La Fede L’esistenza di Dio – Toth Tihamer #2
Toth Tihamer
La Fede
L’esistenza di Dio
II. Felice colui che ha fede!
Alla fine della mia ultima istruzione, parlando della fede cristiana, ho insistito su questa affermazione: Felice l’uomo che ha la fede, giacché egli non pu sorridere senza pensare che un giorno egli sorriderà eternamente, e non pu piangere senza dirsi che verrà giorno in cui non piangerà mai più.
Questa idea sembra essere una formula vuota e sonora: sento dunque la necessità di dimostrarne la verità.
Felice l’uomo che ha la fede e felice il popolo che ha la fede. Intorno a queste due idee, raggrupper i miei argomenti oggi.
A. Felice l’uomo che ha la fede
Perché felice? 1) Perché non rivolge a sé stesso domande senza risposta; 2) Perché non soffre senza consolazione.
1) Colui che ha la fede, possiede la risposta alle domande più angosciose, alle più snervanti ed importanti che sempre interessarono, ed interesseranno l’uomo che pensa, domande alle quali nessuno al mondo pu dare risposta soddisfacente, se non la fede. Per contro, la fede dà una risposta tale, che la dolce serenità di una gioia vivificante si spande nelle anime.
Quali sono queste importanti e decisive domande? Sono i problemi vitali e fondamentali della vita umana.
Quando l’uomo passa dalla prima infanzia inconsapevole all’età adulta, s’accende in lui, come un lampo, la grande domanda che attende risposta: “Che cerchi tu qua sulla terra? Come ci sei venuto? Di dove vieni? Perché sei qui? E dove vai?”.
Domande assillanti. Quaggiù voi salite il duro calvario della vita: perché e come finirà tutto ci ? Cosa vi attende poi? Voi siete impiegato: ogni mattina vi sedete al vostro tavolo di lavoro e sbrigate corrispondenza e affari e tenete conti, e poi stanco rientrate in casa, per ricominciare il giorno dopo; e così per mesi ed anni e decine d’anni durate la stessa fatica, ma perché questo? Come finirà questo?
Voi siete operaio: ogni mattina, vi mettete a lato di una macchina che cigola e vibra; ogni sera, stanchissimo, vi lavate le mani macchiate d’olio e di carbone, ed il giorno dopo ricominciate, ma perché? Che cosa vi attende in seguito? Voi siete madre di famiglia: ogni giorno all’alba siete la prima in casa ad alzarvi: e fino alla sera tardi non vi arrestate un attimo, in mezzo alle mille preoccupazioni domestiche e la cura di vostro marito e dei figli: ma perché? Come finirà tutto questo?
Ecco le domande angosciose e torturanti della vita. Attendete una risposta dai sistemi filosofici: silenzio. Domandate una risposta alle arti ed alla letteratura: silenzio.
Ma domandate una risposta alla fede, ed essa vi dirà: Uomo, tu vieni da Dio, e ritorni a Dio. Dio ti ha dato un’anima immortale in un corpo terrestre, e nel ciclo di qualche decina d’anni di una vita onesta, seria, coscienziosa, la tua anima tornerà alla sua patria, cioè fra le mani di Colui che l’ha creata.
Stefano Széchenyi aveva ragione di scrivere: “Gli uomini migliori e i più saggi che sono fin qui vissuti sulla terra, riconoscono tutti che nessuna religione ha più illuminato l’umanità e meglio fatto conoscere le finalità dell’esistenza umana che la fede cristiana”1. Non è dunque da stupire che la religione, capace di dare tale risposta, sia divenuta per l’uomo un tesoro da difendere più della vita, se egli la conosce e l’ama. Non è da stupire che i primi cristiani abbiano saputo morire, anche fra i più atroci tormenti, per la fede che assicurava loro la più grande felicità. Non è da stupire che quando l’Unione Sovietica decise aprire l’Università fondata per propagare l’ateismo non abbia potuto farlo per mancanza di uditori sufficienti e questo anche dopo anni ed anni della più sfrenata persecuzione religiosa.
Perché, non si pu costringere l’uomo all’irreligione ed all’incredulità. Perché, non si pu cambiare l’anima e la natura umana. Ci sono persone che vogliono scartare, allontanare il pensiero di Dio e dell’eternità, ma se ne trovano male. Come un’ombra misteriosa, le perseguita il problema che esse non vogliono risolvere. Il loro spirito é vuoto, deserto: un baratro oscuro s’apre nel loro cuore. Si sforzano, con il lavoro e le distrazioni, di svincolarsi dai dubbi che l’assediano: ma avviene che precisamente in seguito al tempo consacrato al lavoro o al piacere, arriva l’istante in cui sulla loro povera anima torturata piomba tutto il vuoto della vita terrestre.
Strappate al suo nido un uccellino implume, griderà lamentosamente cercando sua madre. Dio è il caldo nido della mia anima. Togliete il fiore dalla luce del sole, ed esso tenderà a lui. Dio è per l’animo come i raggi del suo sole. Togliete il pesce dall’acqua del mare, e appena esso potrà farlo, nuovamente vi si immergerà. Dio è per la mia anima l’eterno oceano. Immergete una barca sotto le acque, e appena la lascerete libera da costrizione, rimonterà alla superficie, giacché il suo destino è altro: la barca che resta sott’acqua non è più che un rottame, l’anima che pu restare sommersa nel mare del mondo, e non sentire che il suo destino la spinge verso l’alto è simile ad un rottame, l’avanzo di un naufragio.
L’anima umana non pu trovar riposo che in Dio. Tutto ci che esiste nel mondo segue la sua intima natura. La stella non pu restare immobile. L’ossigeno e l’idrogeno non possono associarsi che secondo leggi determinate. Il fuoco, la fiamma tendono all’alto. La pietra che cade tende al basso. Provate a versare dell’acqua sopra l’olio: non ci riuscirete, l’olio galleggerà. Tutto è regolato in natura: ogni cosa cerca il suo posto e, quando l’ha trovato, vi resta tranquilla. Provate a separare l’anima da Dio: essa sarà inquieta e agitata e dolente. Essa lo ricercherà e non avrà pace se non quando l’abbia ritrovato.
Il poeta Lenan, quando perdette la fede, trov appena parole per descrivere il vuoto e la desolazione dell’anima che si è allontanata da Dio. Il mondo le sembra una città morta, con le sue lunghe strade scure ove deve circolare. Da ogni finestra la morte e la rovina sogghignano al vederla. “Dopo che ho lasciato la strada sicura della fede, ho perduto la nobile gioia del mio cuore”.
Chi possiede Dio, ha altre orecchie e altri occhi. Ma colui che non lo possiede che cosa sentirà? Il gemito, lo stridore delle ruote delle macchine, le grida di dolore della miseria. E chi possiede Dio? A lui dinanzi le montagne, le foreste, le spine, i cespugli, i ruscelli, le fabbriche, gli uomini, tutto canta un inno sublime.
Chi possiede Dio, vede del pari tutto diverso da colui che non lo possiede. Quest’ultimo non vede che punti d’interrogazione, problemi senza soluzione e angoscianti; ma gli occhi di chi lo possiede, non solo assorbono la luce, ma irraggiano e penetrano del loro splendore le tenebre del mondo; e là dove altri non vedono che nubi, scorge il sole che le attraversa; là ove altri non vedono che tenebre, scorge le stelle.
2) Ma l’uomo che ha la fede è ancor felice perché non soffre senza consolazione.
Nella sofferenza l’incredulo o s’annienta o chiude e tende il pugno in un impeto di collera impotente: ma il credente ha ali, che lo elevano al di sopra del pesante meccanismo del mondo. Se non ho la fede, sono soltanto un ingranaggio insignificante nella mostruosa macchina che è il mondo, sono un pezzo qualunque fra i miliardi di pezzi di cui l’universo si compone e appena, appena le cose mie volgono a male, cade nella disperazione. Ma se ho la fede, mi elevo al disopra di tutto il mondo materiale, e più, non lo guardo con occhi cupi e dolorosi, neppure quando il cielo stellato si oscura sopra di me. Quaggiù, durante la nostra vita terrestre, noi vediamo il valore benefico della religione forse più e meglio appunto nel momento in cui soffriamo.
Più lo spaventoso nulla di tutta l’esistenza terrestre, e della nostra in particolare, più il nulla della nostra effimera vita ci pesa, e più una pace meravigliosa discende nella nostra anima quando pensiamo all’eternità. La nostra fede pu dare una spiegazione a tutte le domande della vita. Giacché, se la vita è un periodo di preparazione il cui fine non é certo di lasciarci sprofondare nei piaceri, ma di conformare la nostra anima, e maturarla, in vista del suo grandioso ed eterno destino; se la nostra vita terrestre è la prefazione di un libro che sarà edito in breve, allora, ma allora solamente, noi sopporteremo con coraggio le lotte e le prove di quaggiù.
Voi conoscete il Faust del Goethe. È la personificazione del combattimento perpetuo dell’uomo contro il male, e dei suoi sforzi verso il bene. Il poeta fa tutti i tentativi con il suo eroe, ma egli non trova da nessuna parte la soluzione soddisfacente, salvo la fede in un Dio che ricompensa o castiga, e nell’eternità. E la Divina Commedia di Dante, e la Messa solenne di Beethoven, ed il Requiem di Mozart, e la Creazione di Haydn, ed il Parsifal di Wagner, e le Opere di Bach, Liszt, Brahms, ecc., nelle quali si espande in singhiozzi l’anelito ardente dell’anima alla ricerca di Dio, tutti questi capolavori confermano la constatazione di uno scrittore ecclesiastico del terzo secolo, Tertulliano, che “l’anima umana è naturalmente cristiana” (anima naturaliter christiana).
Invano voi cercate di soffocare questa fiamma, gettandovi sopra pugni di terra. “Tutti gli uomini hanno sete di Dio”, già diceva Omero nell’Odissea, e soprattutto l’uomo che soffre.
Felice colui, che ha la fede, giacché non solo con gli occhi egli guarda il mondo, ma altresì, con la sua anima. Come gli altri egli è assalito dalle mille impressioni caotiche della vita, ma la sua fede gli fa vedere in colori brillanti, e gli fa comprendere ci che per l’incredulo resta confuso.
Felice colui, che ha la fede! Egli pure dovrà camminare sulla terra in mezzo a fitte e spaventevoli ombre, ma egli camminerà in mezzo ad esse, come il fanciullo traversa con il cuore che batte una camera oscura, sapendo che aldilà, in una grande camera vicina piena di luce, suo padre l’attende a braccia aperte.
Felice colui, che ha la fede! Come tutti, sente abbattersi su di sé le incomprensioni e le oscurità della vita, ma nell’intimo della sua anima arde la luce della fede, che fa splendere i suoi occhi come due finestre aperte alla luce del sole. Fratelli miei: avete voi questi occhi brillanti, pieni di speranza, queste due stelle che vi rischiareranno… voi e tanti altri, prede del dubbio?
Si, fratelli miei: felice colui, che ha la fede.
B. Felice il popolo che ha la fede
1) Che cosa la fede pu donare ad un popolo? Moralità, gioia di vivere, forza di resistenza, confidenza in sé, spirito di intrapresa e di costruzione.
Citer un esempio antico. La Francia conserva piamente il ricordo di santa Giovanna d’Arco, che, cinque secoli or sono, liber , in nome del cielo, il territorio della patria occupato allora dagli Inglesi. Rievochiamo la situazione. Una giovanetta di 17 anni, che giammai aveva maneggiato un’arma, si riveste di una corazza e, accompagnata da qualche cavaliere, si mette in marcia contro la potenza militare più grande di quell’epoca, contro la quale nessuna armata osava misurarsi apertamente. La cavalleria francese era già annientata, l’erede del trono di Francia stava nel suo palazzo, timoroso e inattivo, mentre gli Inglesi assediavano Orléans, sua ultima piazzaforte. E questa semplice fanciulla, con la sua fiducia in Dio, realizza l’impossibile. Rianima il popolo intero e la nazione, che, ripreso coraggio, riporta vittoria.
Ecco cosa ha potuto fare per il suo paese una debole donna, in cui viveva la fede divina.
Esaminiamo ancora che cosa significano per un popolo, per una patria, dei cittadini generosi fino al sacrificio, onesti, di puri costumi, animati dallo spirito del dovere religioso. Se questi cittadini adempiono i doveri del proprio stato con tutte le loro forze, se fanno il loro dovere, ci avviene perché la fede ha loro detto: “è per questa via che voi otterrete il diritto alla vita eterna”. Se questi cittadini conducono vita retta nel seno delle loro famiglie, se hanno costumi integri, mani pure, ci è perché la fede ha loro detto: “è così che renderete degna di Dio la vostra anima immortale”. Se questi cittadini, ad onta delle preoccupazioni, sopportano sorridendo il peso della vita quotidiana, e diventano le salde colonne della vita sociale, ci avviene perché Dio abita nei loro cuori.
Negli antichi templi greci spesso si vedono delle magnifiche figure di donne, che si chiamano cariatidi, la cui testa alzata sopporta il testo del santuario. Un peso enorme grava su di esse, e tuttavia la loro fronte, i loro occhi, tutta la loro attitudine non lascia intravedere stanchezza: una specie di fierezza di fiducia in loro stesse le sostiene, come se non sentissero il peso che le schiaccia. Ugualmente le braccia muscolose e le anime invitte dei cittadini credenti e religiosi, sostengono il pesante edificio della vita nazionale.
Nel 1787 Washington, uno dei fondatori degli Stati Uniti, disputava, con 55 compagni sulla futura sorte dello Stato. Ad un tratto il vecchio Franklin si alz , e disse: “Signori, preghiamo! Io sono ormai vecchio, ma più ho vissuto e più ho constatato chiaramente che gli affari umani è Dio che li dirige. Se un passero non cade a terra senza ch’egli lo voglia o permetta, come uno Stato potrebbe essere costruito senza il suo soccorso?”.
Felice il popolo che ha una fede, che ha religione!
2) Tuttavia, fratelli miei, prima di chiudere, sento che devo rispondere ad una obiezione che potrebbe essermi sollevata: “Non c’è sulla terra un sol popolo senza fede e religione. E allora perché insistere specialmente su questo punto?”.
Risponder che quando io parlo della fede, intendo sempre una fede vissuta; ci che, disgraziatamente, non é sempre bene comune di tutti i popoli. Invero, in che consiste la fede vissuta? Consiste nell’essere così convinti della verità della nostra fede, che il suo spirito penetri quasi inavvertitamente i nostri atti, i nostri pensieri, le nostre parole, così come viviamo, respirando senza accorgercene, e non prestando attenzione ai battiti vitali del nostro cuore.
Il mio giusto per fede vivrà (Eb 10,38) dice la lettera agli Ebrei. Vive. La fede regola non solo questa o quella delle sue azioni, ma tutta la sua vita. Lo spirito di Gesù Cristo circola in lui, come il suo sangue: lo penetra e lo satura, come l’acqua imbeve la spugna, e segna ciascuno dei suoi atti.
Ogni cristiano crede nella vita eterna, ci e ben naturale, ma quante poche persone si domandano, all’inizio delle loro azioni: “A che cosa, questo che sto per fare, mi servirà per la vita eterna?”. Ora, vivere per la fede, significa considerare ogni cosa in vista dell’eternità.
Fratelli miei, prima di sacrificare il vostro onore alla vostra carriera, ponetevi questa domanda: “Agirei così al mio ultimo istante? Quanto faccio, mi servirà per l’eternità?”. Prima di cedere alle seduzioni di un’ambizione disonesta, domandatevi sempre: “Che cosa ne dirà Dio?”. Ecco che cos’è una fede vivente, che cosa vuol dire vivere la propria fede.
Forse voi direte: Se non avessi la fede non mi preoccuperei affatto della mia anima. È vero, ma io vi domando: Se voi aveste una fede vissuta forse che ve ne preoccupereste così poco? Voi dite: “Se non avessi la fede non pregherei”. È vero: ma se voi aveste una fede vissuta, forse preghereste con tante distrazioni? Dite: “Non andrei a confessarmi”. È vero: ma voi ci andreste così raramente? Dite: “Non andrei a comunicarmi”. Vero: ma vi comunichereste con tanta freddezza?
Ecco, fratelli miei, il nostro grande difetto, la piaga fondamentale dei paesi cristiani. Noi siamo cristiani, si lo siamo, ma solamente a parole, non per le opere, per la nostra vita. Siamo cristiani a parole: nella vita siamo pagani. Crediamo a parole; siamo, per i nostri atti, increduli.
Quando io affermo dunque: felice colui, che ha la fede, ed il popolo che ha la fede, io penso alla fede vissuta e vivificante; alla fede che non é soltanto una professione verbale, ma una vita, da essa, in tutto e per tutto regolata; ad una fede che é un ritmo; ad una fede che fa battere il cuore: ad una fede che sia forza direttrice dell’esistenza.
Un vero credente è un uomo dall’anima pura, dalle mani pure, dagli occhi, dai desideri, dai pensieri puri. Un popolo credente è un popolo rispettoso della morale, laborioso ed energico.
La mia fede non è soltanto una parola, un dogma. É altresì un’attività, una sorgente d’energia. Ah, fratelli miei, nella fede, non dimenticatelo, noi viviamo fra increduli, e bisogna che la nostra vita sia tale da splendere in mezzo a loro come una stella luminosa nelle tenebre della notte. Che la nostra vita sia, al loro cospetto, pura e trasparente, come quella di un pesce esposto al pubblico dietro i vetri di un acquario. Questo affinché i miscredenti, contemplando le parole e gli atti della nostra vita, alzino lodi al Padre che è nei cieli, e lo ringrazino d’aver inviato dei cristiani sulla terra (cf. 1 Pt 1,12).
* * *
Fratelli miei, ci che sto per narrarvi, è avvenuto il 19 agosto 1093 ad Alba Reale. Presso la tomba di sant’Stefano, un re era in preghiera, San Ladislao, e con lui l’eletta parte del suo regno. E c’era un fanciullo di sette anni, storpio piedi e mani, dalla nascita. I suoi genitori, piangendo e pregando, lo deposero sulla tomba di sant’Stefano, ed ecco che d’un tratto, sotto gli occhi della folla, i suoi muscoli si stesero, le ginocchia si piegarono, ed il fanciullo prima si mosse, poi si tenne ritto sulle gambe. Il re Ladislao fu egli stesso testimone di questo miracolo, e lacrime di gioia gli scaturirono dagli occhi: prese il fanciullo nelle sue braccia, lo port verso l’altare, e ringrazi in forma solenne Dio, autore di tanto prodigio”.
Perché questo racconto alla fine della mia predica? Perché nella nostra Europa, da molto tempo, è risuonato questo grido spaventoso: Uomini, attenti! La civiltà europea è in decadenza e s’avvia alla sua tomba: le membra altra volta così robuste dell’Europa cristiana sono paralizzate.
Chi potrebbe negare che al disopra della cultura morale dell’Europa sono sospese realmente le nuvole del crepuscolo, per le quali le nostre anime sospirano: Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto (Lc 24, 29).
Unendomi all’Apostolo san Pietro, fratelli miei, io così prego: rimanete stretti alla nostra fede cristiana, a Nostro Signore Gesù Cristo giacché voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perci esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime. (1 Pt, 8-9).
1 Stecchenti, Nagy Magyar Szatira, p. 379