Lectio del giorno all’Oasi di Engaddi 9-15_Agosto-2021
Lunedì, 9 agosto 2021
Tempo ordinario
Preghiera
Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce suo pastore e guida; rinnova l’opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Lettura dal Vangelo secondo Matteo 25,1-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono.
Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.
Riflessione
- Oggi è la festa di santa Edith Stein che nel Carmelo assunse il nome di Teresa Benedetta della Croce. Per questo, il vangelo di oggi narra la parabola delle dieci vergini che dovevano dare il benvenuto allo sposo, quando fosse giunto per le nozze.
- Matteo 25,1ª: L’ inizio: “In quel tempo”. La parabola inizia con queste due parole: “In quel tempo”. Si tratta della venuta del Figlio dell’Uomo (cf Mt 24,37). Nessuno sa quando verrà questo giorno, questo tempo, “nemmeno gli angeli del cielo, né il figlio stesso, ma solamente il Padre” (Mt 24, 36). Non ci riusciranno gli indovini a fare calcoli. Il Figlio dell’Uomo verrà di sorpresa, quando la gente meno se lo aspetta (Mt 24,44). Può essere oggi, può essere domani, per questo l’avviso finale della parabola delle dieci vergini è: “Vigilate!” Le dieci fanciulle devono essere preparate per qualsiasi eventualità. Quando la polizia nazista bussò alla porta del monastero delle Suore Carmelitane di Echt nella provincia di Limburgia, nei Paesi Bassi, Edith Stein, suor Teresa Benedetta della Croce, era preparata. Assunse la Croce e prese il cammino del martirio nel campo di sterminio per amore verso Dio ed il suo popolo. Era una delle vergini prudenti della parabola.
- Matteo 25,1b-4: Le dieci vergini disposte per aspettare lo sposo. La parabola inizia così: “Il Regno del Cielo è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo”. Si tratta di fanciulle che dovevano accompagnare lo sposo per la festa delle nozze. Per questo, dovevano portare con sé le lampade, sia per illuminare il cammino, sia per rendere più luminosa la festa. Cinque di loro erano prudenti e cinque erano stolte. Questa differenza appare nel modo in cui si preparano alla funzione che dovranno svolgere. Insieme alle lampade accese, le prudenti avevano portato con sé l’olio di riserva, preparandosi per qualsiasi eventualità. Le stolte portarono solo le lampade e non pensarono a portare con sé un poco di olio di riserva.
- Matteo 25,5-7: Il ritardo imprevisto dell’arrivo dello sposo. Lo sposo ritarda. Non aveva precisato l’ora dell’arrivo. Nell’attesa, le fanciulle sono prese dal sonno. Ma le lampade continuano a consumare olio e si spengono poco a poco. Improvvisamente, nel mezzo della notte, si alza un grido: “Ecco lo sposo. Andategli incontro”. Tutte si svegliano, e cominciano a preparare le lampade che stavano già per spegnersi. Dovevano mettere olio di riserva per evitare che le lampade si spegnessero.
- Matteo 25,8-9: Le diverse reazioni dinanzi al ritardo dello sposo. Solo ora le stolte si rendono conto che avrebbero dovuto portare con loro olio di riserva. Andarono a chiederlo alle prudenti: “Datemi un poco di olio per noi, perché le nostre lampade si stanno spegnendo”. Le prudenti non potettero rispondere a questa loro richiesta, perché in quel momento l’importante non era che le prudenti condividessero il loro olio con le stolte, ma che loro stessero pronte ad accompagnare lo sposo fino al luogo della festa. Per questo consigliarono: Andate piuttosto dai venditori e compratevene.
- Matteo 25,10-12: Il destino delle fanciulle prudenti e di quelle senza giudizio. Le stolte seguiranno il consiglio delle prudenti e vanno a comprare l’olio. Durante questa loro breve assenza arriva lo sposo e le prudenti possono accompagnarlo ed entrare con lui alla festa delle nozze. Ma la porta si chiude dietro di loro. Quando giungono le altre, busseranno alla porta e diranno: “Signore, Signore, apri la porta per noi!” e riceveranno la risposta: “In verità vi dico: io non vi conosco.”
- Matteo 25,13: La raccomandazione finale di Gesù per tutti noi. La storia di questa parabola è molto semplice e la lezione è evidente: “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Morale della storia: non siate superficiali, guardate oltre
il momento presente, cercate di scoprire la chiamata di Dio fin nelle minime cose della vita, perfino nell’olio che può mancare nel lumicino.
Per un confronto personale
- Ti è successo qualche volta nella vita di pensare all’olio di riserva della tua lampada?
- Conosci la vita di Santa Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce?
Preghiera finale
Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca la sua lode. Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino. (Sal 33)
Martedì, 10 agosto 2021
Tempo ordinario
Preghiera
O Dio, che hai comunicato l’ardore della tua carità al diacono san Lorenzo e lo hai reso fedele nel ministero e glorioso nel martirio, fa’ che il tuo popolo segua i suoi insegnamenti e lo imiti nell’amore di Cristo e dei fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Lettura dal Vangelo secondo Giovanni 12,24-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”.
Riflessione
- Il nostro brano contiene delle parole solenni e cruciali sulle modalità con cui la missione di Gesù e dei suoi discepoli «produce molto frutto». Ma in questa dichiarazione solenne e centrale di Gesù, «se il chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto» (v.24), è inserita in quel contesto narrativo di 12,12-36 dove si narra dell’incontro di Gesù come messia con Israele e del rifiuto di quest’ultimo della sua proposta messianica. Quali sono i temi principali che descrivono il messianismo di Gesù? I giudei attendevano un messia sotto le vesti di un re potente, che continuasse lo stile regale di Davide e restituisse a Israele il suo passato glorioso. Gesù, invece, pone al centro del suo messianismo il dono della sua vita e la possibilità data all’uomo di poter accettare il progetto di Dio sulla sua vita.
- La storia di un seme. Il dono della sua vita, come caratteristica cruciale del suo messianismo, Gesù lo tratteggia con una mini-parabola. Un evento centrale e decisivo della sua vita lo descrive attingendo all’ambiente agricolo, da cui prende le immagini per rendere interessanti e immediate le sue parole. È la storia di un seme: una piccola parabola per comunicare in modo semplice e trasparente con la gente: un seme inizia il suo percorso nei meandri oscuri della terra, ove soffoca e marcisce ma in primavera diventa uno stelo verdeggiante e nell’estate una spiga carica di chicchi di grano. Due sono i punti focali della parabola: il produrre molto frutto; il trovare la vita eterna. Il seme che sprofonda nell’oscurità della terra è stato interpretato dai Primi Padri della Chiesa un’allusione simbolica all’Incarnazione del Figlio di Dio. Nel terreno sembra che la forza vitale del seme sia destinata a perdersi perché il seme marcisce e muore. Ma poi la sorpresa della natura: in estate quando biondeggiano le spighe, viene svelato il segreto profondo di quella morte. Gesù sa che la morte sta per incombere sulla sua persona tuttavia qui non la vede come una bestia che divora. È vero che essa ha le caratteristiche di tenebra e di lacerazione, ma per Gesù contiene una forza segreta tipica del parto, un mistero di fecondità e di vita. Alla luce di questa visione si comprende un’altra espressione di Gesù: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna». Chi considera la propria vita come una fredda proprietà da vivere nel proprio egoismo, è come un seme chiuso in se stesso e senza prospettive di vita. Chi invece «odia la sua vita», un’espressione semitica molto incisiva per indicare la rinuncia a realizzare unicamente se stessi, sposta l’asse del significato di un’esistenza sulla donazione agli altri; solo così la vita diventa creativa: è fonte di pace, di felicità e di vita. È la realtà del seme che germoglia. Ma il lettore può cogliere nella miniparabola di Gesù un’altra dimensione, quella «pasquale». Gesù è consapevole che per portare l’umanità al traguardo della vita divina deve passare per la via oscura della morte in croce. Sulla scia di questa via anche il discepolo affronta la sua «ora», quella della morte, con la certezza che essa approderà alla vita eterna, vale a dire, alla comunione piena con Dio.
- In sintesi. La storia del seme è quella di morire per moltiplicarsi; la sua funzione è quella di un servizio alla vita. L’annientamento di Gesù è paragonabile al seme di vita sepolto nella terra. Nella vita di Gesù amare è servire e servire è perdersi nella vita degli altri., morire a se stessi per far vivere. Mentre sta per avvicinarsi la sua «ora», il momento conclusivo della sua missione, Gesù assicura i suoi con la promessa di una consolazione e di una gioia senza fine, accompagnata, da ogni tipo di turbamento. Egli porta l’esempio del seme che deve marcire e della donna che deve partorire nelle doglie. Cristo ha scelto la croce per sé e per i suoi: chi vuole essere suo discepolo è chiamato a condividerne il suo stesso itinerario. Egli ha sempre parlato ai suoi discepoli con radicalità: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Chi la perderà per me la salverà» (Lc 9,24).
Per un confronto personale
- La tua vita esprime il dono di te stesso? È una semina di amore che fa nascere amore? Sei consapevole che per essere seme di gioia, perché ci sia la gioia nel campo di frumento è necessario il momento della semina?
- Puoi dire di aver scelto il Signore se poi non abbracci con lui la croce? Quando si scatena in te la dura lotta tra il «si» e il «no», tra il coraggio e la paura, tra la fede e l’incredulità, tra l’amore e l’egoismo, ti senti smarrito pensando che tali tentazioni non si addicono a chi segue Gesù?
Preghiera finale
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito, amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno: il giusto sarà sempre ricordato. (Sal 111)
Mercoledì, 11 agosto 2021
Tempo ordinario
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Lettura dal Vangelo secondo Matteo 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.
In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
Riflessione
- Nel vangelo di oggi e di domani leggiamo e meditiamo la seconda parte del Discorso della Comunità. Il vangelo di oggi parla di correzione fraterna (Mt 18,15-18) e di preghiera in comune (Mt 18,19-20). Quello di domani parla di perdono (Mt 18,21-22) e riporta la parabola del perdono senza limiti (Mt 18,23-35). La parola chiave di questa seconda parte è “perdonare”. L’accento cade sulla riconciliazione. Perché ci possa essere riconciliazione che permetta il ritorno dei piccoli, è importante saper dialogare e perdonare, poiché il fondamento della fraternità è l’amore gratuito di Dio. Solo così la comunità sarà un segno del Regno. Non è facile perdonare. Certi magoni continuano a martellare il cuore. Ci sono persone che dicono: “Perdono, ma non dimentico!” Risentimento, tensioni, scontri, opinioni diverse, offese, provocazioni rendono difficili il perdono e la riconciliazione.
- L’organizzazione delle parole di Gesù nei cinque grandi Discorsi del vangelo di Matteo indicano che alla fine del primo secolo, le comunità avevano forme ben concrete di catechesi. Il Discorso della Comunità (Mt 18,1-35), per esempio, riporta istruzioni attualizzate di come procedere in caso di qualche conflitto tra i membri della comunità e di come trovare criteri per risolvere i conflitti. Matteo riunisce quelle frasi di Gesù che possono aiutare le comunità della fine del primo secolo a superare i due problemi più acuti che dovevano affrontare in quel momento, cioè l’esodo dei piccoli a causa degli scandali di alcuni e la necessità di dialogo per superare il rigorismo di altri ed accogliere i piccoli, i poveri, in comunità.
- Matteo 18,15-18: La correzione fraterna e il potere di perdonare. Questi versi riportano norme semplici di come procedere in caso di conflitto in comunità. Se un fratello o una sorella peccassero, se avessero un comportamento non secondo la vita della comunità, non si deve subito denunciarli. Prima bisogna cercare di conversare da soli con loro. Poi bisogna cercare di sapere i motivi dell’altro. Se non si ottengono risultati, allora bisogna portare due o tre persone della comunità per vedere se si ottiene qualche risultato. Solo in casi estremi, bisogna esporre il problema a tutta la comunità. E se la persona non volesse ascoltare la comunità, allora che sia per te “come un pubblicano o un pagano”, cioè, come qualcuno che non fa parte della comunità. Non sei tu che escludi, ma è la persona, lei stessa, che si esclude da sé. La comunità riunita non fa altro che constatare e ratificare l’esclusione. La grazia di poter perdonare e riconciliare in nome di Dio fu data a Pietro (Mt 16,19), agli apostoli (Gv 20,23) e, qui nel Discorso della Comunità, alla comunità stessa (Mt 18,18). Ciò rivela l’importanza delle decisioni che la comunità assume in rapporto ai suoi membri.
- Matteo 18,19: La preghiera in comune. L’esclusione non significa che la persona viene abbandonata alla propria sorte. No! Può essere separata dalla comunità, ma mai sarà separata da Dio. Nel caso in cui la conversazione nella comunità non dia risultato, e la persona non voglia integrarsi nella vita della comunità, rimane l’ultima possibilità di rimanere insieme al Padre per ottenere la riconciliazione. E Gesù garantisce che il Padre ascolterà: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
- Matteo 18,20: La presenza di Gesù in comunità. Il motivo della certezza di essere ascoltati dal Padre è la promessa di Gesù: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!” Gesù è il centro, l’asse, della comunità e, come tale, insieme alla Comunità, pregherà sempre con noi il Padre, affinché conceda il dono del ritorno al fratello o alla sorella che si escluse.
Per un confronto personale
- Perché è così difficile perdonare? Nella nostra comunità c’è un po’ di spazio per la riconciliazione? In che modo?
- Gesù disse: “Perché dove due o tre sono riuniti del mio nome, io sono in mezzo a loro”. Cosa significa questo per noi oggi?
Preghiera finale
Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore,
ora e sempre. (Sal 112).
Giovedì, 12 agosto 2021
Tempo ordinario
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Lettura dal Vangelo secondo Matteo 18,21-19,1
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito.
Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa.
Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto.
Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”.
Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano.
Riflessione
- Nel vangelo di ieri abbiamo ascoltato le parole di Gesù sulla correzione fraterna (Mt 18,15-20). Nel vangelo di oggi (Mt 18,21-39) il tema centrale è il perdono e la riconciliazione.
- Matteo 18,21-22: Perdonare settanta volte sette! Dinanzi alle parole di Gesù sulla correzione fraterna e la riconciliazione, Pietro chiede: “Quante volte devo perdonare? Sette volte?” Sette è un numero che indica una perfezione e, nel caso della proposta di Pietro, sette è sinonimo di sempre. Ma Gesù va oltre. Elimina tutto e qualsiasi limite possibile per il perdono: “Non ti dico fino a sette, ma settanta volte sette!” É come se dicesse:“No Pietro, devi perdonare sempre!” Poiché non c’è proporzione tra l’amore di Dio per noi ed il nostro amore verso il fratello. Qui si evoca l’episodio di Lamech del VT. “Lamech disse alle mogli: Ada e Silla ascoltate la mia voce; porgete l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette” (Gen 4,23-24). Il compito delle comunità è quello di invertire il processo della spirale di violenza. Per chiarire la sua risposta a Pietro, Gesù racconta la parabola del perdono senza limiti.
- Matteo 18,23-27: L’atteggiamento del padrone. Questa parabola è un’allegoria, cioè, Gesù parla di un padrone, ma pensa a Dio. Ciò spiega gli enormi contrasti della parabola. Come vedremo, malgrado si tratti di cose molte quotidiane, c’è qualcosa in questa storia che non avviene nella vita quotidiana. Nella storia che Gesù racconta, il padrone segue le norme del diritto dell’epoca. Era un suo diritto prendere un impiegato con tutta la famiglia e tenerlo in prigione fino a quando non avesse pagato il suo debito compiendo un lavoro da schiavo. Ma dinanzi alla richiesta dell’impiegato indebitato, il padrone perdona il debito. Ciò che colpisce è la quantità del debito: dieci mila talenti. Un talento equivale a 35 kg. Secondo i calcoli fatti diecimila talenti equivalgono a 350 tonnellate di oro. Anche se il debitore e la sua famiglia avessero lavorato tutta la vita, non sarebbero mai stati capaci di mettere insieme 350 tonnellate di oro. Il calcolo estremo è fatto a proposito. Il nostro debito dinanzi a Dio è incalcolabile ed impagabile.
- Matteo 18,28-31: L’atteggiamento dell’impiegato. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Costui gli doveva cento denari, cioè il salario di cento giorni di lavoro. Alcuni calcolano che si trattava di 30 grammi d’oro. Non c’era paragone tra i due! Ma ci fa capire l’atteggiamento dell’impiegato: Dio gli perdona 350 tonnellate di oro e lui non è capace di perdonare 30 grammi d’oro. Invece di perdonare, fa con il compagno ciò che il padrone potrebbe aver fatto, ma non fece. Fa mettere in carcere il suo compagno secondo le norme della legge, fino a che paghi tutto il debito. Atteggiamento disumano, che colpisce anche i suoi compagni. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Anche noi avremmo fatto lo stesso, avremmo avuto lo stesso atteggiamento di disapprovazione.
- Matteo 18,32-35: L’atteggiamento di Dio. “Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto”. Dinanzi all’amore di Dio che perdona gratuitamente il nostro debito di 350 tonnellate di oro, è più che giusto da parte nostra perdonare il fratello che ha un piccolo debito di 30 grammi d’oro. Il perdono di Dio è senza limiti. L’unico limite per la gratuità della misericordia di Dio viene da noi stessi, dalla nostra incapacità di perdonare il fratello! (Mt 18,34). E’ ciò che diciamo e chiediamo nel Padre Nostro: “Perdona i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri debitori” (Mt 6,12-
15).
La comunità: spazio alternativo di solidarietà e di fraternità. La società dell’Impero Romano era dura e senza cuore, senza spazio per i piccoli. Loro cercavano un rifugio per il cuore e non lo trovavano. Le sinagoghe erano esigenti e non offrivano un luogo per loro. Nelle comunità cristiane, il rigore di alcuni nell’osservanza della Legge portava nella convivenza gli stessi criteri della società e della sinagoga. Così, nelle comunità, cominciavano ad apparire le stesse divisioni che esistevano nella società e nella sinagoga tra ricchi e poveri, dominio e sottomissione, uomo e donna, razza e religione. La comunità, invece di esser uno spazio di accoglienza, diventava un luogo di condanna. Unendo le parole di Gesù, Matteo vuole illuminare il cammino dei seguaci di Gesù, affinché le comunità siano uno spazio alternativo di solidarietà e di fraternità. Devono essere una Buona Notizia per i poveri.
Per un confronto personale
- C’è gente che dice: “Perdono, ma non dimentico!” E io? Sono capace di imitare Dio?
- Gesù dà l’esempio. Nell’ora della morte chiede perdono per i suoi assassini (Lc 23,34). Sono capace di imitare Gesù?
Preghiera finale
Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore. Su tutti i popoli eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria. (Sal 112).
Venerdì, 13 agosto 2021
Tempo ordinario
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Lettura dal Vangelo secondo Matteo 19,3-12
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “E` lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”.
Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.
Gli obiettarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?”. Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio”.
Gli dissero i discepoli: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. Egli rispose loro: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca “.
Riflessione
- Sino al cap.18 Matteo ha mostrato come i discorsi di Gesù hanno segnato le varie fasi della progressiva costituzione e formazione della comunità dei discepoli attorno al loro Maestro. Ora in 19,1 questo piccolo gruppo si allontana dai territori della Galilea e arriva nei territori della Giudea. La chiamata di Gesù che coinvolge i suoi discepoli avanza ulteriormente fino alla scelta decisiva: l’accoglienza o il rifiuto della persona di Gesù. Tale fase avviene lungo la strada che porta a Gerusalemme (capp. 19-20), e infine con l’arrivo in città e presso il tempio (capp. 21-23). Tutti gli incontri che Gesù sperimenta nel corso di questi capitoli avvengono lungo questo percorso dalla Galilea a Gerusalemme.
- Incontro con i Farisei. Passando per la Transgiordania (19,1) il primo incontro è con i Farisei e il tema della discussione di Gesù con loro diventa motivo di riflessione per il gruppo dei discepoli. La domanda dei Farisei riguarda il divorzio ed in particolar modo mette Gesù in difficoltà circa l’amore all’interno del matrimonio, la realtà più solida e stabile per ogni comunità giudaica. L’intervento dei Farisei vuole mettere sotto accusa l’insegnamento di Gesù. Si tratta di un vero processo: Matteo lo considera come «mettere alla prova», «un tentare». La domanda è davvero cruciale: «È lecito a un uomo ripudiare la propria donna per qualsiasi motivo?» (19,3). Al lettore non sfugge il tentativo maldestro dei Farisei di interpretare il testo di Dt 24,1 per mettere in difficoltà Gesù: «Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via da casa». Questo testo aveva dato luogo lungo i secoli a innumerevoli discussioni: ammettere il divorzio per qualsiasi motivo; richiedere un minimo di cattiva condotta, un vero adulterio.
- È Dio che unisce. Gesù risponde ai Farisei ricorrendo a Gn 1,17: 2,24, riportando la questione alla volontà primaria di Dio creatore. L’amore, che unisce l’uomo e la donna, viene da Dio e per tale origine, unifica e non può separare. Se Gesù cita Gn 2,24: «L’uomo abbandonerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una sola carne» (19,5), è perché vuole sottolineare un principio singolare ed assoluto: è la volontà creatrice di Dio a unire l’uomo e la donna. Quando un uomo e una donna si uniscono in matrimonio, è Dio che li unisce; il termine «coniugi» viene dal verbo congiungere, coniugare, vale a dire, che la congiunzione dei due partner sessuali è l’effetto della parola creatrice di Dio. La risposta di Gesù ai Farisei raggiunge il suo culmine: il matrimonio è indissolubile nella sua originaria costituzione. Gesù prosegue questa volta attingendo a Ml 2,13-16: ripudiare la propria moglie è rompere l’alleanza con Dio e secondo i profeti questa alleanza viene vissuta soprattutto dagli sposi nella loro unione coniugale (Os 1-3; Is 1,21-26; Ger 2,2; 3,1.6-12; Ez 16; 23; Is 54, 6-10; 60-62). La risposta di Gesù appare in contraddizione con la legge di Mosé che concede la possibilità di concedere un attestato di divorzio. Nel motivare la sua risposta Gesù ricorda ai Farisei: se Mosé ha accordato questa possibilità è per la durezza del vostro cuore (v.8), più concretamente per la vostra indocilità alla Parola di Dio. La legge di Gn 1,26; 2,24 non è stata mai modificata, ma Mosé è stato costretto ad adattarla a un atteggiamento di indocilità. Il primo matrimonio non viene annullato dall’adulterio. All’uomo di oggi ed in particolar modo alle comunità ecclesiali la parola di Gesù dice chiaramente che non devono esserci dei divorzi; e, tuttavia, vediamo che ve ne sono; nella vita pastorale i divorziati vanno accolti, ai quali è sempre aperta la possibilità di entrare nel regno. La reazione dei discepoli non si fa attendere: «Se così è la condizione dell’uomo con la donna, non conviene sposarsi» (v.10). La risposta di Gesù continua a sostenere l’indissolubilità del matrimonio, impossibile alla mentalità umana ma possibile a Dio. L’eunuco di cui parla Gesù non é colui che non può generare ma colui, che separato dalla propria moglie, continua a vivere nella continenza, rimanendo fedele al primo legame coniugale: è eunuco nei confronti di tutte le altre donne.
Per un confronto personale
- Per quanto riguarda il matrimonio sappiamo accogliere l’insegnamento di Gesù con animo semplice senza adattarlo alle nostre legittime scelte di comodo?
- Il brano evangelico ci ha ricordato che il disegno del Padre sull’uomo e sulla donna è un mirabile progetto d’amore. Sei consapevole che l’amore ha una legge imprescindibile: comporta il dono totale e pieno della propria persona all’altro?
Preghiera finale
Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. (Sal 50)
Sabato, 14 agosto 2021
Tempo ordinario
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Lettura dal Vangelo secondo Matteo 19,13-15
In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano.
Gesù però disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli”. E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.
Riflessione
- Il vangelo è molto breve. Appena tre versetti. Descrive come Gesù accoglie i bambini.
- Matteo 19,13: L’atteggiamento dei discepoli dinanzi ai bambini. Portarono da Gesù alcuni bambini, affinché lui imponesse loro le mani e pregasse per loro. I discepoli ripresero le madri. Perché? Probabilmente d’accordo con le norme severe delle leggi dell’impurità, i bambini piccoli nelle condizioni in cui vivevano erano considerati impuri. Se loro toccavano Gesù, Gesù sarebbe divenuto impuro. Per questo, era importante evitare che giungessero vicino a lui e lo toccassero. Perché già era avvenuto una volta, quando un lebbroso toccò Gesù. Gesù rimase impuro e non poté più entrare nella città. Doveva rimanere in luoghi deserti (Mc 1,4-45).
- Matteo 19,14-15: L’atteggiamento di Gesù: accoglie e difende la vita dei bambini.
- Gesù riprende i discepoli e dice: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il Regno dei Cieli.” A Gesù non importa trasgredire le norme che impediscono la fraternità e l’accoglienza da dare ai piccoli. La nuova esperienza di Dio Padre ha marcato la vita di Gesù e gli dà occhi nuovi per percepire e valutare la relazione tra le persone. Gesù si mette al lato dei piccoli, degli esclusi e assume la sua difesa. Impressiona quando si mette insieme tutto ciò che la Bibbia dice su gli atteggiamenti di Gesù in difesa della vita dei bambini, dei piccoli:
- Ringraziare per il Regno presente nei piccoli. La gioia di Gesù è grande, quando vede che i bambini, i piccoli, capiscono le cose del Regno che lui annunciava alla gente. “Padre, io ti ringrazio!” (Mt 11,25-26) Gesù riconosce che i piccoli capiscono più dei dottori le cose del Regno!
- Difendere il diritto di gridare. Quando Gesù, entrando nel Tempio, rovescia i tavoli dei cambiavalute, furono i bambini a gridare: “Osanna al Figlio di Davide!” (Mt 21,15). Criticati dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, Gesù li difende e nella sua difesa invoca le Scritture (Mt 21,16).
- Identificarsi con i piccoli. Gesù abbraccia i piccoli e si identifica con loro. Chi accoglie un piccolo, accoglie Gesù (Mc 9, 37). “E ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Mt 25,40).
- Accogliere e non scandalizzarsi. Una delle parole più dure di Gesù è contro coloro che sono causa di scandalo per i piccoli, cioè, che sono il motivo per cui i piccoli non credono più in Dio. Per questo, meglio sarebbe per loro legarsi al collo una pietra da molino ed essere gettati nell’abisso del mare (Lc 17,1-2; Mt 18,5-7). Gesù condanna il sistema, sia politico che religioso, che è motivo per cui i piccoli, la gente umile, perde la sua fede in Dio.
- Diventare come bambini. Gesù chiede ai suoi discepoli di diventare come bambini e di accettare il Regno come i bambini. Senza questo non è possibile entrare nel Regno (Lc 9,46-48). Indica che i bambini sono professori degli adulti. Ciò non era normale. Siamo abituati al contrario.
- Accogliere e toccare (il vangelo di oggi). Madri con figli che giungono vicino a Gesù per chiedere la benedizione. Gli apostoli reagiscono e le allontanano. Gesù corregge gli adulti ed accoglie le madri con i bambini. Tocca i bambini e li abbraccia. “Lasciate che i piccoli vengano a me, non glielo impedite!” (Mc 10,13-16; Mt 19,13-15). Nelle norme dell’epoca, sia le mamme che i figli piccoli, vivevano, praticamente, in uno stato di impurità legale. Gesù non si lascia trascinare da questo.
- Accogliere e curare. Sono molti i bambini ed i giovani che lui accoglie, cura e risuscita: la figlia di Giairo, di 12 anni (Mc 5,41-42), la figlia della donna Cananea (Mc 7,29-30), il figlio della vedova di Naim (Lc 7,14-15), il bambino epilettico (Mc 9,25-26), il figlio del Centurione (Lc 7,9-10), il figlio del funzionario pubblico (Gv. 4,50), il fanciullo con i cinque pani ed i due pesci (Gv. 6,9).
Per un confronto personale
- Bambini: cosa hai imparato dai bambini lungo gli anni della tua vita? E cosa imparano i bambini da te su Dio, su Gesù e sulla vita?
- Qual è l’immagine di Dio che irradio ai bambini? Dio severo, buono, distante o assente?
Preghiera finale
Signore, rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. (Sal 50).
Domenica, 15 agosto 2021
La visita di Maria a Elisabetta
Luca 1,39-56
LECTIO
- a) Orazione iniziale:
Spirito Santo, Spirito di sapienza, di scienza, di intelletto, di consiglio, riempici, ti preghiamo della conoscenza della Parola di Dio, riempici di ogni sapienza e intelligenza spirituale per poterla comprendere in profondità. Fa che sotto la tua guida noi possiamo comprendere il vangelo di questa solennità mariana. Spirito santo abbiamo bisogno di te, il solo che continuamente modella in noi la figura e la forma di Gesù. E ci rivolgiamo a te, Maria, Madre di Gesù e della Chiesa, che hai vissuto la presenza inebriante e totalizzante dello Spirito Santo, che hai sperimentato la potenza della sua forza in te, che l’hai visto operante nel tuo Figlio Gesù sin dal grembo materno, apri il nostro cuore e la nostra mente, perché siano docili all’ascolto della Parola di Dio. b) Lettura del vangelo:
39In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? 44Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore».
46Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore
47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente. e Santo è il suo nome:
50di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.
51Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia,
55come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».
56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. c) Momenti di silenzio orante:
Il silenzio è una qualità di chi sa ascoltare Dio. Impegnati a creare in te un atmosfera di pace e di silenziosa adorazione. Se sei capace di stare in silenzio davanti a Dio potrai ascoltare il suo respiro che è Vita.
MEDITATIO
- a) Chiave di lettura:
Benedetta tu fra le donne
Nella prima parte del vangelo odierno risuonano le parole di Elisabetta, «Benedetta tu fra le donne», precedute da un movimento spaziale. Maria lascia Nazaret, collocata al nord della Palestina, per recarsi al sud, a circa centocinquanta chilometri, in una località che la tradizione ha identificato con l’attuale Ain Karem, poco lontana da Gerusalemme. Il muoversi fisico mostra la sensibilità interiore di Maria, che non è chiusa a contemplare in modo privato ed intimistico il mistero della divina maternità che si compie in lei, ma è proiettata sul sentiero della carità. Ella si muove per portare aiuto alla sua anziana cugina. Il recarsi di Maria da Elisabetta è connotato dall’aggiunta ‘in fretta’ che sant’Ambrogio interpreta così «Maria si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia… La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze». Il lettore, però, sa che il motivo vero del viaggio non è indicato, ma lo può ricavare attraverso delle informazioni desunte dal contesto. L’angelo aveva comunicato a Maria la gravidanza di Elisabetta, già al sesto mese (cfr. v. 37). Inoltre il fatto che ella si fermerà tre mesi (cfr. v. 56), giusto il tempo perché il bambino possa nascere, permette di ritenere che Maria intendeva portare aiuto alla cugina. Maria corre e va là dove la chiama l’urgenza di una necessità, di un bisogno, dimostrando, cosi, una spiccata sensibilità e concreta disponibilità.
Insieme con Maria, portato in grembo, Gesù si muove con la Madre. Da qui è facile evincere il valore cristologico dell’episodio della visita di Maria alla cugina: l’attenzione è soprattutto su Gesù. A prima vista potrebbe sembrare una scena concentrata sulle due donne, in realtà, ciò che è importante per l’evangelista è il prodigio presente nel loro concepimento. La mobilitazione di Maria tende, in fondo, a far incontrare le due donne.
Appena Maria entra in casa e saluta Elisabetta, il piccolo Giovanni ha un sussulto. Secondo alcuni il sussulto non è paragonabile agli spostamenti del feto, sperimentati da ogni donna incinta. Luca usa un verbo greco particolare che significa propriamente ‘saltare’. Volendo interpretare il verbo, un po’ liberamente, lo si può indicare con ‘danzare’, escludendo così l’accezione di un fenomeno solo fisico. Qualcuno ha pensato che quella ‘danza’ la si potrebbe considerare una forma di ‘omaggio’ che Giovanni rende a Gesù, inaugurando, non ancora nato, quell’atteggiamento di rispetto e di sudditanza che caratterizzerà la sua vita: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale non son degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali» (Mc 1,7). Un giorno lo stesso Giovanni testimonierà «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30). Così commenta s. Ambrogio: «Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia». Una conferma di questa interpretazione la troviamo nelle stesse parole di Elisabetta che, riprendendo al v. 44 lo stesso verbo greco già impiegato al v. 41, precisa: «Ha esultato di gioia nel mio grembo». Luca, con questi particolari, ha voluto evocare il prodigio verificatosi nell’intimità di Nazaret. Solo ora, grazie al dialogo con un’interlocutrice, il mistero della divina maternità lascia la sua segretezza e la sua dimensione individuale, per diventare un fatto noto, oggetto di apprezzamento e di lode.
Le parole di Elisabetta «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (vv. 42-43). Con un’espressione semitica che equivale a un superlativo («fra le donne»), l’evangelista vuole attirare l’attenzione del lettore sulla funzione di Maria: essere la «Madre del Signore». E quindi a lei viene riservata una benedizione («benedetta tu») e una beatitudine beata. In che consiste quest’ultima? Esprime l’adesione di Maria alla volontà divina. Maria non è solo destinataria di un arcano disegno che la rende benedetta, ma pure persona che sa accettare e aderire alla volontà di Dio. Maria è una creatura che crede, perché si è fidata di una parola nuda e che ella ha rivestito col suo «sì» di amore. Ora Elisabetta le riconosce questo servizio d’amore, identificandola «benedetta come madre e beata come credente».
Intanto Giovanni percepisce la presenza del suo Signore ed esulta, esprimendo con quel movimento interiore la gioia che scaturisce da quel contatto salvifico. Di tale evento si farà interprete Maria nel canto del Magnificat. b) Un canto di amore:
In questo canto Maria si considera parte degli anawim, dei ‘poveri di Dio’, di coloro che ‘temono Dio’ riponendo in Lui ogni loro fiducia e speranza e che sul piano umano non godono nessun diritto o prestigio. La spiritualità degli anawim può essere sintetizzata dalle parole del Salmo 37,79: «Nel silenzio sta innanzi a Dio e in lui spera», perché «coloro che sperano nel Signore possederanno la terra».
Nel Sal 86,6 l’orante, rivolgendosi a Dio, dice: «Dona al tuo servo la tua forza»: qui il termine ‘servo’ esprime il suo essere sottomesso, come anche il sentimento dell’appartenenza a Dio, di sentirsi sicuro presso di lui.
I poveri, nel senso strettamente biblico, sono coloro che ripongono in Dio una fiducia incondizionata; per questo sono da considerarsi la parte migliore, qualitativa, del popolo d’Israele.
Gli orgogliosi, invece, sono coloro che ripongono tutta la loro fiducia in se stessi.
Ora, secondo il Magnificat, i poveri hanno mille motivi per rallegrarsi, perché Dio glorifica gli anawim (Sal 149,4) e abbassa gli orgogliosi. Un’immagine presa dal NT, che traduce molto bene l’atteggiamento del povero dell’AT, è quella del pubblicano che con umiltà si batte il petto, mentre il fariseo compiacendosi dei suoi meriti si consuma nell’orgoglio (Lc 18,9-14). In definitiva Maria celebra quanto Dio ha operato in lei e quanto opera in ogni credente. Gioia e gratitudine caratterizzano questo inno alla salvezza che riconosce grande Dio ma che pure fa grande chi lo canta. c) Alcune domande per meditare:
- La mia preghiera è innanzitutto espressione d’un sentimento o celebrazione e riconoscimento dell’azione di Dio?
- Maria è raffigurata come la credente nella Parola del Signore. Quanto tempo dedico all’ascolto della Parola di Dio?
- La tua preghiera si alimenta alla Bibbia, come ha fatto Maria? Oppure sono dedito al devozionalismo che produce a getto continuo preghiere incolori e insapori? Sei convinto che ritornare alla preghiera biblica è sicurezza di trovare un alimento solido, scelto da Maria stessa?
- Sei nella logica del Magnificat che esalta la gioia del dare, del perdere per trovare, dell’accogliere, la felicità della gratuità, della donazione?
ORATIO
- a) Salmo 44 (45), 10-11; 12; 15b-16
Il salmo, in questa seconda parte, glorifica la regina. Nella liturgia odierna questi versetti sono applicati a Maria e ne celebrano la grandezza e la bellezza.
Figlie di re stanno tra le tue predilette; alla tua destra la regina in ori di Ofir.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre. Al re piacerà la tua bellezza.
Egli è il tuo Signore: prostrati a lui. Con lei le vergini compagne a te sono condotte; guidate in gioia ed esultanza entrano nel palazzo del re. b) Preghiera finale:
La preghiera che segue è una breve meditazione sul ruolo materno di Maria nella vita del credente: «Maria, donna che sa gioire che sa esultare, che si lascia invadere dalla consolazione piena dello Spirito santo, insegnaci a pregare perché possiamo anche noi scoprire la fonte della gioia. Nella casa di Elisabetta, tua cugina, sentendoti accolta e capita nel tuo intimo segreto, prorompesti nell’inno di esultanza del cuore, parlando di Dio, di te in rapporto a Lui, e della inaudita avventura già avviata di essere madre di Cristo e di noi tutti, popolo santo di Dio. Insegnaci a dare un ritmo di speranza e fremiti di gioia alle nostre preghiere, a volte logorate da amari piagnistei e intrise di mestizia quasi d’obbligo. Il Vangelo ci parla di te, Maria, e di Elisabetta: ambedue custodivate nel cuore qualcosa, che non osavate o non volevate manifestare a nessuno. Ciascuna di voi, però, si sentì compresa dall’altra, quel fatidico giorno della visitazione e aveste parole e preghiera di festa. Il vostro incontro divenne liturgia di ringraziamento e di lode al vostro ineffabile Dio. Tu, donna della gioia profonda, cantasti il Magnificat, rapita e stupita di quanto il Signore andava operando nell’umile sua serva. Magnificat è il grido, l’esplosione della gioia, che scoppia dentro ciascuno di noi, quando si sente accolto e compreso».
CONTEMPLATIO
La vergine Maria, tempio dello Spirito Santo, ha accolto con fede la Parola e si è consegnata interamente alla potenza dell’Amore. A motivo di ciò è diventata icona dell’interiorità, cioè tutta raccolta sotto lo sguardo di Dio e abbandonata alla potenza dell’Altissimo. Maria tace di sé, perché tutto in lei possa parlare delle meraviglie del Signore nella sua vita.
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