il cammino del Regno, tutti hanno bisogno di diventare alunni di quella vedova povera, che condivise con gli altri ciò che le era necessario per vivere (Lc 21,4).
4) Per un confronto personale
Quali sono le difficoltà e le gioie che trovi nella tua vita nel praticare la solidarietà e la condivisione con gli altri?
Come mai i due centesimi della vedova possono valere di più che le molte monete dei ricchi? Qual è il messaggio di questo testo per noi oggi?
5) Preghiera finale
Riconoscete che il Signore è Dio; egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. (Sal 99)
Lectio Divina: martedì, 28 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 21,5-11
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: “Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”. Gli domandarono: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Rispose: “Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘‘Sono io’’ e: ‘‘Il tempo è prossimo’’; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine”. Poi disse loro: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo”.
3) Riflessione
Nel vangelo di oggi inizia il discorso di Gesù, chiamato Discorso Apocalittico. E’ un lungo discorso, che sarà il tema dei vangeli dei prossimi giorni fino alla fine dell’ultima settimana dell’anno ecclesiastico. Per noi del XXI Secolo, il linguaggio apocalittico è strano e confuso. Ma per la gente povera e perseguitata delle comunità cristiane di quel tempo era la parola che tutti capivano ed il cui scopo principale era
animare la fede e la speranza dei poveri e degli oppressi. Il linguaggio apocalittico è frutto della testimonianza di fede di questi poveri che, malgrado le persecuzioni, continuavano a credere che Dio stesse con loro e che continuasse ad essere il Signore della storia.
Luca 21,5-7: Introduzione al Discorso Apocalittico. Nei giorni precedenti il Discorso Apocalittico, Gesù aveva rotto con il tempio (Lc 19,45-48), con i sacerdoti e con gli anziani (Lc 20,1-26), con i sadduccei (Lc 20,27-40), con gli scribi che sfruttavano le vedove (Lc 20,41-47) ed alla fine, come abbiamo visto nel vangelo di ieri, termina elogiando la vedova che da in elemosina tutto ciò che possedeva (Lc 21,1-4). Ora, nel vangelo di oggi, ascoltando che “mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: “Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”. Nell’ascoltare questo commento di Gesù, i discepoli domandarono: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Loro chiedono più informazione. Il Discorso Apocalittico che segue è la risposta di Gesù a questa domanda dei discepoli sul quando e sul come avviene la distruzione del Tempio. Il vangelo di Marco informa quanto segue sul contesto in cui Gesù pronuncia questo discorso. Dice che Gesù era uscito dalla città ed era seduto sul Monte degli Olivi (Mc 13,2-4). Lì, dallo alto del monte aveva una visione maestosa sul tempio. Marco informa inoltre che c’erano solo quattro discepoli ad ascoltare l’ultimo discorso. All’inizio della sua predicazione, tre anni prima, lì a Galilea, le moltitudini seguivano Gesù per ascoltare le sue parole. Ora, nell’ultimo discorso, ci sono appena quattro uditori: Pietro, Giacomo, Giovanni ed Andrea (Mc 13,3). Efficienza e buon risultato non sempre sono misurati dalla quantità!
Luca 21,8: Obiettivo del discorso: “Guardate di non lasciarvi ingannare!” I discepoli avevano chiesto: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Gesù comincia la sua risposta con un’avvertenza: “Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘‘Sono io’’ e: ‘‘Il tempo è prossimo’’; non seguiteli”. In epoca di mutamenti e di confusione compaiono sempre persone che vogliono trarre vantaggi dalla situazione ingannando gli altri. Ciò avviene oggi e successe anche negli anni 80, epoca in cui Luca scrive il suo vangelo. Dinanzi ai disastri ed alle guerre di quegli anni, dinanzi alla distruzione di Gerusalemme dell’anno 70 ed alla persecuzione dei cristiani da parte dell’impero romano, molti pensavano che la fine dei tempi stesse per avvenire. C’era gente che diceva: “Dio non controlla più i fatti! Siamo perduti!” Per questo, la preoccupazione principale dei discorsi apocalittici è sempre la stessa: aiutare le comunità a discernere meglio i segni dei tempi per non essere ingannati dalle conversazioni della gente sulla fine del mondo: “Guardate di non lasciarvi ingannare!”. Poi viene il discorso che offre segni per aiutarli a discernere e, così, aumenta in loro la speranza.
Luca 21,9-11: Segni per aiutarli a leggere i fatti. Dopo questa breve introduzione, inizia il discorso propriamente detto: “Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni,
non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine”. Poi disse loro: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo”. Per capire bene queste parole, bisogna ricordare quanto segue. Gesù vive e parla nell’anno 33. I lettori di Luca vivono e ascoltano nell’anno 85. Ora, nei cinquanta anni tra l’anno 33 e l’anno 85, la maggioranza delle cose menzionate da Gesù erano già avvenute e da tutti conosciute. Per esempio, in diverse parti del mondo c’erano guerre, spuntavano falsi profeti, c’erano malattie e pesti e, in Asia Minore, i terremoti erano frequenti. D’accordo con lo stile ben apocalittico, il discorso enumera tutti questi avvenimenti, uno dopo l’altro, quali segni o tappe del progetto di Dio nella storia del Popolo di Dio, dall’epoca di Gesù fino ai nostri tempi: 1º segnale: i falsi messia (Lc 21,8); 2º segnale: guerra e rivoluzioni (Lc 21,9); 3º segnale: nazioni che lottano contro altre nazioni, un regno contro un altro regno (Lc 21,10); 4º segnale: terremoti in diversi luoghi (Lc 21,11); 5º segnale: fame, peste e segni nel cielo (Lc 21,11); Fin qui, il vangelo di oggi. Quello di domani ci presenta un altro segnale: la persecuzione delle comunità cristiane (Lc 21,12). Il vangelo di dopo domani due segnali: la distruzione di Gerusalemme e l’inizio della disintegrazione della creazione. Così, per mezzo di questi segnali del Discorso Apocalittico, le comunità degli anni ottanta, epoca in cui Luca scrive il suo vangelo, potevano calcolare a che altezza si trovava l’esecuzione del piano di Dio, e scoprire che la storia non era scappata dalla mano di Dio. Tutto avveniva secondo quanto previsto ed annunciato da Gesù nel Discorso Apocalittico.
4) Per un confronto personale
Qual è il sentimento che hai provato durante la lettura del vangelo di oggi? Pace o timore?
Pensi che la fine del mondo è vicina? Cosa rispondere a coloro che dicono che la fine del mondo è vicina? Cosa spinge oggi la gente a resistere ed avere speranza?
5) Preghiera finale
Esultino davanti al Signore che viene, perché viene a giudicare la terra. Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti. (Sal 95)
Lectio Divina: mercoledì, 29 novembre, 2023
Tempo ordinario
1) Preghiera
Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo secondo Luca 21,12-19
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”.
3) Riflessione
Nel vangelo di oggi, che è il seguito del discorso iniziato ieri, Gesù enumera diversi segni per aiutare le comunità a collocarsi nei fatti e a non perdere la fede in Dio, né il coraggio di resistere agli assalti dell’ impero romano. Ripetiamo i primi cinque segnali del vangelo di ieri: 1º segnale: i falsi messia (Lc 21,8); 2º segnale: guerra e rivoluzioni (Lc 21,9); 3º segnale: nazioni che lottano contro altre nazioni, un regno contro un altro regno (Lc 21,10); 4º segnale: terremoti in diversi luoghi (Lc 21,11); 5º segnale: fame, peste e segni nel cielo (Lc 21,11); Fino a qui il vangelo di ieri. Ora, nel vangelo di oggi, aggiunge un segnale: 6º segnale: la persecuzione dei cristiani (Lc
21,12-19)
Luca 21,12. Il sesto della persecuzione. Varie volte, nei pochi anni che passò tra di noi, Gesù aveva avvisato i discepoli che sarebbero stati perseguitati. Qui, nell’ultimo discorso, ripete lo stesso avviso e fa sapere che la persecuzione deve essere presa in considerazione nel discernere i segni dei tempi: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governanti, a causa del mio nome”. E di questi avvenimenti, apparentemente così negativi Gesù aveva detto: “Non vi terrorizzate. Devono infatti accadere queste cose, ma non sarà subito la fine.” (Lc 21,9). Ed il vangelo di Marco aggiunge che tutti questi segnali sono “appena l’inizio dei dolori di parto!” (Mc 13,8). Ora, i dolori del parto, pur essendo molto dolorosi per la madre, non sono segno di morte, bensì di vita! Non sono motivo di timore, bensì di speranza! Questo modo di leggere i fatti porta tranquillità alle comunità perseguitate. Così, leggendo o udendo questi segni, profetizzati da Gesù nell’anno 33, i lettori di Luca degli anni ottanta potevano concludere: “Tutte queste cose avvengono già secondo il piano previsto ed annunciato da Gesù! Quindi la storia non è scappata dalle mani di Dio! Dio è con noi!”
Luca 21,13-15: La missione dei cristiani in epoca di persecuzione. La persecuzione non è una fatalità, né può essere motivo di scoraggiamento o di disperazione, ma deve essere considerata come una possibilità, offerta da Dio, in modo che le comunità svolgano la missione di testimoniare la Buona Novella di Dio. Gesù dice: “Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere”. Per mezzo di questa affermazione, Gesù incoraggia i cristiani perseguitati che vivevano nell’angoscia. Fa loro sapere che, anche se perseguitati, loro avevano una missione da svolgere, cioè: rendere testimonio della Buona Novella di Dio ed essere così segno del Regno (At 1,8). La testimonianza coraggiosa porterebbe la gente a ripetere ciò che dicevano i maghi in Egitto davanti ai segni e ad avere coraggio come Mosè e Aronne: “Qui c’è il dito di Dio” (Es 8,15). Conclusione: se le comunità non devono preoccuparsi, se tutto sta nelle mani di Dio, se tutto era già previsto da Dio, se tutto non è altro che un dolore da parto, allora non c’è motivo di preoccuparsi.
Luca 21,16-17: Persecuzione fin dentro la propria famiglia. “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome”. La persecuzione non viene solo dal di fuori, dall’impero, ma anche dal di dentro, dalla propria famiglia. In una stessa famiglia, alcuni accettavano la Buona Notizia, altri no. L’annuncio della Buona Novella causava divisioni all’interno delle famiglie. C’erano perfino persone che, basandosi sulla Legge di Dio, denunciavano ed uccidevano i loro familiari che si dichiaravano seguaci di Gesù (Dt 13,7-12).
Luca 21,18-19: La fonte di speranza e di resistenza. “Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime!” Questa osservazione finale di Gesù ricorda l’altra parola che Gesù aveva detto: “Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà!” (Lc 21,18). Questo paragone era una chiamata forte a non perdere la fede e a continuare rettamente nella comunità. E conferma ciò che Gesù aveva detto in un’altra occasione: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9,24).
4) Per un confronto personale
Come sei solito/a leggere le tappe della storia della tua vita o del tuo paese?
Guardando la storia dell’umanità degli ultimi anni, in te la speranza è diminuita o aumentata?
5) Preghiera finale
Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia. Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d’Israele. (Sal 97)
Lectio Divina: giovedì, 30 novembre, 2023
S. Andrea, apostolo. Festa
La chiamata di Andrea e di suo fratello
I primi discepoli pescatori di uomini
1. Preghiera
O Padre, che hai chiamato sant’Andrea dalle reti del mondo alla pesca meravigliosa dell’annuncio evangelico, fa’ che anche noi possiamo sempre più gustare la dolcezza della tua paternità e, nel sentirci amati come figli, apriamo a te con piena fiducia tutta la nostra vita, per lasciarci raggiungere e cambiare dallo sguardo e dalla parola del tuo Figlio diletto, il Signore Gesù; con Lui vogliamo portare a tanti fratelli la lieta notizia del tuo amore misericordioso, che rende bella la vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.
2. Lettura del Vangelo secondo Matteo 4, 18-22
18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
3. Meditazione
“Camminava lungo il mare di Galilea”. Gesù è appena uscito dal deserto, dopo i 40
giorni di grande solitudine e lotta contro il demonio (Mt 4, 1-11). E’ uscito vittorioso, sicuro dell’amore del Padre suo ed è venuto in Galilea, terra lontana e disprezzata, terra di confine e di estraneità, portando la sua grande luce, la sua salvezza (Mt 4, 1216). E qui ha iniziato a gridare il suo annuncio di gioia e liberazione: “Il regno dei cieli è vicino!” (Mt 4, 17). Non c’è più solitudine, né deserto incolmabile, non c’è assenza da quando il Signore Gesù è sceso sulla nostra terra, Galilea delle genti: Lui, infatti, è davvero vicino, è Dio-con-noi. Non sta lontano, non rimane fermo e nascosto, ma Egli “cammina”, passeggia lungo il mare, lungo le rive delle nostre povere vite. Anzi, ancora di più. Galilea significa “anello”: questo ci dice che Lui, l’Amore, viene a sposarci, a unirci per sempre con Sé. Allora non resta che accoglierLo, mentre cammina sulla riva del mare. Lui già ci vede, anche a distanza, già ci conosce…
Il verbo “vide”, ripetuto due volte, in riferimento prima ad Andrea e a suo fratello, poi a Giacomo e a Giovanni, porta con sé tutta la forza e l’intensità di uno sguardo che parte dal cuore, dall’intimo. Così il Signore ci vede: ci legge dentro, sfoglia con attenzione amorosa le pagine della nostra vita, conosce ogni cosa di noi, tutto Lui ama.
Non è un caso che Matteo utilizzi molte volte il vocabolario familiare per raccontare questo episodio di vocazione, di incontro con il Signore Gesù. Troviamo quattro volte la parola “fratello” e due volte la parola “padre”. Siamo condotti a casa, al nostro principio di vita, là dove anche noi riscopriamo che siamo figli e fratelli. Gesù entra dentro questa nostra realtà più umana, più nostra, più quotidiana; entra nella carne, nel cuore, in tutta la vita. E viene recuperarci, a farci nascere ancora.
“Venite dietro a me”. Queste sono le sue parole, semplici, limpide: ci chiede di metterci in cammino, di muoverci, anche noi, come Lui. “Venite!”. E’ bello sentirci risvegliare da questa sua voce, che ci raggiunge ed è più forte, più dolce della voce delle acque del mare, del mondo, rumorose e confuse. Quando Lui parla al cuore, si fa grande bonaccia, ritorna la calma. E poi ci offre anche la rotta, segna il percorso da fare; non ci lascia smarrire: “Dietro a me”, dice il Signore. Basta accogliere l’invito, basta accettare che sia Lui a saperne di più; dobbiamo solo seguirlo, è Lui ad aprire la strada.
“Lasciarono e seguirono”. I due fratelli, i primi chiamati, Pietro e Andrea, diventano, per noi, all’inizio di questo cammino, un esempio chiarissimo, forte, sicuro. Ci insegnano le mosse da fare, i movimenti, le scelte. “Lasciare” e “seguire” diventano i verbi chiave, le parole scritte nel cuore. Sì, perché forse accadrà più spesso di dover fare tali operazioni al di dentro, nel segreto dell’anima, dove solo noi possiamo vedere. Dove solo il Signore è testimone che anche per noi si compie questa meravigliosa parola del vangelo, tanto viva e forte che ti cambia la vita.
“Subito”. Per due volte Matteo ci fa vedere la prontezza dei discepoli nell’accogliere il Signore che passa, il suo sguardo, la sua voce per loro. Non mettono ostacoli, non dubitano, non hanno paura, ma si fidano ciecamente di Lui, rispondono subito, dicendo sì a quell’Amore. In un crescendo, Matteo fa scorrere davanti ai nostri occhi tutti gli elementi che animavano quella scena, sulla riva del mare: le reti, le barche, il padre… tutto scivola via, passa in secondo piano, viene lasciato da parte. Rimane solo il Signore, che cammina davanti e, dietro a Lui, quei quattro chiamati, uomini nuovi, che portano in sé il nostro nome, la storia che Dio ha scritto anche per noi.
4. Alcune domande
L’orizzonte di questo racconto evangelico e quindi della grazia che il Signore ancora oggi compie per noi, è il mare, un mare preciso, che ha un nome, una sua geografia. Riesco, davanti alla Parola di Dio, in questo momento, a dare un volto preciso all’orizzonte della mia vita? Ho la serenità interiore per mettere a nudo, davanti agli occhi di Cristo, la mia vita, così com’è, la mia Galilea, il mio mare? Ho forse paura delle acque che porto nel cuore, quasi fosse un mare minaccioso, oscuro, nemico? Riesco a lasciare che il Signore cammini lungo le mie rive? Riesco a lasciarmi guardare anch’io, come Andrea, come Simone, Giacomo e Giovanni?
E se faccio silenzio, in questo momento, se lascio davvero che i passi di Gesù si avvicinino a me, fino a lasciare sulla mia povera sabbia le sue impronte d’amore, d’amicizia, ho poi anche il coraggio di lasciarmi raggiungere dal suo sguardo pieno di luce? O continuo a nascondermi un po’, a sottrarmi, a mascherare qualche parte di parte, che io stesso non voglio vedere, o accettare? E ancora: lascio che Lui mi parli, che mi dica, forse per la prima volta: “Vieni dietro a me”? O preferisco continuare ad ascoltare solo il rumore del mare, delle sue onde invadenti, scomposte?
Questo Vangelo mi parla in maniera molto forte della compagnia dei fratelli, mi parla del mio essere figlio, mette a nudo la parte più profonda del cuore, entra nell’intimo della casa. Forse è proprio questo il luogo dove c’è più dolore per me, dove non mi sento capito, accolto e amato come vorrei? Perché il Signore mette il dito nella mia piaga? Fratelli, padre, madre, compagni… Gesù è tutto questo per me, ed è molto di più. Lo sento davvero così? C’è posto, per Lui, a casa mia? E com’è la mia relazione con Lui? Di fratello, di amico, di figlio? O lo conosco solo da lontano, alla superficie, di sfuggita?
Mi sembra molto chiaro che questo passaggio del Signore opera grandi cose nella vita dei discepoli: “Vi farò pescatori di uomini”, dice a loro. Come reagisco davanti a questa scoperta? Voglio anch’io lasciarmi toccare da Lui in modo vero, reale? Voglio lasciarmi cambiare la vita? Insieme a Lui voglio partire per una nuova avventura, a cercare fratelli e sorelle che hanno bisogno di incontrarlo, di conoscerlo, di sentirsi amati dal suo Amore infinito? Pescatore di uomini posso essere anch’io, come
Andrea e i suoi fratelli.
Manca ormai solo una cosa: la decisione, la scelta di seguire il Signore, di camminare dietro di Lui. Provo a fermarmi ancora un istante… Cosa devo lasciare, oggi, per fare questo passo importante? Cos’è che mi frena, che mi insabbia, che non mi permette di muovermi? Quale peso ho nel cuore, nell’anima? Forse nasce dentro di me il bisogno di confessarmi, di aprire il mio cuore. Porto ormai scritto dentro lo sguardo che Lui ha posato su me, le sue parole, più forti del rumore del mare; non posso far finta di niente. Il Signore è passato a ha lasciato un segno. Io non son più quello di prima… voglio dire il mio sì, come Andrea. Amen.
5. Preghiera finale
La tua Parola, Signore, è lampada ai miei passi.
Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Osservando la tua parola. Con tutto il mio cuore ti cerco: non lasciarmi deviare dai tuoi comandi. Ripongo nel cuore la tua promessa per non peccare contro di te.
Benedetto sei tu, Signore: insegnami i tuoi decreti. Con le mie labbra ho raccontato tutti i giudizi della tua bocca.
Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia, più che in tutte le ricchezze. Voglio meditare i tuoi precetti, considerare le tue vie. Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò la tua parola.
(dal Salmo 119)
Preghiera a San Michele Arcangelo,
da recitarsi al termine della S. Messa
Il 13 ottobre 1884, al termine della celebrazione della S. Messa, Leone XIII udì una voce dal timbro gutturale e profondo che diceva: “Posso distruggere la tua Chiesa: per far questo ho bisogno di più tempo e di più potere” Il Papa udì anche una voce più aggraziata che domandava: “Quanto tempo? Quanto potere?”
La voce gutturale rispose: “Dai settantacinque ai cento anni e un più grande potere su coloro che si consegnano al mio servizio”; la voce gentile replicò: “Hai il tempo…” Profondamente turbato, Leone XIII dispose che una speciale preghiera, da lui stesso composta, venisse recitata al termine della S. Messa.
San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia: sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo.
Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli.
E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina,
ricaccia nell’Inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime.
Amen.
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