Lectio del giorno all’Oasi di Engaddi 15-21_Novembre-2021

 

Lunedì, 15 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 18,35-43

Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. 

Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!” Allora incominciò a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: “Che vuoi che io faccia per te?” Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”. 

E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. 

Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.

Riflessione

  • Il vangelo di oggi descrive l’arrivo di Gesù a Gerico. E’ l’ultima fermata prima di salire a Gerusalemme, dove avverrà l’ “esodo” di Gesù secondo quanto ha annunciato nella sua Trasfigurazione (Lc 9,31) e lungo il cammino fino a Gerusalemme (Lc 9,44; 18,3133). • Luca 18,35-37: Il cieco seduto lungo la strada. “Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!” Nel vangelo di Marco, il cieco si chiama Bartimeo (Mc 10,46). Siccome era cieco, non poteva partecipare alla processione che accompagnava Gesù. In quel tempo, c’erano molti ciechi in Palestina, poiché il forte sole che batte sulla terra rocciosa imbiancata faceva male agli occhi non protetti.
  • Luca 18,38-39: Il grido del cieco e la reazione della gente. “Allora incominciò a gridare: Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Invoca Gesù con il titolo di “Figlio di Davide”. Il catechismo di quell’epoca insegnava che il messia apparteneva alla discendenza di Davide, “figlio di Davide”, messia glorioso. A Gesù questo titolo non piaceva. Nel citare il salmo messianico, lui giunse a chiedersi: “Come mai il messia può essere figlio di Davide se perfino Davide lo chiama “Mio Signore” (Lc 20,41-44)? Il grido del cieco scomoda la gente che accompagna Gesù. Per questo, “quelli che camminavano davanti lo sgridavano perché tacesse. Loro cercavano di soffocare il suo grido. Ma lui gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Ancora oggi, il grido dei poveri spiazza la società consolidata: migranti, mendicanti, rifugiati, malati di AIDS, tanti!
  • Luca 18,40-41: La reazione di Gesù davanti al grido del cieco. E Gesù, cosa fa? “Gesù allora si fermò e mandò che glielo conducessero”. Coloro che volevano soffocare il grido scomodo del povero, ora, a richiesta di Gesù, sono obbligati ad aiutare il povero ad arrivare fino a Gesù. Il vangelo di Marco aggiunge che il cieco lasciò tutto e si recò da Gesù. Non aveva molto. Solamente un manto. Era ciò che possedeva per coprire

il suo corpo (cf. Es 22,-25-26). Era la sua sicurezza, la sua terra! Anche oggi Gesù ascolta il grido del povero che noi, a volte, non vogliamo ascoltare. “Quando gli fu vicino gli domandò: Cosa vuoi che io faccia per te?” Non basta gridare, bisogna sapere perché gridare! Il cieco risponde: “Signore, che io riacquisti la vista.” 

  • Luca 18,42-43: Vai! La tua fede ti ha salvato! Gesù disse: “E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio”. Il cieco aveva invocato Gesù con idee non del tutto corrette, poiché il titolo “Figlio di David” non era molto corretto. Ma lui ebbe più fede in Gesù che nelle sue idee su Gesù. Non presentò esigenze come fece Pietro (Mc 8,32-33). Seppe dare la sua vita accettando Gesù senza imporre condizioni. La guarigione è frutto della sua fede in Gesù. Curato, segue Gesù e si incammina con lui verso Gerusalemme. Così, diventa discepolo modello per tutti noi che vogliamo “seguire Gesù lungo il cammino” in direzione verso Gerusalemme: credere più in Gesù e non tanto nelle nostre idee su Gesù! In questa decisione di camminare con Gesù si trova la fonte di coraggio ed il seme della vittoria sulla croce. Poiché la croce non è una fatalità, né un’esigenza di Dio. E’ la conseguenza dell’impegno di Gesù, in obbedienza al Padre, di servire i fratelli e non accettare privilegi.
  • La fede è una forza che trasforma le persone. La Buona Novella del Regno annunciata da Gesù era una specie di fertilizzante. Faceva crescere il seme della vita nascosto nella gente, nascosto come un fuoco sotto le ceneri di ciò che osserviamo. Gesù soffiò sulle ceneri ed il fuoco si accese, il Regno apparve e la gente se ne rallegrò. La condizione era sempre la stessa: credere in Gesù. La guarigione del cieco chiarisce un aspetto molto importante della nostra fede. Pur invocando Gesù con idee non del tutto corrette, il cieco ebbe fede e fu guarito. Si convertì, lasciò tutto e seguì Gesù lungo il cammino verso il Calvario! La comprensione piena del seguire Gesù non si ottiene dall’istruzione teorica, bensì dall’impegno pratico, camminando con lui lungo il cammino del servizio, dalla Galilea fino a Gerusalemme. Chi insiste nel mantenere l’idea di Pietro, cioè, del Messia glorioso senza la croce, non capirà nulla di Gesù e non giungerà ad assumere l’atteggiamento del vero discepolo. Chi sa credere in Gesù e si dona (Lc 9,23-24), chi sa accettare di essere l’ultimo (Lc 22,26), chi sa bere il calice e caricare la propria croce (Mt 20,22; Mc 10,38), costui, come il cieco, pur non avendo idee completamente giuste, riuscirà a “seguire Gesù lungo il cammino” (Lc 18,43). In questa certezza di camminare con Gesù si trovano la sorgente del coraggio ed il seme della vittoria sulla croce.

Per un confronto personale

  • Come vedo e sento il grido dei poveri: migranti, negri, malati di AIDS, mendicanti, rifugiati e tanti altre?
  • Com’è la mia fede: mi fisso più nelle mie idee su Gesù o in Gesù?

Preghiera finale

Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi,  non indugia nella via dei peccatori  e non siede in compagnia degli stolti; 

ma si compiace della legge del Signore,  la sua legge medita giorno e notte. (Sal 1)


 

Martedì, 16 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 19,1-10

In quel tempo, Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. 

Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. 

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. 

In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. 

Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!” Ma

Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”.

Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

Riflessione

  • Nel vangelo di oggi, stiamo giungendo alla fine del lungo viaggio che iniziò nel capitolo 9 (Lc 9,51). Durante il viaggio, non si sapeva bene dove andasse Gesù. Si sapeva solo che si dirigeva verso Gerusalemme! Ora, alla fine, la geografia era chiara e definita. Gesù giunse a Gerico, la città delle palme, nella valle del Giordano. Ultima fermata dei pellegrini, prima di salire verso Gerusalemme! Fu a Gerico dove terminò il lungo cammino dell’esodo di 40 anni lungo il deserto. Anche l’esodo di Gesù era terminato. All’entrata di Gerico, Gesù incontra un cieco che voleva vederlo (Lc 18,3543). Ora, all’uscita della città, si incontra con Zaccheo, un pubblicano: anche lui vuole vederlo. Un cieco ed un pubblicano. I due erano esclusi. I due scomodavano la gente: il cieco con le sue grida, il pubblicano con le sue imposte. I due sono accolti da Gesù, ognuno a modo suo.
  • Luca 19,1-2: La situazione. Gesù entra a Gerico ed attraversa la città. “Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco”. Pubblicano era la persona che riscuoteva le imposte pubbliche sulla circolazione della merce. Zaccheo era il capo

dei pubblicani della città. Soggetto ricco e molto legato al sistema del dominio dei romani. I giudei più religiosi argomentavano così: “Il re del nostro popolo è Dio. Per questo, il dominio romano su di noi è contro Dio. Chi collabora con i romani, pecca contro Dio!” Così, i soldati che servivano nell’esercito romano e gli esattori, come Zaccheo, erano esclusi ed evitati, perché considerati peccatori e impuri. 

  • Luca 19,3-4: L’atteggiamento di Zaccheo. Zaccheo vuole vedere Gesù. Essendo piccolo, corre davanti, sale su un albero e aspetta che Gesù passi. Ha proprio voglia di vedere Gesù! In precedenza, nella parabola del povero Lazzaro e del ricco senza nome (Lc 16,19-31), Gesù indicava che era veramente difficile per un ricco convertirsi ed aprire la porta che lo separa dall’accogliere il povero Lazzaro. Ecco qui il caso di un ricco che non si chiude nella sua ricchezza. Zaccheo vuole qualcosa di più. Quando un adulto, persona di spicco nella città, sale su un albero, è perché non gli importa molto dell’opinione degli altri. Qualcosa di più importante lo muove dentro. Vuole aprire la porta per il povero Lazzaro.
  • Luca 19,5-7: Atteggiamento di Gesù, reazione della gente e di Zaccheo. Giungendo vicino e vedendo Zaccheo sull’albero, Gesù non chiede né esige nulla. Risponde solo al desiderio dell’uomo e dice: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua!” Zaccheo scese e ricevette Gesù a casa sua, con molta gioia. Tutti mormoravano: “E’ andato ad alloggiare da un peccatore!” Luca dice che tutti mormoravano! Ciò significa che Gesù stava rimanendo solo nel suo atteggiamento di accogliere gli esclusi, sopratutto i collaboratori del sistema. Ma a Gesù non importano le critiche. Va a casa di Zaccheo e lo difende dalle critiche. Invece di peccatore, lo chiama “figlio di Abramo” (Lc 19,9).
  • Luca 19,8: Decisione di Zaccheo. “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto!” Questa è la conversione, prodotta in Zaccheo per l’accoglienza che Gesù gli riserba. Restituire quattro volte era ciò che la legge ordinava di fare in alcuni casi (Es 21,37; 22,3). Dare la metà dei beni ai poveri era la novità che il contatto con Gesù produceva in lui. Avveniva, di fatto, la condivisione.
  • Luca 19,9-10: Parola finale di Gesù. “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo”. L’interpretazione della Legge per mezzo della Tradizione antica escludeva i pubblicani dalla razza di Abramo. Gesù dice che venne a cercare e salvare ciò che era perduto. Il Regno è per tutti. Nessuno ne può essere escluso. La scelta di Gesù è chiara, ed anche il suo richiamo: non è possibile essere amico di Gesù e continuare ad appoggiare un sistema che emargina ed esclude tanta gente. Denunciando le divisioni ingiuste, Gesù apre lo spazio ad una nuova convivenza, retta dai nuovi valori della verità, della giustizia e dell’amore.
  • Figlio di Abramo. “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo!” Mediante la discendenza di Abramo, tutte le nazioni della terra saranno benedette (Gen 12,3; 22,18). Per le comunità di Luca, formate dai cristiani sia di origine giudaica che di origine pagana, l’affermazione di Gesù che chiama Zaccheo “figlio di Abramo”, era molto importante. In essa troviamo la conferma del fatto che in Gesù, Dio stava compiendo le promesse fatte ad Abramo, dirette a tutte le nazioni, sia giudei e gentili. Anche loro sono figli di Abramo ed eredi delle promesse. Gesù accoglie coloro che non erano accolti. Offre uno spazio a coloro che non ne hanno. Riceve come fratello e sorella le persone che la religione ed il governo escludevano e consideravano:
    • immorali: prostitute e peccatori (Mt 21,31-32; Mc 2,15; Lc 7,37-50; Gv 8,2-11),
    • eretiche: pagani e samaritani (Lc 7,2-10; 17,16; Mc 7,24-30; Gv 4,7-42),
    • impure: lebbrosi e posseduti (Mt 8,2-4; Lc 17,12-14; Mc 1,25-26),
    • emarginate: donne, bambini e malati (Mc 1,32; Mt 8,16;19,13-15; Lc 8,2-3),
    • lottatori: pubblicani e soldati (Lc 18,9-14;19,1-10);
    • povere: la gente della terra e i poveri senza potere (Mt 5,3; Lc 6,20; Mt 11,25-26).

Per un confronto personale

  • Come accoglie la nostra comunità le persone disprezzate ed emarginate? Siamo capaci, come Gesù, di percepire i problemi delle persone e prestare loro attenzione?
  • Come percepiamo la salvezza entrando oggi nella nostra casa e nella nostra comunità? La tenerezza accogliente di Gesù produce un mutamento totale nella vita di Zaccheo. La tenerezza della nostra comunità sta producendo qualche mutamento nel quartiere? Quale?

Preghiera finale

Con tutto il cuore ti cerco, Signore:  non farmi deviare dai tuoi precetti.  Conservo nel cuore le tue parole  per non offenderti con il peccato. (Sal 118)


 

Mercoledì, 17 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 19,11-28

In quel tempo, Gesù disse una parabola perché era vicino a Gerusalemme e i discepoli credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. 

Disse dunque: “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. 

Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. 

Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali

aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. 

Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. 

Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. A questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città. 

Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuto riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. 

Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. 

Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! 

Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”. 

Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.

Riflessione

  • Il vangelo di oggi ci presenta la parabola dei talenti, in cui Gesù parla dei doni che le persone ricevono da Dio. Tutte le persone hanno qualche qualità, ricevono qualche dono o sanno qualche cosa che possono insegnare agli altri. Nessuno è solo alunno, nessuno è solo professore. Impariamo gli uni dagli altri.
  • Luca 19,11: La chiave per capire la storia della parabola. Per introdurre la parabola Luca dice quanto segue:“In quel tempo, Gesù disse una parabola perché era vicino a Gerusalemme e i discepoli credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro”. In questa informazione iniziale, Luca presenta tre motivi che portano Gesù a raccontare la parabola: (a) L’accoglienza da dare agli esclusi, riferendosi quindi all’episodio di Zaccheo, l’escluso, che Gesù accoglie. (b) L’avvicinarsi della passione, morte e risurrezione, poiché diceva che Gesù era vicino a Gerusalemme dove sarebbe stato a breve condannato a morte. (c) L’imminente avvento del Regno di Dio, poiché le persone che accompagnavano Gesù pensavano che il Regno di Dio sarebbe giunto dopo.
  • Luca 19,12-14: L’inizio della Parabola. “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno”. Alcuni studiosi pensano che in questa parabola, Gesù si riferisca ad Erode che settanta anni prima (40 aC), era andato a Roma per ricevere il titolo e il potere di Re della Palestina. Alla gente non piaceva Erode e non voleva che diventasse re, poiché l’esperienza che avevano di lui da comandante per reprimere le ribellioni nella Galilea contro Roma fu tragica e dolorosa. Per questo dicevano: “Non vogliamo che questo uomo regni su di noi.” A questo stesso Erode si applicherebbe la frase finale della parabola: “E quanto a questi nemici, che non vogliono che io regni su di loro, portateli qui, ed uccideteli dinanzi a me”. Infatti Erode uccise molta gente.
  • Luca 19,15-19: Rendiconto dei primi impiegati che ricevettero cento monete d’argento. La storia informa inoltre che Erode, dopo aver ottenuto il titolo di re, ritornò in Palestina per assumere il potere. Nella parabola, il re chiamò gli impiegati a cui aveva dato cento monete d’argento, per sapere quanto avevano guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. A questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città. D’accordo con la storia sia Erode Magno che suo figlio Erode Antipa, tutti e due sapevano trattare con il denaro e promuovere le persone che li aiutavano. Nella parabola, il re dette dieci città all’impiegato che moltiplicò per dieci le cento monete che aveva ricevuto, e cinque città a colui che le moltiplicò per cinque.
  • Luca 19,20-23: Rendiconto dell’impiegato che non guadagnò nulla. Il terzo impiegato giunse e disse: Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuto riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. In questa frase appare un’idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. L’impiegato considera Dio un padrone severo. Dinanzi a un Dio così, l’essere umano ha paura e si nasconde dietro l’osservanza esatta e meschina della legge. Pensa che, agendo in questo modo, non sarà castigato dalla severità del legislatore. In realtà, una persona cosi non crede in Dio, ma crede solo in se stessa, nella sua osservanza della legge. Si rinchiude in se stessa, si allontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l’essere umano, uccide la comunità, spegne la gioia ed impoverisce la vita. Il re risponde: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. L’impiegato non è coerente con l’immagine che aveva di Dio. Se immaginava Dio così severo, avrebbe dovuto mettere per lo meno il denaro nel banco. Non è condannato da Dio, ma dall’idea sbagliata che si era fatta di Dio e che lo rende più immaturo e più pauroso di quanto avrebbe dovuto essere. Una delle cose che influisce maggiormente sulla vita della gente è l’idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano Dio come un giudice severo che li trattava secondo il merito conquistato dalle osservanze. Ciò causava timore ed impediva alle persone di crescere. Sopratutto impediva che aprissero uno spazio dentro di sé per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava.
  • Luca 19,24-27: Conclusione per tutti. “Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”. Il signore ordina di togliergli le cento monete e darle a colui che ne aveva già mille, perché “A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. In questa frase finale si trova la chiave che chiarisce la parabola. Nel simbolismo della parabola, le monete d’argento del re sono i beni del Regno di Dio, cioè tutto quello che fa crescere la persona e rivela la presenza di Dio: amore, servizio, condivisione. Chi si chiude in sé, per paura di perdere il poco che ha, costui perderà anche il poco che ha. Quindi la persona che non pensa a sé, ma si dà agli altri, crescerà e riceverà, sorprendentemente, tutto ciò che ha dato e molto di più: “cento volte tanto” (Mc 10,30). “Perde la vita colui che vuole salvarla, la salva colui che ha il coraggio di perderla” (Lc 9,24; 17,33; Mt 10,39;16,25;Mc 8,35). Il terzo impiegato ha paura e non fa nulla. Non vuole perdere nulla e, per questo, non guadagna niente. Perde perfino il poco che ha. Il regno è un rischio. Chi non corre rischi, perde il Regno!
  • Luca 19,28: Ritorno alla triplice chiave iniziale. Alle fine, Luca chiude il tema con questa informazione: “Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme”. Questa informazione finale evoca la triplice chiave data all’inizio: accoglienza da dare agli esclusi, vicinanza della passione, morte e risurrezione di Gesù a Gerusalemme e l’idea della venuta imminente del Regno. A coloro che pensavano che il Regno di Dio stesse per giungere, la parabola ordina di cambiare lo sguardo. Il Regno di Dio, arriva sì, ma attraverso la morte e la risurrezione di Gesù che avverrà tra breve a Gerusalemme. E il motivo della morte è l’accoglienza che Gesù da agli esclusi, come per esempio a Zaccheo e a tanti altri. Scomoda i grandi e loro lo elimineranno condannandolo a morte, e ad una morte di croce.

Per un confronto personale

  • Nella nostra comunità, cerchiamo di conoscere e di valorizzare i doni di ogni persona? A volte, i doni di alcuni generano gelosie e competitività negli altri. Come reagiamo?
  • Nella nostra comunità c’è uno spazio dove le persone possono mostrare i loro doni?

Preghiera finale

Lodate il Signore nel suo santuario,  lodatelo nel firmamento della sua potenza.  Lodatelo per i suoi prodigi, 

lodatelo per la sua immensa grandezza. (Sal 150)


 

Giovedì, 18 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 19,41-44

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. 

Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”.

Riflessione 

  • Il vangelo di oggi ci dice che Gesù, nell’arrivare vicino a Gerusalemme, vedendo la città comincia a piangere e a pronunciare parole che facevano intravedere un futuro molto fosco per la città, capitale della sua gente.
  • Luca 19,41-42 Gesù piange su Gerusalemme. “In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi!”. Gesù piange, poiché ama la sua patria, la sua gente, la capitale della sua terra, il Tempio. Piange, perché sa che tutto sarà distrutto per colpa della sua gente che non sa rendersi conto della chiamata di Dio nei fatti della vita. La gente non si rende conto del cammino che la potrebbe portare alla Pace, Shalom. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi! Questa affermazione evoca la critica di Isaia alla persona che adorava gli idoli : “Si pasce di cenere, ha un cuore illuso che lo travia; egli non sa liberarsene e dire: Ciò che tengo in mano non è forse falso?” (Is 44,20). La menzogna stava nel loro sguardo e, per questo, divennero incapaci di percepire la verità. Come dice San Paolo: “Sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all’ingiustizia” (Rom 2,8). La verità che rimane prigioniera dell’ingiustizia. In un’altra occasione, Gesù lamenta che Gerusalemme non sa rendersi conto della visita di Dio, né accoglierla: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa vi viene lasciata deserta” (Lc 13,34-35).
  • Luca 19,43-44 Annuncio della distruzione di Gerusalemme. “Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra”. Gesù descrive ciò che succederà a Gerusalemme. Usa le immagini di guerra che erano comuni in quel tempo quando un esercito attaccava una città: trincee, uccisione della gente e distruzione totale delle mura e delle case. Così, nel passato, Gerusalemme fu distrutta da Nabucodonosor. Così, le legioni romane solevano fare con le città ribelli e così sarà fatto di nuovo, quaranta anni dopo, con la città di Gerusalemme. Infatti, nell’anno 70, Gerusalemme fu accerchiata ed invasa dall’esercito romano. Fu distrutto tutto. Dinanzi a questo sfondo storico, il gesto di Gesù diventa un’avvertenza molto seria per tutti coloro che travisano il senso della Buona Novella di Gesù. Loro dovevano ascoltare l’avvertenza finale: “Perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. In questa avvertenza, tutto ciò che fa Gesù è definito come una “visita di Dio”.

Per un confronto personale

  • Tu piangi nell’osservare qualche situazione del mondo? Guardando la situazione del mondo attuale, Gesù piangerebbe? La previsione è lugubre. Dal punto di vista dell’ecologia, abbiamo già passato il limite. La previsione è tragica.
  • In Gesù Dio visita il suo popolo. Tu hai ricevuto qualche visita di Dio nella tua vita?

Preghiera finale

Cantate al Signore un canto nuovo;  la sua lode nell’assemblea dei fedeli.  Gioisca Israele nel suo Creatore,  esultino nel loro Re i figli di Sion. (Sal 149)


 

Venerdì, 19 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 19,45-48

In quel tempo, Gesù entrato nel tempio, cominciò a scacciare i venditori, dicendo: “Sta scritto: ‘‘La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!’’”. Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.

Riflessione 

  • Luca dopo aver descritto la salita di Gesù a Gerusalemme (17,11-19,28) lo presenta ora mentre svolge la sua azione nel contesto del tempio. Dopo l’ingresso in Gerusalemme dell’inviato del Signore passando per la porta d’oriente (19,45), il tempio diventa il primo luogo dove Gesù svolge la sua azione: le controversie che vengono narrate avvengono all’interno di questo luogo e ad esso si riferiscono. L’andata di Gesù al tempio non è solo una fatto personale ma riguarda anche la «moltitudine dei discepoli» (v.37) sul loro rapporto con Dio (vv.31-34). Luca, riporta, innanzitutto, un primo episodio in cui vengono presentati i preparativi per l’ingresso di Gesù nel tempio (vv.29-36) e la loro realizzazione (vv.37-40); segue poi una scena in cui viene mostrato Gesù che piange sulla città (vv.41-44); mentre nella scena che segue troviamo il brano della nostra liturgia odierna: il suo insediamento nel tempio e la cacciata dei venditori (vv. 45-48).
  • Il gesto di Gesù. Non ha un valore politico ma un significato profetico. Al lettore sembra che la meta del grande viaggio di Gesù a Gerusalemme il suo ingresso nel tempio. È evidente il richiamo alla profezia di Malachia e la compimento nell’ingresso di Gesù nel tempio: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate…» (3,1). Il gesto di cacciare dal tempio i venditori viene accompagnato da Gesù da due riferimenti alla Scrittura. Innanzitutto Is 56,7: «La mia casa sarà casa di preghiera». Il tempio è il luogo in cui Gesù si rivolge al Padre. L’attività commerciale e affaristica

ha reso il tempio un covo di ladri e lo ha privato della sua unica ed esclusiva funzione: l’incontro con la presenza di Dio. Il secondo riferimento scritturistico:  è attinto da Ger 7,11: «Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome?». L’immagine del covo dei ladri serve a Gesù per condannare il traffico materiale in senso lato e non solo disonesti traffici del commercio che in modo nascosto e illegale si compivano nel tempio. Gesù esige un cambiamento di rotta: purificare il tempio da tutte quelle negatività umane e riportarlo alla sua funzione originaria: rendere un autentico servizio a Dio.  E cacciandoli tali impostori del commercio si realizza la profezia di Zaccaria: «In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti» (14,21). Questo pronunciamento di Gesù sul tempio non è orientato a una restaurazione della purezza del culto, come era nell’intenzione dei zeloti. L’intenzione di Gesù và al di là della purità del culto, è più radica, intransigente: il tempio non un’opera realizzata dallo sforzo umano; la presenza di Dio non è legata al suo aspetto materiale; l’autentico servizio a Dio lo realizza Gesù nel suo insegnamento. A motivo di questa predicazione «i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di prenderlo, e anche i notabili del popolo» (v.47). All’interno di questo spazio temporale del tempio Gesù svolge un insegnamento altamente significativo, anzi è proprio in questo luogo così fondamentale per i giudei che il suo insegnamento raggiunge il vertice e sarà da qui che partirà la parola degli apostoli (Atti 5,12.20.25.42). La diffusione della Parola di grazia di cui Gesù è l’unico portatore si distende come un arco che inizia con la sua opposizione, ancora dodicenne nel tempio fra i Dottori della legge; si prolunga con il suo insegnamento nell’attraversare la Galilea e durane il cammino verso Gerusalemme; fino all’entrata nel tempio dove prende possesso della casa di Dio.  In questo luogo vengono poste le basi per la futura missione della chiesa: la diffusione della parola di Dio. I capi del popolo non intendono sopprimere Gesù per aver rovinato l’andamento degli affari economici del tempio ma i motivi risalgono a tutta la sua precedente attività di insegnamento e che ora si agiscono nel suo discorso contro il tempio.  Gesù rivendica qualcosa e questo scatena la reazione dei sommi sacerdoti e degli scribi. In contrasto con questo atteggiamento ostile si profila quello positivo del popolo che «pende dalle sue labbra». Gesù è visto come il messia che raduna intorno a sé con la sua Parola di grazia il popolo di Dio.

Per un confronto personale

  • La tua preghiera al Signore consiste in un rapporto semplice da padre a figlio in cui trovare tutta la forza per comunicare con Dio oppure è accompagnata da usanze e pratiche per propiziarti la sua benevolenza?
  • Quando ascolti la parola di Gesù ti senti rapito dal suo insegnamento come le folle che pendevano dalle sue labbra? Ovvero presti la dovuta attenzione all’ascolto del Vangelo e aderisci a Cristo?

Preghiera finale

La legge della tua bocca mi è preziosa  più di mille pezzi d’oro e d’argento. 

Quanto sono dolci al mio palato le tue parole: 

più del miele per la mia bocca.  (Sal 118)


 

Sabato, 20 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 20,27-40

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadduccei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.

Gesù rispose: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.

Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. 

Dissero allora alcuni scribi: “Maestro, hai parlato bene”. E non osavano più fargli alcuna domanda.

Riflessione

  • Il vangelo di oggi ci riporta la discussione dei sadduccei con Gesù sulla fede nella risurrezione.
  • Luca 20,27: L’ideologia dei sadduccei. Il vangelo di oggi comincia con questa affermazione: “I sadduccei affermano che non esiste resurrezione”. I sadduccei erano un’elite di latifondisti e di commercianti. Erano conservatori. Non accettavano la fede nella risurrezione. In quel tempo, questa fede cominciava ad essere valorizzata dai farisei e dalla pietà popolare. Spingeva il popolo a resistere contro il dominio sia dei romani sia dei sacerdoti, degli anziani e dei sadduccei. Per i sadduccei, il regno messianico era già presente nella situazione di benessere che loro stavano vivendo. Loro seguivano la così detta “Teologia della Retribuzione” che distorceva la realtà. Secondo tale teologia, Dio retribuisce con ricchezza e benessere coloro che osservano la legge di Dio e castiga con sofferenza e povertà coloro che praticano il male. Così, si capisce perché i sadduccei non vogliono mutamenti. Volevano che la religione permanesse tale e come era, immutabile come Dio stesso. Per questo, per criticare e ridicolizzare la fede nella resurrezione, raccontavano casi fittizi per indicare che la fede nella risurrezione avrebbe portato le persone all’assurdo.
  • Luca 20,28-33: Il caso fittizio della donna che si sposò sette volte. Secondo la legge dell’epoca, se il marito fosse morto senza figli, suo fratello si doveva sposare con la vedova del defunto. Questo per evitare che, in caso che qualcuno morisse senza discendenza, la sua proprietà passasse ad un’altra famiglia (Dt 25,5-6). I sadduccei inventarono la storia di una donna che seppellì sette mariti, fratelli l’uno dell’altro, e lei stessa morì senza figli. E chiesero a Gesù: “Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”. Caso inventato per mostrare che la fede nella resurrezione crea situazioni assurde.
  • Luca 20,34-38: La risposta di Gesù che non lascia dubbi. Nella risposta di Gesù emerge l’irritazione di chi non sopporta la finzione. Gesù non sopporta l’ipocrisia dell’elite che manipola e ridicolizza la fede in Dio per legittimare e difendere i suoi propri interessi. La risposta contiene due parti: (a) voi non capite nulla della risurrezione: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (vv. 34-36). Gesù spiega che la condizione delle persone dopo la morte sarà totalmente diversa dalla condizione attuale. Dopo la morte non ci saranno più sposalizi, ma tutti saranno come angeli nel cielo. I sadduccei immaginavano la vita in cielo uguale alla vita sulla terra; (b) voi non capite nulla di Dio: “Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. I discepoli e le discepole, che stiano attenti ed imparino! Chi sta dalla parte di questi sadduccei si trova al lato opposto a Dio!
  • Luca 20,39-40: La reazione degli altri di fronte alla risposta di Gesù. “Dissero allora alcuni scribi: Maestro, hai parlato bene. E non osavano più fargli alcuna domanda”. Probabilmente questi dottori della legge erano farisei, poiché i farisei credevano nella risurrezione (cf Atti 23,6).

Per un confronto personale

  • Oggi i gruppi di potere, come imitano i sadduccei e preparano trabocchetti per impedire cambiamenti nel mondo e nella Chiesa?
  • Tu credi nella risurrezione? Quando dici che credi nella risurrezione, pensi a qualcosa del passato, del presente o del futuro? Hai mai avuto un’esperienza di resurrezione nella tua vita?

Preghiera finale

Sono certo di contemplare la bontà del Signore  nella terra dei viventi.  Spera nel Signore, sii forte,  si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore. (Sal 26)


 

Domenica, 21 Novembre 2021

Gesù è il Re Messia 

Egli ci porta con sé nel suo regno del mondo futuro

Presso il suo trono, che è la croce, noi ascoltiamo la verità 

Giovanni 18, 33-37

1. Orazione iniziale

O Padre, il Verbo tuo ha bussato, nella notte, alla mia porta; catturato, legato, eppure parlava ancora, chiamava ancora, come sempre e mi ha detto: “Alzati, in fretta e seguimi!” All’alba l’ho visto, prigioniero nel pretorio di Pilato e, nonostante tutto il dolore della passione, tutto l’abbandono in cui si trovava, Lui ancora mi conosceva, mi aspettava. Fammi entrare, o Padre, con Gesù nel pretorio, in questo luogo di accusa, di condanna, di morte; è la mia vita di oggi, il mio mondo interiore. Sì, tutte le volte che la tua Parola mi invita, è un po’ come entrare nel pretorio del mio cuore, luogo contaminato e contaminante, che attende la presenza purificatrice di Gesù. Ho paura, tu lo sai, ma se Gesù è con me, non devo più temere. 

Rimango, Padre e ascolto in profondità la verità di tuo Figlio che mi parla, guardo e contemplo i suoi gesti, i suoi passi, lo seguo, con tutto ciò che sono, con tutta la vita che tu mi hai donato. Avvolgimi e riempimi con il tuo santo Spirito, ti prego.

2. Lettura

  1. a) Per inserire il brano nel suo contesto:

Questi pochi versetti ci aiutano ad entrare ancor più profondamente nel racconto della

Passione e ci conducono quasi in intimità con Gesù, in un luogo chiuso, appartato, dove Egli si trova solo, faccia a faccia con Pilato: il pretorio. Qui viene interrogato, dà risposte, pone domande, continua a rivelare il suo mistero di salvezza e a chiamare a Sé. Qui Gesù si mostra come re e come pastore; qui è legato e incoronato nella condanna a morte, qui egli ci conduce ai pascoli verdeggianti delle sue parole di verità. Il brano fa parte di una sezione un po’ più ampia, compresa fra i vv. 28–40 e racconta il processo di Gesù davanti al governatore. Dopo una notte di interrogatori, di percosse, di scherni e tradimenti, Gesù è consegnato al potere romano ed è condannato a morte, ma proprio in questa morte Egli si rivela re e Signore, colui che è venuto a dare la vita, giusto per noi ingiusti, innocente per noi peccatori.  b) Per aiutare nella lettura del brano: 

vv.33-34: Pilato torna dentro il pretorio e inizia l’interrogatorio a Gesù, rivolgendogli la prima domanda: “Tu sei il re dei Giudei?” Gesù non risponde subito direttamente, ma costringe Pilato a fare assoluta chiarezza su ciò che tale regalità significhi, lo fa andare nel profondo. Re dei Giudei significa Messia ed è in quanto Messia che Gesù viene giudicato e condannato. 

v.35: Pilato sembra rispondere con disprezzo nei confronti dei Giudei, i quali appaiono chiaramente come accusatori di Gesù, i sommi sacerdoti e il popolo, ognuno con la sua responsabilità, come si legge già nel prologo: “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11). Poi segue la seconda domanda di Pilato a Gesù: “Che cosa hai fatto?”, ma non avrà risposta. 

v.36: Gesù risponde alla prima domanda di Pilato e per tre volte usa l’espressione: “il mio regno”. Qui ci è offerta una spiegazione mirabile su cosa sia in realtà il regno e la regalità di Gesù: non è di questo mondo, ma del mondo futuro, non ha guardie o

servitori per il combattimento, ma solo la consegna amorosa della vita nelle mani del Padre. 

v.37: L’interrogatorio ritorna sulla domanda iniziale, alla quale Gesù continua a dare risposta affermativa: “Io sono re”, ma spiegando anche la sua origine e la sua missione. Gesù è nato per noi, è stato mandato per noi, per rivelarci la verità del Padre, dalla quale abbiamo la salvezza e per permetterci di ascoltare la sua voce e di seguirla, facendo aderire ad essa tutta la nostra vita.

  1. c) Il testo:

33-34: Pilato rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Tu sei il re dei Giudei?” Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?” 

35: Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”

36: Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. 

37: Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?” Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.

3. Un momento di silenzio orante

Sento che la Parola dell’Evangelo ha il potere di sottrarmi dal regno delle tenebre e di trasferirmi nel regno del Figlio, di Gesù; mi lascio rapire così, portare via così dalla volontà del Padre, dall’amore di Cristo e dalla luce dello Spirito. Entro nel pretorio, dunque, mi pongo in profondo ascolto di ogni parola che esce dalla bocca di Cristo e ripeto solamente: “Gesù, tu sei re!”

4. Alcune domande

Che mi aiutino ad avvicinarmi al re, a corrergli incontro, ad adorarlo, a servirlo con tutto l’essere mio, ad ascoltarlo, a contemplarlo, a seguirlo dovunque Egli andrà, a difenderlo, a consegnare a Lui l’intera mia esistenza. 

  1. Osservo i movimenti di Pilato, mi faccio attento ai verbi che il Vangelo riferisce a lui, fin dal primo versetto e lo seguo, perché in questo momento è lui la guida verso Gesù, è lui che apre la strada per raggiungere il mio maestro, il mio re. “Entra di nuovo”, “chiama Gesù”, “parla con Gesù”. Il suo corpo, la sua mente, le sue parole sono rivolti a Gesù, alla ricerca di Gesù, al desiderio di un contatto con Gesù, anche se lui non è consapevole. Se penso alla mia vita, devo ammettere che non sempre sono disposto a tutto questo, che molte volte mi è difficile partire, uscire, entrare, domandare, chiamare, stare in dialogo con il Signore. Perché non faccio mia questa realtà, questa grazia, perché non entro anch’io nel pretorio, in questa piazza troppo quotidiana, forse, troppo squallida e inquinata, impura? Perché non vendo tutto e vado anch’io, così, dietro a Gesù?
  2. Le parole che Gesù rivolge a Pilato sono molto forti, colpiscono subito al cuore, vanno al centro: “parli da te o parli con parole di altri?”; sembra quasi che mi chieda: “Sei proprio tu che mi cerchi, che mi conosci e mi ami?” Il Signore desidera un rapporto personale con me, vuole incontrarmi in profondità, là dove nessun altro mai potrà arrivare; mi aspetta per uno scambio d’amore reciproco, faccia a faccia, cuore a cuore; Lui non sopporta le lontananze, le nebbie, le indifferenze. Dice infatti: “Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23) e: “Ti fidanzerò a me nella fedeltà” (Os 2, 22), “farò con te un’alleanza eterna” (Ez 16, 60). Quando sono con Lui, quando rimango nel suo abbraccio, nella sua parola, io parlo da me, parlo con il mio cuore, con la mia esperienza, o parlo sempre con parole di altri, con l’esperienza sentita da altri? Sono capace di entrare o di lasciarmi attirare in un rapporto vero, intenso, vitale, con il Signore? E se ho paura di questo, perché? Cosa c’è che mi separa da Lui, che mi tiene a distanza?
  3. “Consegnato” è una delle parole più forti e sconvolgenti di questo brano e di tutto il Vangelo. Gesù si rivela a me anche come il consegnato, l’offerto, il donato e vive questa realtà in tutta la sua pienezza; incarna in sé questa parola divina per trasfigurarla, per renderla positiva anche per me. Consegnarsi al Padre e quindi a tutto ciò che Egli dispone nella nostra vita, non è perdersi, ma trovarsi, riconquistarsi, per Lui, giorno dopo giorno. Capisco tutto questo guardando a Gesù e seguendolo lungo le pagine della Scrittura. Mi soffermo su questa parola e cerco di mangiarla, di ruminarla e trattenerla nel mio cuore, mettendola a confronto con la mia vita, coi miei comportamenti di ogni giorno. Vedo che è un cammino lungo da percorrere, è una conversione, un cambiamento di rotta. Decido, in questo istante, dentro la grazia della Parola del Signore, di voltarmi indietro e di andare da Lui così, consegnandomi al suo amore, al suo abbraccio benedicente.
  4. Per tre volte Gesù ripete che il suo regno “non è di questo mondo”, invitandomi, così, con forza a passare in un’altra realtà. Ancora una volta Lui mi sconvolge, proponendomi un altro mondo, un altro regno, un altro potere. E’ il regno dei cieli, ormai vicino, per il quale occorre convertirsi (Mt 4, 17); è il regno del Padre (Mt 6, 10); è un regno dove non ci sono scandali, inciampi gettati ai fratelli da fratelli, né iniquità (Mt 13, 41); dove il più grande è il più piccolo (Mt 18, 4); dove entra chi è povero (Mt 19, 23). Per vederlo e per entrare in esso occorre farsi nuovi, rinascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito (Gv 3, 35); occorre aspettarlo, conquistarlo, acquistarlo a prezzo di ogni altra ricchezza. E’ un regno senza violenza, senza potere. E’ diverso: il regno di Dio è totalmente nella luce, nella pace, nella dolcezza e nella vita, perché è “oltre”, è “al di là” di ciò che appare e si può costatare come realtà mondana. E’, infine, il regno della mitezza e dell’amore, che giunge fino alla croce, come mi insegna Gesù in questi versetti. Mi vengono incontro altre sue parole, in questo momento: “Non potete servire due padroni” e sento che non posso appartenere a due regni; devo scegliere, devo amare l’uno o l’altro, devo camminare su una strada o su un’altra. Dove andrò? Verso dove decido di muovermi? Quale regno sto aspettando, con la speranza nel cuore?
  5. La battuta finale del brano è stupenda: “Ascolta la mia voce”. E’ Gesù che parla e che si rivela come buon pastore, che, mentre dà la vita per le sue pecore, continua ancora, instancabile, a parlare loro con quelle sue parole d’amore che sono inconfondibili e inimitabili. Chi mai ha parlato così? Nessuno. “Le mie pecore ascoltano la mia voce” (Gv 10, 27). Io, che corro tutto il giorno per le strade, che sono assorbito da mille lavori, impegni, incontri, dove volgo le orecchie?, a chi sto attento?, a chi penso?, chi aspetto, alla sera, quando sono stanco?, dove mi riposo? Io sono dalla Verità, che è Gesù o da dove prendo origine? Ogni mattina ricevo vita nuova, ma in realtà, da chi mi lascio generare?

5. Una chiave di lettura

Busso alla porta della Parola stessa, cerco nutrimento dai suoi seni stessi, come da una vera madre, per non staccarmi da Gesù, per aderire a Lui con tutto il mio essere e da Lui lasciarmi trasformare. Voglio farmi più vicino e penetrare più in profondità nella persona di Gesù, voglio riconoscerlo e conoscerlo, voglio amarlo come mio re e Signore.

Gesù, il re legato e consegnato 

Un verbo emerge con forza da queste righe, rimbalzando ripetutamente già dai primi versetti del racconto della Passione: è il verbo consegnare, pronunciato, qui, prima da Pilato e poi da Gesù. La “consegna del Cristo” è una realtà teologica, ma allo stesso tempo vitale, di estrema importanza, perché ci conduce lungo un cammino di sapienza e ammaestramento molto forte. Può essere utile ripercorrerlo, cercandone i segni lungo le pagine della Scrittura. Prima di tutto appare che è il Padre stesso a consegnare a noi il Figlio suo Gesù, come dono per tutti e per sempre. Leggo Rm 8, 32: “Dio, che non risparmiò il suo proprio Figlio, ma lo consegnò per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” Allo stesso tempo, però, vedo che è Gesù stesso, nella suprema libertà del suo amore, nella più intima e totale fusione con la volontà del Padre, a consegnarsi per noi, a offrirci la sua vita; dice san Paolo: “Cristo ci ha amati e ha consegnato se stesso per noi…” (Ef 5, 2. 25), ma mi ricordo anche di queste parole di Gesù: “Io offro la mia vita per le pecore; nessuno me la prende, ma la offro da me stesso” (Gv 10, 18). Quindi, al di sopra e prima di ogni altra consegna, sta questa consegna volontaria, che è solamente consegna d’amore e di dono. 

Nei racconti evangelici appare subito la consegna malvagia da parte di Giuda, detto appunto il traditore, cioè il “consegnatore”, quello che disse ai sommi sacerdoti: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?” (Mt 26, 15); vedi anche Gv 12, 4; 18, 2. 5. In seguito sono i Giudei che consegnano Gesù a Pilato: “Se non fosse un malfattore non te l’avremmo consegnato” (Gv 18, 30. 35) e Pilato rappresenta le genti, come Egli aveva preannunziato: “Il Figlio dell’uomo… lo consegneranno ai pagani” (Mc 10, 33). Infine Pilato lo riconsegna ai Giudei, perché sia crocifisso (Gv 19, 16). Contemplo tutti questi passaggi, osservo il mio re legato, incatenato, come mi fa notare l’evangelista Gv sia in 18, 12 che 18, 24; mi metto in ginocchio, mi piego davanti a lui e chiedo al Signore che mi sia dato il coraggio di seguire questi passaggi drammatici, ma meravigliosi, che sono come un unico canto d’amore di Gesù per noi, il suo sì ribadito all’infinito per la nostra salvezza. Il Vangelo mi accompagna dolcemente dentro questa notte unica, nella quale Gesù è consegnato per me, come Pane, come Vita fatta carne, come amore condiviso in tutto. “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva consegnato, prese del pane e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi” (1 Cor 11, 23). E allora comprendo che per me, la felicità, è nascosta anche dentro queste catene, questi legami, con Gesù, con il gran re ed è nascosta in questi continui passaggi, di consegna in consegna, alla volontà, all’amore del Padre mio.

Gesù, il re Messia

Torno di nuovo sul dialogo di Gesù con Pilato, su questo interrogatorio così misterioso e strano e in particolare noto che prima Pilato chiama Gesù “il re dei Giudei” e poi solo “re”, come se ci fosse un cammino, una comprensione sempre più piena e vera del Signore Gesù. “Re dei Giudei” è una formula usata con grande ricchezza di significato dal popolo ebraico del tempo e racchiude in sé il fondamento, il nucleo della fede e dell’attesa di Israele: essa significa, chiaramente, il Messia. Gesù è interrogato e giudicato riguardo al suo essere o non essere il Messia. Gesù è il Messia del Signore, il suo Unto, il suo Consacrato, è il servo, mandato nel mondo proprio per questo, per realizzare in Sé, nella sua persona e nella sua vita, tutte le parole dette dai profeti, dalla legge e dai salmi, riguardo a Lui. Parole di persecuzione, di sofferenza, di pianto, ferite e sangue, parole di morte per Gesù, per l’Unto del Signore, che è il nostro respiro, colui alla cui ombra vivremo fra le nazioni, come dice il profeta Geremia (Lam 4, 20). Parole che raccontano di trabocchetti, di insurrezioni, congiure (Sal 2, 2), lacci. Lo vediamo sfigurato, come uomo dei dolori; ormai irriconoscibile, se non da parte di quell’amore, che, come Lui, ben conosce il patire. “Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso!” (At 2, 36). Sì, è un re legato, il mio, un re consegnato, buttato via, disprezzato; è un re unto per la battaglia, ma unto per perdere, per sacrificarsi, per essere crocifisso, immolato come agnello. Questo è il Messia: il re che ha come trono la croce, come porpora il suo sangue versato, come reggia i cuori degli uomini, poveri come Lui, ma fatti ricchi e consolati da una continua risurrezione. Questi sono i nostri tempi, i tempi della consolazione da parte del Signore, nei quali egli manda incessantemente il Signore Gesù, colui che egli ci ha destinato come Messia.

Gesù, il re martire

“Sono venuto per rendere testimonianza alla verità”, dice Gesù, usando un termine molto forte, che racchiude in sé il significato di martirio, in greco. Il testimone è il martire, colui che afferma con la vita, col sangue, con tutto ciò che è e che ha, la verità in cui crede. Gesù testimonia la verità, che è la Parola del Padre (Gv 17, 17) e per questa Parola egli dà la vita. Vita per vita, parola per parola, amore per amore. Gesù è l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio (Ap 3, 14); in Lui c’è solo il sì, per sempre e da sempre e in questo sì Egli ci offre tutta la verità del Padre, di se stesso, dello Spirito e in questa verità, in questa luce, egli fa di noi il suo regno. “Quanti confidano in lui, comprenderanno la verità; coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell’amore” (Sap 3, 8-9). Non cerco altre parole, ma rimango solamente presso il Signore, sul suo seno, come Giovanni, in quella notte; così egli diventa il mio respiro, il mio sguardo, il mio sì, detto al Padre, detto ai fratelli, come testimonianza d’amore. Lui è il fedele, Lui è il presente, Lui è la Verità che io ascolto e dalla quale mi lascio solo trasformare.

6. Salmo 20

Canto di ringraziamento per la vittoria che ci viene da Dio 

Rit. Grande, Signore, il tuo amore per noi! Signore, il re gioisce della tua potenza, quanto esulta per la tua salvezza!  Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore,  non hai respinto il voto delle sue labbra. Gli vieni incontro con larghe benedizioni;  gli poni sul capo una corona di oro fino. Vita ti ha chiesto, a lui l’hai concessa,  lunghi giorni in eterno, senza fine. Grande è la sua gloria per la tua salvezza,  lo avvolgi di maestà e di onore; 

lo fai oggetto di benedizione per sempre,  lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.

Perché il re confida nel Signore:  per la fedeltà dell’Altissimo non sarà mai scosso.  Alzati, Signore, in tutta la tua forza;  canteremo inni alla tua potenza.

7. Orazione finale

Padre, ti lodo, ti benedico, ti ringrazio perché mi hai condotto insieme al tuo Figlio Gesù nel pretorio di Pilato, in questa terra straniera e ostile, eppure terra di rivelazione e di luce. Solo tu, con il tuo amore infinito, sai trasformare ogni lontananza e ogni buio in luogo di incontro e di vita. 

Grazie perché hai fatto sorgere il tempo santo della consolazione, nel quale mandi il tuo Agnello, seduto sul trono, come re immolato e vivente; il suo sangue è rugiada ristoratrice, è unzione di salvezza. Grazie perché Lui mi parla sempre e mi canta la tua verità, che è solo amore e misericordia; vorrei essere uno strumento nelle mani del re, di Gesù, per trasmettere a tutti le note consolatrici della tua Parola. Padre, ti ho ascoltato, oggi, in questo Vangelo, ma ti prego, fa che le mie orecchie non si stacchino mai da te, dal tuo Figlio, dal tuo Spirito. 

Fammi rinascere, così, dalla verità, per essere testimone della verità.

 


 
 

 

Preghiera a San Michele Arcangelo, 
da recitarsi al termine della S. Messa

 

 

Il 13 ottobre 1884, al termine della celebrazione della S. Messa, Leone XIII udì una voce dal timbro gutturale e profondo che diceva: “Posso distruggere la tua Chiesa: per far questo ho bisogno di più tempo e di più potere” Il Papa udì anche una voce più aggraziata che domandava: “Quanto tempo? Quanto potere?”
La voce gutturale rispose: “Dai settantacinque ai cento anni e un più grande potere su coloro che si consegnano al mio servizio”; la voce gentile replicò: “Hai il tempo…” Profondamente turbato, Leone XIII dispose che una speciale preghiera, da lui stesso composta, venisse recitata al termine della S. Messa.

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia: sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo.
Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli.
E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina,
ricaccia nell’Inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime.
Amen.

 


 
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