Lectio del giorno all’Oasi di Engaddi 1-7_Novembre-2021

 

Lunedì, 1 Novembre 2021  

Le Beatitudini

1. LECTIO

a) Preghiera iniziale 

O Signore, cercare la tua Parola, che ci è venuta incontro in Cristo, è tutto il senso della nostra vita. Rendici capace di accogliere la novità del vangelo delle Beatitudini, così la mia vita può cambiare. Di te, Signore, non potrei sapere nulla, se non ci fosse la luce delle parole del tuo Figlio Gesù, venuto per ‘raccontarci’ le tue meraviglie. Quando sono debole, appoggiandomi a Lui, Verbo di Dio, divento forte. Quando mi comporto da stolto, la sapienza del suo vangelo mi restituisce il gusto di Dio, la soavità del suo amore. E mi guida per i sentieri della vita. Quando appare in me qualche deformità, riflettendomi nella sua Parola l’immagine della mia personalità diventa bella. Quando la solitudine tenta di inaridirmi, unendomi a lui nel matrimonio spirituale la mia vita diventa feconda. E quando mi scopro in qualche tristezza o infelicità, il pensiero di Lui, quale unico mio bene, mi schiude il sentiero della gioia. Un testo che riassume in modo forte il desiderio della santità, quale ricerca intensa di Dio e ascolto dei fratelli è quello di Teresa di Gesù Bambino: «Se tu sei niente, non dimenticare che Gesù è tutto. Devi dunque perdere il tuo piccolo nulla nel suo infinito tutto e non pensare più che a questo tutto unicamente amabile…» (Lettere, 87, a Maria Guérin). b) Lettura: Matteo 5,1-12 

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». 

c) Momenti di silenzio orante 

Per essere raggiunti dalla parola di Cristo e perché la Parola fatta carne, che è Cristo, possa abitare i nostri cuori e noi vi possiamo aderire, è necessario che ci sia ascolto e silenzio profondo. Solo in cuori silenziosi la Parola di Dio può nascere anche in questa solennità dei Santi e, anche oggi, prendere carne.

2. MEDITATIO

a) La Parola s’illumina – Contesto 

La parola di Gesù sulle beatitudini che Matteo ha attinto dalle sue fonti era condensata in brevi e isolate frasi e l’evangelista l’ha inserita in un discorso di più ampio respiro; è quello che gli studiosi della Bibbia chiamano “discorso della montagna” (capitoli 5-7). Tale discorso viene considerato come lo statuto o la magna charta che Gesù ha affidato alla sua comunità come parola normativa e vincolante per definirsi cristiana.

I vari temi della parola di Gesù contenuti in questo lungo discorso non sono una somma o agglomerato di esortazioni, ma piuttosto indicano con chiarezza e radicalità quale deve essere il nuovo atteggiamento da tenere verso Dio, verso se stessi e verso il fratello. Alcune espressioni di tale insegnamento di Gesù possono apparire esagerate, ma sono utilizzate per dare un’immagine più viva della realtà e quindi realistiche nel contenuto, anche se non nella forma letteraria: per esempio ai vv.29-30: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella

Geenna». Tale modo di esprimersi sta a indicare l’effetto che si vuole creare sul lettore, il quale deve intendere rettamente le parole di Gesù per non travisarne il senso.

La nostra attenzione per esigenze liturgiche si sofferma sulla prima parte del “discorso della montagna”, quella appunto che s’apre con la proclamazione delle beatitudini (Mt

5,1-12). 

b) Alcuni particolari 

Matteo introduce il lettore ad ascoltare le beatitudini pronunciate da Gesù con una ricca concentrazione di particolari. Innanzitutto viene indicato il luogo nel quale Gesù pronuncia il suo discorso: “Gesù salì sulla montagna” (5,1). Per tale motivo gli esegeti lo definiscono “discorso della montagna” a differenza di Luca che lo inserisce nel contesto di un luogo pianeggiante (Lc 6,20-26). L’indicazione geografica della “montagna” potrebbe alludere velatamente a un episodio dell’AT molto simile al nostro: è quando Mosè promulga il decalogo sulla montagna del Sinai. Non si esclude che Matteo intenda presentare al lettore la figura di Gesù, nuovo Mosè, che promulga la legge nuova.

Un altro particolare che ci colpisce è la posizione fisica in cui Gesù pronunzia le sue parole: “e, messosi a sedere”. Tale atteggiamento conferisce alla sua persona una nota di autorità mentre legifera. Lo circondano i discepoli e le “folle”: tale particolare intende mostrare che Gesù nel pronunziare tali parole le ha rivolte a tutti e che sono da considerarsi attuabili per ogni ascoltatore. Va notato che il discorso di Gesù non presenta degli atteggiamenti di vita impossibili, né che essi siano diretti a un gruppo di persone speciali o particolari, né mirano a fondare un’etica esclusivamente dall’indirizzo interiore. Le esigenze propositive di Gesù sono concrete, impegnative e decisamente radicali.

C’è qualcuno che ha cosi stigmatizzato il discorso di Gesù: «Per me, è il testo più importante della storia umana. S’indirizza a tutti, credenti e non, e rimane dopo venti secoli, l’unica luce che brilla ancora nelle tenebre di violenza, di paura, di solitudine in cui è stato gettato l’Occidente dal proprio orgoglio ed egoismo» (Gilbert Cesbron).

Il termine “beati” (in greco makarioi) nel nostro contesto non esprime un linguaggio “piano”, ma un vero e proprio grido di felicità, diffusissimo nel mondo della bibbia. Nell’AT, per esempio, vengono definite persone “felici” coloro che vivono le indicazioni della Sapienza (Sir 25,7-10). L’orante dei Salmi definisce “felice” chi “teme”, più precisamente chi ama, il Signore, esprimendolo nell’osservanza delle indicazioni contenute nella parola di Dio (Sal 1,1; 128,1).

L’originalità di Matteo consiste nell’aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine: ad esempio, l’affermazione principale “beati i poveri in spirito” è illustrata da una frase aggiunta “perché di essi è il regno dei cieli”. Un’altra differenza rispetto all’AT: Gesù annuncia una felicità che salva nel presente e senza limitazioni. Inoltre, per Gesù, tutti possono accedere alla felicità, a condizione che si stia uniti a Lui.  c) Le prime tre beatitudini 

“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. 

Il primo grido riguarda i poveri. Il lettore ne resta scioccato: come è possibile che i poveri possano essere felici? Il povero nella Bibbia è colui che si svuota di sé e soprattutto rinuncia alla presunzione di costruire il suo presente e futuro in modo autonomo per lasciare, invece, più spazio e attenzione al progetto di Dio e alla sua Parola. Il povero, sempre in senso biblico, non è un uomo chiuso in se stesso, miserabile, rinunciatario, ma nutre apertura a Dio e agli altri. Dio rappresenta tutta la sua ricchezza. Potremmo dire con s.Teresa d’Avila: felici sono coloro che fanno esperienza del “Dio solo basta!”, nel senso che sono ricchi di Dio.

Un grande autore spirituale del nostro tempo ha così descritto il senso vero di povertà: «Finché l’uomo non svuota il suo cuore, Dio non può riempirlo di sé. Non appena e nella misura che di tutto vuoti il tuo cuore, il Signore lo riempie. La povertà è il vuoto non solo per quanto riguarda il futuro, ma anche per quanto riguarda il passato. Nessun rimpianto o ricordo, nessuna ansia o desiderio. Dio non è nel passato, Dio non è nel futuro: Egli è la presenza! Lascia a Dio il tuo passato, lascia a Dio il tuo futuro. La tua povertà è vivere nell’atto che vivi, la Presenza pura di Dio che è l’Eternità» (Divo Barsotti).

È la prima beatitudine, non solo perché dà inizio alla serie, ma perché sembra condensarle nella varie specificità. 

“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”. 

Si può essere nel pianto per un grande dolore o sofferenza. Tale stato d’animo sottolinea che si tratta di una situazione grave anche se non vengono indicati i motivi per identificarne la causa. Volendo identificare nell’oggi l’identità di questi “nel pianto” si potrebbe pensare a tutti quei cristiani che hanno a cuore le istanze del regno e soffrono per tante negatività presenti nella Chiesa; invece di attendere alla santità, la chiesa presenta divisioni e lacerazioni. Ma possono essere anche coloro che sono afflitti per i loro peccati e inconsistenze e che, in qualche modo, rallentano il cammino della conversione. A queste persone solo Dio può portare la novità della “consolazione”. 

“Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”. 

La terza beatitudine riguarda la mitezza. Un atteggiamento, oggi, poco popolare. Anzi per molti ha una connotazione negativa e viene scambiata per debolezza o per quella imperturbabilità di chi sa controllare per calcolo la propria emotività. Qual è il significato del termine “miti” nella Bibbia? I miti vengono ricordati come persone che godono di una grande pace (Sal 37,10), ritenute felici, benedette, amate da Dio. E nello stesso tempo vengono contrapposte ai malvagi, agli empi, ai peccatori. Quindi l’AT presenta una ricchezza di significati che non ci permettono una definizione univoca.

Nel NT il primo testo che ci viene incontro è Mt 11,29: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Un secondo è in Mt 21,5, Matteo nel riportare l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, cita la profezia di Zaccaria 2,9: “Ecco il tuo servo viene a te mite”.

Davvero, quello di Matteo, potrebbe essere definito il vangelo della mitezza.

Anche Paolo ricorda la mitezza come un atteggiamento specifico dell’essere cristiano. In 2Corinti 10,1 esorta i credenti “per la benignità e la mitezza di Cristo”. In Galati 5,22 la mitezza è considerata un frutto dello Spirito Santo nel cuore dei credenti e consiste nell’essere mansueti, moderati, lenti nel punire, dolci, pazienti verso gli altri. E ancora in Efesini 4,32 e Colossesi 3,12 la mitezza è un comportamento che deriva dall’essere cristiani ed è un segno che caratterizza l’uomo nuovo in Cristo.

E infine, un’indicazione eloquente ci viene dalla 1ª lettera di Pietro (3,3-4): “Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati in collane d’oro, sfoggio di vestiti -, cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace, ecco ciò che è prezioso davanti a Dio”.

Nel discorso di Gesù che significato ha il termine “miti”? Davvero illuminante è la definizione dell’uomo mite offerta dal Cardinale Carlo Maria Martini: “L’uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l’ardore dei suoi sentimenti, rimane duttile e sciolto, non possessivo, internamente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l’uomo, e muove l’uomo all’obbedienza e all’amore senza mai usargli violenza. La mitezza si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale, è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione”.

A questa sapiente interpretazione aggiungiamo quella di un altro illustre esegeta: “La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell’aspetto dell’umiltà che si manifesta nell’affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello nella persona di Gesù, mite ed umile di cuore. In fondo tale mitezza ci appare come una forma di carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui” (Jacques Dupont).  d) Alcune domande per meditare 

  • So accettare quei piccoli segni di povertà che possono riguardarmi? Ad esempio la povertà della salute, piccole indisposizioni? Ho pretese esorbitanti?
  • So accettare qualche aspetto della mia povertà e fragilità? – So pregare come un povero, come uno che chiede con umiltà la grazia di Dio, il suo perdono, la sua misericordia?
  • Ispirato dal messaggio di Gesù sulla mitezza, so rinunciare alla violenza, alla rivalsa, allo spirito vendicativo?
  • So coltivare, in famiglia e sul posto di lavoro, uno spirito di dolcezza, di mitezza e di pace?
  • Rispondo con il male alle piccole malignità, alle insinuazioni, alle allusioni offensive?
  • So essere attento ai più deboli, che sono incapaci di difendersi? Sono paziente con gli anziani? Accogliente verso gli stranieri soli, i quali spesso sono sfruttati sul lavoro?

3. ORATIO

a) Salmo 23 

Il salmo pare ruotare attorno a un titolo: “Il Signore è il mio pastore”. I santi sono l’immagine del gregge in cammino: essi sono accompagnati dalla bontà e lealtà di Dio, finché giungono definitivamente alla casa del Padre. (L. Alonso Schökel, I salmi della fiducia, Dehoniana libri, Bologna 2006, 54).

Il Signore è il mio pastore: 

non manco di nulla;  su pascoli erbosi mi fa riposare  ad acque tranquille mi conduce.

Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,  per amore del suo nome.

Se dovessi camminare in una valle oscura,  non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro  mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa  sotto gli occhi dei miei nemici;  cospargi di olio il mio capo.

Il mio calice trabocca.

Felicità e grazia mi saranno compagne  tutti i giorni della mia vita,  e abiterò nella casa del Signore  per lunghissimi anni.  b) Preghiera finale 

Signore Gesù, tu ci indichi il sentiero delle beatitudini per giungere a quella felicità che è pienezza di vita e quindi santità. Tutti siamo chiamati alla santità, ma il tesoro per i santi è solo Dio. La tua Parola, o Signore, chiama santi tutti coloro che nel battesimo sono stati scelti dal tuo amore di Padre, per essere conformati a Cristo. Fa’, o Signore, che per tua grazia sappiamo realizzare questa conformità a Cristo Gesù. Ti ringraziamo, Signore, per i tuoi santi che hai posto nel nostro cammino come manifestazione del tuo amore. Ti chiediamo perdono se abbiamo sfigurato in noi il tuo volto e rinnegato la nostra chiamata ad essere santi.

  1. CONTEMPLATIO

In silenzio lasciamo la Parola di Dio nascere e prendere carne nel nostro cuore.


 

Martedì, 2 Novembre 2021

Il pane della vita

1. LECTIO

O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l‟amore per te e ravviva la nostra fede, perché si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza. 

Per il nostro Signore Gesù Cristo… a) Orazione iniziale 

Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano (Ez 37, 9); vieni Spirito Santo, soffia nella nostra mente, nel nostro cuore, nella nostra anima, affinché diventiamo in Cristo una creazione nuova, primizia della vita eterna. Amen. b) Lettura del vangelo: Giovanni 6,37-40

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 

E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 

Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».  c) Momenti di silenzio orante  perché la Parola di Dio possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.

2. MEDITATIO

a) Chiave di lettura

Nel vangelo di Giovanni, il punto di vista fondamentale su Gesù e la sua missione è che il Verbo fatto carne viene mandato dal Padre nel mondo a darci la vita e a salvare ciò che era perduto. Il mondo da parte sua rifiuta il Verbo incarnato. Il Prologo del vangelo ci presenta questo pensiero (Gv 1,1-18), che successivamente l’evangelista continuerà ad elaborare nel racconto evangelico. Anche i vangeli sinottici, a loro modo, annunciano questa novella. Si pensi alle parabole della pecora smarrita e della dramma perduta (Lc 15,1-10); oppure alla dichiarazione: non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori (Mc 2,17).

Tale linea di pensiero la troviamo anche in questo brano: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6,38). Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna (Gv 6,40). Parole chiavi del vangelo di Giovanni sono: vedere e credere. Vedere, implica e significa automaticamente credere nel Figlio mandato dal Padre. Con questo atteggiamento di fede il credente possiede già la vita eterna. Nel vangelo di Giovanni, la salvezza del mondo si compie già nella prima venuta di Cristo tramite l’incarnazione e con la risurrezione di colui che si lascia elevare sulla croce. Il secondo ritorno di Cristo nell’ultimo giorno sarà un completamento di questo mistero della salvezza.

Il brano del vangelo di oggi è tratto dalla sessione che parla del ministero di Gesù (Gv 1-

12). 

Il testo ci porta nella Galilea, al tempo di Pasqua, la seconda del testo giovanneo: Dopo questi fatti, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea… Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei (Gv 6,1,4). Una grande folla lo seguiva (Gv 6,2) e Gesù, vedendo le folle dietro a lui, moltiplica i pani. La folla lo vuole proclamare re, ma Gesù fugge e si ritira sulla montagna tutto solo (Gv 6,15). Dopo una breve pausa che ci fa contemplare il Signore che cammina sulle acque (Gv 6,16-21), il racconto prosegue il giorno dopo (Gv 6,22), con la folla che continua ad aspettare e a cercare Gesù. Segue poi il discorso sul pane della vita e l’ammonimento di Gesù a procurare il cibo che rimane per sempre (Gv 6,27). Gesù definisce se stesso come il pane della vita, facendo riferimento alla manna data al popolo da Dio tramite Mosè, come una figura del vero pane che scende dal cielo e dà la vita al mondo (Gv 6,30-36). Ecco l’ambito in cui risuonano le parole di Gesù che stiamo ascoltando nella nostra Lectio (Gv 6,37-40). In questo contesto troviamo poi una nuova opposizione e un nuovo rifiuto della rivelazione di Cristo come pane della vita (Gv 6,4166).

Le parole di Gesù su colui che va a lui, fanno eco all’invito di Dio perché si partecipi ai beni del banchetto dell’alleanza (Is 55,1-3). Gesù non respinge quelli che vanno a lui ma dà loro la vita eterna. La sua missione è infatti di cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19,27). 

Questo ci ricorda il racconto dell’incontro di Gesù con la Samaritana vicino al pozzo di

Giacobbe (Gv 4,1-42). Gesù non respinge la Samaritana, ma incomincia un dialogo ‘pastorale’ con la donna che viene al pozzo per l’acqua materiale e lì trova l’uomo, il profeta e il Messia che le promette l’acqua della vita eterna (Gv 4,13-15). Abbiamo nel racconto la stessa struttura: da una parte la gente cerca il pane materiale e d’altra parte, invece, si fa, da parte di Gesù, tutto un discorso spirituale sul pane della vita. Anche la testimonianza di Gesù che mangia il pane della volontà di Dio (Gv 4,34) riecheggia ciò che il Maestro insegna in questo brano evangelico (Gv 6,38).

Nell’ultima cena Gesù riprende ancora tutto questo discorso nel capitolo 17. È lui che dà la vita eterna (Gv 17,2), conserva e custodisce tutti coloro che il Padre gli ha dato. Di questi nessuno è andato perduto tranne il figlio della perdizione (Gv 17,12-13).  b) Alcune domande  per orientare la meditazione e l’attualizzazione. 

  • Il Verbo fatto carne viene mandato dal Padre nel mondo a darci la vita, ma il mondo rifiuta il Verbo incarnato. Accetto nella mia vita il Verbo divino che dà la vita eterna? Come?
  • “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38). In Gesù si vede l’obbedienza alla volontà del Padre. Interiorizzo questa virtù nella mia vita per viverla quotidianamente?
  • Chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna (Gv 6,40). Chi è Gesù per me? Cerco di vederlo con gli occhi della fede, ascoltando le sue parole, contemplando il suo modo di essere? Che cosa significa per me la vita eterna?

3. ORATIO

a) Salmo 23

Il Signore è il mio pastore: 

non manco di nulla;  su pascoli erbosi mi fa riposare  ad acque tranquille mi conduce.

Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,  per amore del suo nome.

Se dovessi camminare in una valle oscura, 

non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro  mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa  sotto gli occhi dei miei nemici;  cospargi di olio il mio capo.

Il mio calice trabocca.

Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita,  e abiterò nella casa del Signore  per lunghissimi anni.  b) Preghiera finale 

O Dio, che alla mensa della tua parola e del pane della vita ci nutri per farci crescere nell’amore. Donaci di accogliere il tuo messaggio nel nostro cuore per divenire nel mondo lievito e strumento di salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.

4. CONTEMPLATIO

La contemplazione è il saper aderire col cuore e la mente al Signore che con la sua Parola ci trasforma in persone nuove che compiono sempre il suo volere. “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica” (Gv 13,17).


 

Mercoledì, 3 Novembre 2021 

Tempo ordinario

Preghiera

Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 14,25-33

In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. 

Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. 

Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. 

Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.

Riflessione

  • Il vangelo di oggi parla del discepolato e presenta le condizioni per essere discepolo o discepola di Gesù. Gesù è in cammino verso Gerusalemme, dove morirà presto in Croce. Questo è il contesto in cui Gesù colloca le parole di Gesù sul discepolato.
  • Luca 14,25: Esempio di catechesi. Il vangelo di oggi è un bell’esempio di come Luca trasforma le parole di Gesù in catechesi per la gente delle comunità. Lui dice: “Molta gente andava con lui. Gesù si voltò e disse”. Gesù parla a grandi folle, cioè parla a tutti, anche alle persone delle comunità del tempo di Luca e parla oggi per noi. Nell’insegnamento che segue Gesù pone le condizioni per colui che vuole essere suo discepolo.
  • Luca 14,25-26: Prima condizione: odiare il padre e la madre. Alcuni attenuano la forza della parola odiare e traducono “preferire Gesù ai propri genitori”. Il testo originale usa l’espressione “odiare i genitori”. In un altro posto Gesù ordina di amare e di rispettare i genitori (Lc 18,20). Come spiegare questa contraddizione? Ma è una contraddizione? Al tempo di Gesù la situazione sociale e economica portava le famiglie a rinchiudersi in sé e impediva loro di compiere la legge del riscatto (goel), cioè di soccorrere i fratelli e le sorelle della comunità (clan) che erano minacciati di perdere la loro terra o di cadere nella schiavitù (cf. Dt 15,1-18; Lv 25,23-43). Chiuse in sé stesse, le famiglie indebolivano la vita in comunità. Gesù vuole ricostruire la vita in comunità. Per questo chiede di superare la visione ristretta della piccola famiglia che si chiude in se stessa e chiede alle famiglie di aprirsi e di unirsi tra loro in una grande famiglia, in comunità. Questo è il senso di odiare il padre e la madre, la moglie, i figli, le sorelle ed i fratelli. Gesù stesso, quando i genitori della sua piccola famiglia vogliono riportarlo a Nazaret, non risponde alla loro richiesta. Ignora o odia la loro richiesta ed allarga la famiglia dicendo: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,20-21.31-35). I vincoli familiari non possono impedire la formazione della Comunità. Questa è la prima condizione.
  • Luca 14,27: Seconda condizione: portare la croce. “Chi non porta la croce e non viene dietro a me, non può essere discepolo mio”. Per capire bene la portata di questa seconda esigenza dobbiamo guardare il contesto in cui Luca colloca questa parola di Gesù. Gesù sta andando verso Gerusalemme per essere crocifisso e morire. Seguire Gesù e portare la croce dietro di lui significa andare con lui fino a Gerusalemme per essere crocifisso con lui. Ciò evoca l’atteggiamento delle donne che “lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (Mc 15,41). Evoca anche la frase di Paolo nella lettera ai Galati: “Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14).
  • Luca 14,28-32: Due parabole. Le due hanno lo stesso obiettivo: fare in modo che le persone pensino bene prima di prendere una decisione. Nella prima parabola dice: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha

i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro!” Questa parabola non ha bisogno di spiegazione. Parla da sé: che ognuno rifletta bene sul suo modo di seguire Gesù e si chiede se valuta bene le condizioni prima di prendere la decisione di essere discepolo di Gesù.

La seconda parabola: “Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace”. Questa parabola ha lo stesso scopo della precedente. Alcuni chiedono: “Come mai Gesù si serve di un esempio di guerra?” La domanda è pertinente per noi che oggi conosciamo le guerre. La seconda guerra mondiale (1939 – 1945) causò la morte di ben 54 milioni di persone! In quel tempo, però, le guerre erano come la concorrenza commerciale tra le imprese di oggi che lottano tra di esse per ottenere maggiore guadagno. 

  • Luca 14,33: Conclusione per il discepolato. La conclusione è una sola: essere cristiano, seguire Gesù, è una cosa seria. Per molta gente, oggi, essere cristiano non è una scelta personale, e nemmeno una decisione di vita, ma un semplice fenomeno culturale. Non viene loro in mente di fare una scelta. Chi nasce brasiliano è brasiliano. Chi nasce giapponese è giapponese. Non deve scegliere. E’ nato e morirà così. Molta gente è cristiana perché nacque così e così è morta, senza aver mai avuto l’idea di scegliere e di assumere ciò che già è per nascita.

Per un confronto personale

  • Essere cristiano è una cosa seria. Devo calcolare bene il mio modo di seguire Gesù. Come avviene questo nella mia vita?
  • “Odiare i genitori”, comunità o famiglia! Come combino le due cose? Sono capace di armonizzarle?

Preghiera finale

Il Signore è mia luce e mia salvezza,  di chi avrò paura? 

Il Signore è difesa della mia vita,  di chi avrò timore? (Sal 26)


 

Giovedì, 4 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. 

Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 15,1-10

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. Allora egli disse loro questa parabola: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 

Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 

Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. 

O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. 

Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”.

Riflessione

  • Il vangelo di oggi riporta la prima delle tre parabole che hanno in comune la stessa parola. Si tratta di tre cose perdute: la pecora perduta (Lc 15,3-7), la moneta perduta (Lc 15,8-10), il figlio perduto (Lc 15.11-32). Le tre parabole sono dirette ai farisei ed ai dottori della legge che criticavano Gesù (Lc 15,1-3). Cioè sono dirette al fariseo e al dottore della legge che c’è in ognuno di noi.
  • Luca 15,1-3: I destinatari delle parabole. Questi tre primi versi descrivono il contesto in cui furono pronunciate le tre parabole: “In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano”. Da un lato, si trovavano i pubblicani e i peccatori; dall’altro i farisei e i dottori della legge. Luca dice con un po’ di enfasi: “Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo”. Qualcosa di Gesù li attirava. E’ la sua parola che li attira (cf Is 50,4). Vogliono ascoltarlo. Segno questo che non si sentono condannati, bensì accolti da lui. La critica dei farisei e degli scribi è questa: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro!” Nell’invio dei settanta e due discepoli (Lc 10,1-9), Gesù aveva comandato di accogliere gli esclusi, i malati ed i posseduti (Mt 10,8; Lc 10,9) e di riunirli per il banchetto (Lc 10,8).
  • Luca 15,4: Parabola della pecora perduta. La parabola della pecora perduta inizia con una domanda: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?” Prima di dare una risposta, Gesù deve aver guardato chi lo ascoltava per vedere come avrebbero risposto. La domanda è formulata in modo che la risposta non può essere che positiva: “Sì, va dietro la pecora perduta!” E tu, come risponderesti? Lasceresti le novanta nove nel campo per andare dietro l’unica che si è persa? Chi farebbe questo? Probabilmente la maggior parte avrebbe risposto: “Gesù, qui tra noi, nessuno farebbe una cosa così assurda. Dice il proverbio: “Meglio un passero in mano che cento che volano!”
  • Luca 15,5-7: Gesù interpreta la parabola della pecorella perduta. Ora, nella parabola il padrone delle pecore fa ciò che nessuno farebbe: lascia tutto e va dietro la pecora perduta. Solo Dio può assumere un tale atteggiamento! Gesù vuole che il fariseo o lo scriba che c’è in noi, ne prenda coscienza. I farisei e gli scribi abbandonavano i peccatori e li escludevano. Loro non sarebbero mai andati dietro la pecora perduta. L’avrebbero lasciata perdere nel deserto. Preferivano le novantanove. Ma Gesù si mette nella pelle della pecora che si è perduta e che, in quel contesto della religione ufficiale, cadrebbe nella disperazione, senza speranza di essere accolta. Gesù fa sapere a loro e a noi: “Se ti senti peccatore, perduto, ricorda che per Dio tu vali più delle altre novanta nove pecore. E nel caso in cui ti converta, sappi che “ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.
  • Luca 15,8-10: Parabola della moneta perduta. La seconda parabola: “O quale donna, se ha dieci dracme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dracma che avevo perduta. Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”. Dio si rallegra con noi. Gli angeli si rallegrano con noi. La parabola serve per comunicare speranza a chi era minacciato dalla disperazione della religione ufficiale. Questo messaggio evoca ciò che Dio ci dice nel libro del profeta Isaia: “Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani!” (Is 49,16). “Tu sei prezioso ai miei occhi, e io ti amo!” (Is 43,4)

Per un confronto personale

  • Tu andresti dietro la pecora perduta?
  • Pensi che oggi la Chiesa è fedele a questa parabola di Gesù?

Preghiera finale

Cercate il Signore e la sua potenza,  cercate sempre il suo volto. 

Ricordate le meraviglie che ha compiute,  i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca. (Sal 104)


 

Venerdì, 5 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera

Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 16,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. 

L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? 

Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. 

Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? 

Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. 

Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.

Riflessione

  • Il vangelo di oggi presenta una parabola che riguarda l’amministrazione dei beni e che troviamo solamente nel vangelo di Luca. E’ chiamata La parabola dell’amministratore disonesto. Parabola sconcertante. Luca dice: “Il padrone lodò l’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”. Il padrone è Gesù stesso e non l’amministratore. Come mai Gesù loda un impiegato corrotto?
  • Luca 16,1-2: L’amministratore è minacciato di rimanere senza lavoro. “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore”. L’esempio tratto dal mondo del commercio e del lavoro parala da sé. Allude alla corruzione esistente. Il padrone scopre la corruzione e decide di mandar via l’amministratore disonesto. Costui si trova, improvvisamente, in una situazione di emergenza, obbligato dalle circostanze impreviste a trovare un’uscita per poter sopravvivere. Quando Dio si rende presente nella vita di una persona, lì, improvvisamente tutto cambia e la persona si trova in una situazione di emergenza. Dovrà prendere una decisione e trovare un’uscita.
  • Luca 16,3-4: Cosa fare? Qual è l’uscita? “L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno”. Lui comincia a riflettere per scoprire una soluzione. Analizza, una ad una, le alternative possibili: zappare o lavorare la terra per sopravvivere, pensa che per questo non ha forza e per mendicare si vergogna. Analizza le cose. Calcola bene le alternative possibili. “So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.” Si tratta di garantire il suo futuro. L’amministratore è coerente con il suo modo di pensare e di vivere.
  • Luca 16,5-7: Esecuzione della soluzione trovata. “Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Nella sua totale mancanza di etica l’amministratore fu coerente. Il criterio della sua azione non è l’onestà e la giustizia, né il bene del padrone da cui dipende per vivere e per sopravvivere, ma il suo proprio interesse. Lui vuole la garanzia di avere qualcuno che lo riceva a casa sua.
  • Luca 16,8: Il Signore loda l’amministratore disonesto. Ed ecco la conclusione sconcertante: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. La parola Signore indica Gesù e non l’uomo ricco. Costui non elogerebbe mai un impiegato disonesto con lui nel servizio e che ora ruba più di 50 barili di olio e 20 sacchi di grano! Nella parabola chi tesse l’elogio è Gesù. Elogia non certo il furto, ma la presenza di spirito dell’amministratore. Seppe calcolare bene le cose e trovare una via di uscita, quando improvvisamente si vide senza lavoro. Come i figli di questo mondo sanno essere esperti nelle loro cose, così anche i figli della luce devono imparare da sé ad essere esperti nella soluzione dei loro problemi, usando i criteri del Regno e non i criteri di questo mondo. “Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10,16).

Per un confronto personale

  • Sono coerente?
  • Quale criterio uso nella soluzione dei miei problemi?

Preghiera finale

Una cosa ho chiesto al Signore,  questa sola io cerco: 

abitare nella casa del Signore  tutti i giorni della mia vita,  per gustare la dolcezza del Signore  ed ammirare il suo santuario. (Sal 26)


 

Sabato, 6 Novembre 2021

Tempo ordinario

Preghiera 

Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.  Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Lettura dal Vangelo secondo Luca 16,9-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Procuratevi amici con l’iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. 

Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. 

Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 

Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona”. 

I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.

Riflessione

  • Il vangelo di oggi riporta alcune parole di Gesù attorno all’uso dei beni. Sono parole e frasi isolate, di cui non conosciamo l’esatto contesto in cui furono pronunciate. Sono state messe qui da Luca per formare una piccola comunità attorno all’uso corretto dei beni di questa vita e per aiutare a capire meglio il senso della parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-8).
  • Luca 16,9: Usare bene il denaro ingiusto. “Procuratevi amici con la iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne“. Nell’Antico Testamento, la parola più antica per indicare il povero è “ani” che significa impoverito. Viene dal verbo “ana”, cioé opprimere, ribassare. Questa affermazione evoca la parabola dell’amministratore disonesto, la cui ricchezza era iniqua, ingiusta. Qui appare il contesto delle comunità del tempo di Luca, cioè, degli anni 80 dopo Cristo. All’inizio le comunità cristiane sorsero tra i poveri (cf. 1Cor 1,26; Gal 2,10). Poco a poco ne entrarono a far parte persone più ricche. L’entrata dei ricchi portò con sé problemi che appaiono nei consigli dati nella lettera di Giacomo (Gi 2,1-6;5,1-6), nelle lettera di Paolo ai Corinzi (1Cor 11,20-21) e nel vangelo di Luca (Lc 6,24). Questi problemi si aggravarono verso la fine del primo secolo, come attesta l’Apocalisse nella sua lettera alla comunità di Laodiceia (Ap 3,17-18). Le frasi di Gesù che Luca conserva sono un aiuto per chiarire e risolvere questo problema.
  • Luca 16,10-12: Essere fedele nel piccolo e nel grande. “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?” Questa frase chiarisce la parabola dell’amministratore disonesto. Lui non fu fedele. Per questo, fu tolto dall’amministrazione. Questa parola di Gesù suggerisce anche come dar vita al consiglio di farsi amici con il denaro ingiusto. Oggi avviene qualcosa di simile. Ci sono persone che parlano bene della liberazione, ma in casa opprimono la moglie e i figli. Sono infedeli nelle cose piccole. La liberazione comincia nel piccolo mondo della famiglia, della relazione giornaliera tra le persone.
  • Luca 16,13: Voi non potete servire Dio e il denaro. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona”. Ognuno di noi dovrà fare una scelta. Dovrà chiedersi: “Chi metto al primo posto nella mia vita: Dio o il denaro?” Al posto della parola denaro ognuno può mettere un’altra parola: macchina, impiego, prestigio, beni, casa, immagine, etc. Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, ma di una scelta ben concreta di vita che comprende gli atteggiamenti.
  • Luca 16,14-15: Critica dei farisei cui piace il denaro. “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”. In un’altra occasione Gesù menziona l’amore di alcuni farisei verso il denaro: “Voi sfruttate le vedove, e rubate nelle loro case e, in apparenza, fate lunghe preghiere” (Mt 23,14: Lc 20,47; Mc 12,40). Loro si lasciavano trascinare dalla saggezza del mondo, di cui Paolo dice: “Considerate, infatti, la vostra chiamata, fratelli; non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,26-28). Ad alcuni farisei piaceva il denaro, come oggi a alcuni sacerdoti piace il denaro. Vale per loro l’avvertimento di Gesù e di Paolo.

Per un confronto personale

  • Tu e il denaro? Che scelta fai?
  • Fedele nel piccolo. Come parli del vangelo e come vivi il vangelo?

Preghiera finale

Beato l’uomo che teme il Signore  e trova grande gioia nei suoi comandamenti.  Potente sulla terra sarà la sua stirpe,  la discendenza dei giusti sarà benedetta. (Sal 111)


 

Domenica, 7 Novembre 2021

Gesù, gli scribi e la vedova 

La contabilità diversa del Regno di Dio 

Marco 12, 38-44

1. Orazione iniziale

Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. 

Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

2. Lettura

  1. a) Chiave di lettura:

Il testo del Vangelo di questa domenica presenta due fatti opposti, legati tra di essi: da un lato la critica di Gesù contro gli scribi che usavano la religione per sfruttare le vedove povere e, dall’altro, l’esempio della vedova povera che dava al Tempio perfino ciò che le era necessario. Fatto questo assai attuale, fino ad oggi!  b) Una divisione del testo per aiutarne la lettura: 

Marco 12,38-40: La critica di Gesù contro il guadagno degli scribi

Marco 12,41-42: Gesù osserva la gente che mette l’elemosina nel tesoro del Tempio  Marco 12,43-44: Gesù rivela il valore del gesto di una povera vedova  c) Il testo: 

38Diceva loro mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave». 41E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. 43Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

  1. Momento di silenzio orante

perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

4. Alcune domande 

per aiutarci nella meditazione e nella orazione. 

  1. Qual’è il punto di questo testo che più ti è piaciuto o che più ti ha colpito? Perché?
  2. Cosa critica Gesù nei dottori della Legge, per cosa li loda?
  3. Quali disuguaglianze sociali e religiose di quell’epoca emergono dal testo?
  4. Come mai i due spiccioli della vedova possono valere di più del molto gettato dai ricchi?

Osserva bene il testo e scopri quanto segue: “Perché Gesù elogia la vedova povera?” e) Qual è il messaggio di questo testo per noi oggi?

5. Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il tema

  1. a) Contesto di ieri e di oggi:
  • Il contesto al tempo di Gesù.

Il testo di Marco 12,38-44 traccia la parte finale dell’attività di Gesù a Gerusalemme (Mc

11,1 a 12,44). Furono giornate molto intense, piene di conflitti: espulsione dei commercianti dal Tempio (Mc 11,12-26), e molte discussioni con le autorità: (Mc 11,27 a 12,12), con i farisei, con gli erodiani ed i sadducei (Mc 12,13-27) e con i dottori della legge (Mc 12,28-37). 

Il testo di questa domenica (Mc 12,38-44) ci presenta un’ultima parola critica di Gesù rispetto al cattivo comportamento dei dottori della legge (Mc 12,38-40) ed una parola di elogio rispetto al buon comportamento della vedova. Al termine quasi della sua attività a Gerusalemme, seduto dinanzi al tesoro dove si raccoglievano le elemosine del Tempio, Gesù chiama l’attenzione dei discepoli sul gesto di una povera vedova ed insegna loro il valore della condivisione (Mc 12,41-44). 

  • Il contesto nel tempo di Marco.

Nei primi quaranta anni della storia della Chiesa, dagli anni 30 ai 70, le comunità cristiane erano, nella loro maggioranza, formate da gente povera (1 Cor 1,26). Poco dopo si aggiunsero anche persone più ricche, o che avevano vari problemi. Le tensioni sociali, che marcavano l’impero romano, cominciarono anche a spuntare nella vita delle comunità. Queste divisioni, per esempio, sorgevano, quando le comunità si riunivano per celebrare la cena (1Cor 11,20-22), o quando si svolgeva la riunione (Gc 2,1-4). Per questo, l’insegnamento del gesto della vedova era per loro molto attuale. Era come guardarsi allo specchio, perché Gesù paragona il comportamento dei ricchi con il comportamento dei poveri. 

  • Il contesto oggi.

Gesù elogia una povera vedova perché sa condividere più di tutti i ricchi. Molti poveri di oggi fanno la stessa cosa. La gente dice: Il povero non lascia mai morire di fame un altro povero. 

Ma a volte nemmeno questo è vero. Donna Cícera, una signora povera che dalla campagna si trasferì nella periferia di una grande città, diceva: “Lì in campagna, io ero molto povera, ma avevo sempre qualche cosa da condividere con un povero che bussava alla porta. Ora che mi trovo in città, quando vedo un povero che viene a battere alla mia porta, mi nascondo per la vergogna perché non ho nulla da condividere!” Da un lato gente ricca che ha di tutto, e dall’altro gente povera che non ha quasi nulla da condividere, tranne il poco che ha.  b) Commento del testo: 

Marco 12,38-40: Gesù critica i dottori della legge. 

Gesù chiama l’attenzione dei discepoli sul comportamento ipocrita e approfittato di alcuni dottori della legge. “Dottori” o Scribi erano coloro che insegnavano alla gente la Legge di Dio. Ma l’insegnavano a parole, perché la testimonianza della loro vita mostrava il contrario. 

A loro piaceva circolare per le piazze con lunghe tuniche, ricevere il saluto della gente, occupare i primi posti nelle sinagoghe e nei luoghi d’onore dei banchetti. Ossia, erano persone che volevano sembrare gente importante. Usavano la loro scienza e la loro professione quale mezzo per salire la scala sociale ed arricchirsi, e non per servire. A loro piaceva entrare nelle case delle vedove e recitare lunghe preghiere in cambio di denaro! E Gesù termina dicendo: “Questa gente riceverà un giudizio severo!”  Marco 12,41-42: L’elemosina delle vedova.

Gesù ed i discepoli, seduti davanti al tesoro del Tempio, osservavano le persone che mettevano nel tesoro la loro elemosina. I poveri gettavano pochi centesimi, i ricchi gettavano monete di grande valore. Il tesoro del Tempio si riempiva di molto denaro. Tutti apportavano qualcosa per la manutenzione del culto, per sostenere i sacerdoti e per la conservazione del tempio stesso. Parte di questo denaro era usato per aiutare i poveri, poiché allora non c’era la previdenza sociale. I poveri dipendevano dalla carità pubblica. I poveri più bisognosi erano gli orfani e le vedove. Loro non avevano nulla. Dipendevano del tutto dalla carità degli altri. 

Ma pur non avendo nulla, loro si sforzavano di condividere con gli altri il poco che avevano. 

Così una vedova molto povera deposita la sua elemosina nel tesoro del tempio. Appena pochi centesimi!

Marco 12,43-44: Gesù mostra dove si manifesta la volontà di Dio.

Cosa vale di più: i due spiccioli della vedova o le mille monete dei ricchi? Per i discepoli, le mille monete dei ricchi erano assai più utili per fare la carità rispetto ai due spiccioli della vedova. Loro pensavano che il problema della gente potesse essere risolto con molto denaro.  

In occasione della moltiplicazione dei pani, loro avevano detto a Gesù: “Signore, cosa vuoi che compriamo con duecento denari per dar da mangiare a tutta questa gente?” (Mc 6,37) Infatti, per coloro che la pensano così, i due spiccioli della vedova non servono a nulla. Ma Gesù dice: “Questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”. Gesù ha criteri diversi. 

Richiamando l’attenzione dei discepoli sul gesto della vedova, insegna dove loro e noi dobbiamo cercare la manifestazione della volontà di Dio, cioè, nella condivisione. Se oggi condividessimo i nostri beni che Dio ha posto nell’universo a disposizione dell’umanità, non ci sarebbero né poveri né fame. Ci sarebbe sufficiente per tutti ed avanzerebbe anche per molti altri.

c) Ampliando le informazioni: Elemosina, condivisione, ricchezza 

La pratica di dare elemosina era molto importante per i giudei. Era considerata una “buona opera” (Mt 6,1-4), poiché la legge del Vecchio Testamento diceva: “Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” (Dt 15,11). Le elemosine, poste nel tesoro del tempio, sia per il culto, sia per la manutenzione del tempio stesso, sia per i bisognosi, gli orfani o le vedove, erano considerati come un’azione a Dio grata. Dare l’elemosina era una forma di condividere con gli altri, un modo di riconoscere che tutti i beni ed i doni appartengono a Dio e che noi siamo solo amministratori di questi doni, in modo che ci sia vita in abbondanza per tutti.

Fu a partire dall’Esodo che il popolo di Israele apprese l’importanza dell’elemosina, della condivisione. La camminata di quaranta anni lungo il deserto fu necessaria per superare il progetto di accumulazione che veniva dal Faraone d’Egitto e che era ben presente nella testa della gente. E’ facile uscire dal paese del Faraone. E’ difficile liberarsi dalla mentalità del Faraone. L’ideologia dei grandi è falsa ed ingannatrice. E’ stato necessario sperimentare la fame nel deserto per imparare che i beni necessari alla vita sono per tutti. E’ questo l’insegnamento della Manna: “Colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava” (Es

16,18).

Ma la tendenza all’accumulazione era continua e molto forte. E rinasce sempre nel cuore umano. Proprio in questa tendenza all’accumulazione si formarono i grandi imperi della storia dell’umanità. Il desiderio di possedere e di accumulare sta proprio nel cuore dell’ideologia di questi imperi o regni umani. Gesù mostra la conversione necessaria per entrare nel Regno di Dio. Dice al giovane ricco: “Vai, vendi tutto ciò che hai, dallo ai poveri” (Mc 10,21). Questa stessa esigenza è ripetuta negli altri vangeli: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma” (Lc 12,3334; Mt 6,9-20). E aggiunge una ragione a questa esigenza: “Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.

La pratica della condivisione, dell’elemosina e della solidarietà è una delle caratteristiche che lo Spirito di Gesù, comunicatoci in Pentecoste (At 2,1-13), vuole realizzare nelle comunità. Il risultato dell’effusione dello Spirito è proprio questo: “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli” (At 4,34-35ª; 2,44-45). Queste elemosine ricevute dagli apostoli non erano accumulate, bensì “poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (At 4,35b; 2,45).

L’entrata dei ricchi nella comunità cristiana, da un lato ha reso possibile l’espansione del cristianesimo, offrendo migliori condizioni al movimento missionario. Ma dall’altra l’accumulazione dei beni bloccava il movimento di solidarietà e della condivisione provocato dalla forza dello Spirito in Pentecoste. Giacomo vuole aiutare queste persone a capire il cammino sbagliato che hanno intrapreso: “E ora a voi, ricchi: piangete e

gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme.” (Gc 5,1-3). Per imparare il cammino del Regno, tutti hanno bisogno di diventare alunni di quella vedova povera, che condivise tutto ciò che aveva il necessario per vivere (Mc 12,41-44).

6. Preghiera di un Salmo 62 (61)

Dio è forza ed è amore  Solo in Dio riposa l’anima mia;  da lui la mia salvezza.

Lui solo è mia rupe e mia salvezza,  mia roccia di difesa: non potrò vacillare. Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,  per abbatterlo tutti insieme,  come muro cadente, come recinto che crolla?

Tramano solo di precipitarlo dall’alto, 

si compiacciono della menzogna. Con la bocca benedicono,  e maledicono nel loro cuore. Solo in Dio riposa l’anima mia,  da lui la mia speranza.

Lui solo è mia rupe e mia salvezza,  mia roccia di difesa: non potrò vacillare. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;  il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio. Confida sempre in lui, o popolo,  davanti a lui effondi il tuo cuore,  nostro rifugio è Dio.

Sì, sono un soffio i figli di Adamo,  una menzogna tutti gli uomini,  insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio. Non confidate nella violenza,  non illudetevi della rapina;  alla ricchezza, anche se abbonda,  non attaccate il cuore. Una parola ha detto Dio,  due ne ho udite: 

il potere appartiene a Dio,  tua, Signore, è la grazia; secondo le sue opere  tu ripaghi ogni uomo.

7. Orazione Finale 

Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

 

 
 

 

Preghiera a San Michele Arcangelo, 
da recitarsi al termine della S. Messa

 

 

Il 13 ottobre 1884, al termine della celebrazione della S. Messa, Leone XIII udì una voce dal timbro gutturale e profondo che diceva: “Posso distruggere la tua Chiesa: per far questo ho bisogno di più tempo e di più potere” Il Papa udì anche una voce più aggraziata che domandava: “Quanto tempo? Quanto potere?”
La voce gutturale rispose: “Dai settantacinque ai cento anni e un più grande potere su coloro che si consegnano al mio servizio”; la voce gentile replicò: “Hai il tempo…” Profondamente turbato, Leone XIII dispose che una speciale preghiera, da lui stesso composta, venisse recitata al termine della S. Messa.

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia: sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo.
Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli.
E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina,
ricaccia nell’Inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime.
Amen.

 


 
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